Ordinanza 10238/2022
Provvedimenti del giudice dell’esecuzione – Rimedio esperibile – Reclamo ex art. 630 cpc – Esclusività
Tutti i provvedimenti del giudice dell’esecuzione in tema di estinzione sono assoggettati esclusivamente al reclamo nelle forme previste dall’art. 630, commi 2 e 3, c.p.c., a prescindere dal fatto che essi abbiano accolto o respinto la relativa istanza proposta dal debitore, ovvero che il giudice abbia omesso di pronunziarsi su di essa, restando pertanto escluso che il debitore possa proporre opposizione all’esecuzione, ex art. 615 c.p.c., per far valere l’improseguibilità della stessa dopo la verificazione della causa di estinzione, ovvero agli atti esecutivi, ex art. 617 c.p.c., per contestare tanto il provvedimento del giudice dell’esecuzione che abbia dichiarato l’estinzione (ovvero abbia omesso di farlo), quanto gli atti del processo esecutivo adottati successivamente alla verificazione di una causa di estinzione non dichiarata.
Cassazione Civile, Sezione 6-3, Ordinanza 30-3-2022, n. 10238 (CED Cassazione 2022)
Art. 615 cpc (Opposizione all’esecuzione) – Giurisprudenza
Art. 617 cpc (Opposizione agli atti esecutivi) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) e (OMISSIS), nel corso di un processo esecutivo per espropriazione immobiliare promosso nei loro confronti da (OMISSIS), hanno proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., in relazione al provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione aveva disatteso la loro richiesta di dichiarare l’inefficacia del pignoramento e l’estinzione della procedura esecutiva a causa dell’incompletezza della documentazione depositata dal creditore procedente ai sensi dell’art. 567 c.p.c..
L’opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Cassino, con condanna dei ricorrenti ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.
Ricorrono il (OMISSIS) e la (OMISSIS), sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso il (OMISSIS).
è stata disposta la trattazione in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.
è stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.
Il controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «Art. 360 n. 2 c.p.c.) Violazione di norme di diritto-Violazione dell’art. 617 c.p.c.».
Il tribunale ha ritenuto tardiva l’opposizione agli atti esecutivi avanzata dai ricorrenti ai sensi dell’art. 617 c.p.c., in quanto il relativo ricorso era stato depositato oltre venti giorni dopo la data (28 novembre 2016) dell’udienza in cui era stato pronunciato il provvedimento con il quale era stata originariamente disattesa la loro richiesta di dichiarazione di inefficacia del pignoramento e di estinzione della procedura esecutiva, provvedimento ritenuto sostanzialmente oggetto dell’opposizione stessa.
I ricorrenti sostengono che, in realtà, il provvedimento pronunciato all’udienza del 28 novembre 2016 non potrebbe qualificarsi come un vero e proprio atto esecutivo e, come tale, non sarebbe stato suscettibile di impugnazione, avendo ad oggetto un mero differimento dell’udienza.
Il motivo è manifestamente infondato, benchè con riguardo alla motivazione della decisione impugnata siano necessarie alcune puntualizzazioni.
Non vi è dubbio che gli esecutati, con ricorso rivolto al giudice dell’esecuzione (depositato in data 24 agosto 2016, secondo quanto espressamente precisato nel ricorso), avevano chiesto accertarsi l’incompletezza della documentazione prodotta dal creditore procedente ai sensi dell’art. 567 c.p.c., e, per l’effetto, dichiararsi l’inefficacia del pignoramento e l’estinzione della procedura esecutiva, con cancellazione della trascrizione del pignoramento stesso (ai sensi dello stesso art. 567 c.p.c., comma 3).
Il giudice dell’esecuzione, all’udienza del 28 novembre 2016, ha disatteso tale richiesta, espressamente rilevando che la documentazione di cui all’art. 567 c.p.c., era stata in realtà ritualmente depositata dal creditore procedente e ha fissato, di conseguenza, l’udienza per l’eventuale emissione dell’ordinanza di vendita dei beni pignorati.
Orbene, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte (che il ricorso non offre argomenti idonei ad indurre a rimeditare) “tutti i provvedimenti del giudice dell’esecuzione in tema di estinzione sono assoggettati esclusivamente al reclamo nelle forme previste dall’art. 630 c.p.c., commi 2 e 3, a prescindere dal fatto che essi abbiano accolto o respinto la relativa istanza proposta dal debitore, ovvero che il giudice abbia omesso di pronunziarsi su di essa, restando pertanto escluso che il debitore possa proporre opposizione all’esecuzione, ex art. 615 c.p.c., per far valere l’improseguibilità della stessa dopo la verificazione della causa di estinzione, ovvero agli atti esecutivi, ex art. 617 c.p.c., per contestare tanto il provvedimento del giudice dell’esecuzione che abbia dichiarato l’estinzione (ovvero abbia omesso di farlo), quanto gli atti del processo esecutivo adottati successivamente alla verificazione di una causa di estinzione non dichiarata” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14449 del 15/07/2016, Rv. 640527 – 01).
Nella specie, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, il provvedimento del giudice dell’esecuzione ha senz’altro respinto in modo espresso l’istanza di estinzione del processo esecutivo da loro avanzata e, dunque, avrebbe dovuto essere impugnato con il reclamo di cui all’art. 630 c.p.c., nei venti giorni dalla data dell’udienza in cui era stato pronunciato, ai sensi dell’art. 630 c.p.c., comma 3. In ogni caso, in base ai principi di diritto appena esposti, la conclusione sarebbe stata la medesima anche se si fosse potuto accedere alla prospettazione degli stessi ricorrenti, secondo i quali in realtà il giudice dell’esecuzione aveva semplicemente omesso di pronunziarsi sulla loro istanza di estinzione della procedura esecutiva, disponendo la prosecuzione della stessa con la fissazione dell’udienza per l’autorizzazione alla vendita.
I debitori, per contestare l’omessa dichiarazione di estinzione, hanno invece proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., avverso un successivo provvedimento del giudice dell’esecuzione, con il quale quest’ultimo si è limitato a disattendere una ulteriore sollecitazione in tal senso, facendo presente di avere già provveduto nel corso dell’udienza del 28 novembre 2016. Il tribunale, senza operare alcuna riqualificazione di tale opposizione, anzi confermando quella degli opponenti, ha semplicemente ritenuto tardiva la stessa, in relazione all’originario provvedimento che aveva respinto la loro istanza di estinzione.
In realtà il tribunale – in base ai principi di diritto sopra esposti – avrebbe dovuto rilevare che, trattandosi di contestazioni aventi comunque ad oggetto la mancata dichiarazione di estinzione del processo esecutivo, esse andavano proposte con il reclamo di cui all’art. 630 c.p.c., e, dunque, eventualmente provvedere ad una riqualificazione ovvero ad una conversione dell’opposizione avanzata dai debitori (in caso di sussistenza dei necessari presupposti di forma e di sostanza).
La mancata riqualificazione dell’opposizione da parte del tribunale, in base al principio dell’apparenza nell’individuazione dei mezzi di impugnazione, comporta l’ammissibilità del presente ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. (e ciò sebbene le decisioni emesse in sede di reclamo avverso i provvedimenti in tema di estinzione del processo esecutivo siano di regola impugnabili solo con l’appello).
Con riguardo all’esito della stessa, peraltro, la decisione impugnata, nella parte in cui ha ritenuto tardiva l’opposizione dei debitori, deve comunque ritenersi conforme a diritto e va pertanto confermata, dal momento che, come già chiarito, non vi è dubbio che il provvedimento del 28 novembre 2016 con il quale il giudice dell’esecuzione aveva disatteso l’istanza di estinzione del processo esecutivo dei debitori esecutati e/o, comunque, l’omessa dichiarazione dell’estinzione stessa nel corso di quella udienza, tenuta a seguito della presentazione della suddetta istanza, avrebbero dovuto essere oggetto di impugnazione (sebbene con le forme del reclamo di cui all’art. 630 c.p.c.) nel termine di 20 giorni dall’udienza, come in definitiva statuito nella decisione impugnata, con la conseguenza che ogni successiva istanza in tal senso era da ritenere effettivamente inammissibile, come pure ritenuto sia (in un primo tempo) dal giudice dell’esecuzione stesso, sia, (successivamente) dal tribunale.
Ne consegue la correttezza della decisione impugnata, nel suo dispositivo finale, sebbene con le precisazioni ed integrazioni fin qui svolte sul piano della relativa motivazione.
2. Con il secondo motivo si denunzia «Art. 360 n. 3) c.p.c. Violazione di norme di diritto – Violazione dell’art. 567 c.p.c.».
Il motivo di ricorso in esame ha ad oggetto il merito delle questioni relative all’estinzione del processo esecutivo, in virtù della Data pubblicazione 30/03/2022 pretesa incompletezza della documentazione depositata dal creditore procedente ai sensi dell’art. 567 c.p.c..
Le relative censure sono inammissibili.
In base al costante indirizzo di questa Corte, “qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007, Rv. 595555-01; Sez. L, Sentenza n. 13997 del 15/06/2007, Rv. 597672-01; Sez. 3, Sentenza n. 15234 del 05/07/2007, Rv. 598305-01; Sez. 2, Sentenza n. 9647 del 02/05/2011, Rv. 616900-01; Sez. U, Sentenza n. 15122 del 17/06/2013, Rv. 626812-01; Sez. 3, Sentenza n. 17004 del 20/08/2015, Rv. 636624-01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 30393 del 19/12/2017, Rv. 646988-01; Sez. 1, Ordinanza n. 11675 del 16/06/2020, Rv. 657952-01; Sez. U, Sentenza n. 2155 del 01/02/2021, Rv. 660428-02).
Nella specie, dunque, una volta rilevata la tardività (e, dunque, l’inammissibilità) dell’opposizione proposta dai debitori per contestare la mancata dichiarazione di estinzione del processo esecutivo, il tribunale si era sostanzialmente spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della stessa; di conseguenza, le ulteriori considerazioni relative all’infondatezza dell’istanza di estinzione devono ritenersi svolte “ad abundantiam” e, comunque, le censure rivolte avverso tale parte della decisione devono ritenersi inammissibili.
3. Con il terzo motivo si denunzia «Art. 360 n. 3) c.p.c. Violazione di legge art. 96 c.p.c.».
Il motivo è manifestamente infondato.
Il ricorrente contesta il capo della decisione impugnata con il quale è stato condannato a pagare all’opposto la somma di Euro 6.570,00, ai sensi dell’art. 9, comma 3, c.p.c., in sostanza sulla base dei medesimi argomenti posti a base dei due primi motivi del ricorso.
Il mancato accoglimento di tali motivi sarebbe pertanto di per sè sufficiente a giustificare il rigetto anche del presente.
In ogni caso, è comunque opportuno osservare che il tribunale ha adeguatamente motivato la suddetta condanna, individuando l’abuso dello strumento processuale nella circostanza che i debitori opponenti avevano posto a base dell’opposizione motivi la cui infondatezza non poteva essere loro ignota, in quanto già oggetto di rilievo in ben due provvedimenti del giudice dell’esecuzione.
4. Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
La Corte non ritiene sussistere i presupposti per una ulteriore condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., nella presente sede come richiesto dal controricorrente, anche in considerazione della rilevata necessità di correzione ed integrazione della motivazione del provvedimento impugnato che porta ad escludere, quanto meno con riguardo al giudizio di legittimità, un abuso dello strumento processuale da parte dei ricorrenti tale da giustificare la predetta condanna.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, co. 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, Sottosezione 3, in data 2 febbraio 2022.