Codice Civile
Articolo 2125 codice civile
Patto di non concorrenza
Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata.
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Giurisprudenza:
Previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all’arbitrio del datore di lavoro – La previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all’arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative, atteso che la limitazione allo scioglimento dell’attività lavorativa deve essere contenuta – in base a quanto previsto dall’art. 2125 c.c., interpretato alla luce degli artt. 4 e 35 Cost. – entro limiti determinati di oggetto, tempo e luogo, e va compensata da un maggior corrispettivo. Ne consegue che non può essere attribuito al datore di lavoro il potere unilaterale di incidere sulla durata temporale del vincolo o di … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 1-9-2021, n. 23723
Patto di non concorrenza e divieto di storno di clientela – Il patto di non concorrenza di cui all’art. 2125 c.c. e la clausola contrattuale di divieto di storno di clientela vietano due condotte differenti: la prima proibisce, dietro corrispettivo, lo svolgimento di attività lavorativa in concorrenza con la società datrice per una durata limitata nel tempo, al termine del rapporto di lavoro; la seconda, invece, impedisce il compimento di atti e comportamenti funzionali a sviare la clientela storica verso un’altra impresa, sfruttando il rapporto di fiducia instaurato durante il periodo di dipendenza con la prima società, mirando dunque a garantire la tutela dell’avviamento ed il mantenimento e consolidamento dei buoni rapporti con il portafoglio di clienti. Ne consegue l’indipendenza delle due clausole, segnata anche dall’autonomia delle fonti normative regolatrici delle fattispecie, sicché il regime normativo dell’art. 2115 c.c. non può estendersi alla clausola contrattuale. (In applicazione del sopraindicato principio, la S.C. ha escluso che la clausola del divieto di storno della clientela costituisca … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 4-8-2021, n. 22247
Pattuizione del corrispettivo – Requisiti – Al fine di valutare la validità del patto di non concorrenza, in riferimento al corrispettivo dovuto, si richiede, innanzitutto, che, in quanto elemento distinto dalla retribuzione, lo stesso possieda i requisiti previsti in generale per l’oggetto della prestazione dall’art. 1346 c.c.; se determinato o determinabile, va verificato, ai sensi dell’art. 2125 c.c., che il compenso pattuito non sia meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato, conseguendo comunque la nullità dell’intero patto alla … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 1-3-2021, n. 5540
Criteri per valutare la validità del patto di non concorrenza – Al fine di valutare la validità del patto di non concorrenza previsto dall’art. 2125 c.c., occorre osservare i seguenti criteri: a) il patto non deve necessariamente limitarsi alle mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto, ma può riguardare qualsiasi prestazione lavorativa che possa competere con le attività economiche svolte dal datore di lavoro, da identificarsi in relazione a ciascun mercato nelle sue oggettive strutture, ove convergano domande e offerte di beni o servizi identici o comunque parimenti idonei a soddisfare le esigenze della clientela del medesimo mercato; b) non deve essere di ampiezza tale da comprimere la esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in termini che ne compromettano ogni potenzialità reddituale; c) quanto al corrispettivo dovuto, il patto non deve prevedere compensi simbolici o manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto valido il patto con il quale il dipendente di un istituto di credito, assunto come “private banker”, si era impegnato a non operare per un periodo di tre anni nel solo settore del … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 26-5-2020, n. 9790
Risoluzione del patto di non concorrenza rimesso all’arbitrio del datore di lavoro – La previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all’arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 2-1-2018, n. 3
Clausola di opzione e patto di non concorrenza – E’ illegittima la clausola di opzione, accedente al patto di non concorrenza, che il lavoratore attribuisce al datore di lavoro a fronte di un corrispettivo per la formazione professionale ricevuta, in quanto tale formazione costituisce già la causa del contratto di lavoro subordinato stipulato, sicchè quella clausola determina un’illecita sperequazione della posizione delle parti nell’ambito … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 4-4-2017, n. 8715
Patto di prolungamento del preavviso – Assenza di prestazioni corrispettive – Elusione dei limiti del patto di non concorrenza – Nullità – Il patto di prolungamento del preavviso, sorretto da un minimo incremento retributivo e non in rapporto di corrispettività con una preordinata progressione in carriera, è nullo per frode alla legge in quanto finalizzato a perseguire l’interesse tipico del patto di non concorrenza, eludendone tuttavia i … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 10-11-2015, n. 22933
Dovere di correttezza e buona fede – Sebbene la legge non imponga al lavoratore parasubordinato un dovere di fedeltà, tuttavia il dovere di correttezza della parte in un rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.) e il dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.) vietano alla parte di un rapporto collaborativo di servirsene per nuocere all’altra, sì che l’obbligo di astenersi dalla concorrenza nel rapporto di lavoro parasubordinato non è riconducibile direttamente all’art. 2125 cod. civ. – che disciplina il relativo patto per il lavoratore subordinato alla cessazione del contratto – ma, permeando come elemento connaturale ogni rapporto di collaborazione economica, rientra nella previsione dell’art. 2596 cod. civ. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto applicabile ad un rapporto di lavoro parasubordinato la disciplina del patto limitativo della concorrenza ex art… continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 21-3-2013, n. 7141
Corrispettivo del patto di non concorrenza – Natura – Reddito da lavoro dipendente ai fini contributivi – Il corrispettivo del patto di non concorrenza di cui all’art. 2125 cod. civ., che non ha natura risarcitoria ma costituisce il corrispettivo di un’obbligazione di “non facere”, ancorché erogato in vista della cessazione del rapporto, non è finalizzato ad incentivare l’esodo del lavoratore, né costituisce una erogazione che “trae origine dalla predetta cessazione”, avendo piena autonomia causale rispetto alla fine del rapporto, che è mera occasione del patto; ne consegue che, non essendo applicabile alcuna delle ipotesi di esclusione dalle basi imponibili previste dal d.P.R. n. 917 del 1986, il corrispettivo del patto di non concorrenza è ricompreso nella nozione di reddito da lavoro dipendente ai fini contributivi di cui all’art. 12 della legge n. 153 del 1969, come sostituito dall’art. 6 del d.lgs. n. 314 del 1997. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 15-7-2009, n. 16489
Lavoro parasubordinato – Per i contratti di collaborazione, quale quello di lavoro parasubordinato, nella durata massima dell’eventuale patto accessorio di non concorrenza non può essere compreso il tempo di svolgimento della collaborazione, onde la stessa non inizia prima della cessazione del contratto. Durante lo svolgimento di questo, infatti, l’obbligo di astenersi dalla concorrenza, connaturale ad ogni rapporto di collaborazione economica, renderebbe inutile ossia privo di causa il patto accessorio, come risulta ad esempio dagli … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 23-7-2008, n. 20312
Limiti inerenti all’oggetto, al tempo ed al luogo – Necessità – – Accertamento giudiziale in ordine al rispetto dei suddetti limiti – Insindacabilità in cassazione – Limiti – Nel rapporto di lavoro subordinato il patto di non concorrenza è nullo se il divieto di attività successive alla risoluzione del rapporto non è contenuto entro limiti determinati di oggetto, di tempo e di luogo, poiché l’ampiezza del relativo vincolo deve essere tale da comprimere l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che non ne compromettano la possibilità di assicurarsi un guadagno idoneo alle esigenze di vita. La valutazione circa la compatibilità del suddetto vincolo concernente l’attività con la necessità di non compromettere la possibilità di assicurarsi il riferito guadagno come pure la valutazione della congruità del corrispettivo pattuito costituiscono oggetto di apprezzamento riservato al giudice del merito, come tale insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 4-4-2006, n. 7835
Ampiezza del patto tale da comprimere l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore – Il patto di non concorrenza, previsto dall’art. 2125 c.c., può riguardare qualsiasi attività lavorativa che possa competere con quella del datore di lavoro e non deve quindi limitarsi alle sole mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto. Esso è, perciò, nullo allorché la sua ampiezza è tale da comprimere la esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che ne compromettano ogni potenzialità reddituale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto la rispondenza ai requisiti previsti dall’art. 2125 cod. civ. di un patto con il quale un dipendente, assunto con qualifica di addetto “marketing” ufficio estero presso una società “leader” a livello internazionale nel settore della commercializzazione di articoli per il “fitness”, si era impegnato ad astenersi in territorio italiano ed europeo, per i tre anni successivi alla cessazione del rapporto con la società datrice di lavoro, verso un corrispettivo mensile per tredici mensilità, dal prestare la propria opera, sia in qualità di lavoratore autonomo, che di lavoratore subordinato, in favore di aziende operanti nel medesimo settore, considerando che detta pattuizione non impediva al dipendente di esplicare le proprie attitudini professionali in qualsiasi settore economico ad eccezione di quello del “fitness”; il giudice di merito aveva altresì ritenuto violato il patto descritto attraverso la costituzione da parte del dipendente, una volta cessato il rapporto di lavoro con la società, di una società avente ad oggetto la produzione, la lavorazione, la commercializzazione di prodotti e accessori per la ginnastica, lo sport ed il settore riabilitativo). Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 10-9-2003, n. 13282
Previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all’arbitrio del datore di lavoro – La previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all’arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative. Infatti la limitazione allo svolgimento della attività lavorativa deve essere contenuta -in base a quanto previsto dall’art. 1255 cod. civ., interpretato alla luce degli art. 4 e 35 della carta costituzionale,- entro limiti determinati di oggetto, tempo e luogo e compensata da un corrispettivo di natura altamente retributiva, con la conseguenza che è impossibile attribuire al datore di lavoro il potere unilaterale di incidere sulla durata temporale del vincolo o di caducare l’attribuzione patrimoniale pattuita. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 13-6-2003, n. 9491
Individuazione di soggetti – Commesso addetto alla vendita di capi di abbigliamento – Il patto di non concorrenza, disciplinato dall’art. 2125 cod. civ., può riguardare non soltanto i dipendenti che svolgono mansioni direttive o di alto livello, ma anche tutti coloro che, pur essendo impiegati in compiti non intellettuali (sinanche di natura esecutiva), tuttavia operino in settori in cui l’imprenditore, in ragione della specifica natura e delle peculiari caratteristiche dell’attività svolta, possa subire un concreto pregiudizio – in termini di penetrazione nel mercato e di capacità concorrenziale dalla utilizzazione (sia in corso di rapporto che successivamente) da parte dei … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 19-4-2002, n. 5691
Patto di non concorrenza sia stipulato tra cedente e cessionario delle quote di partecipazione ad un’impresa collettiva, di cui il cedente sia anche direttore commerciale – L’art. 2125 cod. civ., che regola il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del contratto, identifica i paciscenti nei medesimi partecipi dell’attuale rapporto di lavoro ed ipotizza quale presupposto di fatto, fonte del temuto danno concorrenziale, l’entrata del lavoratore nel mercato quale imprenditore; la disciplina limitatrice da esso recata, con riguardo alla necessità (oltre che della forma scritta “ad substantiam”) della pattuizione di un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro, non è applicabile allorché il patto di non concorrenza sia stipulato tra cedente e cessionario delle quote di partecipazione ad un’impresa collettiva, di cui il cedente sia anche direttore commerciale. Cassazione Civile, Sezione 1, Sentenza 19-12-2001, n. 16026
Condizioni di validità del patto – Il patto di non concorrenza, previsto dall’art. 2125 cod. civ., può riguardare una qualsiasi attività lavorativa che possa competere con quella del datore di lavoro e non deve quindi limitarsi alle sole mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto. Esso, perciò, è nullo solo allorché la sua ampiezza sia tale da comprimere la esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che ne compromettano ogni potenzialità reddituale. (Nella specie il giudice del merito, con la sentenza confermata dalla S.C., aveva ritenuto valido un patto stipulato con un impresa operante nel settore della produzione di articoli per giardinaggio e irrigazione che precludeva all’ex direttore commerciale lo svolgimento in Italia, Francia, Svizzera, Germania e Austria per un biennio di qualsiasi attività lavorativa alle dipendenze di imprese operanti nel medesimo settore e qualsiasi attività indipendente con essa concorrente, sul principale rilievo che la capacità professionale specifica del lavoratore non doveva essere … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 3-12-2001, n. 15253
Nullità del patto di non concorrenza per mancato rispetto di limiti di oggetto e di luogo – Nel rapporto di lavoro subordinato, la nullità del patto di non concorrenza, per mancato rispetto di limiti determinati di oggetto e di luogo entro i quali deve essere contenuta la previsione del divieto di future attività successive alla risoluzione del rapporto, in tanto è ravvisabile in quanto la sua ampiezza sia tale da comprimere l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che non salvaguardino un margine di attività sufficiente per il soddisfacimento delle esigenze di vita. (Nella specie il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla S.C., aveva ritenuto valido un patto, stipulato con impresa avente ad oggetto attività di riorganizzazione aziendale, che precludeva all’ex dipendente lo svolgimento dell’attività di analisi e consulenza tecnico amministrativa in organizzazioni aziendali limitatamente all’Italia settentrionale). Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 14-5-2001, n. 1988
Applicabilità – L’art. 2125 cod. civ. sul patto di non concorrenza del prestatore di lavoro non è applicabile ai rapporti diversi da quello di lavoro subordinato ancorchè caratterizzati da parasubordinazione come il rapporto di agenzia, cui è applicabile invece la disciplina dell’art. 2596 cod. civ. sui limiti contrattuali della concorrenza. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 6-11-2000, n. 14454
Condizioni di validità del patto – La validità di un patto di non concorrenza, quale disciplinato dall’art. 2125 c.c., essendo subordinata al fatto che lo stesso risulti circoscritto da limiti di tempo, di oggetto e di luogo tale da consentire al lavoratore, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, un margine di attività, non coperta dal vincolo, idonea ad assicurargli un guadagno adeguato alle sue esigenze personali e familiari, va stabilità con riferimento allo specifico contenuto del patto medesimo e non già alle particolari capacità del lavoratore. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 24-8-1990, n. 8641
Caratteristiche – Fondo integrativo della cassa di risparmio – Il patto di non concorrenza, quale disciplinato dall’art. 2125 c. c. si configura come un contratto a titolo oneroso ed a prestazioni corrispettive, in virtu` del quale il datore di lavoro si obbliga a corrispondere una somma di danaro od altra utilità al lavoratore e questi si obbliga, per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, a non svolgere attività concorrenziale con quella del datore di lavoro. Pertanto le limitazioni alla concorrenza sono sottoposte al limite temporale quinquennale soltanto quando siano stipulate come pattuizioni a sè stanti, autonome e distinte da un rapporto contrattuale corrente tra le parti, mentre il limite non si applica quando tra il patto ed il contratto sussiste un collegamento causale in modo che il primo adempie alla stessa funzione del secondo. (Nella specie la s.c. ha cassato la pronuncia del giudice del merito il quale aveva ravvisato un patto di non concorrenza nell’art. 13 del regolamento del fondo integrativo della cassa di risparmio di trento e rovereto, che prevedeva la sospensione della pensione integrativa aziendale fino al compimento del sessantesimo anno di età ove il dirigente, dimissionario per aver optato per il prepensionamento, avesse prestato attività lavorativa presso altre aziende espletanti, nella zona di attività della cassa, i servizi svolti dalla cassa medesima e quindi aveva ritenuto l’illegittimità della sospensione della pensione dopo il quinquennio di validità dell’obbligo di non concorrenza senza indagare se il divieto di concorrenza fosse legato, o meno, alla facoltà del prepensionamento). Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 2-3-1988, n. 2221
Condizione di validità del patto – Remissione di un debito del dipendente – Il patto di non concorrenza, ex art. 2125 c. c. – ancorchè materialmente inserito nel contratto di lavoro – configura una fattispecie negoziale autonoma, dotata di una propria causa distinta, costituita dal nesso sinallagmatico tra l’obbligo di non fare concorrenza in danno dell’ex datore di lavoro e la contrapposta obbligazione di un corrispettivo, che le parti possono liberamente determinare in un qualsiasi adeguato vantaggio economico per il lavoratore. Detto corrispettivo può pertanto consistere anche nella remissione di un debito del dipendente, la quale – in ragione della sua funzione, in questo caso, non meramente abdicativa ma attributiva – sfugge al divieto di compensazione, tra crediti del lavoratore e controcrediti del datore di lavoro, ex art. 1246 n. 3 c.c. e 545 c.p.c. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 30-7-1987, n. 6618
Natura inderogabile e imperativa – La norma dell’art. 2125 c.c., che disciplina il patto di non concorrenza del prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del contratto, ha natura inderogabile e imperativa e pertanto il giudice, deve compiere di ufficio l’indagine circa la validità o meno del patto, anche in relazione ai limiti dell’oggetto in cui è contenuto. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 12-6-1981, n. 3837
Forma scritta del patto – Sebbene la forma scritta del patto di non concorrenza ex art. 2125 cod. civ. debba riguardare tutti gli elementi essenziali del patto stesso, il contenuto di esso, espresso in forma lacunosa od inadeguata, può essere ricostruito attraverso l’interpretazione integrativa. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 22-7-1978, n. 3687
Silenzio delle parti in ordine alla durata del patto – Il silenzio delle parti, in ordine alla durata del patto di non concorrenza del prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del contratto non ne determina la nullità, bensì comporta la durata di esso nella misura stabilita nel capoverso dell’art. 2125, e cioè di cinque anni se si tratti di dirigenti e di tre anni negli altri casi. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza 22-7-1978, n. 3687