Ordinanza 10049/2022
Responsabilità struttura sanitaria – Danni da emotrasfusioni – Qualificazione della domanda da parte del giudice
In tema di azione per il risarcimento dei danni, nel suo nucleo immodificabile la domanda non va identificata in relazione al diritto sostanziale eventualmente indicato dalla parte e considerato alla stregua dei fatti costitutivi della fattispecie normativa (che costituisce oggetto della qualificazione del giudice), bensì esclusivamente in base al bene della vita e ai fatti storici-materiali che delineano la fattispecie concreta; ne consegue che, se i fatti materiali ritualmente allegati rimangono immutati, è compito del giudice individuare quali tra essi assumano rilevanza giuridica, in relazione alla individuazione della fattispecie normativa astratta in cui tali fatti debbono essere sussunti ed indipendentemente dal tipo di diritto indicato dalla parte. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la pronuncia del giudice di merito che aveva condannato il Ministero della Salute, a titolo di responsabilità contrattuale, a risarcire i danni subiti da un paziente in regime di ricovero ospedaliero per avere contratto, a seguito di una emotrasfusione l’infezione da HVC, sebbene l’originaria domanda fosse stata proposta dall’attore su fondamento extracontrattuale).
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 29-3-2022, n. 10049 (CED Cassazione 2022)
Art 2043 cc (Risarcimento per fatto illecito) – Giurisprudenza
Art. 1218 cc (Responsabilità del debitore) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1. In riforma della decisione di primo grado, la Corte d’appello di Campobasso ha condannato il Ministero della Salute e la Gestione Liquidatoria Asl n. (OMISSIS) di Isernia al pagamento, in favore di (OMISSIS), della somma di Euro 219.078,30, oltre interessi legali dalla pronuncia al soddisfo, a titolo di risarcimento del danno subito per aver contratto l’infezione da HCV in conseguenza dei trattamenti emotrasfusionali cui venne sottoposta nell'(OMISSIS), per un intervento chirurgico, presso l’Ospedale (OMISSIS).
Ha infatti ritenuto che, al momento di proposizione della domanda (17 settembre 2003), il credito risarcitorio non potesse ritenersi in nessun caso ancora prescritto, dovendosi il relativo termine farsi decorrere – diversamente da quanto opinato dal primo giudice – “dal momento in cui la malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, momento ritenuto normalmente coincidente con la proposizione della domanda amministrativa alla Commissione medica ospedaliera di cui della L. n. 210 del 1992, art. 4” e, quindi, nella specie, dal 2 marzo 1999, data in cui tale domanda fu proposta.
2. Avverso tale decisione la Gestione Liquidatoria Asl n. (OMISSIS) di Isernia propone ricorso per cassazione affidandolo a tre motivi, cui resiste (OMISSIS), depositando controricorso.
Il Ministero della Salute deposita controricorso, con il quale a sua volta propone ricorso incidentale, affidato a due motivi.
(OMISSIS) vi resiste, depositando altro controricorso.
3. La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
La ricorrente principale e la controricorrente, (OMISSIS), hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. E’ fondata l’eccezione, preliminarmente opposta da (OMISSIS) nel proprio secondo controricorso, di inammissibilità del “controricorso e ricorso incidentale” del Ministero della Salute in quanto proposto tardivamente, al di là del termine fissato dall’art. 370 c.p.c..
La notifica a mezzo posta del ricorso principale nei confronti del Ministero risulta, infatti, perfezionata in data 29 marzo 2019. Il termine per proporre controricorso (e, con esso, ai sensi dell’art. 371 c.p.c., ricorso incidentale) – fissato dalla citata norma nel ventesimo giorno dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso principale (a sua volta pari a venti giorni dal perfezionamento della notifica dello stesso) – veniva dunque a scadere l’8 maggio 2019; scadenza ampiamente decorsa al momento in cui, in data 23 maggio 2019, il controricorso del Ministero è stato avviato per la notifica a mezzo ufficiale giudiziario.
2. Con il primo motivo del ricorso principale la Gestione Liquidatoria Asl n. (OMISSIS) di Isernia denuncia, con riferimento all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., per avere la corte d’appello (implicitamente) disatteso l’eccezione da essa preliminarmente opposta di inammissibilità del gravame interposto dalla (OMISSIS), nella parte in cui si doleva della mancata condanna dell’Asl di Isernia al risarcimento del danno da responsabilità contrattuale.
Rileva che:
– in primo grado la domanda risarcitoria era stata proposta solo nei confronti del Ministero e su fondamento extracontrattuale;
– era stato il Ministero a chiamare in causa l’Asl n. (OMISSIS) “affinchè tale ente in rivalsa e rilievo della posizione dell’Amministrazione statale rispondesse delle conseguenze economiche della pretesa dell’attrice” (così in ricorso, pag. 3);
– il tribunale, qualificata la domanda come diretta ad ottenere l’accertamento della responsabilità extracontrattuale del Ministero, l’aveva rigettata per la ritenuta prescrizione quinquennale del diritto azionato;
– con il proposto gravame la (OMISSIS) aveva dedotto che la sua domanda era da ritenersi “”automaticamente estesa” anche alla Asl, nella sua qualità di terzo chiamato in causa, sulla base di un rapporto oggettivamente unico”;
– nonostante la contraria eccezione formulata al punto 2/a dell’atto di costituzione nel giudizio d’appello, la corte molisana ha implicitamente quanto immotivatamente ritenuto accoglibile la domanda, ancorchè sul diverso fondamento contrattuale.
Deduce quindi che, in tal modo, la corte ha violato l’art. 345 c.p.c., sul rilievo che costituisce domanda nuova, non proponibile per la prima volta in appello, quella che alteri uno soltanto dei presupposti della domanda iniziale, introducendo un petitum diverso e più ampio, oppure una diversa causa petendi, fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado ed in particolare su un fatto giuridico costitutivo del diritto originariamente vantato, radicalmente diverso, sicchè risulti inserito nel processo un nuovo tema d’indagine.
Soggiunge che la corte è poi, su tale abbrivio, incorsa in ulteriore errore per aver proceduto ad una quantificazione unitaria dei danni, anzichè diversificarla, in ragione dei diversi presupposti fattuali delle “due tipologie di responsabilità”.
3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. per avere la corte di merito escluso che il credito fosse prescritto sull’erroneo presupposto che l’istanza di indennizzo ex Lege n. 210 del 1992, ritenuta in sentenza segnare l’exordium praescriptionis, fosse stata presentata in data 2 marzo 1999, dato acriticamente recepito dalla indicazione fornita da controparte nell’atto di appello ma non suffragato da alcuna prova documentale e anzi contrastato da quanto affermato nella relazione di c.t.u. che tale istanza aveva collocato in data 27/03/1998, oltre cinque anni prima, dunque, della proposizione della domanda giudiziale.
4. Con il terzo motivo (numerato in ricorso come motivo “II/2”) la ricorrente prospetta, in relazione al medesimo tema, vizio di “omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio”, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ..
Deduce che la corte d’appello, limitandosi ad affermare che la domanda di indennizzo era stata proposta il 2 marzo 1999, senza indicare le ragioni di tale convincimento, ha reso sul punto un. motivazione “perplessa o obiettivamente incomprensibile, dal momento che non vi è alcun collegamento tra quanto affermato… e la certezza dell’elemento temporale decisivo per il rigetto dell’appello”.
5. Il primo motivo è infondato.
5.1. Come emerge chiaramente dalla sua stessa illustrazione la ricorrente non contesta che, per effetto della chiamata operata in primo grado dal Ministero convenuto, si sia operata l’estensione automatica della domanda risarcitoria originariamente riferita alla detta amministrazione, nei confronti dell’azienda evocata in causa ex art. 269 c.p.c..
è appena il caso dunque di ricordare, in proposito, che detto effetto, secondo pacifico indirizzo, si determina allorquando la chiamata del terzo sia effettuata al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa dell’attore, in ragione del fatto che il terzo venga individuato come unico obbligato nei confronti dell’attore ed in vece dello stesso convenuto, realizzandosi in tal caso un ampliamento della controversia in senso soggettivo (divenendo il chiamato parte del giudizio in posizione alternativa con il convenuto) ed oggettivo (inserendosi l’obbligazione del terzo dedotta dal convenuto verso l’attore in alternativa rispetto a quella individuata dall’attore), ferma restando, tuttavia, in ragione di detta duplice alternatività, l’unicità del complessivo rapporto controverso.
La conclusione, peraltro, è la medesima quando il terzo chiamato in giudizio sia ritenuto non responsabile esclusivo, ma corresponsabile del danno, in quanto la diversità e pluralità delle condotte produttive dell’evento dannoso non danno luogo a diverse obbligazioni risarcitorie, con la conseguenza che la chiamata in causa del terzo non determina il mutamento dell’oggetto della domanda ma evidenzia esclusivamente una pluralità di autonome responsabilità riconducibili allo stesso titolo risarcitorio (v., in tal senso, Cass. 28/11/2019, n. 31066; v. anche Cass. 25/06/2019, n. 16919).
5.2. La censura investe piuttosto il fatto che tale (estesa) domanda sia stata accolta su fondamento (contrattuale) diverso da quello (extracontrattuale) che caratterizzava l’originaria domanda nei confronti del Ministero e che, conseguentemente, secondo l’implicita tesi censoria, doveva limitare il perimetro entro il quale svolgere lo scrutinio del motivo di gravame teso a far valere la responsabilità dell’Azienda.
La ricorrente richiama infatti (v. ricorso, pag. 10) il principio secondo cui “la domanda di risarcimento di danni per responsabilità contrattuale – essendo diversa da quella di risarcimento di danni per responsabilità extracontrattuale perchè dipende da elementi di fatto diversi non solo per quanto attiene all’accertamento della responsabilità ma anche per quanto riguarda la determinazione dei danni – non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di appello per ampliare l’originaria domanda di risarcimento di danni per responsabilità extracontrattuale” (Cass. 14/02/2001, n. 2080; 19/09/2016, n. 18299; 27/09/2018, n. 23415).
5.3. Tale censura è però priva di fondamento, e il principio richiamato non è pertinente, dovendosi ritenere che nella specie l’attribuzione di un fondamento contrattuale alla divisata responsabilità dell’Asl risponda ad una mera diversa “qualificazione giuridica” della fattispecie concreta, così come dedotta in giudizio attraverso i fatti storici allegati dalle parti: attività qualificatoria sempre consentita al giudice di merito, nel rispetto del contraddittorio, e dunque anche al giudice di appello che può provvedervi ex officio a meno che – ma non è il nostro caso – la diversa qualificazione non abbia costituito oggetto di specifica discussione e sia stata espressamente disattesa in favore di altra soluzione del giudice di primo grado: in tal caso rimanendo confinato il potere qualificatorio del Giudice del gravame nei soli limiti del devoluto (cfr. Cass. 01/12/2010, n. 24339; 03/07/2014, n. 15223; 21/05/2019, n. 13602; 05/08/2019, n. 20932), ovvero venga, invece, ad incidere sugli stessi “elementi identificativi della domanda”, determinando una innovazione rispetto alla pretesa originaria.
Deve invero ritenersi, in conformità a più recente e qui condiviso orientamento, che, ai fini in discorso, la domanda nel suo nucleo immodificabile va identificata, non in relazione al diritto sostanziale eventualmente indicato dalla parte e considerato alla stregua dei fatti costitutivi della fattispecie normativa (che costituisce oggetto dell’attività qualificatoria rimessa al giudice), ma esclusivamente in base al bene della vita (sia esso la res o l’utilità ritraibile come effetto della pronuncia giudiziale) ed ai fatti storici-materiali che delineano la genesi e lo svolgimento della fattispecie concreta, così come descritta dalle parti e portata a conoscenza del Giudice. Con la conseguenza che se i “fatti materiali”, come ritualmente allegati hinc et inde, rimangono immutati, è compito del giudice individuare quali tra essi assumano rilevanza giuridica, in relazione alla individuazione della fattispecie normativa astratta in cui tali fatti debbono essere sussunti, indipendentemente dal tipo di diritto indicato dalla parte.
In tal senso si giustificano, del resto, le ipotesi di “cumulabilità” della domanda di risarcimento danni, là dove, a tutela del medesimo bene della vita, vengono a “concorrere” sia l’azione contrattuale che quella extracontrattuale, in quanto la modifica della azione non comporta il mutamento del quadro fattuale mediante allegazione di una diversa “condotta materiale”, lesiva dell’interesse giuridico protetto (cfr. ex aliis Cass. 25/09/2018, n. 22540, secondo cui non immuta la “vicenda sostanziale” oggetto del giudizio, la sostituzione dell’originaria domanda del terzo trasportato, tesa a far valere la responsabilità del proprietario del veicolo fondata sul contratto di trasporto concluso tra le parti, con un’altra basata sulla presunzione di responsabilità del proprietario medesimo, ex art. 2054 c.c.).
Seguendo tale impostazione ci si allontana dal momento qualificativo astratto ex ante degli elementi giuridici identificativi della domanda, come riferibili ad una determinata fattispecie legale, dovendo invece procedersi progressivamente – secondo la evoluzione della attività allegatoria e deduttiva delle parti – alla esatta configurazione giuridica della pretesa, una volta che risultino compiutamente definiti ed immutati i fatti storici allegati dalla parte a sostegno della richiesta di tutela del bene della vita, elementi che vengono quindi a costituire il nucleo essenziale della domanda (v. Cass. 15/09/2020, n. 19186).
5.4. Peraltro, come è stato efficacemente rilevato, “gli effetti più appariscenti e rilevanti” che attengono al diverso regime della prescrizione estintiva (e in misura assai minore, come appresso si dirà, a quello dell’onere probatorio), “previsti per le due tipologie di responsabilità civile, risultano inconferenti ai fini della predetta verifica, in quanto dettano discipline normative non integranti la fattispecie legale del diritto, e la cui applicazione è meramente consequenziale al differente titolo del diritto fatto valere in giudizio e quindi al bene della vita di cui si chiede la tutela (petitum mediato) attraverso gli effetti della pronuncia giudiziale (petitum immediato), questi ultimi soltanto essendo gli elementi identificativi della domanda (v.: Cass. 15/09/2020, n. 19186; 10/02/2017, n. 3539): pertanto la scelta processuale della applicazione, alla fattispecie dedotta in giudizio, dei peculiari regimi del riparto dell’onere probatorio e della prescrizione, esplicherà senza dubbio rilevanti riflessi sul piano delle modalità di esercizio della difesa e sulla effettività della garanzia del contraddittorio nel corso del processo, ma tali regimi non forniscono alcuna indicazione sulla esatta individuazione della causa petendi e del petitum delle domande risarcitorie ex contractu o ex lege Aquilia” (così, in motivazione, Cass. n. 19186 del 2020, cit.).
E, come si diceva, val la pena rammentare, quanto al regime probatorio, che la reale differenza tra i due fondamenti causali, si risolve nell’onere, per il danneggiato, in ambito di responsabilità contrattuale derivante dal trattamento sanitario, di dar prova della conclusione di un contratto d’opera professionale tra paziente ed ente ospedaliero, non potendosi invece ravvisare rilevanti differenze sul piano della prova dell’evento dannoso e del nesso causale tra questo e la prestazione sanitaria, al riguardo valendo il principio, da ritenersi consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, e al quale la sentenza impugnata si conforma, secondo cui “ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione” (Cass. 11/11/2019, n. 28991-28992; Id. 26/07/2017, n. 18392).
5.5. Nel caso di specie è del tutto evidente che i fatti storici materiali posti a fondamento della dedotta (e ritenuta in sentenza) responsabilità dell’azienda convenuta siano rimasti gli stessi (trasfusione di sangue infetto nel corso di intervento chirurgico eseguito presso struttura di pertinenza di quest’ultima) e non risulta, nè viene nemmeno dedotto, che la diversa qualificazione abbia costituito oggetto di specifica discussione e sia stata espressamente disattesa in favore di altra soluzione dal primo giudice in termini o per ragioni tali da non potersi la questione ritenersi ritualmente devoluta al giudice d’appello per il tramite del proposto motivo di gravame. Il tribunale ha infatti ritenuto prescritta la domanda risarcitoria, con ciò implicitamente muovendosi nell’orbita di una supposta responsabilità extracontrattuale sia del convenuto che della azienda chiamata in causa, ma nessun argomento risulta al riguardo speso che non possa ritenersi efficacemente contestato con l’appello svolto in punto di prescrizione.
5.6. Immotivato e comunque privo di pregio è poi l’assunto che il diverso fondamento di responsabilità avrebbe dovuto riflettersi sulla quantificazione del risarcimento; l’evento di danno è infatti esattamente lo stesso (e identici sono i danni conseguenza risarcibili), il fondamento contrattuale riflettendosi solo sul suo criterio di imputazione: l’inadempimento nel caso dell’AsI; la colpa nel caso del Ministero.
6. Consegue al rigetto del primo motivo l’inammissibilità, per difetto di interesse, del secondo e del terzo, congiuntamente esaminabili.
è assorbente in tal senso il rilievo che, come dedotto dalla controricorrente, la diversa e anteriore data di decorrenza del termine prescrizionale (27 marzo 1998) al cui accertamento avrebbe, in tesi, dovuto giungersi (in vece di quella ritenuta in sentenza: 2 marzo 1999), non varrebbe comunque a dimostrare l’intero decorso, al momento della proposizione della domanda giudiziale (17 settembre 2003) del più lungo termine decennale di prescrizione dell’azionato credito risarcitorio, stante il (correttamente) ritenuto fondamento contrattuale dello stesso.
7. L’esito del giudizio giustifica l’integrale compensazione delle spese tra i due ricorrenti, in posizione non conflittuale tra di loro.
Ciascuno di essi è soccombente nei confronti della controricorrente (OMISSIS) e va conseguentemente condannato, non in solido, alla rifusione delle spese da questa sostenute nel presente giudizio, liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore del procuratore antistatario, Avv. (OMISSIS), che ne ha fatto rituale richiesta in ciascuno dei controricorsi.
8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Tale previsione non può invece trovare applicazione nei confronti dei Ministero, ricorrente incidentale, trattandosi di Amministrazione dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (v. Cass. 29/12/2016, n. 27301; Cass. 29/01/2016, n. 1778; v. anche Cass., Sez. U, 08/05/2014, n. 9938; Cass. 14/03/2014, n. 5955).
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile quello incidentale.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a carico di ciascuno, in Euro 7.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, disponendone la distrazione in favore del procuratore antistatario, Avv. (OMISSIS).
Compensa integralmente le spese tra la ricorrente principale e il Ministero ricorrente incidentale.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 febbraio 2022