Articolo 1456 codice civile
Clausola risolutiva espressa
I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite.
In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva.
Giurisprudenza:
Credito fondiario mutuo concesso dall’inps (ex gestione inpdap) ai suoi iscritti – Applicazione analogica dell’art. 40, comma 2, d. lgs. n. 385 del 1993 – Esclusione – L’art. 40, comma 2 del T.U.B., che, in tema di mutui fondiari, definisce come inadempimento rilevante ai fini risolutori solo quello consistente nel ritardato pagamento verificatosi “almeno sette volte, anche non consecutive…tra il trentesimo giorno e il centottantesimo giorno dalla scadenza della rata”, è disposizione specifica che non è possibile estendere, in via interpretativa, alle prestazioni creditizie rese dall’INPS tramite il “Fondo della gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali” nei confronti dei dipendenti pubblici, che vi sono obbligatoriamente iscritti e che lo alimentano, tramite apposite trattenute stipendiali mensili, nell’ambito di un sistema non privo di connotazioni normative di socialità e previdenziali e, anche per questo, non assimilabile a quello propriamente bancario. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di merito che aveva dichiarato l’avvenuta risoluzione di un contratto di mutuo tra un pubblico dipendente e l’INPS in base alla clausola risolutiva espressa prevista nel contratto che prevedeva come causa di risoluzione “il mancato pagamento di due rate di ammortamento nel termine di novanta giorni dalla relativa scadenza”, ritenendo non applicabile in via analogica a tale contratto la disposizione di cui all’art. 40, comma 2 TUB). Cassazione Civile, Sezione 1, Sentenza 23-5-2022, n. 16587
Tolleranza del creditore – Rinuncia tacita ad avvalersene – Esclusione – In tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice non comporta la eliminazione della clausola, né determina la tacita rinuncia ad avvalersene, qualora la stessa parte creditrice, contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza, manifesti l’intenzione di volersene avvalere in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento, in quanto con tale manifestazione di volontà, che non richiede forme rituali e può desumersi per … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 5-5-2022, n. 14195
Risoluzione del rapporto di mutuo – Obblighi del mutuatario – Pagamento rate non ancora scadute – Computo degli interessi – In tema di mutuo fondiario, l’esercizio, da parte dell’istituto di credito mutuante, della condizione risolutiva prevista dall’art. 15 del d.P.R. n. 7 del 1976 (applicabile “ratione temporis” alla fattispecie) nell’ipotesi di inadempimento del mutuatario, determina la risoluzione del rapporto di mutuo, con la conseguenza che il mutuatario deve provvedere, oltre che al pagamento integrale delle rate già scadute (non travolte dalla risoluzione, che non opera retroattivamente nei contratti di durata), alla immediata restituzione della quota di capitale ancora dovuta, ma non al pagamento degli interessi conglobati nelle rate a scadere, dovendosi calcolare, sul credito così determinato, gli interessi di mora ad un tasso corrispondente a quello contrattualmente pattuito, se superiore al … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 4-1-2022, n. 96
Pronuncia giudiziale di risoluzione del contratto – Natura costitutiva o dichiarativa – Differenze – La pronuncia di risoluzione del contratto può avere natura costitutiva o meramente dichiarativa, in conseguenza della causa di scioglimento del rapporto prospettata ed accolta; in particolare, l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento ex art. 1453 c.c., è volta ad ottenere una pronuncia costitutiva diretta a sciogliere il vincolo contrattuale, previo accertamento da parte del giudice della gravità dell’inadempimento, e differisce perciò sostanzialmente dall’azione di risoluzione di cui agli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c., poiché in tali ipotesi l’azione intende conseguire una pronuncia dichiarativa dell’avvenuta risoluzione di diritto del contratto, a seguito del verificarsi di un … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione 6-2, Ordinanza 26-11-2021, n. 36918
Eccezione di inadempimento – In materia di clausola risolutiva espressa, anche quando la parte interessata abbia manifestato la volontà di avvalersene, il giudice deve valutare l’eccezione di inadempimento proposta dall’altra parte, attesa la pregiudizialità logica della stessa rispetto all’avverarsi degli effetti risolutivi che normalmente discendono in modo automatico, ai sensi dell’art. 1456 c.c., dall’accertamento di un inadempimento … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 12-10-2021, n. 27692
Inadempimenti non rientranti nella previsione della clausola risolutiva espressa – La stipulazione di una clausola risolutiva espressa non implica che il contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui ogni inadempimento di non scarsa rilevanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l’unica differenza che, per i casi già previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell’inadempimento non … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 3-9-2021, n. 23879
Mutuo di scopo – Per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell’inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate nello stesso o in altro atto o documento cui le parti abbiano fatto espresso riferimento, quale, nel caso di mutuo di scopo, la dichiarazione di essere nelle condizioni di fruire di un mutuo a … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 11-8-2021, n. 22725
Interessi usurari – Tasso di sostituzione – In tema di interessi usurari, il cd. “tasso di sostituzione”, previso dall’ art.1, comma 3, del d.l. n. 394 del 2000 (conv., con modif., dalla l. n.24 del 2001), di interpretazione autentica della disciplina contenuta nella l. n. 108 del 1996, si applica, a norma del comma 2 del medesimo articolo, ai mutui a tasso fisso “in essere” alla data della sua entrata in vigore; pertanto esso non può essere invocato in relazione ai contratti precedentemente risolti o receduti, in cui residuano soltanto obbligazioni restitutorie immediatamente esigibili, rispetto alle quali non vi è spazio per interventi manutentivi del regolamento contrattuale, quale quello costituito dal predetto “tasso di sostituzione”. (Fattispecie relativa a contratto di mutuo fondiario risolto prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 394 del 2000, in seguito ad avvalimento di clausola risolutiva espressa, ex art. 1456 c.c., da parte del … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 16-02-2021, n. 4033
Locazione – Prassi di tolleranza del ritardo nel pagamento dei canoni locativi – La valutazione sull’esistenza, o meno, di una prassi di tolleranza del ritardo nel pagamento dei canoni locativi costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità ed il mancato esercizio, da parte del locatore, del potere potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per l’inadempimento del locatario, in virtù della previsione di una clausola risolutiva espressa, è l’effetto conformante della buona fede nella fase esecutiva del detto contratto; pertanto, il rispetto di tale principio impone che lo stesso locatore, contestualmente o anche successivamente all’atto di tolleranza, manifesti la sua volontà di avvalersi della menzionata clausola risolutiva espressa in caso di … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 08-07-2020, n. 14240
Contratto preliminare di vendita – Ignoranza da parte del promissario acquirente dell’altruità del bene – L’art. 1479, comma 1, c.c. non è applicabile al contratto preliminare di vendita perché, indipendentemente dalla conoscenza da parte del promissario compratore dell’altruità del bene, fino alla scadenza del termine per stipulare il contratto definitivo il promittente venditore può adempiere all’obbligo di procurargliene l’acquisto; seppure ignaro dell’altruità della cosa, il promissario acquirente, quindi, non può chiedere la risoluzione del contratto prima della scadenza del termine, ma, per converso, lo stesso non è inadempiente se, nonostante la maturazione del termine previsto per la stipula del contratto, il promittente venditore non sia ancora proprietario del bene. Ne discende che quest’ultimo non può in tale situazione avvalersi della clausola risolutiva espressa eventualmente pattuita per il caso di inutile decorso del termine, mancando l’essenziale condizione dell’inadempimento del promissario. Cass. 16-01-2020, n. 787
Configurabilità della clausola risolutiva espressa – Per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell’inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, costituendo una clausola di stile quella redatta con generico riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contratto; in tale ultimo caso, pertanto, l’inadempimento non risolve di diritto il contratto, sicché di esso deve essere valutata l’importanza in relazione alla economia del contratto stesso, non essendo sufficiente l’accertamento della sola colpa, come previsto, invece, in presenza di una valida clausola risolutiva espressa. Cass. 12-12-2019, n. 32681
Valutazione del giudice della gravità dell’inadempimento – La pattuizione di una clausola risolutiva espressa esclude che la gravità dell’inadempimento possa essere valutata dal giudice nei casi già previsti dalle parti. Cass. 12-11-2019, n. 29301
Risoluzione del contratto di locazione di immobili urbani ad uso diverso da quello abitativo – In tema di risoluzione del contratto di locazione di immobili urbani ad uso diverso da quello abitativo, benché il criterio legale di predeterminazione della gravità dell’inadempimento ex art. 5 della l. n. 392 del 1978 non trovi diretta applicazione, esso può, comunque, essere considerato quale parametro di orientamento per valutare in concreto, ai sensi dell’art. 1455 c.c., se l’inadempimento del conduttore sia stato o meno di scarsa importanza. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto grave la mancata corresponsione del canone nei termini da parte del conduttore, attribuendo rilievo alla clausola risolutiva espressa pattuita tra le parti – nonostante il locatore non se ne fosse avvalso – poiché l’apposizione della stessa dimostrava come il ripetuto ritardo nei pagamenti non fosse stato tollerato, ma avesse inciso sull’equilibrio sinallagmatico del rapporto). Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 26-11-2019, n. 30730
Carattere vessatorio della clausola risolutiva espressa – Esclusione – La clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento della controparte, dispensandola dall’onere di provarne l’importanza. Essa non ha carattere vessatorio, atteso che non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dall’art. 1341, co. 2, c.c., neanche in relazione all’eventuale aggravamento delle condizioni di uno dei contraenti derivante dalla limitazione della facoltà di proporre eccezioni, in quanto la possibilità di chiedere la risoluzione è connessa alla stessa posizione di parte del contratto e la clausola risolutiva si limita soltanto a … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 5-7-2018, n. 17603
Risoluzione del contratto di locazione di immobili – Domanda ai sensi dell’art. 1453 cc e domanda di accertamento dell’avvenuta risoluzione “ope legis” di cui all’art. 1456 cc – In tema di risoluzione del contratto di locazione di immobili, perche la risoluzione stessa possa essere dichiarata sulla base di una clausola risolutiva espressa, è richiesta la specifica domanda, con la conseguenza che, una volta proposta l’ordinaria domanda ai sensi dell’art. 1453 c.c., con l’intimazione di sfratto per morosità, non è possibile mutarla in domanda di accertamento dell’avvenuta risoluzione “ope legis” di cui all’art. 1456 c.c., in quanto quest’ultima è autologicamente diversa dalla prima, sia per quanto concerne il “petitum”, – perchè con la domanda di risoluzione ai sensi dell’art. 1453, si chiede una sentenza costitutiva mentre quella di cui all’art. 1456, postula una … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 24 maggio 2016, n. 10691
Nullità della clausola risolutiva espressa per indeterminatezza dell’oggetto – La clausola risolutiva espressa presuppone che le parti abbiano previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell’inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, sicché la clausola che attribuisca ad uno dei contraenti la facoltà di dichiarare risolto il contratto per “gravi e reiterate violazioni” dell’altro contraente “a tutti gli obblighi” da esso discendenti va ritenuta nulla per indeterminatezza dell’oggetto, in quanto detta locuzione nulla aggiunge in termini di determinazione delle obbligazioni il cui inadempimento può dar luogo alla risoluzione del contratto e rimette in via esclusiva ad … continua a leggere ► Corte di Cassazione, Sezione 6 civile, Ordinanza 11 marzo 2016, n. 4796
Natura e portata della clausola – In tema di contratti, la condizione risolutiva postula che le parti subordinino la risoluzione del contratto, o di un singolo patto, ad un evento, futuro ed incerto, il cui verificarsi priva di effetti il negozio ab origine, laddove, invece, con la clausola risolutiva espressa, le stesse prevedono lo scioglimento del contratto qualora una determinata obbligazione non venga adempiuta affatto o lo sia secondo modalità diverse da quelle prestabilite, sicché la risoluzione opera di diritto ove il contraente non inadempiente dichiari di volersene avvalere, senza necessità di provare la … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione II, Sentenza 02-10-2014, n. 20854
Il mancato pagamento di una sola rata, o anche il semplice ritardo nel versamento, può giustificare la risoluzione del contratto di locazione se previsto da una … continua a leggere ► Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 22 settembre 2014, n. 19865
L’azione di risoluzione del contratto ex art. 1456 cod. civ. tende ad una pronuncia di mero accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto a seguito dell’inadempimento di una delle parti previsto come determinante per la sorte del rapporto, in conseguenza dell’esplicita dichiarazione dell’altra parte di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, differendo tale azione da quella ordinaria di risoluzione per inadempimento per colpa ex art. 1453 cod. civ., che ha natura costitutiva. Ne consegue che, in caso di fallimento del locatario, l’effetto risolutivo del contratto (nella specie, di locazione finanziaria) deve ritenersi già verificato ove la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa sia stata comunicata anteriormente alla data della sentenza di fallimento, spettando … continua a leggere ► Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Sentenza 18 aprile 2013, n. 9488
Nelle locazioni di immobili ad uso diverso dall’abitazione, alle quali non si applica la disciplina di cui all’art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392, l’offerta o il pagamento del canone (che, se effettuati dopo l’intimazione di sfratto, non consentono l’emissione, ai sensi dell’art. 665 cod. proc. civ., del provvedimento interinale di rilascio con riserva delle eccezioni, per l’insussistenza della persistente morosità di cui all’art. 663, terzo comma, cod. proc. civ.), nel giudizio susseguente a cognizione piena, non comportano l’inoperatività della clausola risolutiva espressa, in quanto, ai sensi dell’art. 1453, terzo comma, cod. civ., dalla data della domanda – che é quella già avanzata ex art. 657 cod. proc. civ. con l’intimazione di sfratto, introduttiva della causa di risoluzione del … continua a leggere ► Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 31 maggio 2010, n. 13248
In tema di risoluzione dei contratti, una volta che la parte interessata, in modo esplicito e inequivoco, non invochi, nella comunicazione inviata alla controparte, la facoltà di avvalersi della clausola risolutiva espressa nel contratto vincolante e vigente tra le parti, la successiva dichiarazione di avvalersi di essa, espressa in relazione all’inadempimento del conduttore, non ha più alcuna rilevanza, anche se contenuta nell’atto introduttivo del … continua a leggere ► Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 17 dicembre 2009, n. 26508
In tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione (giudiziale o di diritto) ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra (o pagamento del doppio), avuto riguardo – oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all’irrinunciabilità dell’effetto conseguente alla risoluzione di diritto – all’incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento: la funzione della caparra, consistendo in una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, risulterebbe infatti frustrata se alla parte che abbia preferito affrontare gli oneri connessi all’azione risarcitoria per ottenere un ristoro patrimoniale più cospicuo fosse consentito – in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che vieta qualsiasi forma di abuso processuale – di modificare la propria strategia difensiva, quando i risultati non corrispondano alle sue aspettative. — Sez. Un., sent. 553 del 14-1-2009
In tema di contratti, la clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per l’inadempimento di controparte senza doverne provare l’importanza, sicché la risoluzione del contratto per il verificarsi del fatto considerato non può essere pronunziata d’ufficio, ma solo se la parte nel cui interesse la clausola è stata inserita nel contratto dichiara di volersene avvalere. — Cass. I, sent. 16993 del 1-8-2007
In tema di risoluzione dei contratti, costituisce rinuncia all’effetto risolutivo il comportamento del contraente che, dopo essersi avvalso della clausola risolutiva espressa, manifesti in modo inequivoco l’interesse alla tardiva esecuzione del contratto. — Cass. I, sent. 16993 del 1-8-2007
La clausola risolutiva espressa non comporta automaticamente lo scioglimento del contratto a seguito del previsto inadempimento, essendo sempre necessario, per l’articolo 1218 cod. civ., l’accertamento dell’imputabilità dell’inadempimento al debitore almeno a titolo di colpa. — Cass. III, sent. 2553 del 6-2-2007
L’azione di risoluzione del contratto per inadempimento, ex art. 1453 cod. civ., tendendo ad una pronuncia costitutiva diretta a sciogliere il vincolo contrattuale previo accertamento da parte del giudice della gravità dell’inadempimento, differisce sostanzialmente dall’azione di risoluzione di cui all’art. 1456 cod. civ., tendente ad una pronuncia dichiarativa dell’avvenuta risoluzione di diritto a seguito del verificarsi di un fatto obiettivo (nel caso di specie, mancata stipula del contratto definitivo nel termine convenuto) previsto dalle parti come determinante per la sorte del rapporto. Ne consegue che, ove la domanda di risoluzione ex art. 1453 cod. civ.sia stata proposta per la prima volta in appello, deve considerarsi domanda nuova, e pertanto preclusa a norma dell’art. 345 cod.proc.civ. — Cass. II, sent. 423 del 12-1-2007
La domanda di risoluzione del contratto per inadempimento ha presupposti di fatto e di diritto, nonché contenuto, diversi dalla domanda di accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto in conseguenza della dichiarazione di una parte all’altra della sua volontà di valersi della pattuita clausola risolutiva espressa. Conseguentemente, viola il principio del contraddittorio (art. 829, primo comma, numero 9, cod. proc. civ.), sotto il profilo dell’osservanza della regola della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, con conseguente nullità del lodo, il collegio arbitrale che sostituisca la domanda di risoluzione giudiziale a quella di accertamento della risoluzione a norma dell’art. 1456 cod. civ. — Cass. I, sent. 2599 del 7-2-2006
Nell’ambito dell’autonomia privata, le parti possono prevedere l’adempimento o l’inadempimento di una di esse quale evento condizionante l’efficacia del contratto in senso sospensivo o risolutivo, sicché non configura una illegittima condizione meramente potestativa la pattuizione che fa dipendere dal comportamento -adempiente o meno- della parte l’effetto risolutivo del negozio, e ciò non solo per l’efficacia (risolutiva e non sospensiva) del verificarsi dell’evento, ma anche perché, in base a tale clausola, l’efficacia della condizione risolutiva così convenzionalmente stabilita la cui operatività è rimessa a una valutazione ponderata degli interessi della stessa parte -non è subordinata a una scelta arbitraria della medesima;d’altra parte, la condizione risolutiva, in quanto prescinde dalla colpa dell’inadempimento, è compatibile con la previsione di una penale, giacché le parti possono stabilire che la condizione sia posta nell’esclusivo interesse di uno soltanto dei contraenti, occorrendo al riguardo una espressa clausola (o quanto meno una serie di elementi idonei ad indurre il convincimento che l’altra parte non abbia alcun interesse); pertanto, la parte, nel cui interesse è posta la condizione, ha facoltà di rinunziarvi sia prima che dopo l’avveramento o il non avveramento di essa, senza che, comunque, l’altra parte possa ostacolarne la volontà. (Nella specie, è stato ritenuto che configurasse una condizione risolutiva, e non una clausola risolutiva espressa, la pattuizione con cui le parti avevano previsto, nell’interesse esclusivo del vitaliziato, la risoluzione del contratto di rendita vitalizia nel caso di mancato pagamento da parte del vitaliziante di due rate). — Cass. II, sent. 24299 del 15-11-2006
In materia di mutuo fondiario disciplinato, «ratione temporis», dal d.P.R. n. 7 del 1976, la notificazione da parte della banca di atto di precetto al mutuatario inadempiente per il pagamento del credito vantato, anche residuo, comporta la risoluzione del contratto, in quanto con questo atto la banca manifesta la propria volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa prevista dell’art. 15 d.P.R. cit., dovendo essere così qualificata quella testualmente indicata dalla norma come «condizione risolutiva», essendo compatibile la risoluzione sia con la previsione, ex art. 41, r.d. n. 646 del 1905, della maturazione di rate di mutuo dopo l’immissione della banca nel possesso dell’immobile, poiché questa si configura come rimedio a sé, distinto dalla esecuzione forzata ed alla medesima non necessariamente connesso, sia con la facoltà dell’aggiudicatario dell’immobile esitato di «approfittare» del mutuo (art. 61 e 62 r.d. cit.), che ripristina il contratto già sciolto; peraltro, la risoluzione neppure compromette l’equilibrio economico tra provvista mediante l’emissione di obbligazioni dei mezzi necessari all’erogazione del credito e concessione del mutuo, poiché sul capitale residuo continuano a maturare gli interessi al tasso convenzionale, in quanto il contratto di mutuo costituisce un contratto di durata e, quindi, la risoluzione opera per il futuro, determinando l’anticipata scadenza dell’obbligazione di rimborso del capitale, ferma l’applicabilità, nel caso di ritardo nel pagamento, degli interessi di mora al tasso convenuto ex art. 1224 cod. civ., restando invece escluso il riconoscimento dei medesimi interessi sulle rate a scadere che comprendono, oltre alla quota capitale anche gli interessi corrispettivi, in virtù dell’anatocismo legale previsto dall’art. 14, d.P.R. n. 7 del 1976. — Cass. I, sent. 20449 del 21-10-2005
In tema di risoluzione del contratto di locazione di immobili, perché la risoluzione stessa possa essere dichiarata sulla base di una clausola risolutiva espressa, è richiesta la specifica domanda, con la conseguenza che, una volta proposta l’ordinaria domanda ai sensi dell’articolo 1453 cod. civ., con l’intimazione di sfratto per morosità, non è possibile mutarla in domanda di accertamento dell’avvenuta risoluzione «ope legis» di cui all’articolo 1456 cod. civ., in quanto quest’ultima è autologicamente diversa dalla prima, sia per quanto concerne il «petitum», — perché con la domanda di risoluzione ai sensi dell’articolo 1453 si chiede una sentenza costitutiva mentre quella di cui all’articolo 1456 postula una sentenza dichiarativa — sia per quanto concerne la «causa petendi» — perché nella ordinaria domanda di risoluzione, ai sensi dell’articolo 1453, il fatto costitutivo è l’inadempimento grave e colpevole, nell’altra, viceversa, la violazione della clausola risolutiva espressa.— Cass. III, sent. 24207 del 14-11-2006
La clausola risolutiva espressa non può essere ricondotta tra quelle che sanciscono limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, aggravando la condizione di uno dei contraenti, perché la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto è insita nel contratto stesso e tale clausola non fa che rafforzare detta facoltà ed accelerare la risoluzione, avendo le parti anticipatamente valutato l’importanza di un determinato inadempimento, e quindi eliminato la necessità di un’indagine «ad hoc» avuto riguardo all’interesse dell’altra parte. Ciò non esclude che un inadempimento della controparte successivo alla stipulazione del contratto e non collegato a quello sancito dalla clausola risolutiva espressa non possa portare il giudice a considerare paralizzata l’efficacia della clausola stessa. — Cass. III, sent. 20818 del 26-9-2006
La clausola risolutiva espressa non può essere ricondotta tra quelle di cui all’art. 1341, secondo comma, cod. civ., neanche sotto il profilo della limitazione alla facoltà di opporre eccezioni, aggravando la condizione di uno dei contraenti, perché la facoltà di richiedere la risoluzione del contratto è insita nel contratto stesso, a norma dell’art. 1453 cod.civ, . per l’ipotesi d’inadempimento e la relativa clausola non fa che rafforzare tale facoltà a mezzo della anticipata valutazione dell’importanza di un determinato inadempimento. — Cass. III, sent. 16253 del 3-8-2005
In tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo (accettazione di un pagamento parziale o tardivo) non determina l’eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia od avvalersene, ove la parte creditrice contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza manifesti l’intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento; la tolleranza può invece incidere sulla posizione soggettiva del debitore, escludendone la colpa, specialmente ove si accompagni ad una regolamentazione pattizia degli interessi prevista proprio per i ritardi nei pagamenti (Fattispecie relativa a mancato pagamento di canoni di contratto di «leasing», nonostante solleciti di pagamento). — Cass. III, sent. 15026 del 15-7-2005
Il rapporto di mutuo concesso in base alle disposizioni sul credito fondiario non si estingue per effetto della dichiarazione dell’istituto mutuante di volersi avvalere della condizione risolutiva prevista dall’art. 15 del d.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7 e perdura fino al momento in cui il mutuatario adempie completamente le proprie obbligazioni, con la conseguenza che durante tale periodo gli interessi convenzionali, ancorché convertiti in interessi di mora, continuano a decorrere al tasso pattuito. — Cass. III, sent. 14584 del 12-7-2005
In tema di clausola risolutiva espressa, la dichiarazione del creditore della prestazione inadempiuta di volersi avvalere dell’effetto risolutivo di diritto di cui all’art. 1456 cod. civ. non deve essere necessariamente contenuta in un atto stragiudiziale precedente alla lite, potendo essa per converso manifestarsi, del tutto legittimamente, con lo stesso atto di citazione o con altro atto processuale ad esso equiparato. — Cass. III, sent. 9275 del 4-5-2005
Il conduttore d’immobile destinato ad uso non abitativo non ha di regola l’obbligo di usare il bene locato ad eccezione dei casi in cui il contratto abbia ad oggetto una cosa produttiva o un bene il cui uso sia necessario alla sua conservazione, ovvero quando il prolungato non uso potrebbe provocare un deprezzamento del valore di mercato del bene locato (sia ai fini della locazione, sia ai fini della vendita del diritto di proprietà, sia con riferimento ad altri possibili usi). Nelle suddette ipotesi, come in quella in cui un determinato uso della cosa sia stato specificamente assunto come obbligatorio tra le parti nel sinallagma contrattuale, il giudice di merito deve valutare il non uso della cosa locata posto a base della domanda di risoluzione contrattuale, non ai sensi dell’art. 80 legge equo canone, che contempla il caso d’unilaterale mutamento d’uso dell’immobile locato, bensì alla stregua dei criteri generali in tema d’inadempimento contrattuale, per stabilire se e in che limiti questo sussista (ed in particolare, qualora sussista, quale importanza rivesta ai sensi dell’art. 1455 cod. civ.). — Cass. III, sent. 4753 del 4-3-2005
La clausola risolutiva espressa può essere fatta valere in via di azione o di eccezione: nel primo caso, ove accerti la ricorrenza delle condizioni richieste, il giudice è tenuto a pronunziare la risoluzione; nel secondo, deve invece limitarsi a rigettare la domanda in relazione alla quale l’eccezione risulta proposta. — Cass. III, sent. 167 del 5-1-2005
In tema di contratti, la clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per l’inadempimento di controparte senza doverne provare l’importanza risoluzione che non può essere pertanto pronunziata d’ufficio, ma solo se la parte nel cui interesse la clausola è stata inserita nel contratto dichiara di volersene avvalere, con manifestazione volontaria recettizia che, in assenza di espressa previsione formale, può essere resa in ogni modo idoneo, anche implicito, purché inequivocabile, ed in particolare può essere contenuta anche in un atto giudiziale, senza che ne sia in tal caso necessaria la preventiva formulazione in via stragiudiziale. — Cass. III, sent. 167 del 5-1-2005
L’azione di risoluzione del contratto in applicazione dell’art. 1456 cod. civ. tende ad una pronuncia dichiarativa dell’avvenuta risoluzione di diritto a seguito dell’inadempimento di una delle parti previsto come determinante per la sorte del rapporto, in conseguenza dell’esplicita dichiarazione dell’altra parte di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa. Tale azione, per presupposti, carattere, natura, differisce sostanzialmente dall’azione ordinaria di risoluzione per inadempimento per colpa ex art. 1453 cod. civ., la quale tende invece ad una pronuncia costitutiva diretta a sciogliere il vincolo contrattuale, previo accertamento ad opera del giudice della gravità dell’inadempimento. Ne consegue che, proposta in primo grado domanda di risoluzione ex art. 1453, la domanda di risoluzione ai sensi dell’art. 1456 cit. è inammissibile se, introdotta nel corso del giudizio di primo grado, su di essa non vi sia accettazione del contraddittorio; e ove proposta per la prima volta in appello deve considerarsi nuova, e pertanto preclusa a norma dell’art. 345 cod. proc. civ. — Cass. III, sent. 167 del 5-1-2005
Con riferimento all’azione di risoluzione del contratto in applicazione dell’art. 1456 cod. civ., la efficacia della calusola risolutiva espressa e la natura dichiarativa dell’azione, che implica il mero accertamento delle inadempienze, rendono insindacabile la valutazione del giudice di merito circa la sussistenza delle stesse, ove sorretta da motivazione priva di vizi logici e giuridici. — Cass. III, sent. 23625 del 20-12-2004
A norma dell’art. 1456 cod. civ., quando le parti hanno convenuto che il contratto si risolva nel caso in cui una determinata obbligazione non sia adempiuta, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata, a seguito dell’inadempimento, dichiara all’altra che intende avvalersi della clausola risolutiva espressa; nel caso in cui,invece,la parte interessata non si limiti ad un comportamento di mera tolleranza di fronte all’inadempimento, ma rinunci, sia pur implicitamente, alla possibilità di avvalersi di tale clausola, una successiva dichiarazione di avvalersi della clausola risolutiva espressa in relazione a quello stesso inadempimento non ha più alcuna rilevanza, anche se contenuta nell’atto introduttivo del relativo giudizio. — Cass. III, sent. 20595 del 22-10-2004
In un contratto a prestazioni corrispettive, qualora la rinunzia all’azione di risoluzione venga ravvisata in un comportamento di effettiva esecuzione del contratto, posto in essere dal rinunziante ed accettato dall’altra parte, non assume rilievo la regola prevista dall’art. 1453, terzo comma, cod. civ., secondo cui il debitore inadempiente non può più adempiere dopo che sia stata chiesta la risoluzione, poiché si tratta di norma a carattere dispositivo. Pertanto, nulla vieta che il creditore, nell’ambito delle facoltà connesse all’esercizio dell’autonomia privata, possa accettare l’adempimento della prestazione, successivo alla domanda di risoluzione, rinunciando agli effetti della stessa, anche quando questa si sia già verificata per una delle cause previste dalla legge (artt. 1454, 1455, 1457 cod. civ.), o per effetto di pronuncia giudiziale (art. 1453 cod. civ.). — Cass. II, sent. 11967 del 28-6-2004
Qualora con il medesimo atto il venditore abbia alienato distinte porzioni di un lotto di terreno rispettivamente a due diversi acquirenti, che si siano impegnati a costruire un unico edificio sull’area complessiva acquistata mentre la contestualità delle varie manifestazioni di volontà rese nel medesimo documento di per sé non implica che le alienazioni abbiano dato luogo a un solo contratto o a contratti collegati, ben potendo essere stipulati con un unico atto negozi fra loro autonomi e distinti, l’assunzione di un’obbligazione comune — da adempiersi necessariamente con la cooperazione da parte di tutti gli acquirenti, ed al cui proposito sia stata anche pattuita clausola risolutiva espressa nel caso di inadempimento — comporta, per la convergenza e la fusione in un intento comune delle varie manifestazioni di volontà, che le vendite separate debbano intendersi congiunte, per volontà delle parti, in uno stesso negozio, in considerazione anche dell’inserzione in ognuna di esse di un elemento comune subordinantene simultaneamente il perdurare dell’efficacia. Ne consegue che, in relazione alla domanda di risoluzione del contratto proposta dal venditore per il verificarsi della clausola risolutiva, sussiste il litisconsorzio necessario fra gli acquirenti, atteso che — stante l’unicità del rapporto — la dichiarazione giudiziale dell’avvenuto avveramento della condizione, incidendo su entrambe le alienazioni, deve essere pronunciata nei confronti di tutti gli acquirenti. — Cass. II, sent. 10142 del 26-5-2004
L’azione di risoluzione del contratto ex art. 1456 cod. civ., tendendo ad una pronuncia dichiarativa della avvenuta risoluzione di diritto a seguito di inadempimento previsto come determinante per la sorte del rapporto, ha presupposti, caratteri e natura sostanzialmente diversi dalla azione ordinaria di risoluzione ex art. 1453 cod. civ., che tende invece ad una azione costitutiva, previo accertamento ad opera del giudice della gravità dell’inadempimento; ne consegue che, qualora delle due domande una sia stata proposta per la prima volta in appello, essa deve considerarsi nuova. — Cass. III, sent. 19051 del 12-12-2003
Nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonché del provvedimento in concreto richiesto (nella specie, la S.C. ha ritenuto che il giudice di merito avesse adeguatamente motivato qualificando la domanda proposta come di risoluzione ordinaria, ex art. 1453 cod. civ., e non come domanda di risoluzione automatica del contratto per effetto di una clausola risolutiva espressa asseritamente inserita nel contratto di transazione del quale si chiedeva la risoluzione, ma ivi non reperita dal giudice). — Cass. III, sent. 19051 del 12-12-2003
La volontà di risolvere un contratto per inadempimento non deve necessariamente risultare da una domanda espressamente proposta dalla parte in giudizio, ma può essere implicitamente contenuta in altra domanda, eccezione o richiesta, sia pure di diverso contenuto, ferma restando la necessità che, nel rito del lavoro, qualora la relativa domanda sia proposta nella memoria di costituzione, nella medesima siano esposti i fatti e gli elementi di diritto sui quali essa si fonda (Nella specie, concernente la domanda per l’accertamento della illegittimità della risoluzione di un contratto di agenzia, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva escluso che la società convenuta avesse proposto domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, in quanto nella memoria di costituzione aveva fatto esclusivo riferimento alla clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto, dimostrando in tal modo di volere far valere soltanto l’asserita sopravvenuta risoluzione di diritto del contratto). — Cass. Sez. L, sent. 12555 del 27-8-2003
In tema di contratti, la clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per l’inadempimento di controparte senza doverne provare l’importanza e la risoluzione del contratto per il verificarsi del fatto considerato, come in genere la risoluzione per inadempimento, non può dunque essere pronunciata d’ufficio, ma solo se la parte nel cui interesse la clausola è stata inserita nel contratto dichiari di volersene avvalere. Differentemente, la risoluzione consensuale, o la sopravvenuta impossibilità della prestazione, che determinano automaticamente il venir meno del contratto, rappresentando fatti oggettivamente estintivi dei diritti nascenti da esso, possono essere accertati d’ufficio dal giudice. — Cass. II, sent. 10935 del 11-7-2003
Contratto di locazione – Divieto d’innovazione – Allorché le parti del contratto del contratto di locazione, nell’ambito dei propri poteri di autonomia contrattuale, abbiano convenzionalmente stabilito, per quanto attiene all’uso della cosa locata, il divieto di ogni forma di innovazione, consentita solo con il consenso (scritto o orale) del locatore, ove il locatore si sia avvalso, ai sensi dell’art. 1456 cod. civ., della clausola risolutiva espressa, il giudice – chiamato ad accertare l’avvenuta risoluzione del contratto per l’inadempimento convenzionalmente sanzionato – non è tenuto ad effettuare alcuna indagine sulla gravità dell’inadempimento stesso, giacché, avendo le parti preventivamente valutato che l’innovazione o la modifica dell’immobile locato comporta … continua a leggere ► Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 7-3-2001, n. 3343