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Cassazione Civile 10017/2023 – Nuda proprietà – Disciplina desunta dalle norme in tema di proprietà e di quelle in tema di usufrutto

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Ordinanza 10017/2023

Nuda proprietà – Disciplina desunta dalle norme in tema di proprietà e di quelle in tema di usufrutto

Il codice civile non conosce la c.d. “nuda proprietà” come diritto distinto dalla proprietà: i suoi tratti contenutistici sono desunti, infatti, dal combinato disposto delle norme in tema di proprietà e di quelle in tema di usufrutto, ossia in via di mera sottrazione, dal contenuto del primo, dei poteri e delle facoltà che formano il contenuto del secondo; il concetto è dunque di origine dottrinale e serve solo a descrivere la situazione della proprietà gravata da usufrutto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva disposto la decadenza dall’assegnazione di alloggio di edilizia residenziale pubblica della ricorrente, che aveva acquistato la proprietà di altro immobile, costituendo successivamente a detto acquisto in favore della madre e a titolo gratuito, l’usufrutto sull’immobile stesso).

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 14-4-2023, n. 10017   (CED Cassazione 2023)

Art. 981 cc (Contenuto del diritto di usufrutto)

 

 

Rilevato che:

(OMISSIS) ricorre, con due mezzi, nei confronti di Roma
Capitale (che deposita controricorso), per la cassazione della
sentenza in epigrafe con la quale la Corte d’appello di Roma ha
confermato il rigetto della opposizione da essa proposta avverso la
determinazione dirigenziale che, in data 2 ottobre 2015, ne aveva
disposto la decadenza dall’assegnazione di alloggio di edilizia
residenziale pubblica per avere essa perso i requisiti della
impossidenza richiesti dall’art. 11 comma 1 lettera c) della legge reg.
Lazio n. 12 del 1999, essendo risultata nuda proprietaria di
appartamento in Roma, Via Pietro Cossa, 28 (per effetto
dell’alienazione in suo favore effettuata dal padre con contratto di
compravendita del 19 giugno 2009 e di successiva costituzione di
usufrutto in favore della madre con atto pubblico del 30 novembre
dello stesso anno);

conformemente al primo giudice la Corte di merito ha ritenuto che
l’appellante, per effetto dell’acquisto della proprietà dell’immobile, ha
perso i requisiti suindicati, non avendo rilievo la circostanza che abbia
deciso, successivamente a detto acquisto, di costituire, in favore della
madre e a titolo gratuito, l’usufrutto sull’immobile stesso, essendo
venuto meno, in costanza di rapporto, un requisito soggettivo
imprescindibile, con la conseguente decadenza dal beneficio della
assegnazione;

la trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art.
380-bis.1 cod. proc. civ.;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero;
la ricorrente ha depositato memoria;

considerato che:

con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art.
360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione ed errata
applicazione della legge regionale Lazio n. 12 del 1999, per avere la
Corte capitolina ritenuto irrilevante la circostanza della costituzione di
un diritto di usufrutto sull’immobile;

sostiene che la nuda proprietà non è un diritto compreso nella
norma richiamata e che, di conseguenza, non può costituire motivo di
decadenza dall’assegnazione dell’alloggio popolare;
con il secondo motivo essa denuncia, in base alla medesima tesi,
anche «violazione dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc.
civ.»;

il primo motivo è manifestamente infondato;

il codice civile non conosce la c.d. «nuda proprietà» come diritto
distinto dalla proprietà: i suoi tratti contenutistici sono desunti, infatti,
dal combinato disposto delle norme in tema di proprietà e di quelle in
tema di usufrutto, ossia in via di mera sottrazione, dal contenuto del
primo, dei poteri e delle facoltà che formano il contenuto del secondo;
il concetto è dunque di origine dottrinale e serve solo a descrivere
la situazione della proprietà gravata da usufrutto;

ne segue che la norma della legge regionale, là dove non ha
elencato la nuda proprietà, non può essere intesa nel senso di
escluderla da novero degli acquisti ritenuti rilevanti in quanto ostativi
all’assegnazione dell’alloggio popolare o alla permanenza della stessa;
in altri termini, la norma regionale, là dove prevede la proprietà di
immobile quale diritto incompatibile con l’assegnazione di alloggio di
e.r.p., non sta, per ciò stesso, a contrario, ritenendo invece
compatibile la titolarità della nuda proprietà, ma al contrario, in
assenza di diversa specificazione, vi comprende anche la proprietà
gravata da usufrutto;

tale particolare configurazione del contenuto del diritto non può del
resto assumere di per sé alcun rilievo anche in considerazione della
ratio della norma;

come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, la
decadenza dal diritto all’assegnazione in locazione di un alloggio
economico e popolare risponde all’esigenza oggettiva di evitare che
abitazioni destinate a categorie sociali meno protette rimangano nella
disponibilità di chi non ne abbia effettivamente bisogno;

tale ultima condizione è riconosciuta sussistere in via presuntiva
dalla norma in capo a chi risulti titolare di un diritto di «proprietà,
usufrutto, uso ed abitazione su alloggio adeguato alle esigenze del
nucleo familiare nell’ambito territoriale del bando di concorso e nel
comune di residenza, qualora diverso da quello in cui si svolge
l’attività lavorativa e, comunque, nell’ambito del territorio nazionale,
su beni patrimoniali di valore complessivo superiore al limite definito
nel regolamento di cui all’articolo 17, comma 1»;

la circostanza che il titolare del diritto di proprietà su immobile
avente tali caratteristiche, quale nella specie è incontestato sia
l’odierna ricorrente, si determini a costituire usufrutto a titolo gratuito
in favore della madre risponde ad una scelta meramente soggettiva,
peraltro nella specie rimasta anche immotivata, che, come tale, non
giustifica la presunzione di uno stato di bisogno, almeno nei termini,
strettamente oggettivi, presupposti dalla norma;

questa, del resto, nel riferirsi alla «titolarità» del diritto reale, e non
all’effettivo «godimento» del bene che ne costituisce oggetto, a ben
vedere attribuisce rilievo ostativo al diritto nella sua dimensione
prettamente estrinseca e patrimoniale e non in relazione al suo
contenuto, sull’implicito ma evidentemente intento di considerarlo
quale indice di una disponibilità economica incompatibile con l’accesso
al regime di assistenza abitativa;

deve dunque affermarsi il seguente principio di diritto: «l’art. 11,
comma 1, lett. c), della legge reg. Lazio 6 agosto 1999, n. 12,
là dove prevede, tra i requisiti soggettivi per l’accesso
all’edilizia residenziale pubblica destinata all’assistenza
abitativa, la “mancanza di titolarità” del diritto di proprietà
“su alloggio adeguato alle esigenze del nucleo familiare”
secondo gli altri requisiti di ubicazione e valore ivi indicati
deve intendersi riferito sia all’acquisto del diritto di proprietà
su immobile gravato da usufrutto, sia, come nella specie,
all’acquisto della piena proprietà, seguito successivamente
dalla costituzione di un usufrutto»;

il secondo motivo è inammissibile, trattandosi di doglianza
palesemente estranea al paradigma evocato del vizio di «omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti» (v. Cass. Sez. U. nn. 8053-8054 del 2014);
la memoria che, come detto, è stata depositata dalla ricorrente non
offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto
vaglio dei motivi;

con essa la ricorrente ha anche depositato documentazione il cui
contenuto è così descritto nella relativa denominazione e nella
memoria medesima (ultime quattro righe di pag. 3):
─ lettera di vendita alloggio;
─ lettera di adesione all’offerta di vendita;
─ contabile del pagamento effettuato entro i termini dettati
dall’ATER;

di tale documentazione non è in alcun modo illustrata, nella
memoria medesima, la rilevanza;

supponendo che l’intenzione ad essa sottesa sia quella di far valere
una cessazione della materia del contendere per implicito
riconoscimento, da parte dell’Ater, della titolarità del rapporto
locativo, tale rilevanza deve comunque escludersi, anzitutto per
ragioni legate alla (in)ammissibilità di tale produzione e, comunque,
per ragioni intrinseche al contenuto stesso della offerta di vendita;

sotto il primo profilo mette conto rilevare che il nuovo testo
dell’art. 372 cod. proc. civ.─ come modificato dall’art. 3,
comma 27, lett. h), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. riforma
Cartabia), applicabile anche al presente procedimento in virtù
della disposizione transitoria di cui all’art. 35, comma 6, d. lgs.
cit. ─ se da un lato non richiede più, come il precedente, la
notifica (nella specie non effettuata) del deposito, mediante
elenco, alle altre parti (ciò in coerenza con l’obbligatorietà del
deposito telematico previsto dall’art. 196-quater disp. att. cod.
proc. civ., introdotto dall’art. 4, comma 2, d.lgs. cit.),
dall’altro, ha però fissato in quindici giorni prima dell’udienza
o dell’adunanza in camera di consiglio il termine entro il quale
il deposito va effettuato: termine nella specie non rispettato
essendo stati detti documenti depositati, unitamente alla memoria, in
data 16 marzo 2023 (ossia solo quattordici giorni prima dell’odierna
adunanza del 30 marzo);

sotto il secondo profilo val la pena comunque osservare che, come
espressamente detto nella offerta di vendita prodotta in allegato alla
memoria, questa resta comunque subordinata alla verifica
amministrativa del rapporto di locazione in essere, il che escluderebbe
in radice l’effetto postulato dalla ricorrente;

il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conseguente
condanna della ricorrente alla rifusione, in favore della
controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da
dispositivo;

va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente principale, ai sensi dell’art. 13,
comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto
dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a
quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello
stesso art. 13

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore
della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in Euro 1400 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli
accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012,
n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove
dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza
Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 marzo 2023