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Art. 2596 cc – Limiti contrattuali della concorrenza

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Articolo 2596 codice civile

Limiti contrattuali della concorrenza

Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto. Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni.

Se la durata del patto non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio.


 

Giurisprudenza:

Associazione in partecipazione – In tema di associazione in partecipazione, il patto di non concorrenza di cui all’art. 2596 c.c., il quale prevede che lo stesso è valido se circoscritto ad una determinata zona o a una determinata attività, può essere esteso a tutto il territorio nazionale, qualora l’attività dell’altro contraente sia di rilievo nazionale. (Nel caso di specie la S.C. ha ritenuto valido il patto che impediva la concorrenza dell’associato nei confronti dell’associante, per una durata infra-quinquennale ed interna al rapporto associativo, pur se con oggetto determinato “per relationem” con riguardo all’attività … continua a leggereCassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 22-6-2022, n. 20152

 

Stipula di un contratto di locazione di immobile destinato allo svolgimento della medesima attività – Integra attività di concorrenza sleale la stipula di un contratto di locazione di immobile destinato allo svolgimento della medesima attività economica esercitata da una società cui il conduttore sia legato da un patto di non concorrenza. Cassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 4-2-2020, n. 2551

 

Clausola di esclusiva inserita in un contratto di somministrazione – La clausola di esclusiva inserita in un contratto di somministrazione, non è soggetta al limite di durata quinquennale previsto dall’art. 2596 cod. civ. per gli accordi limitativi della concorrenza, a meno che non possa qualificarsi come un autonomo patto, nel qual caso però il limite temporale di validità del patto di … continua a leggereCorte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 23 settembre 2013, n. 21729

 

Clausola di esclusiva inserita in un contratto di somministrazione – Forma – La clausola di esclusiva inserita in un contratto di somministrazione, in virtù del principio generale di libertà delle forme negoziali, deve avere la medesima forma prevista per il contratto cui accede e non soggiace all’operatività dell’art. 2596 cod. civ. che impone tale forma, “ad probationem”, per … continua a leggereCorte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 23 settembre 2013, n. 21729

 

Lavoro subordinato – Obbligo di astenersi dalla concorrenza – Applicabilità dell’art. 2596 cod. civ. – Sebbene la legge non imponga al lavoratore parasubordinato un dovere di fedeltà, tuttavia il dovere di correttezza della parte in un rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.) e il dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.) vietano alla parte di un rapporto collaborativo di servirsene per nuocere all’altra, sì che l’obbligo di astenersi dalla concorrenza nel rapporto di lavoro parasubordinato non è riconducibile direttamente all’art.2125 cod. civ. – che disciplina il relativo patto per il lavoratore subordinato alla cessazione del contratto – ma, permeando come elemento connaturale ogni rapporto di collaborazione economica, rientra nella previsione dell’art. 2596 cod. civ. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto applicabile ad un rapporto di lavoro parasubordinato la disciplina del patto limitativo della concorrenza ex art. 2596 cod. civ., ricorrendone uno dei presupposti, previsti in via disgiuntiva, costituito dalla delimitazione ad una … continua a leggereCorte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 21 marzo 2013, n. 7141

 

Limitazione dell’attività contrattuale verso una serie indeterminata di soggetti, accidentalmente comprendenti anche la p.a. – Reato di turbata libertà degli incanti – Esclusione – Il patto di non concorrenza, concluso ai sensi dell’art. 2596 cod. civ. e destinato a fissare una limitazione all’attività contrattuale verso una serie indeterminata di soggetti, tra cui accidentalmente anche la P.A., non integra di per sé il reato di turbata libertà degli incanti, di cui all’art. 353 cod. pen. – nella parte in cui esso prevede un’intesa, più o meno clandestina, che ha come finalità esclusiva l’impedimento o la turbativa della gara o l’allontanamento degli offerenti ed il conseguente dolo, cioè la volontà consapevole di determinare uno dei predetti risultati con quei mezzi – né, quindi, appare viziato da nullità virtuale, ai sensi dell’art. 1418 cod. civ.; non é invero ammissibile, già per la sua previsione come obbligo legale accedente all’alienazione d’azienda (ex art. 2557 cod. civ.) ovvero al suo affitto (ex art. 2562 cod. civ.), ipotizzarne “a priori” la sua contrarietà a norme imperative in caso di contingente applicabilità a forme di partecipazione ad incanti pubblici, il che, in caso di impresa attiva esclusivamente o … continua a leggereCorte di Cassazione, Sezione 1 civile, Ordinanza 14 gennaio 2011, n. 813

 

Il diritto, previsto dall’art. 9 del r.d. 21 giugno 1942, n. 929 (e indi dall’art. 12, comma primo, lett. b, del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30), di continuare nell’uso del marchio non registrato, che importi notorietà puramente locale, ai fini della pubblicità, nei limiti della diffusione locale, nonostante la successiva registrazione di uno stesso marchio da parte di altro soggetto, comporta, per il principio di unitarietà dei segni distintivi espressamente stabilito dagli artt. 13 e 17, comma primo, lett. c), del citato r.d. n. 929 del 1942 (e indi dagli artt. 22 e 12 del d.lgs. n. 30 del 2005) — principio che rinviene la sua «ratio» nella tendenziale convergenza dei differenti segni verso una stessa finalità — che chi acquista il diritto su un segno utilizzato in una determinata funzione tipica (nella specie, di insegna) acquista il diritto sul medesimo anche in riferimento alla utilizzazione in funzioni ulteriori e diverse (nella specie, come ditta e in tabelloni pubblicitari), ferma restando l’estensione della tutela all’ambito territoriale raggiunto in riferimento all’uso fattone. — Cass. I, sent. 4405 del 28-2-2006

 

Esiste violazione del patto di non concorrenza disciplinato dall’art. 2596 cod. civ. quando l’obbligato intraprenda un’attività economica nell’ambito dello stesso mercato in cui opera l’imprenditore, che sia idonea a rivolgersi alla clientela immediata di questi, offrendo servizi che, pur non identici, siano parimenti idonei a soddisfare l’esigenza sottesa alla domanda che la clientela chiede di soddisfare. (In applicazione di tale principio di diritto, la S.C. ha ritenuto che avesse violato il patto di non concorrenza il soggetto che, già amministratore di una società di ristorazione, aveva assunto analoga carica societaria in una società di commercializzazione di buoni pasto). — Cass. Sez. L, sent. 988 del 21-1-2004

 

La previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all’arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative. Infatti la limitazione allo svolgimento della attività lavorativa deve essere contenuta — in base a quanto previsto dall’art. 1255 cod. civ., interpretato alla luce degli art. 4 e 35 della carta costituzionale, — entro limiti determinati di oggetto, tempo e luogo e compensata da un corrispettivo di natura altamente retributiva, con la conseguenza che è impossibile attribuire al datore di lavoro il potere unilaterale di incidere sulla durata temporale del vincolo o di caducare l’attribuzione patrimoniale pattuita. — Cass. Sez. L, sent. 9491 del 13-6-2003

 

È nullo, in quanto contrastante con l’ordine pubblico costituzionale (artt. 4 e 35 ), il patto di non concorrenza diretto, non già a limitare l’iniziativa economica privata altrui, ma a precludere in assoluto ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacità professionale nel settore economico di riferimento. — Cass. I, sent. 16026 del 19-12-2001

 

Nel contratto di somministrazione, alla clausola di esclusiva, di cui all’art. 1567 cod. civ., che non assuma una posizione prevalente nell’economia del contratto stesso, sino a staccarsi casualmente da esso e da far emergere un’autonoma funzione regolatrice della concorrenza, non si applica la disposizione dell’art. 2596 cod. civ., in tema di durata massima del patto di non concorrenza e, pertanto, va escluso che essa sia valida solo per cinque anni se pattuita per un periodo superiore. D’altra parte, se la clausola di esclusiva svolge una funzione autonoma di limitazione della concorrenza, non v’è evidentemente ragione perché i limiti temporali della sua validità, posti dall’art. 2596 cod. civ., si riflettano sulla durata del contratto di somministrazione; ove, invece, tale autonomia sia esclusa, alla intervenuta proroga tacita del contratto non può non essere ricollegata, in difetto di una diversa volontà delle parti, la proroga dell’efficacia della clausola di esclusiva per l’intera durata del contratto stesso. — Cass. 4-2-2000, n. 1238

 

La qualificazione come disponibili o non disponibili, ai fini della compromettibilità in arbitri rituali delle relative controversie, dei diritti incisi da un accordo concluso, prima dell’entrata in vigore della legge 10 ottobre 1990, n. 287, da due imprese per disciplinare la reciproca concorrenza, va valutata — dato che la legge del 1990 non contiene alcuna disposizione transitoria o, comunque derogatoria del principio di irretroattività — alla luce del diritto previgente e in particolare dell’art. 2596 cod. civ., il quale, nel porre limiti alla libertà di iniziativa economica sotto il profilo della disciplina dell’autolimitazione negoziale della concorrenza, non deroga al principio che la libertà di iniziativa economica privata garantita dall’art. 41, primo comma, Cost. (benché possa essere limitata a tutela di interessi individuali o della collettività, a norma dell’art. 42, secondo e terzo comma, Cost.) attiene a materia disponibile, in quanto espressione della libertà di scelta e di svolgimento delle attività economiche riconosciuta al soggetto privato in quanto tale. (Nella specie, proposta nel settembre 1991 da una delle imprese contraenti azione davanti alla Corte d’appello competente per territorio per la dichiarazione di nullità — per violazione prima della legge comunitaria antitrust e poi della legge n. 187 del 1990 — di accordo, stipulato nel 1989, relativo alla ripartizione delle quote di mercato, alle condizioni da praticare alla clientela e alla costituzione di una società per l’acquisto di un’azienda concorrente, la S.C., in sede di regolamento di competenza, ha dichiarato la competenza degli arbitri, in applicazione della clausola compromissoria relativa alle controversie nascenti dal contratto, con salvezza della possibilità del giudice arbitrale di sindacare la validità o l’efficacia del contratto o di sue specifiche clausole). — Cass. 21-8-96, n. 7733

 

Il patto tra produttore e rivenditore con il quale è fatto divieto a quest’ultimo di vendere i prodotti ad un prezzo inferiore a quello prefissato (cosiddetta clausola del ricarico minimo o del minimo prezzo di rivendita) non può ricondursi nell’ambito della normativa sulla restrizione convenzionale della concorrenza, operando la normativa di cui all’art. 2596 cod. civ. di norma tra soggetti che svolgono attività economiche contrapposte sullo stesso piano in senso orizzontale, mentre tra fabbricante e rivenditore può sorgere un rapporto di concorrenza solo in via mediata ed indiretta, poiché i due operatori economici non sono sullo stesso piano. — Cass. 23-5-94, n. 5024

 

La norma di cui al capoverso dell’art. 2596 cod. civ., secondo cui se la durata del patto di non concorrenza non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio, fissa soltanto un termine oltre il quale i patti diretti a contenere la libertà di iniziativa economica tra imprenditori concorrenti perdono, per forza imperativa di legge, la loro validità, ma non implica che il vincolo, ove sia previsto in correlazione con uno specifico regime contrattuale che abbia, in virtù dell’originaria pattuizione e per sopraggiunta legittima riduzione, durata inferiore a cinque anni, debba rapportarsi al predetto termine massimo. — Cass. 2-6-92, n. 6707

 

Le norme sulla concorrenza sleale (artt. 2598 e seguenti cod. civ.) rappresentano un’applicazione specifica del dovere generico di non cagionare danni ingiusti ad altri (art. 2043 cod. civ.), riferita al campo della tutela dei prodotti dell’azienda e la violazione delle stesse comporta responsabilità extracontrattuale a carico del colpevole; quando, invece, il patto di non concorrenza è inserito in un contratto, la sua inosservanza dà luogo ad una responsabilità esclusivamente contrattuale. Ne consegue che la controversia insorta a seguito della violazione del patto di non concorrenza, inserito in un contratto di agenzia caratterizzato da un rapporto di parasubordinazione, configura una ipotesi di responsabilità contrattuale, che rientra nella competenza per materia del pretore in funzione di giudice del lavoro. — Cass. 28-2-92, n. 2501

 

Atteso il principio generale della libertà delle forme, la clausola di esclusiva inserita in contratti di vendita o di somministrazione, per i quali non sia richiesta la forma scritta, resta soggetta alla medesima disciplina formale del contratto nel suo complesso, talché non soggiace all’operatività dell’art. 2596 cod. civ. che impone tale forma, ad probationem, per il patto che limita la concorrenza. — Cass. 18-12-91, n. 13623

 

L’art. 2125 cod. civ., che disciplina il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del contratto, riguarda esclusivamente il rapporto di lavoro subordinato e, pertanto, non può applicarsi ad ipotesi diverse, come quella del rapporto di agenzia, dato che l’agente non è un lavoratore subordinato, ma (di norma) un imprenditore, essendo in tali ipotesi applicabile, invece, l’art. 2596 cod. civ., secondo cui il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto, deve essere circoscritto ad una determinata zona e non può eccedere la durata di cinque anni. — Cass. 24-8-91, n. 9118

 

Rientra nella competenza per materia del pretore quale giudice del lavoro, la domanda di condanna al risarcimento del danno per violazione, in epoca successiva alla cessazione del rapporto di lavoro o di agenzia, di un patto limitativo della concorrenza, quando questo, ancorchè perfezionato dopo la cessazione del rapporto predetto, sia funzionalmente collegato a tale pregresso rapporto ed alla regolamentazione di interessi derivante da detta cessazione. — Cass. 9-4-91, n. 3709

 

Al patto di non concorrenza per il tempo successivo alla risoluzione del contratto di agenzia commerciale non è applicabile la disposizione dell’art. 2125 cod civ., la cui disciplina, improntata a maggior rigore rispetto a quella dettata dall’art. 2596 cod. civ., non è estensibile a contratti diversi da quello di lavoro subordinato, ancorché caratterizzati dalla cosiddetta parasubordinazione. — Cass. 23-11-90, n. 11282

 

L’accordo intervenuto tra due imprese concorrenti, le quali al fine di impedire confusione tra i loro prodotti si impegnino a differenziare aspetti formali degli stessi (nella specie, misure di ponteggi metallici) senza interferire né sulla funzionalità né sull’estetica dei prodotti medesimi, non costituisce patto limitativo della concorrenza né ex artt. 85 e 86 del trattato CEE né ex art. 2596 cod. civ., in quanto tende ad assicurare alla concorrenza tra le due imprese un corretto svolgimento, eliminando i fattori di possibile turbamento, e non attribuendo ad alcuna delle parti posizioni di supremazia capaci di modificare il gioco concorrenziale. — Cass. 5-7-90, n. 7081

 

Non rientra nella competenza per materia del pretore quale giudice del lavoro la domanda di condanna al risarcimento del danno per violazione d’un patto limitativo della concorrenza, quando questo non si presenti funzionalmente ricollegato ad un pregresso rapporto di lavoro e sia perciò da ricondurre nell’ambito di applicazione dell’art. 2596 cod. civ. e non dell’art. 2125 cod. civ. — Cass. 28-12-88, n. 7074

 

L’art. 2596 cod. civ., che esclude l’efficacia ultraquinquennale dei limiti contrattuali alla concorrenza, non è applicabile al patto che tra due imprenditori regoli l’uso dei rispettivi segni distintivi, ampliando, relativamente a quanto dettato dalla legge, la sfera di rispetto che un imprenditore deve tenere e ciò perché il patto, tendendo ad evitare rischi pur minimi di confondibilità tra prodotti ed attività concorrenti, non diversamente dalle norme che regolano la materia dei segni distintivi propri, non realizza una limitazione della concorrenza, ma costituisce uno strumento per garantirne la legittima esplicazione. — Cass 10-12-88, n. 6715

 

Deve ritenersi valido, ai sensi dell’art. 2596 cod. civ., il patto di non concorrenza che faccia divieto ai contraenti di rifornirsi di una determinata merce presso determinati produttori allorquando tale riferimento comporti unicamente la funzione di delimitare le zone e le attività pattiziamente precluse. — Cass. 5-12-81, n. 6456

 

La clausola con la quale il titolare di un esercizio commerciale, ricevendo in uso gratuito un contenitore di merci (nella specie, frigorifero per gelati), si impegni non solo ad utilizzare detto contenitore per la rivendita delle merci del concedente, ma anche a non vendere prodotti diversi nel proprio esercizio, configura, per questa seconda parte, un patto limitativo della libertà contrattuale nei rapporti coi terzi. Tale patto, pertanto, ove contenuto in condizioni generali di contratto predisposte dall’altro contraente, è efficace solo se oggetto di specifica approvazione per iscritto, ai sensi dell’art. 1341, secondo comma, cod. civ. — Cass. 29-3-77, n. 1214

 

Le limitazioni alla concorrenza sono sottoposte al limite temporale quinquennale soltanto quando siano stipulate come pattuizioni a sé stanti, autonome e distinte da un rapporto contrattuale corrente tra le parti, mentre il limite non si applica quando tra il patto ed il contratto sussiste un collegamento causale in modo che il primo adempia alla stessa funzione economica del secondo. — Cass. 12-5-73, n. 1327

 

Scopo essenziale del cartello è quello di limitare la concorrenza reciproca tra imprenditori esercenti una medesima attività economica o attività economiche connesse. Sotto forme mutevoli, ma avanti il medesimo obiettivo, esso tende a disciplinare, sul terreno della competizione economica, attività imprenditoriali antagonistiche. Tale disciplina convenzionale può concernere la quantità o la qualità della produzione, le zone riservate alla penetrazione commerciale dei contraenti, i prezzi e altre condizioni delle vendite, e simili elementi o aspetti dell’attività produttiva o di scambio ma deve pur sempre riguardare la condotta economica delle parti nei riflessi che essa può avere nel campo della concorrenza, ossia nel campo in cui convengono e si scontrano attività imprenditoriali in effettivo o potenziale conflitto tra loro. Rimangono, pertanto, fuori dello schema del cartello tutti gli altri patti o accordi che non si propongono, come obiettivo sostanziale e finale, di limitare o, comunque, di contenere le attività competitive di imprese concorrenti, rispetto ai quali non possono, quindi, ricevere applicazione le limitazioni temporali sancite dall’art. 2596 cod. civ. (Nella specie, è stato ritenuto esulare dallo schema del cartello la convenzione con cui i comproprietari, nel procedere alla divisione di un fondo destinato ad attività estrattive, avevano stabilito specifiche clausole allo scopo di rendere possibile, eliminando reciproche interferenze, l’esercizio separato, nei due sottosuoli contigui, delle attività stesse, originariamente esplicate, mediante impianto ed attrezzature sanitarie, di un unico imprenditore). — Cass. 28-10-65, n. 2287