Roma, Via Valadier 44 (00193)
o6.6878241
avv.fabiocirulli@libero.it

Art. 2113. Rinunzie e transazioni

Richiedi un preventivo

Art. 2113. Rinunzie e transazioni (1) (2)

Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide.

L’impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima.

Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà.

Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410 e 411, 412ter e 412quater (3) del codice di procedura civile.

(1)  Il presente articolo è stato così sostituito dall’art. 6, L. 11.08.1973, n. 533.

(2)  Sulle rinunzie e transazioni di cui al presente articolo, cfr. artt. 68, 76, 82, l. 10-9-2003 (Riforma del mercato del lavoro), nonché art. 52, d.lgs 15.6.2015, n. 81 (Disciplina dei contratti di lavoro)

(3)  Il periodo “412ter e 412quater” è stato aggiunto dall’art. 31, comma 7, l. 4.11.2010, n. 183 (Collegato lavoro)

 

 

Giurisprudenza:

 

Profili generali – L’efficacia novativa della transazione presuppone una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall’accordo transattivo, in virtù della quale le obbligazioni reciprocamente assunte dalle parti devono ritenersi oggettivamente diverse da quelle preesistenti.Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile, Ordinanza 29 luglio 2019, n. 20418

 

Contribuzione relativa all’indennità di prepensionamento spettante ai dipendenti dell’Ente Minerario Siciliano – Esclusioni transazioni ai sensi dell’art. 2113, ultimo comma, c.c. – La contribuzione relativa all’indennità di prepensionamento spettante ai dipendenti dell’Ente Minerario Siciliano per l’anticipata risoluzione del rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 6 della l.r. Sicilia n. 42 del 1975, posta dall’art. 4 della medesima legge a carico della Regione – alla quale è subentrata la società Risanamento e Sviluppo Attività Industriali Siciliane (R.E.S.A.I.S.) p.a. – costituendo contribuzione obbligatoria di fonte legale, con finalità assistenziale, è soggetta all’applicazione dell’art. 2115, comma 3, c.c., per cui va escluso che … continua a leggereCorte di Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza 4 febbraio 2019, n. 3184

 

Reciprocità delle concessioni – Alla dichiarazione con la quale il lavoratore rinuncia a qualsiasi ulteriore pretesa derivante dal pregresso rapporto di lavoro può essere riconosciuto valore di transazione solo ove l’accordo tra lavoratore e datore contenga lo scambio di reciproche concessioni, essenziale ad integrare il relativo schema negoziale. (Nella specie, la S.C. ha escluso la … continua a leggere Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza 7 novembre 2018, n. 28448

 

Azione giudiziaria del lavoratore promossa anteriormente – L’art. 2113 c.c. è applicabile anche nell’ipotesi in cui il lavoratore abbia già intrapreso un’azione giudiziaria, in quanto la sua posizione di soggezione nei confronti del datore di lavoro non viene meno per il fatto che egli abbia azionato un diritto o sia assistito da un legale; ne consegue che, ai sensi del citato articolo, restano impugnabili nel termine di sei mesi tutte le rinunce e transazioni che non siano intervenute nella forma della conciliazione giudiziale o … continua a leggere Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 4 settembre 2018, n. 21617

 

Diritti accertati giudizialmente – La disciplina dettata dall’art. 2113 c.c. si applica alle rinunce e transazioni aventi ad oggetto qualsiasi diritto di natura retributiva o risarcitoria del lavoratore, anche se riconosciuto giudizialmente, atteso che un tale diritto non diviene diverso solo perché accertato dal giudice, laddove l’unica differenza è nel regime di prescrizione, che per l’”actio iudicati” è sempre decennale, anche a … continua a leggereCorte di Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza 23 novembre 2017, n. 27940

 

Conciliazione giudiziale e transazione – La conciliazione giudiziale prevista dagli artt. 185 e 420 c.p.c. è una convenzione non assimilabile ad un negozio di diritto privato puro e semplice, caratterizzandosi, strutturalmente, per il necessario intervento del giudice e per le formalità previste dall’art.88 disp. att. c.p.c. e, funzionalmente, da un lato per l’effetto processuale di chiusura del giudizio nel quale interviene, dall’altro per gli effetti sostanziali derivanti dal negozio giuridico contestualmente stipulato dalle parti, che può avere anche ad oggetto diritti indisponibili del lavoratore; la transazione, invece, negozio anch’esso idoneo alla risoluzione delle controversie di lavoro qualora abbiano ad oggetto diritti disponibili, non richiede formalità “ad substantiam”, essendo la forma scritta prevista dall’art. 1967 c.c. ai soli fini … continua a leggereCorte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 26 ottobre 2017, n. 25472

 

Impiego pubblico – Assunzione di obbligazioni in sede conciliativa contrarie a legge e contrattazione collettiva – Nel pubblico impiego contrattualizzato il datore di lavoro, pur non potendo esercitare poteri autoritativi, è tenuto ad assicurare il rispetto della legge e, conseguentemente, non può dare esecuzione ad atti nulli, né assumere in via conciliativa obbligazioni che contrastino con la disciplina del rapporto prevista dalla legge o dalla contrattazione collettiva. (Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia della corte d’appello che aveva ritenuto illegittimo l’annullamento in via di … continua a leggereCorte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 23 ottobre 2017, n. 25018

 

Elementi identificativi – La natura transattiva di un accordo stipulato tra datore di lavoro e lavoratore può essere esclusa quando, oltre al dato formale della mancata esplicitazione dei presupposti del negozio transattivo, sia riscontrabile, sulla base di una complessiva valutazione del medesimo, nonché della condotta tenuta dalle parti, una carenza assoluta degli elementi tipici del negozio stesso, quali la “res litigiosa”, le reciproche concessioni, la volontà di porre fine a una lite. (Nella specie, la S.C., dando applicazione al principio, ha confermato la pronuncia di merito che aveva escluso la natura transattiva di un negozio in cui non erano enunciate le diverse posizioni contrapposte, né la specifica pretesa economica del lavoratore, risultando solo una sua generica dichiarazione di non avere nulla a … continua a leggere Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza 30 agosto 2017, n. 20590

 

Profili generali – L’efficacia novativa della transazione presuppone una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall’accordo transattivo, in virtù della quale le obbligazioni reciprocamente assunte dalle parti devono ritenersi oggettivamente diverse da quelle preesistenti, con la conseguenza che, al di fuori dell’ipotesi in cui sussista un’espressa manifestazione di volontà delle parti in tal senso, il giudice di merito deve accertare se le parti, nel comporre l’originario rapporto litigioso, abbiano inteso o meno addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto, costitutivo di autonome obbligazioni. (In applicazione di tale principio, la S.C., ha confermato la sentenza di merito, evidenziando, tra l’altro, che la circostanza che la transazione fosse avvenuta con atto pubblico era irrilevante, ai fini della sua qualificazione come novativa). – Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Sentenza 11 novembre 2016, n. 23064

 

L’accordo tra il lavoratore ed il datore di lavoro, nel quale sia identificata la lite da definire ovvero quella da prevenire (unitamente, in tal caso, all’individuazione dell’interesse del lavoratore) e che contenga lo scambio tra le parti di reciproche concessioni, è qualificabile come atto di transazione ed assume rilievo, quale conciliazione in sede sindacale ai sensi dell’art. 411, terzo comma, cod. proc. civ., ove sia stato raggiunto con un’effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti dell’organizzazione sindacale indicati dal medesimo, dovendosi valutare, a tal fine, se, in relazione alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa (nella specie, la S.C. ha rilevato che correttamente il giudice di merito aveva escluso che si fosse in presenza di una transazione redatta ai sensi degli articoli 410 e 411 cod. proc. civ. in quanto non sussisteva alcuna controversia tra le parti, la sola società datrice di lavoro aveva interesse a regolare i rapporti con i propri dipendenti nella prospettiva di trasformarsi in s.r.l., e il sindacalista, chiamato dalla società e non dal lavoratore, si era limitato ad elaborare i conteggi, restando estraneo alla vicenda e svolgendo un ruolo di testimone di operazioni -elaborazioni di conteggi- e di fatti -ricostruzione della storia lavorativa del lavoratore- che, lungi dal fornire una consapevole assistenza, era stato successivamente stigmatizzato dallo stesso sindacato di appartenenza). — Sez. L, sent. 13217 del 22-5-2008

 

La mera accettazione del trattamento di fine rapporto non integra un comportamento tacito e idoneo a configurare acquiescenza alla cessazione del rapporto, valendo, per contro, l’impugnativa del licenziamento illegittimo a configurare «ex se» la volontà di prosecuzione e ad escludere una risoluzione tacita. — Cass. Sez. L, sent. 3865 del 15-2-2008

 

La quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore può assumere valore di rinuncia o di transazione, con riferimento alla prestazione di lavoro subordinato ed alla conclusione del relativo rapporto, sempre che risulti accertato, sulla base dell’interpretazione del documento, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi. Il relativo accertamento costituisce giudizio di merito, censurabile, in sede di legittimità, soltanto in caso di violazione dei criteri dell’ermeneutica contrattuale o in presenza di vizi della motivazione. (Nel caso specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha confermato la sentenza impugnata, che aveva correttamente accertato che l’atto di quietanza conteneva un generico riferimento a «quant’altro», aggiunto accanto ai richiami alla tredicesima ed alla quattordicesima mensilità nonché al trattamento di fine rapporto, ritenendo che la volontà abdicativa potesse considerarsi insufficiente). — Cass. Sez. L, sent. 1657 del 25-1-2008

 

In tema di transazione stipulata dal datore di lavoro e dal lavoratore finalizzata all’esodo incentivato di quest’ultimo, l’interpretazione delle relative disposizioni contrattuali è riservata al giudice di merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione coerente e logica, gravando sul ricorrente l’onere di indicare i canoni di ermeneutica violati e le ragioni dell’asserita incongruità e incompletezza della motivazione. (Nella specie — relativa a transazione tra dipendente Alitalia ed azienda nell’ambito dell’esodo incentivato — la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale aveva ritenuto legittima la pattuizione della corresponsione in favore del lavoratore di una somma a titolo di incentivo all’esodo ed altresì di conguaglio di differenze eventualmente ancora dovute al lavoratore). — Cass. Sez. L, sent. 22068 del 22-10-2007

 

Perché l’accordo tra il lavoratore ed il datore di lavoro possa qualificarsi atto di transazione è necessario che contenga lo scambio di reciproche concessioni, sicché, ove manchi l’elemento dell’«aliquid datum, aliquid retentum», essenziale ad integrare lo schema della transazione, questa non è configurabile. (Nella specie, la S.C. ha cassato per vizio di motivazione la sentenza di merito che aveva ritenuto la natura transattiva dell’atto recante dichiarazione di voler transigere ogni diritto derivante dall’intercorso rapporto di lavoro senza considerare nella motivazione che la somma corrisposta al lavoratore nel preteso atto di transazione corrispondeva esattamente a quanto a lui spettante per trattamento di fine rapporto). — Cass. Sez. L, sent. 20780 del 4-10-2007

 

Ove il contratto collettivo preveda, per l’ipotesi di cessazione dell’appalto cui sono adibiti i dipendenti, un sistema di procedure idonee a consentire l’assunzione degli stessi, con passaggio diretto e immediato, alle dipendenze dell’impresa subentrante, a seguito della cessazione del rapporto instaurato con l’originario datore di lavoro e mediante la costituzione «ex novo» di un rapporto di lavoro con un diverso soggetto, detta tutela non esclude, ma si aggiunge, a quella apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che ha intimato il licenziamento, con i limiti posti dalla legge all’esercizio del suo potere di recesso, non incidendo sul diritto del lavoratore di impugnare il licenziamento intimatogli per ottenere il riconoscimento della continuità giuridica del rapporto originario. Né la scelta effettuata per la costituzione di un nuovo rapporto implica, di per sé, rinuncia all’impugnazione dell’atto di recesso, dovendosi escludere che si possa desumere la rinuncia del lavoratore ad impugnare il licenziamento o l’acquiscenza al medesimo dal reperimento di una nuova occupazione, temporanea o definitiva, non rivelandosi, in tale scelta, in maniera univoca, ancorché implicita, la sicura intenzione del lavoratore di accettare l’atto risolutivo. — Cass. Sez. L, sent. 12613 del 29-5-2007

 

Il lavoratore che abbia rinunziato alla qualifica dirigenziale già acquisita ed abbia smesso di svolgerne le relative mansioni, pur conservando il precedente trattamento retributivo dopo il passaggio alle mansioni inferiori, può essere licenziato (ove non sia intervenuta la caducazione di tale rinuncia, che non è nulla ma annullabile, ai sensi dell’art. 2113 cod. civ., su impugnazione del solo lavoratore) soltanto per giusta causa o giustificato motivo, ancorché per fatti riferibili ad epoca in cui il lavoratore medesimo era dirigente, dovendo la tutela applicabile essere individuata con riguardo al posto ricoperto dal lavoratore all’epoca del licenziamento, dato che in tale posto — e non in quello (dirigenziale) precedentemente occupato — egli sarebbe reimmesso in caso di accoglimento dell’impugnazione del recesso. (Nella specie, alla stregua del principio enunciato, la S.C. ha rigettato il ricorso proposto e confermato la sentenza impugnata, con la quale, sul presupposto dell’applicabilità della tutela prevista dalla legge n. 300 del 1970, era stata accolta l’impugnativa di licenziamento, siccome privo di giustificato motivo o giusta causa, intimato nei confronti di primario di reparto ospedaliero che aveva svolto le mansioni di dirigente apicale, quale direttore sanitario, dal cui incarico era stato dismesso senza che lo stesso avesse impugnato il relativo provvedimento datoriale, così rinunciando alla qualifica dirigenziale ricoperta, con la conseguente impossibilità, da parte del datore di lavoro, di far valere, in suo favore, l’invalidità del proprio atto negoziale di revoca dell’incarico di dirigente al dipendente). — Cass. Sez. L, sent. 3920 del 20-2-2007

 

Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia. (Nella specie, la S.C. — con riferimento ad una domanda di accertamento della sussistenza di un’ipotesi di frode alla legge con riguardo al divieto di interposizione di prestazioni di lavoro di cui all’art. 1 della legge n. 1369 del 1960, finalizzato all’accesso ai benefici ex art. 8 della legge n. 223 del 1991, con conseguente declaratoria di nullità dei relativi provvedimenti di messa in mobilità e dei successivi verbali di conciliazione individuali intervenuti — ha ritenuto che non fosse configurabile la violazione di cui all’art. 112 cod. proc. civ., ravvisandosi nella sentenza impugnata una statuizione implicita sui capi di domanda di cui si era denunciato l’omesso esame, con l’affermazione dell’idoneità della transazione a precludere l’accertamento in ordine alla fondatezza delle pretese azionate dai lavoratori, pur pervenendo, tuttavia, alla cassazione con rinvio della stessa sotto altro profilo). — Cass. Sez. L, sent. 16788 del 21-7-2006

 

Riguardo a diritti già maturati, il negozio dispositivo integra una mera rinuncia o transazione, rispetto alla quale la dipendenza del diritto da norme inderogabili comporta, in forza dell’art. 2113 cod. civ., l’annullabilità dell’atto di disposizione, ma non la sua nullità. Nei confronti di diritti ancora non sorti o maturati la preventiva disposizione può comportare, invece, la nullità dell’atto, poiché esso è diretto a regolamentare gli effetti del rapporto di lavoro in maniera diversa da quella fissata dalle norme di legge o di contratto collettivo (principio applicato dalla S.C. in controversia in cui la decisione di merito, concernente conciliazione giudiziale con rinuncia dei lavoratori ai diritti e all’azione inerenti a presunta intermediazione di manodopera, non era stata adeguatamente censurata non essendo stato dedotto, neanche in sede di legittimità, che l’azione dei lavoratori fosse diretta a far valere la nullità di un atto di disposizione di diritti non ancora maturati e comunque non essendo stato fatto valere lo specifico principio di diritto in base a cui può dedursi in determinate situazioni la nullità e non la semplice annullabilità). — Cass. Sez. L, sent. 12561 del 26-5-2006

 

La quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore, che contenga una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme riferita, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, può assumere il valore di rinuncia o di transazione, che il lavoratore ha l’onere di impugnare nel termine di cui all’art. 2113 cod. civ., alla condizione che risulti accertato, sulla base dell’interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili «aliunde», che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi; infatti, enunciazioni di tal genere sono assimilabili alle clausole di stile e non sono sufficienti di per sé a comprovare l’effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell’interessato. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha confermato la sentenza impugnata, dalla cui motivazione era risultato che il giudice di merito aveva correttamente accertato che l’atto di quietanza non conteneva alcun riferimento al compenso per lavoro straordinario computabile ai fini dell’indennità di anzianità dovuta al lavoratore, ma recava solo un generico riferimento all’indennità di anzianità maturata ad una certa data, del tutto inidoneo a radicare la consapevolezza di dismettere la pretesa — poi azionata — al computo suddetto). — Cass. Sez. L, sent. 11536 del 17-5-2006

 

Ove il contratto collettivo applicabile preveda, per l’ipotesi di licenziamento dei dipendenti di un’impresa di pulizie in seguito alla cessazione di un appalto, una procedura per il passaggio diretto dei lavoratori licenziati alle dipendenze dell’impresa subentrante nell’appalto, la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro degli stessi soggetti con tale impresa non implica di per sé rinuncia al diritto di impugnare il licenziamento intimato dall’originario datore di lavoro. — Cass. Sez. L, sent. 4166 del 24-2-2006

 

Atteso che la cessazione del rapporto di lavoro è solo condizione di esigibilità del diritto alla liquidazione del trattamento di fine rapporto (salvo l’ipotesi regolata dall’art. 2120 cod. civ.), qualora il socio lavoratore di una società cooperativa — mediante partecipazione alla deliberazione dell’assemblea e adesione alla stessa — compia un atto di disposizione del diritto già maturato rispetto agli anni di servizio prestati, tale atto è legittimo trattandosi di cessione di un credito futuro con effetti obbligatori e non venendo in questione la disciplina relativa alla nullità «ex» art. 2113 cod. civ. che concerne la rinuncia (nella specie esclusa dall’interpretazione del giudice di merito non efficacemente censurata in sede di legittimità). — Cass. Sez. L, sent. 16826 del 10-8-2005

 

In tema di rinuncia ad impugnare il licenziamento, ovvero a rivendicare comunque la persistenza di un rapporto di lavoro e dei relativi diritti ed obblighi, perché sia configurabile acquiescenza, è necessario: a) la disponibilità del diritto, non potendo rinunciarsi a diritti dei quali non si può disporre; b) la piena conoscenza dell’atto o degli atti lesivi della situazione giuridica soggettiva; c) un comportamento di adesione alle altrui determinazioni e proposte che non sia equivoco; d) la spontaneità, che deve escludersi in presenza non soltanto di un atto esecutorio, ma anche della necessità di soddisfare bisogni insopprimibili ed indifferibili, ovvero di evitare pregiudizi. — Cass. Sez. L, sent. 1123 del 20-1-2005

 

Alle rinunce e transazioni che hanno per oggetto i diritti dell’affittuario di fondo rustico sono applicabili i primi due commi dell’art. 23 della legge 11 febbraio 1971 n. 11 anche dopo l’entrata in vigore della legge 3 maggio 1982 n. 203 che, non essendo incompatibile con le predette disposizioni, ha solo sostituito, con il primo comma dell’art. 45, il terzo comma del citato art. 23 della legge n. 11 del 1971, senza influire sui precedenti commi. Ne deriva che, non risultando applicabile neppure l’art. 58, che commina la sanzione della nullità per violazioni delle norme inderogabili della stessa legge, ma fa salvo espressamente l’art. 45 relativo all’intervento delle associazioni di categoria, la pattuizione di rinunzie e transazioni senza la predetta assistenza ne determina l’annullabilità e non la nullità. — Cass. III, sent. 370 del 11-1-2005

 

In forza dell’ultimo comma dell’art. 2113 cod. civ., che richiama gli artt. 410 e 411 cod. proc. civ., il negozio transattivo stipulato in sede conciliativa, giudiziale o stragiudiziale, è assoggettato ad un regime giuridico derogatorio della regola generale — stabilita dai commi secondo e terzo della predetta disposizione — dell’impugnabilità nel termine decadenziale di sei mesi, in quanto l’intervento del terzo investito di una funzione pubblica (giudice, autorità amministrativa, associazione di categoria) è ritenuto idoneo a superare la presunzione di non libertà del consenso del lavoratore. Ne consegue che non è impugnabile l’accordo con cui il datore di lavoro in sede sindacale pattuisca l’erogazione di somme notevolmente maggiori rispetto a quelle che si potevano erogare , ottenendo in cambio la rinuncia sia all’impugnativa del licenziamento che ad ogni altro diritto riconducibile al precorso rapporto di lavoro. — Cass. Sez. L, sent. 16283 del 19-8-2004

 

La disposizione dell’art. 2113, primo comma, cod. civ., che stabilisce l’invalidità delle rinunzie e transazioni aventi per oggetto diritto, del prestatore di lavoro derivante da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi concernenti i rapporti di cui all’art. 409 cod. proc. civ., trova il suo limite d’applicazione nella previsione di cui all’ultimo comma del citato art. 2113 cod. civ., che fa salve le conciliazioni intervenute ai sensi degli artt. 185, 410 e 411 cod. proc. civ., ossia quelle conciliazioni nelle quali la posizione del lavoratore viene ad essere adeguatamente protetta nei confronti del datore di lavoro per effetto dell’intervento in funzione garantista del terzo (autorità giudiziaria, amministrativa o sindacale) diretto al superamento della presunzione di condizionamento della libertà d’espressione del consenso da parte del lavoratore. In tali ipotesi, peraltro, mentre la rinunzia, in quanto negozio unilaterale non recettizio, sortisce l’effetto dell’estinzione dei diritti patrimoniali connessi al rapporto di lavoro e già acquisiti al patrimonio del lavoratore, anche in assenza del beneficiario, la transazione, in quanto contratto, richiede l’incontro delle volontà di tutte le parti interessate e la contestuale sottoscrizione del verbale di conciliazione. — Cass. Sez. L, sent. 16168 del 18-8-2004

 

L’impugnazione di una rinuncia o transazione ex art. 2113 cod. civ. da parte del lavoratore ne determina l’automatica caducazione anche se proposta oltre il termine di sei mesi prescritto dalla citata disposizione, essendo onere del datore di lavoro che intenda far valere la rinuncia o la transazione eccepire la decadenza del lavoratore dalla impugnazione nel termine di cui all’art. 416 cod. proc. civ. — Cass. Sez. L, sent. 13466 del 20-7-2004

 

La valutazione, a norma dell’art. 2965 cod. civ., circa la congruità del termine di decadenza previsto contrattualmente, di competenza del giudice di merito, deve avere riguardo alla brevità dello specifico termine e alla particolare situazione del soggetto obbligato a svolgere l’attività prevista per evitare la decadenza; nel rapporto di lavoro, e con riferimento ai termini di decadenza previsti dai contratti collettivi per l’esercizio dei diritti dei lavoratori, assume particolare rilievo, ai fini di tale valutazione di congruità, il raffronto con la disciplina dell’art. 2113 cod. civ. sulle rinunce e le transazioni — che possono essere impugnate entro sei mesi dalla loro data e comunque entro sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, — potendosi assimilare l’inerzia del lavoratore ad una implicita rinuncia. (Nella specie la S.C. ha ritenuto esente da vizi di motivazione la sentenza di merito che, in relazione all’art. 105 del CCNL dei dipendenti delle compagnie di assicurazione, aveva reputato, facendo corretto uso del criterio di interpretazione letterale del contratto, che il detto articolo contenesse un termine di decadenza convenzionale, fissato in sei mesi a decorrere dalla data in cui doveva essere effettuato il pagamento, per reclamare i compensi da lavoro straordinario non erogati). — Cass. Sez. L, sent. 9647 del 20-5-2004

 

Le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto la cessazione del rapporto di lavoro, anche se convenute in conciliazione raggiunta in sede sindacale, non rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 2113 cod. civ., e pertanto rimangono irrilevanti, attesa la non impugnabilità della risoluzione consensuale del rapporto ex art. 2113 cod. civ., gli eventuali vizi formali del procedimento di formazione della conciliazione sindacale. — Cass. Sez. L, sent. 5940 del 24-3-2004

 

Il principio secondo cui il termine al rapporto di lavoro può essere apposto all’atto della stipula del contratto e non anche successivamente e nel corso dello svolgimento del rapporto, non opera nei confronti dei dirigenti, non potendosi configurare un interesse del datore di lavoro ad eludere limiti alla facoltà di recedere dal contratto, atteso che, nei confronti dei dirigenti, non sono applicabili né le disposizioni della legge n. 604 del 1966, né quelle della legge n. 300 del 1970 poste a tutela della stabilità del posto di lavoro. — Cass. Sez. L, sent. 5374 del 16-3-2004

 

Con riferimento alla disciplina dettata in tema di rinunce e transazioni, di cui all’art. 2113 cod. civ.,(disponente l’invalidità di tali atti quando hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti ed accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’art. 409 cod. proc. civ.), diritti indisponibili da parte del lavoratore non devono ritenersi soltanto quelli di natura retributiva o risarcitoria correlati alla lesione di diritti fondamentali della persona, atteso che la ratio dell’art. 2113 cod.civ. consiste nella tutela del lavoratore, quale parte più debole del rapporto di lavoro, la cui posizione in via ordinaria viene disciplinata attraverso norme inderogabili, salvo che vi sia espressa previsione contraria. Ne consegue che è annullabile la transazione riguardante diritti di natura retributiva come il compenso per il plus orario e relativi accessori. — Cass. Sez. L, sent. 2734 del 12-2-2004

 

In materia di contratti agrari, non costituisce circostanza atta ad integrare quel grave inadempimento richiesto ai fini della risoluzione contrattuale il fatto che l’affittuario abbia impugnato il patto di risoluzione concluso con il proprietario , in quanto l’art. 23 comma secondo, della legge n. 11 del 1971 e l’art. 2113 cod.civ. prevedono espressamente il diritto dell’affittuario di impugnare le rinunce e transazioni che hanno per oggetto diritti derivanti dalle norme sui contratti agrari, nonostante l’affidamento dei concedenti sulla serietà degli impegni assunti dall’affittuario con l’accordo di risoluzione. — Cass. III, sent. 1572 del 28-1-2004

 

Ai fini dell’interpretazione della comune volontà delle parti che abbiano sottoscritto un accordo conciliativo contenente la regolamentazione transattiva delle modalità di risoluzione consensuale di un rapporto lavorativo, non è consentito attribuire a tale volontà un significato ed una portata inconciliabili con i principi inderogabili dettati dalla normativa vigente al momento dell’accordo.(Nella specie, relativa a conciliazione giudiziale intercorsa fra un istituto bancario ed un suo dipendente con la quale, fra l’altro, quest’ultimo aveva rinunciato a percepire gli arretrati del trattamento pensionistico integrativo erogato dal fondo di previdenza interno, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva respinto la domanda del dipendente intesa ad ottenere, in virtù di tale accordo, le successive prestazioni pensionistiche anticipate del predetto fondo, la cui corresponsione contrastava con la normativa sulla sospensione dei regimi complementari relativi a trattamenti pensionistici anticipati). — Cass. Sez. L, sent. 17476 del 18-11-2003

 

La quietanza liberatoria rilasciata dal lavoratore al proprio datore di lavoro — inserita nel caso di specie all’interno di un verbale di conciliazione — non può integrare una rinuncia a tutti gli eventuali diritti connessi al rapporto, e alle azioni esercitabili in dipendenza di essi, in difetto dell’indefettibile presupposto che il lavoratore abbia avuto l’esatta rappresentazione dei diritti che intendeva dismettere in favore del proprio datore di lavoro, ma può avere solo il valore di dichiarazione di scienza, ovvero di mera manifestazione del convincimento soggettivo del lavoratore stesso di essere stato soddisfatto in tutti i suoi diritti, e come tale, è del tutto inidonea a precludere l’azione giudiziaria volta a far valere diritti che non risultino soddisfatti effettivamente. — Cass. Sez. L, sent. 15371 del 14-10-2003

 

La conciliazione in sede sindacale prevista dall’art. 411 terzo comma cod. proc. civ., presuppone che l’accordo sia raggiunto con un’effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti della propria organizzazione sindacale cioè di quella alla quale egli ha ritenuto di affidarsi. Peraltro, la determinazione delle modalità di composizione dell’organo conciliativo previsto dall’art. 411, terzo comma, cod. proc. civ. deve intendersi devoluta alla contrattazione collettiva, non potendo trovare applicazione la disciplina prevista dal’art. 410 cod. proc. civ. per le conciliazioni espletate dinanzi alle commissioni provinciali costituite presso l’Ufficio provinciale del lavoro. Pertanto, solo nel caso in cui la disciplina collettiva abbia previsto come indispensabile l’appartenenza del rappresentante sindacale non solo alla organizzazione cui aderisce il lavoratore, ma anche l’inserimento del primo nella organizzazione locale dello stesso sindacato, è annullabile l’accordo raggiunto con l’assistenza di un sindacalista appartenente ad una diversa organizzazione locale. — Cass. Sez. L, sent. 12858 del 3-9-2003

 

Nell’ipotesi in cui la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, o le dimissioni, (riferibili ad un diritto disponibile del lavoratore e quindi sottratte alla disciplina dell’art. 2113 cod. civ.) siano poste in essere nell’ambito di un contesto negoziale complesso, il cui contenuto investa anche altri diritti del prestatore derivanti da disposizioni inderogabili di legge o dall’autonomia collettiva, il precetto posto dall’art. 2113 cit. trova applicazione in relazione all’intero contenuto dell’atto (che è quindi soggetto a impugnazione), sempre che la clausola relativa alle dimissioni non sia autonoma ma strettamente interdipendente con le altre e che i diritti inderogabili transatti siano noti e specificati, non potendosi desumere da una formula generica contenuta in una clausola di stile. — Cass. Sez. L, sent. 12301 del 21-8-2003

 

In tema di interpretazione della volontà delle parti (con riferimento, nella specie, ad una transazione avente ad oggetto, oltre agli emolumenti a titolo di trattamento di fine rapporto e di incentivo all’esodo, anche le modalità di pagamento degli stessi e il relativo termine), quando il giudice del merito abbia individuato l’ambito dell’accordo sulla base delle pretese dedotte in giudizio ed abbia ricostruito la comune intenzione delle parti in base al testo sottoscritto, desumibile peraltro anche dal comportamento successivo delle medesime (nella specie dichiarazione liberatoria sottoscritta dal lavoratore all’atto della riscossione), l’interpretazione non è sindacabile in sede di legittimità, restando irrilevante l’oggetto della transazione purché le rinunce fatte dal lavoratore non rientrino nella disciplina dell’art. 2113 cod. civ., ma in quella dell’art. 1965 cod. civ.. — Cass. Sez. L, sent. 12147 del 19-8-2003

 

La valutazione, a norma dell’art. 2965 cod. civ., circa la congruità del termine di decadenza previsto contrattualmente, di competenza del giudice di merito, deve avere riguardo alla brevità dello specifico termine e alla particolare situazione del soggetto obbligato a svolgere l’attività prevista per evitare la decadenza; nel rapporto di lavoro, e con riferimento ai termini di decadenza previsti dai contratti collettivi per l’esercizio dei diritti dei lavoratori, assume particolare rilievo, ai fini di tale valutazione di congruità, il raffronto con la disciplina dell’art. 2113 cod. civ. sulle rinunce e le transazioni — che possono essere impugnate entro sei mesi dalla loro data e comunque entro sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro —, potendosi assimilare l’inerzia del lavoratore ad una implicita rinuncia. (Nella specie, relativa alla richiesta di una differenza sull’indennità di galleria, la S.C. ha ritenuto non censurabile la sentenza impugnata che aveva ritenuto valido il termine di decadenza previsto dall’art. 36 del C.c.n.l. degli edili, in quanto non inferiore a quello previsto dall’art 2113 cod. civ.). — Cass. Sez. L, sent. 11875 del 6-8-2003

 

Qualora nel corso del giudizio di impugnazione di un licenziamento il datore di lavoro ed il lavoratore transigano la lite, l’interpretazione della transazione, al fine di accertare se le parti abbiano inteso costituire un nuovo rapporto di lavoro ovvero ripristinare quello preesistente, sia pure soltanto per alcuni effetti, è riservata alla valutazione del giudice del merito, che, nel caso in cui le espressioni adoperate dalle parti diano luogo a dubbi in ordine alla identificazione della comune intenzione delle medesime, per stabilirne l’esatto contenuto, correttamente fa ricorso al canone ermeneutico dell’art. 1362, secondo comma, cod. civ., attribuendo rilevanza al comportamento delle parti successivo alla stipulazione del contratto, onde accertare se le stesse abbiano inteso stabilire la prosecuzione del rapporto, con conseguente obbligo del datore di lavoro, analogamente a quanto previsto nel caso di licenziamento dichiarato illegittimo ai sensi dell’art. 18, legge n. 300 del 1970, di pagare i contributi previdenziali per il periodo compreso tra la data del licenziamento e quella della transazione (Nella specie, con la transazione il datore di lavoro si era obbligato a «revocare» il licenziamento ed a corrispondere sette mensilità a titolo di risarcimento dei danni subiti dal lavoratore, che aveva rinunciato a qualsiasi ulteriore pretesa retributiva; la S.C. ha ritenuto incensurabile la sentenza di merito, che aveva reputato il termine ‘revocà equivoco e tale da non consentire di escludere la volontà delle parti di estendere l’effetto ripristinatorio del rapporto ai profili non retributivi, valorizzando quindi la successiva condotta del datore di lavoro per accertare la volontà delle parti di prevedere la continuità del rapporto di lavoro). — Cass. Sez. L, sent. 11670 del 29-7-2003

 

Il rapporto di agenzia è soggetto al regime delle transazioni e rinunzie vigente per il rapporto di lavoro subordinato ed opera anche relativamente ad esso il principio per cui le generiche quietanze a saldo e transazione di ogni avere non hanno sostanza transattiva, né sono dichiarazioni di una volontà negoziale o abdicativa di specifici diritti determinati od obiettivamente determinabili, ma unicamente dichiarazioni di scienza o di opinioni, e cioè del convincimento dell’interessato di essere stato soddisfatto dei suoi diritti, e quindi non ostative di una successiva richiesta di tutela giurisdizionale di ulteriori diritti non ancora soddisfatti. — Cass. Sez. L, sent. 9636 del 16-6-2003

 

La valutazione, a norma dell’art. 2965 cod. civ., circa la congruità del termine di decadenza previsto contrattualmente, di competenza del giudice di merito, deve avere riguardo alla brevità dello specifico termine e alla particolare situazione del soggetto obbligato a svolgere l’attività prevista per evitare la decadenza; previsti dai contratti collettivi per l’esercizio dei diritti dei lavoratori, assume particolare rilievo, ai fini di tale valutazione di congruità, il raffronto con la disciplina dell’art. 2113 cod. civ. sulle rinunce e le transazioni — che possono essere impugnate entro sei mesi dalla loro data e comunque entro sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro —, potendosi assimilare l’inerzia del lavoratore ad una implicita rinuncia. (Nella specie la S.C. ha ritenuto non censurabile la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto valido il termine di decadenza di sei mesi dalla cessazione del rapporto previsto dall’art. 38 del C.C.N.L. degli edili). — Cass. Sez. L, sent. 9202 del 9-6-2003

 

Il principio generale di effettività e corrispettività delle prestazioni nel rapporto di lavoro comporta che, al di fuori delle espresse deroghe legali o contrattuali, la retribuzione spetti soltanto se la prestazione di lavoro viene eseguita, salvo che il datore di lavoro versi in una situazione di mora «credendi» nei confronti dei dipendenti. Ne consegue che sono validi, in linea di principio, i patti conclusi tra i lavoratori ed il datore di lavoro per la sospensione del rapporto di lavoro; tali fatti non hanno ad oggetto diritti di futura acquisizione e non concretano rinunzia alla retribuzione, invalida ex art. 2113 cod. civ., atteso che la perdita del corrispettivo discende dalla mancata esecuzione della prestazione. — Cass. Sez. L, sent. 7843 del 19-5-2003

 

La rinuncia o la transazione conclusa tra dipendente e datore di lavoro, avente ad oggetto la risoluzione del rapporto di lavoro, non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 2113 cod. civ. in quanto, anche quando è garantita la stabilità del posto di lavoro, tale garanzia dipende da leggi o disposizioni collettive, mentre l’ordinamento riconosce al lavoratore il diritto potestativo di disporre negozialmente e definitivamente del posto di lavoro stesso, in base all’art. 2118 cod. civ. — Cass. Sez. L, sent. 4780 del 28-3-2003

 

La quietanza costituisce atto unilaterale ricettizio che contiene esclusivamente il riconoscimento da parte del creditore di avere riscosso quanto è stato pagato dal debitore. Da essa, pertanto, non può di regola desumersi l’esistenza di una volontà del creditore transattiva o di rinuncia ad altre pretese, salvo che questa non risulti da speciali elementi e dal complessivo tenore del documento. Il relativo accertamento del giudice di merito costituisce giudizio di fatto, incensurabile in cassazione se sorretto da congrua ed adeguata motivazione. — Cass. III, sent. 4688 del 28-3-2003

 

Il contratto collettivo di diritto comune può avere una funzione normativa (in quanto diretto a determinare il contenuto dei contratti individuali di lavoro), ovvero una funzione obbligatoria (che si esprime nell’instaurazione di rapporti obbligatori che vincolano esclusivamente le parti collettive e gli imprenditori che li stipulano, non anche i singoli lavoratori), nonché una funzione transattiva di conflitti di diritti o interessi, ovvero di mero accertamento. L’interpretazione in ordine alla funzione del contratto collettivo, al suo contenuto ed all’efficacia soggettiva degli obblighi con esso assunti è riservata al giudice del merito e non è censurabile in sede di legittimità se è sorretta da una motivazione logica, completa e conforme ai canoni legali di ermeneutica contrattuale (Nella specie, le associazioni sindacali e due imprenditori avevano stipulato un accordo con il quale era stato convenuto il collocamento in mobilità dei dipendenti del primo imprenditore e l’affitto dell’azienda di quest’ultimo al secondo imprenditore, obbligatosi ad assumere a determinate scadenze i lavoratori posti in mobilità, i quali, successivamente, avrebbero rinunciato al diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro con l’affittuario; la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, ritenuta la funzione non normativa, bensì gestionale ed obbligatoria dell’accordo, preordinato alla tutela dell’interesse generale e della salvaguardia dei livelli occupazionali, ha escluso che da esso derivasse il diritto soggettivo dei lavoratori ad essere assunti dall’affittuario dell’azienda, configurando la loro successiva adesione all’accordo esclusivamente una valida rinuncia all’impugnazione del licenziamento). — Cass. Sez. L, sent. 530 del 15-1-2003

 

Con riguardo alla speciale impugnativa della transazione tra datore di lavoro e lavoratore, prevista dall’art. 2113, terzo comma, cod. civ., l’intervento dell’ufficio provinciale del lavoro è in sé idoneo a sottrarre il lavoratore a quella condizione di soggezione rispetto al datore di lavoro, che rende sospette di prevaricazione da parte di quest’ultimo le transazioni e le rinunce intervenute nel corso del rapporto in ordine a diritti previsti da norme inderogabili, sia allorché detto organismo partecipi attivamente alla composizione delle contrastanti posizioni delle parti, sia quando in un proprio atto si limiti a riconoscere, in una transazione già delineata dagli interessati in trattative dirette, l’espressione di una volontà non coartata del lavoratore. Consegue che anche in tale ultimo caso la transazione si sottrae alla impugnativa suddetta. — Cass. Sez. L, sent. 17785 del 12-12-2002

 

L’art. 2113 cod. civ. è applicabile anche nell’ipotesi in cui il lavoratore abbia già intrapreso un’azione giudiziaria, in quanto la sua posizione di soggezione nei confronti del datore di lavoro non viene meno per il fatto che egli abbia azionato un diritto o sia assistito da un legale; ne consegue che restano impugnabili ai sensi del citato art. 2113 cod. civ. nel termine di sei mesi tutte le rinunce e transazioni che non siano intervenute nella forma della conciliazione giudiziale o sindacale, a nulla rilevando che le suddette intervengano dopo che il lavoratore abbia già azionato il diritto in giudizio. — Cass. Sez. L, sent. 13616 del 17-9-2002

 

La disposizione dell’art. 2213, primo comma, cod. civ., che stabilisce l’invalidità delle rinunzie e transazioni aventi per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi concernenti i rapporti di cui all’art. 409 cod. proc. civ. — disposizione che è conforme al principio generale sancito dall’art. 1966, secondo comma, cod. civ. in tema di nullità delle transazioni correlate a diritti sottratti alla disponibilità delle parti, per loro natura o per espressa disposizione di legge — trova il suo limite di applicazione nella previsione di cui all’ultimo comma del citato art. 2113 cod. civ.,che fa salve le conciliazioni intervenute ai sensi degli artt. 185, 410 e 411 cod. proc. civ., ossia quelle conciliazioni nelle quali la posizione del lavoratore viene ad essere adeguatamente protetta nei confronti del datore di lavoro per effetto dell’intervento in funzione garantista del terzo (autorità giudiziaria, amministrativa o sindacale)diretto al superamento della presunzione di condizionamento della libertà di espressione del consenso da parte del lavoratore,essendo la posizione di quest’ultimo adeguatamente protetta nei confronti del datore di lavoro. — Cass. Sez. L, sent. 11107 del 26-7-2002

 

Le quietanze a saldo o liberatorie che il lavoratore sottoscriva a seguito della risoluzione del rapporto, accettando senza esprimere riserve la liquidazione e le altre somme dovutegli, non implicano di per sé l’accettazione del recesso datoriale e la rinuncia ad impugnarlo; tuttavia, i predetti comportamenti possono assumere tale significato negoziale, in presenza di altre circostanze precise, concordanti e obiettivamente concludenti, che dimostrino l’intenzione del lavoratore di accettare l’atto risolutivo, in base ad un adeguato accertamento da parte del giudice di merito (nella specie, relativa alla domanda di alcuni lavoratori intesa alla qualificazione della avvenuta cessione dell’azienda come licenziamento e al conseguente annullamento di questo, la S.C. ha cassato con rinvio la decisone di merito, che aveva escluso l’accettazione tacita del licenziamento, omettendo di prendere in considerazione il complessivo comportamento dei lavoratori, anche in relazione alla accertata prosecuzione dell’attività lavorativa presso l’azienda cessionaria e all’assenza di contestazioni, protrattasi per lungo periodo di tempo, riguardo all’avvenuta risoluzione del rapporto con l’impresa cedente). — Cass. Sez. L, sent. 10193 del 12-7-2002

 

Con riferimento alla conciliazione in sede sindacale ex art. 411, terzo comma, cod. proc. civ., al fine di verificare che l’accordo sia raggiunto con un’effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti della propria organizzazione sindacale occorre valutare se, in base alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata quella funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa (nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva ritenuto valida la conciliazione che, in base ad una specifica e dettagliata proposta formulata dal lavoratore, era stata perfezionata dinanzi ad un sindacalista indicato dallo stesso lavoratore). — Cass. Sez. L, sent. 4730 del 3-4-2002

 

Il regime di eventuale mera annullabilità degli atti contenenti rinunce del lavoratore a diritti garantiti dal norme inderogabili di legge o di contratto collettivo, previsto dall’art. 2113 cod. civ., riguarda le ipotesi di rinuncia a un diritto già acquisito, mentre in caso di rinuncia all’incidenza dell’anzianità maturata ad una certa data del rapporto di lavoro sui diritti, derivanti da norme inderogabili di legge o di contratto collettivo, ancora non acquisiti nel patrimonio del rinunciante, la rinuncia viene ad assumere il valore di un atto diretto a regolamentare gli effetti del rapporto di lavoro in maniera diversa da quella fissata in maniera inderogabile dalle norme di legge o di contratto collettivo, e ciò ne determina la nullità a norma dell’art. 1418 cod. civ. o l’invalidità o l’inefficacia a norma dell’art. 2077 cod. civ.. — Cass. Sez. L, sent. 13834 del 8-11-2001

 

La «datio in solutum» è astrattamente attuabile anche attraverso un negozio «mortis causa» sicché è possibile che con un legato il testatore preveda che una nuova prestazione (oggetto del legato) sostituisca una prestazione precedentemente dovuta e tale disposizione testamentaria determina l’estinzione della obbligazione preesistente purché sia seguita dalla successiva manifestazione di volontà del legatario (convergente con la volontà del testatore) consistente nella mancata rinuncia al legato (che implica l’intenzione di rinunciare ad ogni pretesa relativa all’obbligazione preesistente). Tale meccanismo non é, tuttavia, applicabile ove l’obbligazione preesistente riguardi prestazioni dovute al prestatore di lavoro in base a disposizioni inderogabili della legge o dei contratti collettivi. In questo caso, infatti, la rinuncia ai relativi crediti è invalida, ai sensi dell’art. 2113, comma primo, cod. civ., e il legato che, disponendo una prestazione diversa da quella iniziale, preveda tale rinuncia reca una condizione contraria a norma imperativa la quale, con i limiti di cui all’art. 626 cod. civ., si considera come non apposta. (Fattispecie relativa ad un legato con il quale erano state lasciati ad una collaboratrice familiare una somma di denaro e l’usufrutto della casa con l’intendimento di estinguere il preesistente debito per retribuzioni e trattamento di fine rapporto). — Cass. Sez. L, sent. 9467 del 12-7-2001

 

La quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore, che contenga una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme riferita, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, può assumere il valore di rinuncia o di transazione, che il lavoratore abbia l’onere di impugnare nei termini di cui all’art. 2113 cod. civ., alla condizione che risulti accertato, sulla base dell’interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili aliunde, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi; infatti enunciazioni di tal genere sono assimilabili alle clausole di stile e non sono sufficienti di per sé a comprovare l’effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell’interessato. — Cass. Sez. L, sent. 9407 del 11-7-2001

 

Il lavoratore può liberamente disporre del diritto di impugnare il licenziamento, facendone oggetto di rinunce o transazioni, che sono sottratte alla disciplina dell’art. 2113 cod. civ., che considera invalidi, e perciò impugnabili, i soli atti abdicativi di diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti o accordi collettivi; e, infatti, l’interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro rientra nell’area della libera disponibilità, come è desumibile dalla facoltà di recesso ad nutum di cui il medesimo dispone, dall’ammissibilità di risoluzioni consensuali del contratto di lavoro e dalla possibilità di consolidamento degli effetti di un licenziamento illegittimo per mancanza di una tempestiva impugnazione. — Cass. 3-10-2000, n. 13134, rv. 540713.

 

Le quietanze a saldo o liberatorie che il lavoratore sottoscriva a seguito della risoluzione del rapporto, accettando senza esprimere riserve la liquidazione e le altre somme dovutegli alla cessazione del rapporto, non implicano di per sé, anche se contenenti la menzione del licenziamento, l’accettazione del medesimo e la rinuncia ad impugnarlo o all’impugnazione già proposta; tuttavia, possono assumere tale significato negoziale, in presenza di altre circostanze precise, concordanti e obiettivamente concludenti che dimostrino l’intenzione del lavoratore di accettare l’atto risolutivo. — Cass. 3-2-2000, n. 1194

 

Una conciliazione sindacale, per essere qualificata tale ai fini degli artt. 411, comma terzo, cod. proc. civ. e 2113, comma quarto, cod. civ., deve risultare da un documento sottoscritto contestualmente dalle parti nonché dal rappresentante sindacale di fiducia del lavoratore. — Cass. 11-12-99, n. 13910

 

La cosiddetta quietanza liberatoria rilasciata dal lavoratore a saldo di ogni sua pretesa costituisce, di regola, una semplice manifestazione del convincimento soggettivo dell’interessato di essere stato soddisfatto di tutti i suoi diritti e pertanto concreta una dichiarazione di scienza priva di alcuna efficacia negoziale, che non preclude al dichiarante di agire in giudizio (nel termine di prescrizione) per l’accertamento dei suoi diritti non ancora soddisfatti. Va, infatti, precisato che nella suddetta dichiarazione liberatoria sono ravvisabili gli estremi di un negozio di rinunzia o di transazione in senso stretto soltanto quando, per il concorso di particolari elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione o desumibili aliunde, risulti accertato che il lavoratore l’abbia rilasciata con la chiara e piena consapevolezza di specifici diritti, determinati o obiettivamente determinabili, a lui spettanti e con il cosciente intento di abdicare o transigere sui medesimi. — Cass. 4-5-99, n. 4442

 

L’art. 2113 cod. civ. non ha l’effetto di rendere annullabili tutte le rinunce e le transazioni del lavoratore indipendentemente dalla natura dei diritti che ne costituiscono oggetto, ma si riferisce specificamente ai diritti di natura retributiva e risarcitoria derivanti al lavoratore dalla lesione di fondamentali diritti alla persona (come il diritto alla salute, al riposo settimanale, alle ferie, alla previdenza e assistenza etc., gli atti dismissori dei quali rimangono soggetti al più radicale regime invalidante della nullità ex art. 1418 cod. civ.). Soltanto per tali diritti patrimoniali i quali, secondo la disciplina comune, sarebbero pienamente dismissibili opera la speciale disciplina dettata dall’art. 2113 cit. che, da un lato, rende invalidi i negozi di rinunzia e transazione solo se tempestivamente impugnati nel termine semestrale e, dall’altro, considera estranee al regime di invalidità e di impugnativa da essa introdotto le conciliazioni riconducibili alla previsione del suo ultimo comma. (Fattispecie in materia di crediti risarcitori maturati per effetto dell’illegittimo frazionamento del riposo settimanale). — Cass. 3-4-99, n. 3233

 

La quietanza ha valore probatorio di regola limitatamente alla somma della quale attesta la ricezione tranne che in base a particolari elementi di fatto, che devono essere individuati, si evidenzi la volontà abdicatoria del richiedente in relazione ad altri importi dovuti per il medesimo titolo oltre quelli indicati come percepiti, o la volontà comune delle parti, in relazione ad un dissenso sia pure potenziale su un determinato rapporto giuridico di evitare ogni contesa mediante reciproche concessioni. — Cass. 12-11-98, n. 11451

 

La rinunzia al diritto alla retribuzione in corrispettivo della prestazione lavorativa, previsto e tutelato dalla Costituzione e dal codice civile, quando sia anteriore alla maturazione del diritto è viziata da nullità assoluta e soltanto quando esso sia acquisito al patrimonio del titolare l’invalidità stabilita dall’articolo 2113 cod. civ. per le rinunzie e le transazioni relative a diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili di legge si qualifica come ipotesi non di nullità assoluta ma di annullabilità condizionata all’esercizio della facoltà di impugnazione nel termine perentorio di cui allo stesso articolo. — Cass. 13-7-98, n. 6857

 

Poiché l’assistenza delle organizzazioni professionali agricole, prevista dall’art. 23 legge 11 febbraio 1971, n. 11 per la validità di rinunce e transazioni su diritti disponibili, non è posta a tutela di interessi pubblici, la pattuizione di tali negozi senza la predetta assistenza ne determina l’annullabilità — e non la nullità, disposta dall’art. 58 legge 203 del 1982 per violazioni sostanziali alla stessa legge e non formali — soggetta alla decadenza prevista dall’art. 2113 secondo comma cod. civ. — Cass. 21-4-97, n. 3425

 

La transazione fra datore e prestatore di lavoro, pur quando abbia ad oggetto diritti inderogabili di quest’ultimo, è validamente stipulata in sede sindacale ai sensi dell’art. 411 terzo comma cod. proc. civ., mentre le formalità previste da tale norma ai fini della verifica di autenticità dell’atto e del conferimento dell’efficacia esecutiva al verbale costituiscono adempimenti successivi estranei rispetto all’essenza negoziale della conciliazione. Ne consegue che la transazione contenuta in un verbale di conciliazione in sede sindacale sottoscritto da persona non munita del potere di rappresentare il datore di lavoro può essere successivamente ratificata da quest’ultimo e, ove ciò avvenga, è vincolante anche per il lavoratore, il quale prima della ratifica — come ogni altro «terzo contraente» in caso di contratto stipulato da rappresentante senza potere — può avvalersi della facoltà di fissare un termine alla controparte ai sensi dell’art. 1399 cod. civ. — Cass. 10-6-95, n. 6558

 

La decadenza del lavoratore dalla facoltà di impugnare le rinunzie e le transazioni di cui all’art. 2113 cod. civ., in conseguenza del decorso del termine di sei mesi dal loro compimento non è rilevabile di ufficio e non può essere eccepita per la prima volta in grado di appello, stante la preclusione prevista dall’art. 437. — Cass. 26-1-95, n. 908

 

Il datore di lavoro, che, al fine di contestare la pretesa del lavoratore, intenda valersi di una rinuncia o transazione da questo non tempestivamente impugnata ai sensi dell’art. 2113 cod. civ., deve eccepire, a rigore, non la decadenza del lavoratore dal diritto di chiedere le sue eventuali spettanze, ma l’improponibilità della domanda del lavoratore per intervenuta rinuncia o transazione non tempestivamente impugnata. Tale eccezione — che configura un’eccezione in senso stretto non perfettamente coincidente con quella (avente anch’essa natura di eccezione in senso stretto) di decadenza del lavoratore dal diritto d’impugnare la rinuncia e la transazione — va proposta, ai sensi dell’art. 416, secondo e terzo comma, cod. proc. civ. ed a pena di decadenza rilevabile anche d’ufficio, con la memoria difensiva, la quale, a parte la formulazione dell’eccezione stessa, deve comunque specificamente indicare il negozio (di rinuncia o transazione) dal quale derivi quell’improponibilità, il cui documento (sempre a pena di decadenza) va depositato contestualmente alla memoria anzidetta, previa sua indicazione nella medesima, non essendo sufficiente, in mancanza di ciò, la mera contestualità del deposito e non essendo lo stesso documento suscettibile di successiva produzione come mezzo probatorio «precostituito». — Cass. 19-1-95, n. 552

 

L’impugnativa avverso rinunce e transazioni aventi ad oggetto diritti del lavoratore, prevista dall’art. 2113 cod. civ., non può essere proposta autonomamente dall’organizzazione sindacale di appartenenza del lavoratore stesso, ove sia mancato il conferimento da parte di questi di poteri di rappresentanza. — Cass. 4-1-95, n. 77

 

L’atto stragiudiziale di impugnazione di rinunce e transazioni aventi ad oggetto diritti del lavoratore, ai sensi dell’art. 2113 cod. civ., non richiede alcuna formula specifica, ben potendo risultare anche implicitamente dall’atto stesso la volontà di invalidare l’atto abdicativo; tale volontà deve essere peraltro accertata dal giudice nel caso concreto, in base all’esame del contenuto della dichiarazione, e non può essere ravvisata in relazione a qualunque pretesa di spettanze derivanti dal rapporto di lavoro (avanzata successivamente alla rinuncia o transazione) essendo necessario un raffronto con la precedente manifestazione di volontà abdicativa, di cui devono essere definiti il contenuto e la portata. — Cass. 4-1-95, n. 77

 

La dichiarazione rilasciata dal lavoratore, che dà atto di aver ricevuto una determinata somma a totale soddisfacimento di ogni sua spettanza e di non aver altro da pretendere dal proprio datore di lavoro, costituisce di norma una mera dichiarazione di scienza o di opinione (cosiddetta quietanza a saldo o liberatoria), come tale non preclusiva, in caso di errore, della possibilità di agire, nel termine di prescrizione, per il riconoscimento dei diritti che risultassero viceversa in realtà insoddisfatti; la stessa dichiarazione può assumere il valore negoziale di una rinuncia o transazione — annullabile nei limiti e nel termine stabiliti dall’art. 2113 cod. civ., se relativa a diritti «protetti» già acquisiti dal lavoratore, o impugnabile con azione di nullità (per contrarietà a norme imperative), se incidente sul momento genetico degli stessi diritti, non ancora acquisiti dal lavoratore — qualora (secondo una valutazione di fatto riservata al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata) esprima, alla stregua del contesto in cui è estrinsecata nonché di circostanze desumibili anche aliunde, la volontà di privarsi di specifici e determinati, o determinabili, diritti, dei quali il lavoratore rinunciante o transigente abbia piena e chiara consapevolezza. — Cass. 9-12-92, n. 12983

 

L’atto di acquiescenza espressa regolato dall’art. 329 cod. proc. civ. non riguarda in modo immediato i diritti sostanziali oggetto del provvedimento giurisdizionale, ma il diritto di impugnazione derivante dal detto provvedimento, e del quale la parte dispone con un negozio giuridico processuale, tale che questo non è soggetto alla disciplina dell’art. 2113 cod. civ. ove la sentenza sia relativa a diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e di contratti e accordi collettivi. — Cass. 6-4-92, n. 4171

 

La rinuncia del lavoratore subordinato a futuri, eventuali e non precisati diritti derivanti dalla definitività del rapporto di lavoro per superamento del periodo di prova è radicalmente nulla, ai sensi dell’art. 1418 cod. civ., e non già semplicemente annullabile previa impugnazione da proporsi nel termine perentorio previsto dall’art. 2113 cod. civ. — Cass. 13-3-92, n. 3093

 

La necessità dell’esatta determinazione o, quanto meno, determinabilità dell’oggetto della rinuncia costituisce condizione di validità di qualsiasi manifestazione negoziale di volontà abdicativa, ancorché intervenuta trattandosi di transazione su pretese del lavoratore scaturenti da un pregresso rapporto di lavoro — in sede di conciliazione davanti all’apposita commissione presso l’ufficio provinciale del lavoro. Ne consegue che detta transazione non preclude al lavoratore l’azione giudiziaria a tutela di quei diritti che non siano stati specificamente individuati (o non siano individuabili) come oggetto della rinuncia effettuata a fini transattivi. — Cass. 26-9-91, n. 10056

 

La previsione dell’art. 2113 c.c., che prevede la impugnabilità delle rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di lavoro di cui all’art. 409 cod. proc. civ., non trova applicazione per le conciliazioni avvenute ai sensi degli artt. 185, 410 e 411 cod. proc. civ.; in particolare, posto che il terzo comma dello stesso art. 2113 cod. civ. richiama tutto l’art. 411 cod. proc. civ., ai sensi del terzo comma di quest’ultimo articolo anche le rinunzie e transazioni concluse in sede sindacale sono sottratte a detta impugnazione, indipendentemente dal rispetto o meno delle formalità previste dall’art. 411 cod. proc. civ. (deposito presso l’ufficio del lavoro, deposito presso la cancelleria della pretura) che costituiscono adempimenti successivi estranei rispetto all’essenza negoziale della conciliazione, diretti rispettivamente a dare autenticità all’atto e a conferire efficacia esecutiva al verbale. — Cass. 30-8-91, n. 9241

 

Il rapporto di lavoro dalla cui cessazione l’art. 2113 cod. civ. fa decorrere il termine semestrale di decadenza, previsto per l’impugnazione, da parte del lavoratore, della rinuncia o della transazione, è quello al quale si riferiscono i diritti oggetto di tali atti e, pertanto, nell’ipotesi di successione di due distinti rapporti di lavoro fra le stesse parti, la persistenza del secondo rapporto non sospende la decorrenza del detto termine semestrale per l’impugnazione della transazione o della rinuncia relativa a diritti attinenti al primo rapporto. — Cass. 9-2-89

 

L’invalidità stabilita dall’art. 2113 cod. civ. per le rinunce e transazioni relative a diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili di legge, costituisce un’ipotesi non di nullità, ma di annullabilità dei predetti atti negoziali che, condizionata dall’esercizio della facoltà d’impugnazione nel termine perentorio di cui allo stesso art. 2113, resta soggetta alle regole poste dall’art. 1442 cod. civ., secondo cui l’azione di annullamento si prescrive in cinque anni, ma l’annullabilità può essere opposta dalla parte convenuta per l’esecuzione del contratto anche se è prescritta l’azione per farla valere. Ne consegue che — con riguardo ad un rapporto agrario — il giudice investito in via di azione o di eccezione, deve preliminarmente accertare se sia stata comunque espressa, nel termine semestrale di decadenza e nei confronti del concedente, la volontà dell’affittuario coltivatore diretto di non abdicare alla tutela dei diritti indisponibili oggetto della transazione o della rinuncia, e poi stabilire se la successiva istanza in sede giurisdizionale, volta con l’annullamento dei detti negozi ad ottenere in concreto quella tutela, trovi o meno impedimento ai sensi del primo o dell’ultimo comma dell’art. 1442 citato, sempreché decadenza e prescrizione siano state eccepite dalla controparte. — Cass. 18-1-88, n. 338

 

La pattuizione intercorsa fra le parti in ordine all’entità della retribuzione, ancorché risultante da atto scritto, è nulla, per contrarietà a norma imperativa, ove la misura del compenso sia determinata in violazione del precetto di cui all’art. 36, primo comma, Cost., che la sostituisce ope legis, e non può essere considerata come rinuncia preventiva alla giusta retribuzione (suscettibile d’impugnazione nei limiti di cui all’art. 2113 cod. civ.), attesa anche l’inconfigurabilità, nel piano giuridico, della rinuncia ad un diritto non ancora acquisito al patrimonio del titolare. — Cass. 8-8-87, n. 6823

 

L’utilizzazione di un modulo a stampa, predisposto da uno dei contraenti e sottoscritto da entrambe le parti, ben può costituire la manifestazione esteriore di una volontà negoziale contenente gli estremi di una transazione; e l’adesione può risultare dalla sottoscrizione di entrambi i contraenti, senza la necessità di specifica sottoscrizione di tutte le singole clausole, eccettuate quelle indicate espressamente dagli artt. 1341 e 1342 cod. civ. — Cass. 8-5-87, n. 4268

 

Il diritto del lavoratore all’irriducibilità della retribuzione (nei limiti derivanti dall’art. 2103 cod. civ.) rientra nella categoria dei diritti indisponibili e, in quanto tale, gode della tutela accordata dall’art. 2113 cod. civ.; ne consegue che, ferma la sanzione di nullità assoluta che colpisce le preventive pattuizioni collettive e individuali abrogative della disciplina legale in materia di mansioni, le rinunzie e le transazioni relative a pregresse violazioni di tale disciplina sono colpite dalla sanzione d’invalidità comminata dal primo comma del citato art. 2113 cod. civ., ma debbono essere impugnate, a pena di decadenza, nei modi e nei termini previsti dai successivi commi dello stesso articolo. — Cass. 4-4-87, n. 3297

 

L’impugnativa delle rinunzie e delle transazioni di cui all’art. 2113 cod. civ., invalide perché aventi ad oggetto diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili della legge e della disciplina collettiva concernenti i rapporti di lavoro di cui all’art. 409 cod. proc. civ., costituisce — come desumibile dalla ratio e dalla formulazione (in particolare, secondo e terzo comma) del citato art. 2113 cod. civ. — un diritto potestativo concesso soltanto al lavoratore medesimo e non trasmissibile agli eredi, i quali perciò non possono esercitare detta impugnativa (né iure successionis né iure proprio), ma solo la normale azione di annullamento per i casi tassativamente previsti dalla legge. — Cass. 19-2-87

 

Nelle controversie soggette al rito del lavoro è solo con la notifica del ricorso e del pedissequo decreto che può considerarsi iniziata la lite e possono verificarsi gli effetti sostanziali e processuali della domanda; pertanto, ove l’impugnazione del licenziamento sia proposta con ricorso ai sensi dell’art. 414 cod. proc. civ., l’avvenuto rispetto o meno del termine di decadenza stabilito dall’art. 6 della legge n. 604 del 1966 dev’essere verificato con riguardo alla data di detta notifica, essendo il semplice deposito del ricorso inidoneo all’instaurazione del contraddittorio ed a rendere nota la volontà del lavoratore al datore di lavoro, attesa l’assoluta libertà di scelta del ricorrente nel procedere alla notifica del ricorso e del decreto. Analogo principio è applicabile — ai fini della verifica dell’osservanza o meno del termine semestrale di decadenza stabilito dall’art. 2103 cod. civ. — nell’ipotesi d’impugnazione giudiziale di una rinunzia o di una transazione, attesa la sostanziale identità di formulazione del citato art. 2113 (come sostituito dall’art. 6 della legge n. 533 del 1973) e dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966, quanto alla prescritta idoneità dell’impugnazione a rendere nota al datore di lavoro la volontà del lavoratore. — Cass. 8-1-87, n. 44

 

Qualora, a seguito di licenziamento, intervenga tra datore di lavoro e lavoratore licenziato un accordo transattivo in forza del quale, mentre il lavoratore rinuncia ad impugnare il licenziamento intimatogli, il datore di lavoro si obbliga ad assumerlo presso un’altra azienda da lui gestita, il successivo inadempimento da parte del datore di lavoro dell’obbligazione assunta, può essere fatto valere dal lavoratore con l’impugnazione della transazione ex art. 2113 cod. civ. ovvero con le normali azioni di nullità o di annullamento dei contratti. — Cass. 21-2-86, n. 1069

 

L’oggetto del negozio transattivo va identificato non in relazione alle espressioni letterali usate dalle parti, non essendo necessaria una puntuale specificazione delle contrapposte pretese, bensì in relazione all’oggettiva situazione di contrasto che le parti stesse hanno inteso comporre attraverso reciproche concessioni, giacché la transazione — quale strumento negoziale di prevenzione di una lite — è destinata, analogamente alla sentenza, a coprire il dedotto ed il deducibile. Pertanto, ove il lavoratore in sede di conciliazione giudiziale abbia manifestato il proprio consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro, l’efficacia transattiva dell’accordo raggiunto non può che essere riferita, in mancanza di specifiche limitazioni, a tutti i diritti scaturenti dal rapporto che risultino obiettivamente determinabili (quale, nel caso di specie, la rivendicazione di una qualifica superiore). — Cass. 12-2-85, n. 1183

 

La riduzione, da parte del lavoratore, delle sue richieste economiche, che trovi il corrispondente vantaggio nella promessa del datore di lavoro di mantenimento del rapporto, non integra una mera rinunzia del lavoratore alle maggiori pretese, ma configura una transazione (art. 1965 cod. civ.), la cui impugnativa, da parte di quest’ultimo, per mancato adempimento dell’accordo ad opera del datore di lavoro, si delinea come azione di annullamento, per tale inadempimento, senza che al posto di tale obiettivo evento possa rilevare la sola preordinata volontà del datore di lavoro di non mantenere l’impegno. — Cass. 6-3-84, n. 1552

 

L’art. 2113, ultimo comma, c.c., esclude l’applicabilità delle disposizioni in tema di invalidità ed impugnabilità delle rinunzie e transazioni sui diritti del lavoratore subordinato con esclusivo e specifico riferimento alle conciliazioni intervenute ai sensi degli artt. 185, 410 e 411 cod. proc. civ. La suddetta norma, pertanto, non può essere invocata con riguardo ad una transazione che sia stata stipulata all’infuori delle indicate procedure conciliative e senza le relative modalità, restando a tal fine irrilevante che nella transazione stessa il lavoratore sia stato assistito da un sindacato. — Cass. 17-1-84, n. 391

 

Il rifiuto del lavoratore, adibito a mansioni superiori a quelle di assunzione per un periodo superiore a tre mesi, di proseguire lo svolgimento delle mansioni stesse in difetto dell’attribuzione del superiore corrispondente inquadramento e del relativo trattamento economico, non costituisce rinunzia al diritto alla promozione automatica, nascente dall’art. 2103 cod. civ. nel testo modificato dall’art. 13 della legge n. 300 del 1970, bensì un comportamento inteso a far valere l’exceptio inadimpleti contractus ex art. 1460 cod. civ. e non preclusivo della possibilità di far valere tale diritto. — Cass. 10-1-84, n. 186

 

Il diritto del lavoratore alla retribuzione è tutelato dagli artt. 36 Cost. e 2113 cod. civ. solo nei limiti, rispettivamente, della corrispondenza della retribuzione all’entità della controprestazione ed alle esigenze di vita libera e dignitosa del lavoratore e dei suoi familiari e dell’esclusione del potere di rinunzia del lavoratore stesso ai «diritti derivanti (e non semplicemente fatti salvi) da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti e accordi collettivi», sicché sono valide le rinunzie riflettenti acquisizioni del prestatore d’opera nei confronti del datore di lavoro, che costituiscano un di più (espressamente fatto salvo dall’art. 2077 cod. civ.) rispetto al trattamento previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva. — Cass. 9-2-82, n. 794

 

La riscossione dell’indennità di anzianità, ancorché non accompagnata da alcuna riserva, non può essere interpretata, per difetto assoluto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinuncia ai diritti derivanti dall’illegittimità del licenziamento stesso, non esistendo alcuna incompatibilità logica e giuridica tra l’accettazione della liquidazione di detta indennità e la volontà di ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento al fine del conseguimento dell’ulteriore diritto alla riassunzione o al risarcimento del danno. — Cass. 21-1-81, n. 512

 

La transazione che contenga l’indicazione di un pagamento, anche se inefficace, conserva il valore di quietanza e cioè di semplice manifestazione di scienza o fatto accertativo di un pagamento che può essere a posteriori oggetto dell’apprezzamento di fatto del giudice di merito che, ove condotto con logica coerenza, è incensurabile in sede di legittimità. — Cass. 22-1-80, n. 522

 

L’indisponibilità del diritto alle ferie — la cui irrinunciabilità, prevista dalla Costituzione (art 36, comma terzo), comporta la nullità assoluta dei patti che con tale carattere del diritto contrastino — non esclude, una volta che tale diritto sia acquisito al patrimonio del lavoratore, la validità di atti dispositivi relativi al diritto conseguenziale all’indennità sostitutiva delle ferie non godute. In tale categoria rientra il mancato reclamo, nel termine di decadenza, per il riconoscimento di tale diritto, poiché importa, in pratica, rinuncia al diritto medesimo. — Cass. 24-2-79, n. 1242

 

Deve ritenersi nulla per indeterminatezza dell’oggetto, e quindi non soggetta al termine d’impugnazione di cui all’art. 2113 cod. civ., la transazione con cui un lavoratore abbia rinunciato a propri diritti indicandoli con le parole ogni indennità e varie. — Cass. 8-8-78

 

La rinuncia del lavoratore presuppone, per la sua validità ed efficacia, che il rinunciante abbia la esatta rappresentazione dei diritti di credito di sua spettanza e che volontariamente intenda privarsi, in tutto o in parte, a vantaggio del proprio datore di lavoro, della realizzazione delle sue ragioni creditorie, specificamente determinate o almeno obiettivamente determinabili. — Cass. 18-6-73, n. 1797

 

L’art. 10 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 — che prescrive la proposizione del reclamo gerarchico quale condizione per la proponibilità dell’azione giudiziaria avverso il provvedimento dell’azienda che l’agente intende impugnare — non è impugnabile con nessun’altra norma legislativa sopraggiunta ed in particolare con gli articoli 2113 e 2068 cod.civile. I provvedimenti delle aziende ferro-navi-tramviarie, cui detto articolo si riferisce, sono tanto gli atti che incidono sullo stato giuridico e nella carriera degli agenti, quanto quelli che si riferiscono in qualsiasi modo al comportamento dell’azienda circa il trattamento economico del personale dipendente. — Cass. II, sent. 2690 del 13-8-1952

 

Il divieto del compromesso e della clausola compromissoria, sancito dagli artt. 806 e 808 cod. proc. civ., è, nonostante l’abolizione dell’ordinamento corporativo, tuttora valido ed operante rispetto all’arbitrato rituale, mentre ad esso si sottrae soltanto l’arbitrato libero o irrituale, purché non si riferisca a controversie relative a diritti del prestatore di lavoro che derivano da disposizioni di legge inderogabili e siano quindi indisponibili. Nell’ipotesi di prestazioni lavorative nelle quali si riscontrino, accanto ad elementi tipici del lavoro subordinato anche elementi che di solito ricorrono in rapporti di natura diversa la qualificazione del rapporto va fatta in funzione degli elementi che in sostanza presentano carattere di prevalenza, prescindendo dal nomen iuris attribuito dalle parti al rapporto stesso. — Cass. II, sent. 1523 del 9-6-1960

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *