Ordinanza 5204/2017
Liquidazione del compenso ausiliari del giudice – Autorizzazione del CTU a giovarsi di altri prestatori d’opera – Presupposto per la liquidazione di autonomo compenso a favore dell’ausiliare
In tema di liquidazione di compensi agli ausiliari del giudice, ove il consulente tecnico sia stato autorizzato dal giudice ad avvalersi dell’ausilio di altri prestatori d’opera per attività strumentale rispetto ai quesiti posti con l’incarico, la spesa per l’opera dell’ausiliare va inclusa, in base all’art. 56, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 115 del 2002, tra quelle di cui il giudice dispone il rimborso a favore del consulente tecnico, sia pure sulla base delle tabelle di cui all’articolo 50 del medesimo decreto, potendosi procedere alla liquidazione di un autonomo compenso a favore dell’ausiliare solo quando i giudice abbia conferito a quest’ultimo uno specifico incarico, in considerazione dell’autonomia delle prestazioni al medesimo richieste.
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Ordinanza 28 febbraio 2017, n. 5204 (CED Cassazione 2017)
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
(OMISSIS) evocava dinanzi al Giudice di Pace di Benevento l’Amministrazione giudiziaria della (OMISSIS) S.p.A., chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 1.631,68, che assumeva essergli dovuta per lo svolgimento dell’attività di coadiutore della convenuta, nell’attuazione della misura del sequestro giudiziario di un impianto di distribuzione carburanti in (OMISSIS), per il periodo dall’8 al 14 giugno 2007.
Il giudice adito rigettava la domanda ritenendo che l’attore rivestiva la qualità di ausiliario del giudice, e che pertanto le sue spettanze dovevano essere liquidate in base alle previsioni del TU delle spese di giustizia.
A seguito di appello proposto dallo (OMISSIS), il Tribunale di Benevento con la sentenza n. 1913 del 12/11/2012, riformava la decisione di primo grado, e condannava la convenuta al pagamento in favore dell’attore della somma di Euro 1.123,68, oltre interessi sulla somma totale di Euro 1631,68 dalla mora al parziale pagamento e sulla somma residua sino al saldo.
Rilevava il giudice di appello che l’appellante non era stato nominato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che aveva provveduto alla nomina dell’amministrazione giudiziaria, ma direttamente da quest’ultima, che aveva ritenuto opportuno avvalersi di un collaboratore per le attività necessarie all’esecuzione del sequestro.
L’attore quindi aveva correttamente richiesto il compenso all’amministrazione giudiziaria, la quale aveva a sua volta richiesto al Tribunale di essere autorizzata a pagare quanto richiesto dallo (OMISSIS).
Tuttavia nella fattispecie l’appellante non è un ausiliario del giudice, ma poichè la sua nomina era stata autorizzata in favore della convenuta dall’autorità giudiziaria, ciò permetteva alla prima di poter ottenere il rimborso del compenso per l’attività svolta dai propri collaboratori, senza che fosse stato instaurato un rapporto diretto con il giudice.
Ne conseguiva quindi che non vi era alcun onere di impugnare il decreto di liquidazione, non potendo l’attore essere penalizzato dal fatto che l’amministrazione giudiziaria avesse richiesto il rimborso di una somma inferiore rispetto a quella richiestale.
Quanto all’ammontare del compenso, rilevava che lo stesso era stato determinato in base Alla L. n. 319 del 1980, articoli 4 e 5 e successive modifiche e non risultava contestato relativamente ai criteri di determinazione.
Inoltre l’attività risultava provata dalla documentazione allegata, che imponeva di ritenere congrua la cifra richiesta, dalla quale andava in ogni caso detratto quanto già ricevuto a titolo di acconto.
Avverso tale provvedimento propone ricorso l’Amministrazione Giudiziaria della (OMISSIS) S.p.A. sulla base di due motivi.
(OMISSIS) resiste con controricorso.
Preliminarmente devono essere disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla difesa del resistente, posto che ad avviso del Collegio risultano rispettate le previsioni di cui dell’articolo 366 c.p.c., nn. 3 e 4.
Il primo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 3, 168 e 170, in relazione all’articolo 68 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Si sostiene che in realtà l’attore era da ritenersi correttamente un ausiliario del giudice, in quanto la sua nomina discendeva da un provvedimento dell’autorità giudiziaria.
Infatti gli amministratori giudiziari, dovendo acquisire la disponibilità di numerosi impianti di distribuzione di carburanti, erano stati autorizzati dal Tribunale a nominare ausiliari e collaboratori da delegare ai fini dell’attuazione del provvedimento, senza obbligo di preventiva indicazione e con semplice onere di comunicazione postuma.
In esecuzione di tale provvedimento era stato quindi nominato lo (OMISSIS), il cui compenso avrebbe dovuto quindi essere liquidato da parte del giudice. Ed, infatti, gli amministratori avevano successivamente chiesto al Tribunale di liquidare il compenso in favore dei coadiutori, e tale richiesta era stata accolta da parte del Tribunale.
Il motivo è evidentemente destituito di fondamento.
Nella fattispecie trova applicazione, alla luce della stessa esposizione dei fatti di causa compiuta da parte ricorrente, la previsione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 56, commi 3 e 4, la quale prevede che:
“3. Se gli ausiliari del magistrato sono stati autorizzati ad avvalersi di altri prestatori d’opera per attività strumentale rispetto ai quesiti posti con l’incarico, la relativa spesa è determinata sulla base delle tabelle di cui all’articolo 50.
- Quando le prestazioni di carattere intellettuale o tecnico di cui al comma 3, hanno propria autonomia rispetto all’incarico affidato, il magistrato conferisce incarico autonomo”.
Trattasi di norma che ricalca essenzialmente il disposto della L. n. 319 del 1980, precedente articolo 7, tranne che per quanto concerne la specifica indicazione dei criteri ai quali è necessario attenersi per la liquidazione dei compensi dei collaboratori, in quanto il rinvio alle previsioni tabellari previste per gli ausiliari del giudice è frutto dell’adeguamento della norma alle indicazioni della Corte Costituzionale di cui alla sentenza n. 128/2002, che ha ritenuto necessario adeguarsi a tali parametri “anche in virtù della natura di munus publicum che caratterizza l’incarico assegnato al consulente, del quale l’ausiliario non può ignorare l’esistenza, e che, inevitabilmente, finisce per riflettersi anche sul rapporto tra l’ausiliario e il consulente”. Emerge in maniera incontestabile che alcun incarico diretto è stato conferito da parte dell’autorità giudiziaria procedente al controricorrente, che è stato individuato autonomamente, ed al fine manifesto di ottenere una collaborazione nell’espletamento dell’attività di amministrazione giudiziaria, dagli stessi amministratori, non avendo l’autorità giudiziaria ritenuto di avvalersi della possibilità di conferire un autonomo incarico allo (OMISSIS), posto che solo in tale ultima ipotesi si sarebbe venuto ad instaurare un rapporto diretto tale da imporre la soluzione invocata dalla ricorrente.
D’altronde la necessità di una previa autorizzazione alla nomina da parte dell’autorità giudiziaria si comprende, non già quale giustificazione di un rapporto diretto tra il collaboratore dell’ausiliario del giudice e quest’ultimo, quanto per la necessità di conseguire la successiva liquidazione da parte dell’autorità giudiziaria dei compensi dovuti al collaboratore, ma in favore dell’ausiliario.
In tal senso si è infatti ribadito che (cfr. Cass. n. 7499/2006) il consulente tecnico d’ufficio deve essere preventivamente autorizzato dal giudice ad avvalersi dell’ausilio di altri prestatori d’opera per l’attività strumentale rispetto ai quesiti oggetto dell’incarico, con la conseguenza che non può essergli riconosciuto alcun compenso (neppure sotto forma di rimborso spese sostenute dal C.T.U.) in relazione all’attività svolta (conf. Cass. n. 1636/2003).
Deve quindi essere ribadito il principio per il quale in tema di liquidazione di compensi a consulenti tecnici, nel caso in cui il consulente tecnico sia stato autorizzato dal giudice ad avvalersi dell’ausilio di altri prestatori d’opera per attività strumentale rispetto ai quesiti posti con l’incarico, la spesa per l’opera dell’ausiliare va inclusa, in base alla L. 8 luglio 1980, n. 319, articolo 7, tra le spese di cui il giudice dispone il rimborso a favore del consulente tecnico, potendosi procedere alla liquidazione di un autonomo compenso a favore dell’ausiliare solo quando il giudice abbia conferito a quest’ultimo uno specifico incarico, in considerazione dell’autonomia delle prestazioni al medesimo richieste (Cass. n. 9194/1991).
La correttezza dell’inquadramento della vicenda nei suesposti termini trova poi conferma nel fatto che la stessa ricorrente abbia poi richiesto all’autorità giudiziaria il riconoscimento delle spettanze dovute in favore dei vari collaboratori nominati (tra i quali rientra anche lo (OMISSIS)) trattandosi di spesa che deve essere liquidata in favore dell’ausiliario del giudice, ma senza che la liquidazione fatta da quest’ultimo assuma anche carattere vincolante nei rapporti interni tra ausiliario e collaboratore.
Nè infine incide su tale soluzione la circostanza che lo stesso controricorrente abbia fatto riferimento, nella quantificazione dei suoi compensi, alle previsioni tariffarie previste per la liquidazione dei compensi degli ausiliari del giudice, trattandosi come visto, di soluzione imposta dal testo normativo, così come modificato in attuazione degli insegnamenti della Consulta (cfr. a tal fine Cass. n. 15535/2008, secondo cui, in tema di liquidazione dei compensi e delle spese ai consulenti tecnici d’ufficio, Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articoli 49 e 56, che ha abrogato la L. 8 luglio 1980, n. 319, articolo 7, hanno mantenuto la distinzione tra le spese sostenute dal consulente tecnico per l’adempimento dell’incarico, il cui rimborso è subordinato alla loro documentazione e necessità, ed è rimesso, quanto alla determinazione, al libero mercato, e le spese per le attività strumentali, svolte dai prestatori d’opera di cui il consulente sia stato autorizzato ad avvalersi, in ordine alle quali trovano applicazione le medesime tabelle con cui deve essere determinata la misura degli onorari dei consulenti tecnici, anche in virtù della natura di munus publicum che caratterizza l’incarico assegnato al consulente, del quale l’ausiliario non può ignorare l’esistenza e che, inevitabilmente, si riflette anche sul rapporto tra l’ausiliario e il consulente).
Il motivo deve quindi essere rigettato.
Il secondo motivo di ricorso denunzia invece la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 115 c.p.c., laddove il Tribunale ha ritenuto che la somma richiesta dall’attore fosse stata determinata conformemente alle previsioni di cui della L. n. 319 del 1980, articoli 4 e 5, senza che fosse stata contestata quanto ai criteri di determinazione, aggiungendo altresì che la prova dello svolgimento dell’attività emergeva dalla documentazione allegata.
Si sostiene che invece la ricorrente aveva contestato l’effettivo svolgimento dell’attività indicata dallo (OMISSIS), con la conseguenza che la sentenza impugnata è pervenuta all’accoglimento della domanda, con un sostanziale assolvimento dell’istante dall’onere della prova che su di lui incombeva.
Il motivo è del pari infondato, dovendosi in realtà ritenere che non contenga alcuna denuncia del paradigma dell’articolo 2697 c.c. e di quello dell’articolo 115 c.p.c., bensì lamenti soltanto erronea valutazione di risultanze probatorie.
Ed infatti la violazione dell’articolo 2697 c.c., si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’articolo 115, è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016). (Cass. S.U. n. 16598/2016).
Nella fattispecie il giudice di merito ha compiuto una valutazione non sindacabile del materiale istruttorio in atti, pervenendo alla incensurabile affermazione circa l’avvenuta dimostrazione da parte dell’attore dello svolgimento dell’attività di collaborazione e della sua congruità rispetto ai parametri tariffari applicabili.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al rimborso delle spese come da dispositivo che segue.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese che liquida in Euro 1.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge.