Articolo 1256 codice civile
Impossibilità definitiva e impossibilità temporanea
L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile.
Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla.
Giurisprudenza:
Nozione – Prestazione avente ad oggetto una somma di denaro – Applicabilità – Esclusione – L’impossibilità idonea ad estinguere l’obbligazione, ex art. 1256 c.c., deve intendersi in senso assoluto ed obiettivo e consiste nella sopravvenienza di una causa, non imputabile al debitore, che impedisce definitivamente l’adempimento e che, alla stregua del principio “genus nunquam perit”, può evidentemente verificarsi solo quando la prestazione abbia per oggetto la consegna di una cosa determinata o di un genere limitato, e non già quando si tratti di una somma di denaro. Cassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 22-6-2022, n. 20152
Lavoro subordinato – Licenziamento illegittimo – Società in liquidazione – Inesistenza originaria di attività aziendale – In tema di licenziamento illegittimo, intimato da parte di una società posta in liquidazione, incaricata dell’attività di raccolta dei rifiuti, l’inesistenza originaria di attività aziendale, analogamente alla sopravvenuta totale cessazione di ogni attività, impedisce la reintegra del lavoratore, a nulla rilevando la sussistenza di un obbligo legale di svolgimento dell’attività di spazzamento e di trasporto dei rifiuti e di smaltimento o recupero inerenti alla raccolta differenziata, normativamente imposto dall’art. 11 del d.l. n. 195 del 2009, atteso che l’impossibilità di disporre l’ordine di reintegra discende da una mera situazione di fatto. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 19-5-2022, n. 16201
Impossibilità sopravvenuta della prestazione – Effetti nei contratti a prestazioni corrispettive – Risoluzione del contratto – L’impossibilità sopravvenuta della prestazione, che derivi da causa non imputabile al debitore ai sensi dell’art. 1218 c.c., opera, paralizzandola, più propriamente in relazione ad una domanda di adempimento, determinando, essa, di diritto, nei contratti con prestazioni corrispettive, se definitiva, con la estinzione della relativa obbligazione, la risoluzione del contratto, ai sensi degli artt. 1463 e 1256, comma 1, c.c., con la conseguente applicazione delle norme generali sulla risoluzione ed in particolare di quella sulla retroattività, senza che si possa parlare di inadempimento colpevole. Cassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 23-11-2021, n. 36329
Risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta – Presupposti – Rappresentazione di un’opera lirica all’aperto interrotta a causa di gravi avverse condizioni atmosferiche – In tema di risoluzione del contratto, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione è configurabile qualora siano divenuti impossibili l’adempimento della prestazione da parte del debitore o l’utilizzazione della stessa ad opera della controparte, purché tale impossibilità non sia imputabile al creditore ed il suo interesse a ricevere la prestazione medesima sia venuto meno, dovendosi in tal caso prendere atto che non può più essere conseguita la finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto, con la conseguente estinzione dell’obbligazione. (In applicazione del principio, la S.C. ha rigettato il ricorso proposto avverso sentenza che aveva ritenuto il debitore liberato dalla prestazione divenuta impossibile – nella specie la rappresentazione di un’opera lirica all’aperto che, pur dopo l’esecuzione del solo primo atto, era stata interrotta a causa di gravi avverse condizioni atmosferiche … continua a leggere ► Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Ordinanza 29 marzo 2019, n. 8766
Risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta – Presupposti – Inadempimento del debitore nel termine stabilito – La liberazione del debitore per sopravvenuta impossibilità della prestazione può verificarsi, secondo la previsione degli artt. 1218 e 1256 c.c., solo se ed in quanto concorrano l’elemento obiettivo della impossibilità di eseguire la prestazione medesima, in sè considerata, e quello soggettivo dell’assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione. Pertanto, nel caso in cui il debitore non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, egli non può invocare la predetta impossibilità con riferimento ad un ordine o divieto dell’autorità amministrativa (“factum principis”) sopravvenuto, e che fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto della assunzione della obbligazione, ovvero rispetto al quale non abbia, sempre nei limiti segnati dal criterio della ordinaria diligenza, sperimentato tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto il debitore liberato in seguito all’impugnazione e al conseguente annullamento dell’illegittima revoca dell’autorizzazione all’espletamento dell’attività dedotta in contratto, sebbene del prevedibile “factum principis” egli fosse stato reso … continua a leggere ► Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 8 giugno 2018, n. 14915
Impossibilità della prestazione – Onere della prova della non imputabilità – In materia di responsabilità contrattuale, perché l’impossibilità della prestazione (nella specie conseguente al sequestro penale dell’impianto di depurazione del ristorante oggetto del contratto di locazione) costituisca causa di esonero del debitore da responsabilità, deve essere offerta la prova della non imputabilità, anche remota, di tale evento impeditivo, non essendo rilevante, in mancanza, la configurabilità o meno del “factum principis”. – Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 25 maggio 2017, n. 13142
Condono fiscale – Definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti – Ritardo nell’adempimento per dedotte intimidazioni mafiose – Esclusione – In tema di condono fiscale (nella specie, relativo all’imposta di successione), i termini di pagamento di quanto dovuto per la definizione agevolata della controversia non sono suscettibili di essere riaperti, né l’obbligazione può essere estinta con altra modalità, attesa la natura eccezionale della disciplina del condono, che risponde all’esigenza di conseguire risorse per lo Stato entro i termini perentori connessi alla redazione del bilancio statale e non consente l’applicazione delle regole generali di diritto comune. Ne consegue che, anche nell’ipotesi in cui il contribuente deduca che il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione tributaria sia derivato dall’aver subito gravi intimidazioni mafiose, va esclusa la prorogabilità dei termini (ovvero l’estinzione dell’obbligazione) attesa l’inapplicabilità dell’art. 1256 cod. civ. – Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, Sentenza 29 novembre 2013, n. 26767
Successione testamentaria – Onere di prestare assistenza ad un terzo – Impossibilità di adempimento per rifiuto del beneficiario – In tema di successioni “mortis causa”, allorché l’adempimento dell’onere apposto ad una disposizione testamentaria, consistente nell’obbligo per l’erede di prestare assistenza e cura ad un terzo vita natural durante, sia reso impossibile dal rifiuto di quest’ultimo di usufruire di tali prestazioni, non è configurabile la nullità della disposizione ai sensi dell’art. 647, terzo comma, cod. civ., il quale attiene esclusivamente alle ipotesi di impossibilità originaria di adempimento dell’onere, trovando, invece, l’impossibilità sopravvenuta la propria disciplina nei principi generali relativi alla risoluzione o all’estinzione dell’obbligazione, con conseguente eventuale liberazione dell’onerato a seguito di costituzione in mora del beneficiario. – Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 16 maggio 2013, n. 11906
Impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore – Onere della prova – In materia di responsabilità contrattuale, perchè l’impossibilità della prestazione (nella specie conseguente al sequestro penale dei conti correnti sui quali erano versate le somme necessarie a corrispondere il prezzo della vendita) costituisca causa di esonero del debitore da responsabilità, deve essere offerta la prova della non imputabilità, anche remota, di tale evento impeditivo, non essendo rilevante, in mancanza, la configurabilità o meno del “factum principis”. – Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 30 aprile 2012, n. 6594
Malattia – Inidoneità permanente al lavoro – La malattia del lavoratore deve distinguersi dalla sua inidoneità al lavoro in quanto, pur essendo entrambe cause d’impossibilità della prestazione lavorativa, esse hanno natura e disciplina diverse, per essere la prima di carattere temporaneo e implicante la totale impossibilità della prestazione, che determina, ai sensi dell’art.2110 cod. civ., la legittimità del licenziamento quando ha causato l’astensione dal lavoro per un tempo superiore al periodo di comporto, laddove la seconda ha carattere permanente o, quanto meno, durata indeterminata o indeterminabile, e non implica necessariamente l’impossibilità totale della prestazione consentendo la risoluzione del contratto, ai sensi degli artt. 1256 e 1463 cod. civ., eventualmente previo accertamento di essa con la procedura stabilita dall’art. 5 dello statuto dei lavoratori, indipendentemente dal superamento del periodo di comporto. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha evidenziato che il licenziamento, motivato dall’asserita impossibilità dell’azienda di utilizzare proficuamente le prestazioni del lavoratore, discontinua a causa delle reiterate assenze per malattia, non era sorretto da un accertamento dell’eventuale inidoneità fisica del lavoratore). – Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 31 gennaio 2012, n. 1404
Atto amministrativo illegittimo – Sussistenza della non imputabilità dell’inadempimento – Esclusione – In relazione all’atto dell’autorità che costituisca impedimento della prestazione contrattuale, incidendo su un momento strumentale o finale della relativa esecuzione – cosiddetta “factum principis” – deve escludersi, nel caso in cui si tratti di atto amministrativo illegittimo, che esso possa determinare l’esonero da responsabilità del debitore ove costui vi abbia dato causa colposamente e, segnatamente, non si sia diligentemente attivato in modo adeguato per ottenerne la revoca o l’annullamento. – Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 19 ottobre 2007, n. 21973
In tema di contributi per la ricostruzione e riparazione di unità immobiliari colpite da eventi sismici, il d. lgs. n. 76 del 1990 (nel quale è stata trasfusa la precedente normativa) prevede una disciplina organica e speciale, con la conseguenza che, in riferimento alla decadenza dal beneficio per il mancato rispetto del termine di inizio o di ultimazione dei lavori (prevista dall’art. 21 del suddetto decreto, nella formulazione originaria applicabile “ratione temporis”), da un lato non è applicabile la disciplina civilistica relativa all’impossibilità della prestazione (artt. 1218 e 1256 cod. civ.), dall’altro, costituendo l’osservanza del termine un onere imposto al beneficiario per evitare la decadenza, è preclusa l’indagine sui motivi, i fatti e le omissioni che ne hanno impedito il rispetto. Ulteriore conseguenza è che l’esclusione della decadenza, prevista dal suddetto art. 21 per il caso di presenza nel fabbricato di persone diverse dal beneficiario, non può essere riferita al caso di legittima detenzione (da parte di coltivatore diretto, mezzadro, colono) del fondo diverso dal sito del fabbricato danneggiato, sul quale la ricostruzione dell’immobile debba essere effettuata, non sussistendo in tal caso alcuna esigenza di sgombero, ed essendo l’intera disciplina ispirata alla conservazione del rapporto; né l’art. 14 dello stesso decreto, che prevede il subentro del legittimo detentore del fondo al proprietario nell’assegnazione del contributo, contrasta (anche alla luce della sentenza n. 601 del 1988 della Corte costituzionale) con l’art. 42 Cost., atteso che la sostituzione è prevista solo in caso di inerzia del proprietario, del quale rimane fermo il diritto sul cespite ricostruito. — Cass. I, sent. 5020 del 2-3-2009
La risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, con la conseguente possibilità di attivare i rimedi restitutori, ai sensi dell’art. 1463 cod. civ., può essere invocata da entrambe le parti del rapporto obbligatorio sinallagmatico, e cioè sia dalla parte la cui prestazione sia divenuta impossibile sia da quella la cui prestazione sia rimasta possibile. In particolare, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell’obbligazione. (Nella fattispecie, relativa ad un contratto di soggiorno alberghiero prenotato da due coniugi uno dei quali era deceduto improvvisamente il giorno precedente l’inizio del soggiorno, la S.C., enunciando il riportato principio, ha confermato la sentenza di merito con cui era stato dichiarato risolto il contratto per impossibilità sopravvenuta invocata dal cliente ed ha condannato l’albergatore a restituire quanto già ricevuto a titolo di pagamento della prestazione alberghiera). — Cass. III, sent. 26958 del 20-12-2007
In relazione all’atto dell’autorità che costituisca impedimento della prestazione contrattuale, incidendo su un momento strumentale o finale della relativa esecuzione — cosiddetta «factum principis» — deve escludersi, nel caso in cui si tratti di atto amministrativo illegittimo, che esso possa determinare l’esonero da responsabilità del debitore ove costui vi abbia dato causa colposamente e, segnatamente, non si sia diligentemente attivato in modo adeguato per ottenerne la revoca o l’annullamento. — Cass. III, sent. 21973 del 19-10-2007
E valido l’accordo col quale l’imprenditore e le organizzazioni sindacali pattuiscano, ai fini del ricorso alla Cassa integrazione guadagni, una sospensione del rapporto di lavoro con esonero del datore di lavoro dall’obbligazione retributiva indipendentemente dall’esito della richiesta di concessione dell’integrazione salariale; per l’efficacia di tale accordo è tuttavia indispensabile che i lavoratori interessati abbiano conferito specificamente ai rappresentanti sindacali l’incarico di stipularlo, oppure che provvedano a ratificarne l’operato, trattandosi di accordo che incide immediatamente sulla disciplina dei contratti individuali di lavoro e sui diritti di cui i singoli sono già titolari. Tanto l’incarico che la successiva ratifica possono essere espressi anche mediante comportamenti concludenti, purché si tratti di condotte significative della volontà degli interessati, in quanto l’iscrizione all’associazione sindacale non è atto idoneo a conferirle anche il potere di disporre di diritti acquisiti al patrimonio del lavoratore. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata la quale aveva ritenuto che l’accordo sindacale fosse stato tacitamente ratificato dai lavoratori, senza però indagare adeguatamente se questi avessero avuto reale contezza della portata effettiva del contenuto di detto accordo). — Cass. Sez. L, sent. 18053 del 24-8-2007
Nel contratto di viaggio vacanza «tutto compreso» (c.d. «pacchetto turistico» o «package», disciplinato attualmente dagli artt. 82 e segg. del d.lgs. n. 206 del 2005 — c.d. «codice del consumo»), che si caratterizza per la prefissata combinazione di almeno due degli elementi rappresentati dal trasporto, dall’alloggio e da servizi turistici agli stessi non accessori (itinerario, visite, escursioni con accompagnatori e guide turistiche, ecc.) costituenti parte significativa di tale contratto, con durata superiore alle ventiquattro ore ovvero estendentesi per un periodo di tempo comportante almeno un soggiorno notturno, la «finalità turistica» (o «scopo di piacere») non è un motivo irrilevante ma si sostanzia nell’interesse che lo stesso è funzionalmente volto a soddisfare, connotandone la causa concreta e determinando, perciò, l’essenzialità di tutte le attività e dei servizi strumentali alla realizzazione del preminente scopo vacanziero. Ne consegue che l’irrealizzabilità di detta finalità per sopravvenuto evento non imputabile alle parti determina, in virtù della caducazione dell’elemento funzionale dell’obbligazione costituito dall’interesse creditorio (ai sensi dell’art. 1174 cod. civ.), l’estinzione del contratto per sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione, con esonero delle parti dalle rispettive obbligazioni. — Cass. III, sent. 16315 del 24-7-2007
Nel contratto di viaggio vacanza «tutto compreso» (c.d. «pacchetto turistico» o «package»), disciplinato attualmente dagli artt. 82 e segg. del d.lgs. n. 206 del 2005 (c.d. «codice del consumo») e che si distingue dal contratto di organizzazione o di intermediazione di viaggio (CCV) di cui alla convenzione di Bruxelles del 23 dicembre 1970 (resa esecutiva in Italia con la legge 27 dicembre 1977, n. 1084), la «finalità turistica» connota la sua causa concreta ed assume rilievo, oltre che come elemento di qualificazione, anche relativamente alla sorte del contratto, quale criterio di relativo adeguamento, con la conseguenza che, nell’economia funzionale complessiva di detto contratto, l’impossibilità di utilizzazione della prestazione da parte del consumatore creditore per causa a lui non imputabile, pur se normativamente non specificamente prevista, è da considerarsi causa di estinzione dell’obbligazione, autonoma e distinta dalla sopravvenuta totale (di cui all’art. 1463 cod. civ.) o parziale (prevista dall’art. 1464 cod. civ.) impossibilità di esecuzione della medesima. (Nella specie, la S.C., ravvisando come conforme a diritto il dispositivo dell’impugnata sentenza, nel limitarsi a correggerne la motivazione nella parte in cui il giudice del merito aveva ritenuto che ricorresse un’ipotesi di sopravvenuta impossibilità parziale dell’esecuzione della prestazione anziché della sua utilizzazione, ha confermato la legittimità della pronuncia di scioglimento del contratto di «package» avente ad oggetto un viaggio vacanza di due settimane per due persone a Cuba, essendo in atto sull’isola un’epidemia di «dengue» emorragico, sicché i turisti, in accordo con l’agenzia di viaggi, avevano optato per diversa destinazione, nonché la correttezza della statuizione di rigetto della domanda di pagamento dell’indennità per il recesso formulata dal «tour operator»). — Cass. III, sent. 16315 del 24-7-2007
Nella fattispecie di recesso del datore di lavoro per l’ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi (cosiddetta eccessiva morbilità), la risoluzione del rapporto costituisce la conseguenza di un caso di impossibilità parziale sopravvenuta dell’adempimento, in cui il dato dell’assenza dal lavoro per infermità ha una valenza puramente oggettiva; ne consegue che non rileva la mancata conoscenza da parte del lavoratore del limite cosiddetto esterno del comporto e della durata complessiva delle malattie e, in mancanza di un obbligo contrattuale in tal senso, non costituisce violazione da parte del datore di lavoro dei principi di correttezza e buona fede nella esecuzione del contratto la mancata comunicazione al lavoratore dell’approssimarsi del superamento del periodo di comporto, in quanto tale comunicazione servirebbe in realtà a consentire al dipendente di porre in essere iniziative, quali richieste di ferie o di aspettativa, sostanzialmente elusive dell’accertamento della sua inidoneità ad adempiere l’obbligazione. — Cass. Sez. L, sent. 14891 del 28-6-2006
Ogni lavoratore subordinato ha un vero e proprio diritto, ai sensi dell’art. 2103 cod. civ., allo svolgimento della prestazione secondo la tipologia lavorativa propria della qualifica di appartenenza e la violazione di tale diritto (c.d. «demansionamento») determina la configurazione di un danno risarcibile, atteso che la negazione o l’impedimento allo svolgimento della prestazione lavorativa comportano una lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore nel luogo di lavoro, implicando un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di relazione dell’interessato; la valutazione di siffatto pregiudizio, per sua natura privo delle caratteristiche della patrimonialità, non può che essere effettuata dal giudice alla stregua di un parametro equitativo, essendo difficilmente utilizzabili criteri di riferimento economici o reddituali. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito impugnata, rilevando l’inadeguatezza della relativa motivazione con cui, avuto riguardo allo svolgimento di un rapporto di collaborazione giornalistica fissa, non era stato considerato con esattezza tale tipo di rapporto e non erano stati valutati congruamente i relativi obblighi a carico delle parti e, tra essi, specificamente l’obbligo dell’azienda giornalistica di richiedere la prestazione lavorativa al collaboratore fisso ai sensi dell’art. 2 del c.c.n. l. dei giornalisti durante l’intero periodo del rapporto di lavoro entro i limiti della suddetta disposizione contrattuale, considerandosi la mancata utilizzazione, per un apprezzabile periodo, della prestazione lavorativa dipendente da problemi organizzativi e gestionali interni all’azienda e, perciò, riconducibile alla sua responsabilità). — Cass. Sez. L, sent. 4975 del 8-3-2006
L’impossibilità sopravvenuta della prestazione presuppone l’addebitabilità a fatto imputabile all’altro contraente o a ragioni obiettive. (Sulla base di tale principio la Corte di Cassazione ha escluso la sentenza di inimpronibilità sopravvenuta della prestazione nel caso in cui la inutilizzabilità di un bene locato era eziologicamente ricollegabile al protratto inadempimento dell’obbligo assunto dal conduttore di apportare all’immobile le modifiche necessarie per il cambiamento della destinazione d’uso, in quanto il conduttore aveva detenuto l’immobile per oltre tre anni prima della chiusura disposta dall’autorità amministrativa. — Cass. III, sent. 3440 del 16-2-2006
In tema di agevolazioni fiscali per l’acquisto di terreni agricoli stabilite, a favore della piccola proprietà contadina, dalla legge 6 agosto 1954, n. 604, ove il contribuente non adempia l’obbligo di produrre all’Ufficio il previsto certificato definitivo entro il prescritto termine decadenziale, non perde il diritto ai benefici qualora provi che il superamento del termine è stato dovuto a colpa degli uffici competenti, che abbiano indebitamente ritardato il rilascio della documentazione, pur dovendo anche dimostrare di aver operato con adeguata diligenza allo scopo di conseguire la certificazione in tempo utile. — Cass. V, sent. 14671 del 12-7-2005
Le regole dettate dall’art. 2110 cod. civ. per le ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore prevalgono, in quanto speciali, sia sulla disciplina dei licenziamenti individuali (di cui alle leggi n. 604 del 1966, n. 300 del 1970 e n. 108 del 1990) che su quella degli articoli 1256 e 1464 cod. civ., e si sostanziano nell’impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto sino al superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (cosiddetto comporto) predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice, nonché nel considerare quel superamento unica condizione di legittimità del recesso; le stesse regole hanno la funzione di contemperare gli interessi confliggenti del datore di lavoro (a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento e l’occupazione), riversando sull’imprenditore — in parte e per un tempo la cui concreta determinazione è rimessa gradatamente alla legge, ai contratti collettivi, agli usi, all’equità — il rischio della malattia del dipendente. Di conseguenza, essendo il superamento del periodo di comporto condizione di legittimità del recesso, in mancanza di un comporto determinato dalla legge, è preliminare ed essenziale l’accertamento — da parte del giudice di merito — del comporto contrattualmente previsto, oltre che la verifica in fatto del numero delle assenze computabili secondo la stessa previsione contrattuale. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, pur avendo acquisito la normativa contrattuale e l’elenco delle assenze, ne aveva omesso l’esame). — Cass. Sez. L, sent. 13624 del 24-6-2005
Al principio di ordine generale secondo cui tutte le pronunce giudiziali retroagiscono normalmente al momento della domanda, fanno eccezione le pronunce costitutive che tengono luogo dell’obbligo di concludere un contratto, le quali, essendo fonte autonoma di rapporti giuridici, dispiegano necessariamente i loro effetti solo dal momento del loro passaggio in giudicato; né un argomento in senso contrario può trarsi dalla norma (art. 2652, numero 2, cod. civ.) sulla trascrizione delle domande dirette a ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, in quanto la trascrizione della sentenza che accoglie la domanda ha l’unica funzione di risolvere il conflitto tra l’attore e tutti gli aventi causa dal convenuto che abbiano effettuato trascrizioni o iscrizioni nei suoi confronti dopo la trascrizione della domanda, ma non vale ad anticipare gli effetti della sentenza costitutiva nei rapporti tra le parti al momento della proposizione della domanda di esecuzione specifica. Da tanto deriva che, in fattispecie di contratto preliminare di vendita di quote di una società a responsabilità limitata al valore nominale avente ad oggetto la frazione del capitale sociale appartenente al socio promittente venditore, l’impossibilità sopravvenuta dell’oggetto, impeditiva dell’accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica (nella specie, per riduzione del capitale sociale e suo successivo azzeramento preordinato ad un aumento di capitale, con conseguente annullamento del valore nominale delle quote delle quali il promittente venditore aveva chiesto il trasferimento coattivo), va valutata avendo a riferimento il momento, non già della domanda, bensì della pronuncia. — Cass. I, sent. 10600 del 19-5-2005
Spetta al giudice ordinario, e non al Tribunale superiore delle acque pubbliche, conoscere della domanda con cui la società concessionaria di lavori pubblici, relativi allo sfangamento di un lago, chieda l’annullamento per illegittimità (ed il risarcimento dei danni subiti per effetto) del decreto dell’assessore regionale, adottato senza rimettere in discussione la precedente aggiudicazione, recante la risoluzione, per impossibilità (normativa) sopravvenuta, della convenzione, in precedenza stipulata con essa società; ciò in quanto la posizione soggettiva incisa dal provvedimento impugnato ha la consistenza del diritto soggettivo, atteso che l’impossibilità sopravvenuta, invocata dall’assessore regionale a sostegno della dichiarazione con la quale l’amministrazione afferma di ritenersi libera dall’obbligo contrattuale, non esprime una potestà amministrativa né la volontà di modificare unilateralmente, a seguito dell’apprezzamento dell’interesse pubblico attribuito all’ente, la situazione giuridica soggettiva della concessionaria, ma considera l’estinzione dell’obbligazione alla stregua di un effetto prodotto direttamente dalla legge (la quale, nel caso, aveva soppresso l’istituto della concessione come precedentemente disciplinato). Pertanto, detta dichiarazione non ha la sostanza del provvedimento amministrativo, cioè dell’unico possibile oggetto del ricorso diretto al Tribunale superiore delle acque pubbliche ai sensi dell’art. 143 del testo unico approvato con il r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775. (Enunciando il principio di cui in massima, le Sezioni Unite hanno altresì escluso che una manifestazione di potestà autoritativa fosse nel caso individuabile nel diniego alla stipula di una convenzione integrativa, implicito nel decreto impugnato, e ciò non essendo tale diniego riferibile al «momento genetico» di tale seconda convenzione, atteso che la stipula d’appositi successivi accordi, che si fossero resi necessari per l’esecuzione di lavori ulteriori eccedenti il finanziamento iniziale, era espressamente prevista come clausola della convenzione iniziale). — Cass. Sez. Un., sent. 7441 del 12-4-2005
Mentre l’impossibilità giuridica dell’utilizzazione del bene per l’uso convenuto o per la sua trasformazione secondo le previste modalità, quando derivi da disposizioni inderogabili già vigenti alla data di conclusione del contratto, rende nullo il contratto stesso per l’impossibilità dell’oggetto, a norma degli artt. 1346 e 1418 cod. civ., nella diversa situazione in cui la prestazione sia divenuta impossibile per causa non imputabile al debitore ai sensi degli artt. 1256 e 1463 cod. civ., l’obbligazione si estingue; con la conseguenza che colui che non può più rendere la prestazione divenuta, intanto, definitivamente impossibile, non può chiedere la relativa controprestazione, né può agire con l’azione di risoluzione allegando l’inadempimento della controparte.(Nella specie, relativa a contratto di fornitura di prodotti per l’industria farmaceutica, la Corte Cass. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la pretesa risarcitoria avanzata da produttrice di ferritina di origine animale nei confronti di azienda farmaceutica che, a seguito della sopravvenuta non commerciabilità del prodotto — derivante da provvedimento del Ministro della sanità —, aveva cessato di richiedere la fornitura). — Cass. III, sent. 23618 del 20-12-2004
In base agli artt. 1218 e 1256 cod. civ., la sospensione unilaterale del rapporto da parte del datore di lavoro è giustificata, ed esonera il medesimo datore dall’obbligazione retributiva, soltanto quando non sia imputabile a fatto dello stesso, non sia prevedibile ed evitabile e non sia riferibile a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale ovvero a contingenti difficoltà di mercato. La legittimità della sospensione va verificata in riferimento all’allegata situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa: solo ricorrendo il duplice profilo dell’impossibilità della prestazione lavorativa svolta dal lavoratore e dell’impossibilità di ogni altra prestazione lavorativa in mansioni equivalenti, è giustificato il rifiuto del datore di lavoro di riceverla. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto legittima la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione disposta da un istituto di riabilitazione nei confronti di una lavoratrice in possesso di un diploma di perfezionamento in psicomotricità conseguito a seguito di un corso annuale, ma sprovvista del titolo di studio previsto dal d.lgs. n. 502 del 1992 applicabile «ratione temporis»). — Cass. Sez. L, sent. 15372 del 9-8-2004
Il datore di lavoro non può unilateralmente sospendere il rapporto di lavoro, salvo che ricorrano, ai sensi degli artt. 1463 e 1464 cod. civ., ipotesi di impossibilità della prestazione lavorativa totale o parziale, la esistenza delle quali ha l’onere di provare, senza che a questo fine possano assumere rilevanza eventi riconducibili alla stessa gestione imprenditoriale, compresa la diminuzione o l’esaurimento dell’attività produttiva. Ne consegue che il dipendente «sospeso» non è tenuto a provare d’aver messo a disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative nel periodo in contestazione, in quanto, per il solo fatto della sospensione unilaterale del rapporto di lavoro, la quale realizza un’ipotesi di mora credendi, il prestatore, a meno che non sopravvengano circostanze incompatibili con la volontà di protrarre il rapporto suddetto, conserva il diritto alla retribuzione. — Cass. Sez. L, sent. 7300 del 16-4-2004
L’annullamento, da parte del giudice amministrativo, dell’atto di nomina del direttore generale di un’Azienda unità sanitaria locale, facendo venire meno la possibilità di esercitare le funzioni e i poteri propri dell’organo, rende totalmente impossibile la prestazione d’opera che costituisce l’obbligazione fondamentale del contraente privato nel relativo contratto di prestazione d’opera intellettuale stipulato tra il soggetto preventivamente nominato direttore generale (con delibera successivamente annullata) e l’ASL. Ne consegue che, per il combinato disposto degli artt. 1256 e 1463 cod. civ., l’obbligazione del soggetto la cui prestazione è divenuta (per causa a lui non imputabile) impossibile, si estingue ed egli non può chiedere la relativa controprestazione. — Cass. Sez. L, sent. 17464 del 18-11-2003
Il datore di lavoro che non ottenga il richiesto intervento della cassa integrazione guadagni è tenuto alla corresponsione delle retribuzioni ai dipendenti, salva la prova (a carico del medesimo) della sussistenza di una situazione d’impossibilità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1256 cod. civ., che può consistere nella non utilizzabilità della prestazione lavorativa per fatti non addebitabili allo stesso datore di lavoro, in quanto non prevedibili né evitabili né riferibili a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale o a calo di commesse o a crisi economiche o congiunturali e strutturali. Resta salvo, comunque, un eventuale accordo aziendale con cui l’imprenditore e le organizzazioni aziendali operanti nell’azienda pattuiscano, ai fini del ricorso alla cassa integrazione guadagni, una sospensione temporanea del rapporto di lavoro, che preveda la mancata prestazione lavorativa per un certo periodo, con inequivoco contestuale esonero del datore di lavoro dall’obbligazione retributiva indipendentemente dall’esito della richiesta di concessione dell’integrazione salariale. — Cass. Sez. L, sent. 12130 del 19-8-2003
Fino all’emanazione del provvedimento di ammissione al trattamento di integrazione salariale, come pure dopo l’emanazione del provvedimento di diniego di tale ammissione, i rapporti fra datore di lavoro e lavoratori sospesi, inerendo a posizioni di diritto soggettivo non incise dalla normativa speciale in materia di cassa integrazione guadagni, sono regolati dal diritto comune, con la conseguenza, in particolare, che la legittimità o meno delle sospensioni dal lavoro unilateralmente disposte dall’imprenditore deve essere valutata alla stregua delle norme in tema di sopravvenuta impossibilità temporanea della prestazione lavorativa. Ne deriva ulteriormente che quando quest’ultima — secondo la valutazione istituzionalmente rimessa al giudice di merito, incensurabile se adeguatamente motivata — sia divenuta inutilizzabile non nell’aspetto economico o per deficienze di programmazione, di previsione o di organizzazione aziendale, bensì per un fatto sopravvenuto non prevedibile, il datore di lavoro non incorre in responsabilità per l’unilaterale sospensione da lui disposta e, in particolare, non è tenuto al pagamento delle retribuzioni per il periodo di sospensione. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., ha rilevato, con motivazione ritenuta esauriente ed immune da vizi logico — giuridici, che la società non aveva adempiuto l’onere di dimostrare che l’inadempimento non era dipeso da sua colpa ma da fatto ad essa non imputabile e che la dedotta mancata approvazione della perizia di variante aveva interessato soltanto alcuni degli alloggi popolari, potendo quindi proseguire l’attività lavorativa per la realizzazione dei restanti alloggi). — Cass. Sez. L, sent. 9635 del 16-6-2003
Le regole dettate dall’art. 2110 cod. civ. per le ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi, prevalgono, in quanto speciali, sia sulla disciplina dei licenziamenti individuali di cui alle leggi n. 604 del 1966, n. 300 del 1970 e n. 108 del 1990 che su quella degli articoli 1256 e 1464 cod. civ., sostanziandosi la specialità e il contenuto derogatorio delle regole anzidette nell’impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto sino al superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (c.d. comporto) predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice, e, al tempo stesso, nel considerare quel superamento unica condizione di legittimità del recesso, nel senso della non necessità della prova del giustificato motivo e della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa. — Cass. Sez. L, sent. 7047 del 8-5-2003
La fattispecie di recesso del datore di lavoro, per l’ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi (cosiddetta eccessiva morbilità), si inquadra nello schema previsto, ed è soggetta alle regole dettate dall’art. 2110 cod. civ., che prevalgono, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, con la conseguenza che, in dipendenza di tale specialità e del contenuto derogatorio delle suddette regole, il datore di lavoro, da un lato, non può unilateralmente recedere o, comunque, far cessare il rapporto di lavoro prima del superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (cosiddetto periodo di comporto), predeterminato per legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi, oppure, in difetto di tali fonti, determinato dal giudice in via equitativa, e, dall’altro, che il superamento di quel limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso, nel senso che non è all’uopo necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo né della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse, senza che ne risultino violati disposizioni o principi costituzionali. Le assenze del lavoratore per malattia non giustificano, tuttavia, il recesso del datore di lavoro ove l’infermità sia comunque imputabile a responsabilità dello stesso datore di lavoro, in dipendenza della nocività delle mansioni o dell’ambiente di lavoro, che egli abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell’obbligo di sicurezza o di specifiche norme, incombendo, peraltro, sul lavoratore l’onere di provare il collegamento causale fra la malattia e il carattere morbigeno delle mansioni espletate. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, in una situazione in cui era incontestato il superamento del periodo di comporto, aveva ritenuto, con motivazione immune da vizi logici, che non risultava provata l’adibizione del lavoratore a lavorazioni morbigene). — Cass. Sez. L, sent. 5413 del 7-4-2003
A seguito dell’estensione al rapporto di lavoro del personale marittimo della disciplina propria del lavoro comune, i casi di impossibilità sopravvenuta della prestazione previsti dal codice della navigazione e dalla contrattazione collettiva come causa di risoluzione del rapporto di lavoro subordinato – tra essi, la revoca e la sospensione di un’autorizzazione amministrativa che rendano impossibile la prestazione lavorativa – assumono rilievo in quanto configurino una giusta causa o un giustificato motivo di risoluzione del rapporto, e quindi il loro verificarsi non produce l’automatica risoluzione del rapporto stesso, ma può giustificare il licenziamento, che occorre sia espressamente intimato dal datore di lavoro — Cass. Sez. L., sent. 15593 del 6-11-2002
In tema di inadempimento delle obbligazioni del contratto, a norma degli artt. 1218 e 1256 cod. civ., la colpa del contraente inadempiente si presume, e, pertanto, al fine di vincere la presunzione di colpa, quest’ultimo deve fornire gli elementi di prova e di giudizio idonei a dimostrare, oltre che il dato obiettivo della sopravvenuta impossibilità della prestazione, l’assenza di colpa, ossia di avere fatto tutto il possibile per adempiere l’obbligazione. — Cass. II, sent. 12477 del 26-8-2002
In materia di responsabilità contrattuale, l’art. 1218 cod. civ. è strutturato in modo da porre a carico del debitore, per il solo fatto dell’inadempimento, una presunzione di colpa superabile mediante la prova dello specifico impedimento che abbia reso impossibile la prestazione o, almeno, la dimostrazione che, qualunque sia stata la causa dell’impossibilità, la medesima non possa essere imputabile al debitore. Peraltro, perché l’impossibilità della prestazione costituisca causa di esonero del debitore da responsabilità, non basta eccepire che la prestazione non possa eseguirsi per fatto del terzo ma occorre dimostrare la propria assenza di colpa con l’uso della diligenza spiegata per rimuovere l’ostacolo frapposto da altri all’esatto adempimento. Ne consegue che, al fine di esonerare da responsabilità il promittente compratore il quale giustifichi il proprio inadempimento dell’obbligo di stipulare il contratto definitivo, con il rifiuto del terzo di sgomberare l’immobile locato, il giudice del merito non può considerare tale rifiuto, di per sé, quale causa esonerativa da responsabilità senza accertare la legittimità dello stesso e senza indagare sull’eventuale attività svolta dal promittente compratore per superarne le ragioni, se legittime e, in caso contrario, per rimuovere in altro modo l’ostacolo frapposto dal terzo. — Cass. III, sent. 11717 del 5-8-2002
Tutte le volte che l’imprenditore è privato della opportunità di utilizzare la prestazione della controparte a seguito della perdita della disponibilità della struttura aziendale, si realizza una situazione che, al pari della cessazione dell’azienda, fa venir meno lo stesso substrato della prestazione lavorativa, per cui il datore è legittimato a recedere dal rapporto, ormai estinto per impossibilità sopravvenuta ai sensi degli artt. 1256 e 1463 cod. civ.. (Affermando tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, pur dando atto dell’avvenuta cessazione dell’attività produttiva, per essere il datore di lavoro stato sollevato, con provvedimento dell’autorità giudiziaria, dalla custodia degli impianti aziendali sottoposti a sequestro giudiziario, aveva tuttavia omesso di valutare se il datore di lavoro potesse ancora utilizzare la prestazione del lavoratore al fine dell’accertamento della impossibilità sopravvenuta). — Cass. Sez. L., sent. 11121 del 26-7-2002
La scadenza del permesso di lavoro o di soggiorno determina l’impossibilità sopravvenuta della prestazione (o una situazione alla stessa assimilabile), in relazione al divieto per il datore di lavoro di occupare alle proprie dipendenze lavoratori extracomunitari sprovvisti di autorizzazione al lavoro (art. 12, comma secondo, legge 30 dicembre 1986 n. 943), oppure privi di permesso di soggiorno, ovvero il cui permesso sia scaduto, revocato o annullato (art. 22, comma decimo, D.Lgs. 25 luglio 1998 n. 286), divieto che non osta alla mera pendenza del rapporto di lavoro, ma ne preclude l’esecuzione. Detta impossibilità, in applicazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza per altri casi di impossibilità della prestazione lavorativa, non determina la risoluzione di diritto del rapporto, ma la sua sospensione ad ogni effetto economico e giuridico, e può costituire giustificato motivo di licenziamento ex art. 3 legge 15 luglio 1966 n. 604 (restando escluso il diritto alla retribuzione durante il periodo di preavviso, nel perdurare della mancata prestazione). — Cass. Sez. L, sent. 9407 del 11-7-2001
Non costituiscono cause giustificative del rifiuto della prestazione lavorativa, ovvero della unilaterale sospensione del rapporto di lavoro — con le relative conseguenze in tema di «mora credendi» del datore di lavoro e dell’obbligo dello stesso di risarcire il danno corrispondente alle retribuzioni dovute nel periodo — le situazioni ostative riguardanti la persona del datore di lavoro o la gestione o l’organizzazione dell’impresa, quando queste non rappresentino per il datore di lavoro un’ipotesi di assoluta impossibilità, a lui non imputabile, di collaborare all’adempimento della prestazione dovuta, alla stregua di un accertamento rientrante tra i compiti istituzionali del giudice di merito. (Nella specie il datore di lavoro aveva proceduto alla sospensione di una parte dei dipendenti in relazione ad una situazione di calo delle commesse e crisi di mercato; il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla S.C., aveva ritenuto che tale situazione non costituisse un’idonea causa di impossibilità delle prestazioni e quindi — in relazione anche al non accoglimento, allo stato, della domanda di ammissione alla cassa integrazione guadagni straordinaria — ha condannato il datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni maturate). — Cass. Sez. L, sent. 831 del 20-1-2001
L’impossibilità sopravvenuta, in quanto causa di estinzione delle obbligazioni avente portata generale, esplica la sua efficacia estintiva anche in relazione alla promessa del fatto del terzo. (Nella specie, una persona fisica si era impegnata a far assumere, con una determinata retribuzione, un lavoratore da una società edile per lo svolgimento dei lavori alla medesima appaltati per la costruzione della centrale nucleare di Montalto di Castro, ma, sopravvenuta l’interruzione dei lavori a seguito del referendum sulle centrali nucleari, detto lavoratore era stato posto in cassa integrazione come le altre maestranze; la S.C. ha confermato sul punto la sentenza impugnata, che aveva escluso l’obbligo di detta persona fisica di corrispondere in proprio la retribuzione prevista). — Cass. 29-5-98, n. 5347
Perché l’impossibilità della prestazione costituisca causa di esonero del debitore da responsabilità, non basta eccepire che la prestazione non possa eseguirsi per fatto del terzo ma occorre dimostrare la propria assenza di colpa con l’uso della diligenza spiegata per rimuovere l’ostacolo frapposto da altri all’esatto adempimento. Ne deriva che al fine di esonerare da responsabilità il promittente compratore il quale giustifichi il proprio inadempimento dell’obbligo di stipulare il contratto definitivo con il rifiuto del notaio di rogare lo strumento pubblico di vendita (adducendosi, nella specie, dal professionista la pendenza di una procedura espropriativa di parte del fondo ed il conseguente rischio di incorrere nel reato di lottizzazione abusiva) il giudice del merito non può considerare tale rifiuto, di per sé, quale causa esonerativa di responsabilità senza accertare la legittimità dello stesso e senza indagare sull’eventuale attività svolta dal promittente compratore per superarne le ragioni, se legittime e, in caso contrario per rimuovere in altro modo l’ostacolo frapposto dal notaio. — Cass. 13-7-96, n. 6354
L’obbligo del locatore di mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto e di eseguire le riparazioni che non sono a carico del conduttore, stabilito dagli artt. 1575 e 1577, 1° co., c.c., trova un limite nella disciplina dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione, che essendo di carattere generale è applicabile anche al rapporto di locazione e comporta che l’impossibilità sopravvenuta e definitiva di utilizzazione della cosa locata secondo l’uso convenuto o conforme alla sua destinazione, se non sia imputabile al debitore, determina l’estinzione dell’obbligazione a carico di costui. — Cass. 10-4-95, n. 4119
L’impossibilità sopravvenuta della prestazione, che derivi da causa non imputabile al debitore ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., opera, paralizzandola, più propriamente in relazione ad una domanda di adempimento, determinando, essa, di diritto, nei contratti con prestazioni corrispettive, se definitiva, con l’estinzione della relativa obbligazione, la risoluzione del contratto, ai sensi degli artt. 1463 e 1256, 1° co., cod. civ., con la conseguente applicazione delle norme generali sulla risoluzione ed in particolare di quella sulla retroattività, senza che si possa parlare di inadempimento colpevole, e, se temporanea, soltanto la sospensione del contratto stesso, naturalmente non oltre i limiti dell’interesse del creditore al conseguimento della prestazione, ai sensi dell’art. 1256, 2° co., cod. civ., senza responsabilità del debitore per il ritardo nell’inadempimento. — Cass. 28-1-95, n. 1037
La sopravvenuta impossibilità che, ai sensi dell’art. 1256 cod. civ., estingue l’obbligazione, è quella che concerne direttamente la prestazione e non quella che pregiudica le possibilità della sua utilizzazione da parte del creditore. (Nella specie, l’acquirente di un forno da installare in un panificio aveva rifiutato di dare esecuzione al contratto sostenendo che, non avendo ottenuto le autorizzazioni necessarie per l’ampliamento dei locali, non aveva la possibilità di utilizzazione del forno). — Cass. 9-11-94, n. 9304
Nell’ipotesi di intervento straordinario della cassa integrazione guadagni ai sensi dell’art. 2, 5° co., lett. c), della l. 12 agosto 1977, n. 675, i rapporti di lavoro dei dipendenti dell’impresa in crisi restano sospesi per tutto il periodo di trattamento della cassa integrazione e possono estinguersi, alla fine di detto periodo ed in caso di cessazione dell’attività produttiva causata dallo stato di crisi; pertanto, la cessazione dell’attività produttiva non integra un’ipotesi d’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al datore di lavoro, ma può dar luogo solo al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con la conseguenza che il lavoratore, scaduto il periodo di godimento delle prestazioni di integrazione salariale, ha il diritto di ottenere dal datore di lavoro la retribuzione, piena e non integrata, fino al momento del licenziamento. — Cass. 16-6-92, n. 7345
In tema di inadempimento delle obbligazioni del contratto, a norma degli artt. 1218 e 1256 cod. civ., la colpa del contraente inadempiente si presume, e, pertanto, al fine di vincere la presunzione di colpa, quest’ultimo deve fornire gli elementi di prova e di giudizio idonei a dimostrare, oltre che il dato obiettivo della sopravvenuta impossibilità della prestazione, l’assenza di colpa, ossia di avere fatto tutto il possibile per adempiere l’obbligazione. Pertanto, ove ricorrano circostanze di segno positivo, idonee ad escludere, anche in relazione al comportamento delle parti nello svolgimento del rapporto, l’elemento soggettivo qualificante la condotta dell’obbligato, l’inadempimento deve essere ritenuto incolpevole. — Cass. 18-11-91, n. 12346
La liberazione del debitore per sopravvenuta impossibilità della sua prestazione in tanto può verificarsi in quanto, secondo le previsioni degli artt. 1218 e 1256 cod. civ., concorrano l’elemento obiettivo dell’impossibilità di eseguire la prestazione, in sé e per sé considerata, e quello (subiettivo) dell’assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione. Pertanto, nel caso in cui il debitore non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, egli non può invocare la impossibilità con riferimento ad un evento verificatosi in un momento successivo. — Cass. 13-8-90, n. 8249
L’imprenditore può essere esonerato da responsabilità contrattuale per forza maggiore con riguardo allo sciopero (di origine economica od anche politica) del personale dipendente ove lo stesso sia astrattamente prevedibile come possibile al momento della stipulazione del contratto, non quando già in atto al momento della stipula si sia protratto nel tempo, perché in questo caso l’imprenditore versa in colpa per aver assunto l’obbligazione senza la consapevolezza, in base alle norme di comune diligenza, di poterla adempiere in tempo utile. — Cass. 29-1-88, n. 836
Perché l’obbligazione del venditore di consegnare al compratore la cosa dedotta in contratto possa estinguersi per la sopravvenuta impossibilità del primo di procurarsi la cosa stessa, in quanto non più prodotta o non più reperibile sul mercato, occorre che l’oggetto della vendita sia di specie determinata o appartenga ad un genere limitato. In quest’ultimo caso, tuttavia, non basta una qualsiasi limitatezza, poiché, fermi restando i caratteri del genere, della specie e del tipo, i requisiti di composizione e di forma della cosa possono anche variare, senza che per ciò solo la cosa stessa passi da una specie, da un tipo o da un genere ad un altro, a meno che i contraenti non abbiano fatto preciso riferimento a determinate caratteristiche e le abbiano ritenute insostituibili, nel qual caso l’indagine va più specificamente portata sulla esistenza di tali particolari qualità, altrimenti indifferenti. — Cass. 4-4-87, n. 3267
L’impossibilità che, ai sensi dell’art. 1256 cod. civ., estingue l’obbligazione è da intendere in senso assoluto ed obiettivo e consiste nella sopravvenienza di una causa, non imputabile al debitore, che impedisce definitivamente l’adempimento; il che — alla stregua del principio secondo cui genus nunquam perit — può evidentemente verificarsi solo quando la prestazione abbia per oggetto la consegna di una cosa determinata o di un genere limitato, e non già quando si tratta di una somma di denaro. — Cass. 16-3-87, n. 2691
Lo sciopero del personale dipendente non costituisce, di per sé e in ogni caso, causa non imputabile dell’inadempimento rispetto alle obbligazioni assunte dall’imprenditore e il relativo accertamento costituisce indagine di fatto demandata al giudice del merito. — Cass. 11-6-86, n. 3858
Nell’ipotesi di impossibilità temporanea di eseguire la prestazione, la norma dell’art. 1256 cod. civ. per giustificare la perpetuatio obligationis dopo la scadenza del termine di adempimento, fa esclusivo riferimento all’interesse del creditore e non anche a quello del debitore il quale, cessata l’impossibilità temporanea della prestazione, deve sempre adempierla indipendentemente da un suo diverso interesse economico che può eventualmente fare valere sotto il profilo dell’eccessiva onerosità sopravvenuta. Pertanto, qualora il creditore assuma di avere ancora interesse all’adempimento dopo la cessazione dell’impossibilità temporanea, spetta al debitore provare che, in relazione alla natura o all’oggetto dell’obbligazione, il tempo trascorso dalla scadenza contrattuale era tale da non potere far ragionevolmente prevedere che il creditore avesse conservato l’interesse all’adempimento stesso. — Cass. 18-2-86, n. 956
La comunicazione e la documentazione della malattia costituiscono un obbligo in senso proprio a carico del lavoratore, a cui corrisponde un diritto del datore di lavoro all’adempimento, atteso interesse di quest’ultimo alla pronta conoscenza della causa di impedimento alla prestazione dovutagli; pertanto, a tale obbligo si applicano i normali principi in materia di adempimento delle obbligazioni, tra i quali quello dell’esonero da responsabilità in caso di impossibilità derivante da causa non imputabile al lavoratore, come è per l’ipotesi di mancanza di capacità di autodeterminarsi conseguente alla malattia. — Cass. 17-11-84, n. 5889
La sopravvenuta impossibilità della prestazione, se non è imputabile al debitore, determina l’estinzione dell’obbligazione, mentre, se è imputabile al debitore, determina la conversione dell’obbligazione di adempimento in quella di risarcimento del danno e, se costituisce l’oggetto di un contratto a prestazioni corrispettive, dà luogo, altresì, all’azione di risoluzione per inadempimento. Pertanto, ove il creditore abbia proposto domande limitate soltanto all’esecuzione specifica della prestazione dedotta in contratto ed al risarcimento dei danni conseguiti al mero ritardo nell’adempimento, l’accertata sopravvenuta impossibilità, totale e definitiva, di esecuzione della prestazione determina l’improponibilità delle domande stesse, entrambe presupponendo necessariamente che la prestazione sia ancora eseguibile, senza che a tal fine sia rilevante l’imputabilità o meno al debitore, della sopravvenuta impossibilità di adempimento, che ha rilievo, invece, esclusivamente, in relazione alla responsabilità per danni da inadempimento definitivo ed alla risoluzione per inadempimento. — Cass. 22-12-83, n. 7580
La requisizione in uso di uno stabilimento industriale da parte dell’autorità amministrativa sospende il rapporto di lavoro per la durata della requisizione stessa, con la conseguenza che non può farsi carico al datore di lavoro di corrispondere ai propri dipendenti la retribuzione, non essendo l’impossibilità della prestazione lavorativa a lui imputabile, ma determinata dal factum principis, e che, permanendo la sospensione della produzione, a tali prestazioni non è tenuto neanche l’organo pubblico che ha effettuato la requisizione. — Cass. 13-5-82, n. 2994
L’occupazione dell’azienda ad opera di una parte delle maestranze con impedimento frapposto da queste alla prosecuzione dell’attività aziendale, quale causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa dei dipendenti non occupanti, non imputabile al datore di lavoro, libera quest’ultimo dell’adempimento della obbligazione retributiva. Né tale difetto di imputabilità può disconoscersi in base alla sola circostanza che l’occupazione costituisce una forma di ritorsione contro un comportamento illegittimo dell’imprenditore, poiché, da un lato, è necessario accertare se la causa prossima abbia o non potuto interrompere il rapporto fra quella remota (condotta dal datore di lavoro) e l’evento, ponendosi eventualmente come esclusiva rispetto a questo; e dall’altro lato la rilevanza della causa prossima (occupazione) non è preclusa dall’esimente dello stato di necessità, poiché l’occupazione non costituisce l’unico mezzo per la tutela di diritti disconosciuti dal datore di lavoro ottenibile in via giurisdizionale. — Cass. 13-5-82, n. 2994
Il factum principis, idoneo ad escludere l’imputabilità dell’inadempimento, può individuarsi in un provvedimento legislativo od amministrativo, dettato da interessi generali, che renda impossibile la prestazione, indipendentemente dal comportamento dell’obbligato, e, pertanto, con riguardo alla promessa di vendere un locale ad uso commerciale, munito di licenza di esercizio, non è ravvisabile nella mancata concessione di tale licenza, derivante dall’inosservanza da parte del richiedente delle prescrizioni all’uopo necessarie. — Cass. 11-1-82, n. 119
Il secondo comma dell’art. 1256 cod. civ, nell’escludere che l’obbligazione si estingua nel caso di impossibilità temporanea della prestazione, fa riferimento al solo interesse del creditore alla prestazione e non pure all’interesse del debitore, il quale deve adempiere l’obbligazione indipendentemente da un suo diverso interesse economico alla prestazione differita. — Cass. 6-2-79, n. 794
L’impossibilità sopravvenuta della prestazione produce la liberazione del debitore solo se consiste in un impedimento oggettivo, assoluto e definitivo, mentre la mera difficoltà dell’adempimento o l’impossibilità temporanea della prestazione producono soltanto la sospensione del contratto. — Cass. 6-2-79, n. 794
L’impossibilità sopravvenuta della prestazione libera il debitore, purché il fatto che la determina abbia diretta e sicura incidenza causale sulla sua esecuzione. Conseguentemente, se per l’adempimento è prefisso un termine, ovvero se esso è dilazionato nel tempo, l’eventuale causa impediente può esimere da responsabilità solo se perdura per tutta la durata del termine entro il quale la prestazione deve essere eseguita. — Cass. 27-2-78, n. 1012
Non costituisce impossibilità sopravvenuta della prestazione, consistente nella costruzione di un fabbricato, la mancata rinnovazione della licenza edilizia, sia perché la scadenza della licenza originaria deve imputarsi all’inattività ultrannale del debitore, sia perché la mancata rinnovazione si riferisce unicamente alla presenza di ragioni ostative alla rinnovazione della licenza così come presentata e non di ogni altra licenza edilizia compatibile con gli impegni assunti. — Cass. 4-7-75, n. 2595
Il factum principis non basta di per sé solo a giustificare l’inadempimento ed a liberare l’obbligato inadempiente da ogni responsabilità; perché tale effetto estintivo e liberatorio si produca è necessario che l’ordine o divieto dell’autorità sia configurabile come un fatto totalmente estraneo alla volontà dell’obbligato e ad ogni suo obbligo di ordinaria diligenza; il che vuol dire che, di fronte all’intervento dell’autorità, l’obbligato non deve stare inerte né porsi in condizione di soggiacervi senza rimedio, ma deve, ne limiti segnati dal criterio dell’ordinaria diligenza, sperimentare ed esaurire tutte le possibilità che gli si offrono per vincere e rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità. — Cass. 25-3-70, n. 818
L’impossibilità che estingue l’obbligazione o che giustifica il ritardo può riguardare sia la prestazione promessa, considerata nella sua oggettivazione, sia i mezzi che attengono alla sua esecuzione, se espressamente contemplati e stabiliti in contratto. — Cass. 16-6-55, n. 1863