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Art. 1463 cc – Risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta – Impossibilità totale

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Codice Civile

Risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta

Art. 1463 codice civile

Impossibilità totale

Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito.


 

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Giurisprudenza:

Lavoro subordinato – Dichiarazione di inidoneità fisica del dipendente – La dichiarazione di inidoneità fisica del dipendente, in esito alle procedure di cui all’art. 5 st.lav., non ha carattere di definitività, potendo il giudice della controversia sull’illegittimità del licenziamento intimato a seguito di detto accertamento, pervenire a conclusioni diverse sulla base della consulenza tecnica d’ufficio disposta nel giudizio di merito; rientra, pertanto, nel “rischio d’impresa” la scelta del datore di lavoro di optare per l’immediato licenziamento del dipendente, invece di agire, secondo le normali regole contrattuali, con la risoluzione giudiziaria del rapporto di lavoro per sopravvenuta impossibilità della prestazione, non potendo ridondare in danno del lavoratore l’errato accertamento da parte dell’organo amministrativo. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 21-3-2022, n. 9158

 

Esonero dall’onere di dimostrare l’effettivo danneggiamento del bene – Sisma del 6 aprile 2009 – Art. 67 quater della l. n. 134 del 2012 – Applicazione della norma in difetto di domanda – Violazione dell’art. 112 c.p.c. – Esclusione – In tema di responsabilità contrattuale, l’art. 67 quater della l. n. 134 del 2012, afferente al sisma del 6 aprile 2009, risponde alla scopo di intervenire e disciplinare i contratti in corso di esecuzione in ragione dei danni diffusi e generalizzati verificatisi, in seguito ad un evento eccezionale ed imprevedibile come il terremoto, in alcune aree preventivamente individuate, esonerando la parte dall’onere di dimostrare l’effettivo danneggiamento del bene, purché la contrattazione fosse antecedente al predetto evento, sicché il giudice che ne dia applicazione anche in caso di sua mancata invocazione da parte dell’attore, che agisca per la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, non incorre nella violazione dell’art. 112 c.p.c., essendovi stata, in definitiva, una previsione “ex lege” della straordinarietà dell’evento. Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 1-12-2021, n. 37778

 

Effetti nei contratti a prestazioni corrispettive – L’impossibilità sopravvenuta della prestazione, che derivi da causa non imputabile al debitore ai sensi dell’art. 1218 c.c., opera, paralizzandola, più propriamente in relazione ad una domanda di adempimento, determinando, essa, di diritto, nei contratti con prestazioni corrispettive, se definitiva, con la estinzione della relativa obbligazione, la risoluzione del contratto, ai sensi degli artt. 1463 e 1256, comma 1, c.c., con la conseguente applicazione delle norme generali sulla risoluzione ed in particolare di quella sulla retroattività, senza che si possa parlare di inadempimento colpevole. Cassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 23-11-2021, n. 36329

 

Lavoro subordinato – Contratto dirigenziale tra l’ASL ed il direttore generale – Il contratto dirigenziale tra l’ASL ed il direttore generale, di durata non inferiore a tre anni e non superiore a cinque, è regolato dal diritto privato e soggiace, in mancanza di specifica disciplina regionale sulle cause di risoluzione del rapporto, alle norme imperative, non derogabili dalla volontà delle parti, contenute nel titolo terzo del libro quinto del c.c.; ne consegue che, in mancanza di giusta causa ex art. 2119 c.c., il rapporto di lavoro non può risolversi anticipatamente rispetto al periodo minimo triennale e che ad esso tuttavia si applichi anche l’art. 1463 c.c., in forza del quale la sopravvenuta impossibilità assoluta della prestazione determina, con il venir meno della causa del contratto, la risoluzione dello stesso. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la riorganizzazione del servizio sanitario regionale, realizzata in attuazione di una legge regionale mediante accorpamento presso un’unica azienda sanitaria delle funzioni già svolte dalle preesistenti strutture, avesse determinato l’impossibilità assoluta di espletamento dell’incarico dirigenziale e giustificasse la conseguente risoluzione del rapporto). Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 7-9-2021, n. 24079

 

Lavoro subordinato – Sopravvenuta e permanente inidoneità totale del lavoratore subordinato alla prestazione lavorativa – La sopravvenuta e permanente inidoneità totale del lavoratore subordinato allo svolgimento dell’attività lavorativa, ex art. 2, comma 12, della l. n. 335 del 1995, configura un caso di impossibilità assoluta della prestazione per il venir meno della causa del contratto, sicché la risoluzione del rapporto è oggettivamente vincolata, perché consegue “al fatto in sé” dell’inidoneità psicofisica all’espletamento del lavoro, senza che occorra alcuna manifestazione di volontà da parte del datore, né il rispetto del termine di preavviso, di modo che non è dovuta la relativa indennità sostitutiva. Pertanto, a detta ipotesi non può essere applicata la disposizione pattizia di cui all’art. 49 del c.c.n.l. Agenzie Fiscali 2002-2005, che si riferisce ad una inidoneità rapportata alle mansioni proprie della qualifica rivestita e cioè alla possibilità del lavoratore di svolgere, presso il datore, un proficuo lavoro, tanto che l’Amministrazione “può” procedere alla risoluzione del rapporto, manifestando la volontà di esercitare il recesso cui è collegato il preavviso. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 12-4-2021, n. 9556

 

Domanda di risoluzione di contratto preliminare e di condanna del promittente venditore alla restituzione del doppio della caparra – Pronuncia di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta di esecuzione, ex art. 1453, comma 2, c.c. – Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato – Esclusione – Non sussiste violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato allorché il giudice, qualificando giuridicamente in modo diverso rispetto alla prospettazione della parte i fatti da questa posti a fondamento della domanda, le attribuisca un bene della vita omogeneo, ma ridimensionato, rispetto a quello richiesto. Ne consegue che, proposta in primo grado una domanda di risoluzione per inadempimento di contratto preliminare, e di conseguente condanna del promittente venditore alla restituzione del doppio della caparra ricevuta, non pronunzia “ultra petita” il giudice il quale ritenga che il contratto si sia risolto non già per inadempimento del convenuto, ma per impossibilità sopravvenuta di esecuzione derivante dalle scelte risolutorie di entrambe le parti (ex art. 1453, comma 2, c.c.) e condanni il promittente venditore alla restituzione della sola caparra (la cui ritenzione è divenuta “sine titulo”) e non del doppio di essa. Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 15-6-2020, n. 11466

 

Lavoro subordinato – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Reintegra nel posto di lavoro – Cessazione dell’attività aziendale – Rilevanza – Conseguenze – In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, nel caso di un sopravvenuto mutamento della situazione organizzativa e patrimoniale dell’azienda, tale da non consentire la prosecuzione dell’attività, il giudice che accerti l’illegittimità del recesso non può disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro ma deve limitarsi ad accogliere la domanda di risarcimento del danno, con riguardo al periodo compreso tra la data del licenziamento e quella della sopravvenuta causa di risoluzione del rapporto, costituendo la sopraggiunta impossibilità totale della prestazione una vera e propria causa impeditiva dell’ordine di reintegrazione e della tutela ripristinatoria apprestata dall’art. 18 della l. n. 300 del 1970, che preclude al lavoratore illegittimamente licenziato la possibilità di ottenere – sia pure per equivalente, con la corresponsione delle retribuzioni – il soddisfacimento del suo diritto alla continuazione del rapporto. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 28-1-2020, n. 1888

 

Locazione – Risoluzione del contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile alle parti – In caso di risoluzione del contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile alle parti (nella specie per lo stato di inagibilità dell’immobile conseguente ad evento sismico), non trova applicazione l’art. 1591 c.c. – non essendo configurabile il godimento, anche di mero fatto, dei beni già locati e la possibilità di una utilizzazione diretta o di un reimpiego da parte del locatore dei beni stessi nel periodo tra la cessazione del contratto e la effettiva riconsegna – ma la disciplina generale dettata dall’art. 1463 c.c. Ne consegue che il locatore è tenuto, per far valere il diritto alla restituzione del bene, a formulare apposita domanda – valendo essa a rendere imputabile al conduttore il ritardo – e, per ottenere il risarcimento del danno per ritardata restituzione, a dare prova di aver subito un effettivo pregiudizio dalla mancata disponibilità dell’immobile, non potendo tale pregiudizio ritenersi sussistente in re ipsa. Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 26-9-2019, n. 23987

 

Regime demaniale delle acque introdotto dalla l. n. 36 del 1994 – Contratti ad effetti obbligatori di deduzione e conduzione di acqua – Risoluzione di diritto – A seguito dell’entrata in vigore della l. n. 36 del 1994 e del regime pubblico e demaniale delle acque superficiali e/o sotterranee che ne è scaturito, implicante l’incommerciabilità delle acque medesime, i contratti ad effetti obbligatori di deduzione e conduzione di acqua sono risolti, ai sensi dell’art. 1463 c.c., per impossibilità sopravvenuta della prestazione. Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 23-9-2019, n. 23564

 

Leasing traslativo – Mancata consegna del bene nota al concedente – Pagamento del prezzo da parte del concedente – Diritto al rimborso da parte dell’utilizzatore del prezzo pagato – Esclusione – In tema di locazione finanziaria, il concedente che paghi al fornitore il prezzo del bene pur essendo a conoscenza del mancato adempimento, da parte di quest’ultimo, dell’obbligo di consegna, non può pretendere dall’utilizzatore il rimborso della somma versata atteso che, costituendo l’inadempimento del fornitore una causa di sopravvenuta impossibilità di adempiere ai sensi dell’art. 1463 c.c., il pagamento effettuato risulta privo di causa e non giustificabile in rapporto all’obbligo di esecuzione del contratto secondo buona fede. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza che aveva ritenuto sussistente il diritto del concedente al recupero del corrispettivo, considerando priva di effetti, in quanto non giustificata da un interesse meritevole di tutela, la clausola del contratto di leasing che poneva comunque a carico dell’utilizzatore il rimborso del prezzo). Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 23-5-2019, n. 13960

 

Efficacia riflessa del giudicato – Il giudicato, oltre ad avere una sua efficacia diretta nei confronti delle parti, loro eredi e aventi causa, è dotato anche di un’efficacia riflessa, nel senso che la sentenza, come affermazione oggettiva di verità, produce conseguenze giuridiche nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo in cui è stata emessa, allorquando questi siano titolari di un diritto dipendente dalla situazione definita in quel processo o comunque di un diritto subordinato a tale situazione, con la conseguenza reciproca che l’efficacia del giudicato non si estende a quanti siano titolari di un diritto autonomo rispetto al rapporto giuridico definito con la prima sentenza. (Nella specie, la S.C., in relazione alla pronunzia di accoglimento della domanda di restituzione del prezzo del biglietto pagato da alcuni spettatori per assistere ad uno spettacolo lirico in teatro all’aperto, interrotto da gravi avverse condizioni atmosferiche, ha confermato l’efficacia riflessa della sentenza, passata in giudicato, con la quale era stata accolta analoga domanda, proposta da altri spettatori e per identici motivi a fronte dell’automatico operare dell’effetto risolutivo ex art. 1463 c.c.). Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 29-3-2019, n. 8766

 

Nozione impossibilità sopravvenuta – In tema di risoluzione del contratto, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione è configurabile qualora siano divenuti impossibili l’adempimento della prestazione da parte del debitore o l’utilizzazione della stessa ad opera della controparte, purché tale impossibilità non sia imputabile al creditore ed il suo interesse a ricevere la prestazione medesima sia venuto meno, dovendosi in tal caso prendere atto che non può più essere conseguita la finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto, con la conseguente estinzione dell’obbligazione. (In applicazione del principio, la S.C. ha rigettato il ricorso proposto avverso sentenza che aveva ritenuto il debitore liberato dalla prestazione divenuta impossibile – nella specie la rappresentazione di un’opera lirica all’aperto che, pur dopo l’esecuzione del solo primo atto, era stata interrotta a causa di gravi avverse condizioni atmosferiche – con esclusione per la parte liberata della possibilità di chiedere la controprestazione ed obbligo di restituzione di quella già ricevuta). Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 29-3-2019, n. 8766

 

Locazione – Distruzione totale o parziale del bene locato – Estinzione dell’obbligazione per impossibilità sopravvenuta della prestazione – Condizioni – La distruzione del bene locato, la quale fa venir meno l’obbligo di manutenzione a carico del locatore rendendo applicabile la disciplina dell’impossibilità sopravvenuta (totale o parziale) della prestazione, ricorre non solo quando il bene locato sia totalmente distrutto, ma anche quando la rovina, pur essendo parziale, riguardi gli elementi principali e strutturali del bene pregiudicandone definitivamente la funzionalità e l’attitudine a prestarsi al godimento previsto dalle parti con il contratto, fermo restando che la distruzione di un singolo elemento essenziale o strutturale non equivale a distruzione parziale dell’immobile locato solo se gli altri elementi, rimasti in efficienza, assicurino la consistenza complessiva dell’immobile e la sua funzionalità. (Nella specie, il giudice di merito, con decisione confermata dalla S.C., aveva affermato che non fosse stato dimostrato il verificarsi di una causa di impossibilità sopravvenuta tenuto conto che la dichiarazione di inagibilità dell’immobile riconducibile ad un evento sismico non poteva ritenersi equivalente alla sua distruzione totale o parziale, avendo inoltre accertato che, a seguito del sisma, il rapporto locatizio era proseguito per un triennio). Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 12-2-2019, n. 3974

 

Lavoro subordinato – Recesso del datore per giustificato motivo oggettivo – Configurabilità – Le regole dettate dall’art. 2110 c.c. per le ipotesi di assenze da malattia del lavoratore prevalgono, in quanto speciali, sulla disciplina dei licenziamenti individuali e si sostanziano nell’impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto sino al superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (cd. comporto) predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice, nonché nel considerare quel superamento unica condizione di legittimità del recesso, nell’ottica di un contemperamento tra gli interessi confliggenti del datore di lavoro (a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi, senza perdere i mezzi di sostentamento); ne deriva che lo scarso rendimento e l’eventuale disservizio aziendale determinato dalle assenze per malattia del lavoratore non possono legittimare, prima del superamento del periodo massimo di comporto, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 7-12-2018, n. 31763

 

Lavoro subordinato – Recesso del datore per giustificato motivo oggettivo – Configurabilità – In caso di sopravvenuta infermità permanente del lavoratore, l’impossibilità della prestazione lavorativa, quale giustificato motivo di recesso del datore di lavoro, viene meno ove il lavoratore medesimo possa essere adibito ad una diversa attività, compatibile con il suo stato di salute, che sia riconducibile – alla stregua di un’interpretazione del contratto secondo buona fede – alle mansioni attualmente assegnate o a quelle equivalenti (art. 2103 c.c.) o, se ciò è impossibile, a mansioni inferiori, purché tale diversa attività sia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore. La verifica dell’esistenza nell’organico aziendale di posizioni adeguate allo stato di salute del dipendente, al fine della corretta applicazione del «repechage», deve essere contestuale all’intimazione del licenziamento, cioè al momento nel quale il datore di lavoro decide di recedere dal rapporto in ragione della rilevata incompatibilità del dipendente con le mansioni di originaria adibizione, poiché nell’ottica del bilanciamento di opposti interessi costituzionalmente protetti (artt. 4, 32,36, 41 Cost.) – quale quello connesso alla conservazione del posto di lavoro e quello connesso alla libertà di iniziativa economica – va escluso, salvo il limite del rispetto della correttezza e buona fede ex art. 1375 c.c., l’obbligo per la parte datoriale di prefigurarsi, in un momento antecedente al suo realizzarsi, la possibile, futura, eventuale situazione di incompatibilità e di modulare le proprie scelte tecnico organizzative in funzione di tale ipotesi. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 3-8-2018, n. 20497

 

Domanda di risoluzione per inadempimento – Declaratoria di risoluzione per impossibilità sopravvenuta in assenza di tempestivo mutamento della domanda – Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato – In caso di domanda di risoluzione per inadempimento, che non sia stata modificata nel rispetto del regime delle preclusioni processuali, il giudice non può pronunciare la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, pena la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 20-3-2018, n. 6866