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Art. 1207 cc – Della mora del creditore – Effetti

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Codice Civile

Articolo 1207 codice civile

Della mora del creditore – Effetti

Quando il creditore è in mora, è a suo carico l’impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore. Non sono più dovuti gli interessi né i frutti della cosa che non siano stati percepiti dal debitore.

Il creditore è pure tenuto a risarcire i danni derivati dalla sua mora e a sostenere le spese per la custodia e la conservazione della cosa dovuta.

Gli effetti della mora si verificano dal giorno dell’offerta, se questa è successivamente dichiarata valida con sentenza passata in giudicato o se è accettata dal creditore.


 

Giurisprudenza:

Pericolo di crolli nella res locata – Rifiuto del conduttore di trasferirsi altrove – Concorso di colpa ex art. 1227 cc – La condotta del conduttore di un immobile ad uso diverso da quello abitativo – il quale rifiuti di traferirsi in altri locali per consentire l’esecuzione dei lavori idonei a neutralizzare un accertato pericolo di crolli, poi effettivamente verificatisi – può assumere rilievo nell’eziologia del danno ed essere ritenuta da sola sufficiente a provocarlo, ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., solo qualora il rifiuto sia ingiustificato ed il locatore possa ritenersi liberato dalla mora nell’adempimento dell’obbligazione di riparazione a seguito di formale intimazione ex art. 1207 c.c., accompagnata dalla proposta di un provvisorio trasferimento dell’attività in altro locale. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della Corte territoriale che, pur in presenza di un ritardo del locatore nel procedere alle riparazioni, aveva ritenuto determinante nella causazione del danno il rifiuto opposto dal conduttore al trasferimento provvisorio in altri locali, senza previamente verificare se l’offerta di tale trasferimento, avanzata dal locatore, avesse formato oggetto di apposita intimazione ex art. 1207 c.c. e fosse stata ingiustificatamente rifiutata). Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 24-2-2023, n. 5735

 

Cessione di ramo di azienda – Comando giudiziale di ripristino del rapporto lavorativo – Rifiuto da parte del datore cedente – In tema di cessione di ramo di azienda, ove ne venga accertata l’illegittimità, permane in capo al datore cedente, che, nonostante l’offerta della prestazione, non abbia ottemperato al comando giudiziale di ripristino del rapporto lavorativo, giuridicamente rimasto in vita, l’obbligo di pagamento delle retribuzioni; sancita la natura retributiva e non risarcitoria delle somme da erogarsi ai lavoratori da parte del cedente inadempiente, non trova applicazione il principio della “compensatio lucri cum damno” su cui si fonda la detraibilità di quanto altrimenti percepito. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha escluso la detraibilità dalle poste retributive dell’indennità di mobilità). Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 7-8-2019, n. 21160

 

Nullità dell’interposizione di manodopera – Conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato – Ripristino del rapporto – Rifiuto del datore di lavoro conseguenze – Obbligo retributivo – La declaratoria di nullità dell’interposizione di manodopera per violazione di norme imperative e la conseguente esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato determina, nell’ipotesi in cui per fatto imputabile al datore di lavoro non sia possibile ripristinare il predetto rapporto, l’obbligo per quest’ultimo di corrispondere le retribuzioni al lavoratore a partire dalla messa in mora decorrente dal momento dell’offerta della prestazione lavorativa, in virtù dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 29 del d.lgs n. 276 del 2003, che non contiene alcuna previsione in ordine alle conseguenze del mancato ripristino del rapporto di lavoro per rifiuto illegittimo del datore di lavoro e della regola sinallagmatica della corrispettività, in relazione agli artt. 3,36 e 41 Cost. Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza 7-2-2018, n. 2990

 

Locazione – Restituzione della cosa locata – Offerta di restituzione contenuta nella raccomandata di recesso del conduttore – Idoneità ad escludere la mora del debitore – In materia di locazione, l’offerta di restituzione dell’immobile contenuta nella raccomandata di recesso del conduttore concretizza un’offerta non formale, ai sensi dell’art. 1220 cod. civ., idonea ad escludere la mora del debitore, ma non avendo i requisiti dell’offerta formale dell’immobile, ai sensi degli artt. 1216 e 1209, secondo comma, cod. civ., non vale a costituire in mora il locatore ai fini di cui all’art. 1207 cod. civ.. Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 20-6-2013, n. 15433

 

Lavoro subordinato – Conversione di una pluralità di rapporti di lavoro a termine, contrastanti con le previsioni della legge 18 aprile 1962 n. 230, in un rapporto a tempo indeterminato – Rifiuto del datore di lavoro di riammettere il lavoratore in servizio – Mora del creditore – Il lavoratore che, ottenuta una pronunzia di conversione in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di una pluralità di rapporti di lavoro a termine, contrastanti con le previsioni della legge 18 aprile 1962 n. 230 (“ratione temporis” applicabile), non venga riammesso in servizio, ha diritto al ristoro del danno commisurato al pregiudizio economico derivante dal rifiuto di riassunzione del datore di lavoro, nei cui confronti trovano applicazione le regole sulla mora del creditore e in particolare quella concernente l’obbligo risarcitorio, fissata nell’art. 1206, secondo comma cod. civ., con conseguente necessità di riconoscere al lavoratore il diritto alla retribuzione per l’attività lavorativa ingiustificatamente impeditagli, comprensivo del trattamento spettante ai dipendenti che svolgono analoghe mansioni. Né, al fine di limitare il suddetto risarcimento e di attribuire invece al lavoratore, anche per il periodo successivo alla pronunzia di conversione, un trattamento retributivo commisurato alle scansioni temporali cicliche originariamente concordate tra le prestazioni dei singoli servizi prima di tale pronunzia (e quindi in concreto la sola retribuzione per i periodi nei quali, conformemente alle modalità originarie, vi sarebbe stata effettiva prestazione) può farsi riferimento al carattere sinallagmatico del rapporto, utilmente invocabile solo in relazione al periodo anteriore alla conversione, o a legittime pattuizioni relative alla misura ed alla quantità della prestazione lavorativa, pattuizioni la cui esistenza non può peraltro venir dedotta dal solo succedersi nel tempo di una pluralità di contratti a termine in violazione della citata legge 230 del 1960, pena la sostanziale vanificazione dei precetti da questa stabiliti. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 11-4-2013, n. 8851

 

Lavoro subordinato – Sospensione disposta unilateralmente ed erroneamente dal datore di lavoro – Illegittimità – Conseguenze – Obbligo retributivo –La sospensione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato può avere luogo solo nei casi previsti dalla legge, sicché il datore di lavoro che unilateralmente sospenda il rapporto sulla base di proprie erronee convinzioni (nella specie, circa la sussistenza di una clausola di “part-time” verticale) è tenuto a corrispondere le pertinenti retribuzioni, senza necessità di un atto di messa in mora da parte del lavoratore. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 11-4-2012, n. 5711

 

Appalto di opere pubbliche – Nullità del contratto o di una singola clausola contrattuale per impossibilità dell’oggetto – Carattere assoluto, definitivo ed oggettivo dell’impossibilitàMora credendi – La nullità del contratto o della singola clausola contrattuale, per l’impossibilità della cosa o del comportamento che ne forma oggetto, richiede che tale impossibilità, oltre che oggettiva e presente fin dal momento della stipulazione, sia anche assoluta e definitiva, rimanendo ininfluenti a tal fine le difficoltà, più o meno gravi, di carattere materiale o giuridico, che ostacolino in maniera non irrimediabile il risultato a cui la prestazione è diretta. Ne consegue che tale impossibilità nel contratto di appalto di opera pubblica non sussiste, qualora vi sia un mero impedimento tecnico, riconducibile al comportamento non collaborativo di una delle parti del rapporto che ometta quanto necessario per rendere possibile la prestazione ostacolando in maniera non oggettivamente irrimediabile il risultato cui essa è diretta; pertanto, qualora la stazione appaltante non provveda ad eliminare dette carenze, gli effetti non sono regolati dagli artt. 1346 e 1418 cod. civ., ma dall’art. 1207 cod. civ., vertendosi in un ipotesi di “mora credendi”. Cassazione Civile, Sezione 1, Sentenza 1-9-2011, n. 18002