Ordinanza 10249/2022
Leasing traslativo – Clausola penale
La risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore di un contratto di leasing traslativo, concluso anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 1, commi 136 e ss., l. n. 124 del 2017, è sottoposta all’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c., sicché il giudice, ove ritenga che le parti abbiano pattuito una clausola penale, prevedendo, per il caso della menzionata risoluzione, il diritto del concedente di trattenere tutte le rate pagate a titolo di corrispettivo del godimento nonostante il mantenimento della proprietà (c.d. clausola di confisca), ha il potere di ridurre detta penale, in modo da contemperare, secondo equità, il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente ed il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva di trarre dalla regolare esecuzione del contratto, procedendo alla stima del bene secondo il valore di mercato al momento della restituzione (salvo che non sia stato già venduto o altrimenti allocato, considerando, nel qual caso, i valori conseguiti) e poi detrarre tale valore dalle somme dovute dall’utilizzatore al concedente, con diritto del primo all’eventuale residuo.
Cassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 30-3-2022, n. 10249 (CED Cassazione 2022)
Art. 1382 cc (Clausola penale) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. notificato il 03/07/2012, la (OMISSIS) S.p.a. Leasing (OMISSIS) chiese al Tribunale di Napoli di dichiarare risolto, in forza di clausola risolutiva espressa, il contratto di locazione finanziaria immobiliare del 17/01/2008 concluso con la D.C. s.r.l., e di ordinare alla stessa la restituzione dell’immobile, riservandosi di chiedere in separato giudizio il pagamento delle rate scadute, nella misura di euro 167.375,82 (a fronte di un corrispettivo pattuito di euro 2.244.961,30 da restituire in n. 215 canoni mensili di euro 11.399,79 ciascuno, oltre al versamento iniziale di euro 244.200,00) nonché gli interessi e l’indennità di risoluzione.
1.1. Nel costituirsi in giudizio, la D.C. s.r.l. contestò la domanda di risoluzione e chiese, in via riconvenzionale, la restituzione dei canoni corrisposti (in misura di euro 476.878,60) e delle spese sostenute per l’adeguamento degli impianti tecnici dell’immobile a norma di legge (per euro 42.252,88).
1.2. La concedente si oppose alla domanda riconvenzionale, invocando l’art. 20 del contratto di leasing inter partes.
1.3. Il Tribunale adito, in accoglimento sia della domanda principale che di quella riconvenzionale, dichiarò risolto il contratto di leasing traslativo, condannando l’utilizzatore al rilascio immediato dell’immobile e la concedente alla restituzione dei canoni pagati, in applicazione analogica dell’art. 1526 c.c. in tema di vendita con riserva di proprietà, senza però applicare la riduzione a titolo di equo compenso per l’uso del bene, ivi prevista, «perché sul punto non vi è stata alcuna domanda da parte della ricorrente».
1.4. La (OMISSIS) S.p.A. Leasing (OMISSIS) propose appello contro il capo di sentenza di condanna alla restituzione dei canoni pagati dall’utilizzatrice, chiedendo il rigetto della relativa domanda riconvenzionale o, in via subordinata, «determinare l’equo compenso da corrispondere alla (OMISSIS) ovvero separare il giudizio relativo alla domanda riconvenzionale (..) per la determinazione dell’equo compenso (..) eventualmente disponendo, ove ritenuto opportuno, CTU al fine della relativa determinazione».
1.5. Nel giudizio di appello, interrotto per la dichiarazione di fallimento di D.C. e riassunto nei confronti della curatela fallimentare, spiegò intervento la REV – Gestione Crediti società per azioni, quale cessionaria della Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara, a sua volta cessionaria di (OMISSIS).
1.6. La Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda riconvenzionale del Fallimento, ritenendo che l’art. 20 del contratto di leasing escluda l’obbligo di restituzione dei canoni di leasing versati dall’utilizzatrice, con assorbimento del secondo motivo d’appello relativo alla mancata previsione dell’equo compenso ex art. 1526 c.c.
1.7. Avverso detta decisione il Fallimento D.C. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, illustrato da memoria.
1.8. La sola (OMISSIS) società per azioni, e per essa (OMISSIS) S.p.a., quale procuratrice speciale, ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. Il Fallimento ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 1526 c.c., 1362 ss. c.c., 1382 ss. c.c. nonché dell’art. 20 del contratto di leasing traslativo inter partes, osservando: i) che la corte d’appello ha erroneamente rigettato la domanda riconvenzionale di restituzione dei canoni pagati, dando rilievo alla penale prevista dall’art. 20 del contratto, in assenza di apposita domanda (sub specie di reconventio reconventionis); ii) che non è condivisibile l’interpretazione data alla clausola contrattuale in questione – nel senso che essa autorizzerebbe la concedente a trattenere il prezzo, in forza dell’obbligo dell’utilizzatrice di «corrispondere tutto quanto dovuto», incluso «quant’altro già maturato» e quindi anche i canoni già versati, che sarebbero perciò irripetibili – poiché «essa è collegata alla frase-premessa “avrà l’obbligo di corrispondere”», palesemente rivolta al futuro; iii) che in ogni caso, nell’applicare detta clausola, la Corte territoriale non avrebbe dovuto limitarsi «all’accertamento negativo del diritto discendente dalla penale», bensì approfondire la questione della sua legittimità e procedere al relativo “riequilibrio sinallagmatico”.
2.1. Il motivo va accolto, nei termini che si vanno ad illustrare.
3. La Corte d’appello ha negato il diritto alla restituzione dei canoni corrisposti dall’utilizzatrice sulla base di un’interpretazione letterale dell’art. 20 del contratto di leasing inter partes – il quale prevede che, «in tutti i casi di risoluzione anticipata, l’utilizzatore, oltre alla restituzione del bene, avrà l’obbligo di corrispondere immediatamente tutto quanto dovuto per canoni scaduti e non pagati, interessi convenzionali di mora, commissione, spese, e quant’altro già maturato alla data della risoluzione del contratto, nonché, a titolo di indennità di risoluzione, i restanti canoni a scadere, attualizzati (..) salva la prova del maggior danno e dedotto l’eventuale ricavato dalla vendita del bene (..)» – nel senso che la frase «avrà l’obbligo di corrispondere (..) quant’altro già maturato alla data della risoluzione del contratto» equivale a dire che la concedente non deve restituire i canoni pagati.
3.1. Nel far ciò, la Corte territoriale ha precisato che «anche qualificando il contratto di leasing in questione come “traslativo” ed applicando in via analogica la disciplina della vendita con riserva di proprietà, la pattuizione del riconoscimento del diritto della concedente di acquisire integralmente i canoni scaduti fino al momento della risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, trova il suo fondamento normativo proprio nell’art.1526 c.c., il quale prevede, al secondo comma, espressamente, la possibilità di convenire che le rate pagate restino acquisite al venditore/concedente a titolo di indennità, sussistendo soltanto la previsione legale del potere del giudice di ridurre tale indennità (cfr. Cass. n. 2909 del 1996 e Cass. n. 19272 del 2014)».
3.2. Una simile ratio decidendi risulta ellittica e non del tutto in linea con la giurisprudenza di questa Corte in materia di leasing finanziario, inteso quale contratto socialmente tipico, articolato dalla pratica commerciale in distinte forme e strutture, tutte riconducibili ad un’operazione di finanziamento volta a consentire ad un soggetto (il cd. utilizzatore o lessee) il godimento di un bene (transitorio o finalizzato al definitivo acquisto del bene stesso) grazie all’apporto economico di un soggetto abilitato al credito (il cd. concedente o lessor) il quale, con proprie risorse finanziarie, consente all’utilizzatore di soddisfare un interesse che, altrimenti, non avrebbe avuto la possibilità o l’utilità di realizzare, attraverso il pagamento di un canone, che si compone in parte del costo del bene, e in parte degli interessi dovuti al finanziatore per l’anticipazione del capitale (Cass. Sez. U, 19785/2015).
4. Invero, con sentenza n. 2061 del 28 gennaio 2021, le Sezioni Unite hanno dato atto che, sino all’entrata in vigore della legge 4 agosto 2017, n. 124 – che all’art. 1, commi 136-140, ha fornito una tipizzazione legale del contratto di leasing finanziario in termini di fattispecie generale e unitaria, secondo una disciplina però priva di carattere retroattivo e di natura di interpretazione autentica del preesistente assetto legale (conf. Cass. 26531/2021) e perciò non applicabile ratione temporis al caso di specie – nel diritto vivente si è affermata la distinzione tra leasing di godimento (in cui i canoni hanno funzione eminentemente corrispettiva dello scopo di godimento che riveste il finanziamento, restando marginale e accessoria la pattuizione relativa al trasferimento del bene alla scadenza, dietro pagamento del prezzo d’opzione) e leasing traslativo (in cui i canoni hanno anche valenza corrispettiva del trasferimento del bene cui la funzione del rapporto è indirizzata, in ragione di un suo apprezzabile valore residuo al momento della scadenza contrattuale, notevolmente superiore al prezzo d’opzione).
4.1. Da tale distinzione è derivata una diversificazione delle rispettive discipline in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, sulla base di un formante giurisprudenziale teso a colmare, per via di integrazione analogica, la lacuna ordinamentale circa la disciplina della risoluzione del contratto di leasing (e ciò a partire da Cass. nn. 5569, 5571, 5573 e 5574 del 1989, con l’avallo di Cass. Sez. U, n. 65 del 1993).
4.2. Si è così ritenuto che, mentre al leasing di godimento, in ragione della piena sinallagmaticità tra le reciproche prestazioni, si applica la regola dettata per i contratti ad esecuzione continuata o periodica dall’art. 1458, comma 1, secondo periodo, c.c. – sicché la risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite e l’utilizzatore è tenuto a restituire il bene, mentre il concedente ha diritto a mantenere le rate riscosse, oltre al risarcimento del danno per l’inadempimento – diversamente al leasing traslativo si applica, in via analogica, la disciplina dettata dall’art. 1526 c.c. nella vendita con riserva di proprietà, per cui l’utilizzatore è obbligato alla restituzione del bene e il concedente alla restituzione delle rate riscosse, avendo però diritto ad un equo compenso per la concessione in godimento del bene e il suo deprezzamento d’uso, oltre al risarcimento del danno.
4.3. Le Sezioni Unite hanno sottolineato come la ratio dell’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c. risieda nell’esigenza di «porre un limite al dispiegarsi dell’autonomia privata» nel caso di leasing traslativo (così come nella disciplina di origine), al fine di evitare l’ingiustificato arricchimento che sovente si verifica nella prassi commerciale in favore del concedente, il quale, sulla base di uno schema negoziale per lo più unilateralmente predisposto, ottiene sia la restituzione del bene, sia l’acquisizione delle rate riscosse, oltre all’eventuale risarcimento del danno, «ossia più di quanto avrebbe avuto diritto di ottenere per il caso di regolare adempimento del contratto da parte dell’utilizzatore stesso»; non è stata per vero trascurata l’esigenza di fornire un’equilibrata tutela anche al concedente, attraverso la previsione dell’equo compenso e del risarcimento del danno, ma, mediante il bilanciamento con l’istituto della riduzione della penale eccessiva, si è sempre avuta di mira l’equità contrattuale (Cass. Sez. U, 26531/2021; Cass. 6034/1997).
4.4. Su tali basi questa Corte ha affermato, in tema di leasing traslativo risoltosi anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore, che «il patto c.d. di deduzione – per mezzo del quale deve essere riconosciuto al concedente l’importo complessivo dovuto dall’utilizzatore, a titolo di ratei scaduti e a scadere nonché quale prezzo del riscatto del bene, maggiorato degli interessi moratori convenzionali, anche se decurtato del prezzo di riallocazione del bene oggetto del contratto – è nullo per contrarietà all’ordine pubblico economico ed, in particolare, alla previsione di cui all’art.1526 c.c., applicabile in via analogica a tutti i casi di risoluzione anticipata del contratto», in quanto integra una «previsione contrattuale tendente a eludere la disciplina legislativa contenuta nell’art. 1526 cod. civ.», di cui questa Corte ha predicato l’applicabilità in ipotesi di risoluzione del contratto di leasing traslativo (Cass. 21476/2017, 27935/2018; diff., circa la contrarietà all’ordine pubblico economico, Cass. 28023/2022, 26531/2021).
4.5. Nello stesso formante giurisprudenziale non si è peraltro mancato di dare rilievo alla (con)causa di finanziamento, pur sempre sottesa all’operazione di leasing traslativo, includendo nella relativa “causa in concreto” l’interesse del concedente di ottenere, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, «l’integrale restituzione della somma erogata a titolo di finanziamento, con gli interessi, il rimborso delle spese e gli utili dell’operazione», ma non anche «la restituzione dell’immobile, che normalmente non rientrava fra i beni di sua proprietà alla data della conclusione del contratto, né costituiva oggetto della sua attività commerciale» (Cass. Sez. U, 26531/2021; Cass. 888/2014).
4.6. Al riguardo le Sezioni Unite citate hanno rammentato che l’equo compenso contemplato dal primo comma dell’art. 1526 c.c. «comprende la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e il logoramento per l’uso, ma non include il risarcimento del danno spettante al concedente, che, pertanto, deve trovare specifica considerazione» nella sua interezza, come danno emergente e lucro cessante, secondo il cd. principio di indifferenza incarnato dall’art.1223 c.c., in modo «da porre il concedente medesimo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l’utilizzatore avesse esattamente adempiuto» (Cass. 1581/2020, 15202/2018, 888/2014, 73/2010, 4969/2007, 9162/2002).
4.7. E, potendo le parti, nell’esercizio dell’autonomia privata, determinare preventivamente il risarcimento del danno attraverso una clausola penale, ex art. 1382 c.c. (come avviene di norma, sulla base di modelli standardizzati del social-tipo “contratto di leasing”), l’operazione integrativa per via analogica include il secondo comma dell’art. 1526 c.c., che consente l’acquisizione delle “rate pagate” come indennità, a titolo di clausola penale (cd. clausola di confisca) e al tempo stesso contempla, conformemente al principio generale ex art. 1384 c.c., la riduzione giudiziale dell’indennità medesima “secondo le circostanze”, valutando cioè se tale penale risulti manifestamente eccessiva, sempre al fine di «ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela e riequilibrando, quindi, la posizione delle parti, avendo pur sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento integrale» (conf. Cass. Sez. U, 18128/2015, Cass. 18326/2018).
5. Ebbene, attraverso il filtro dell’art. 1526 c.c., la giurisprudenza di questa Corte (richiamata da Cass. Sez. U, 26531/2021) ha selezionato, tra le varie clausole standardizzate, quelle meritevoli o meno di tutela, sempre alla luce della ratio di evitare indebite locupletazioni in capo al concedente, nel perseguimento di un equilibrato assetto delle posizioni contrattuali delle parti.
5.1. Così, tra le clausole meritevoli di tutela è stata fatta rientrare «la penale inserita nel contratto di leasing traslativo prevedente l’acquisizione dei canoni riscossi con detrazione, dalle somme dovute al concedente, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito» (Cass. Sez. U, 26531/2021, con rinvio a Cass. 15202/2018, 21762/2019, 25031/2019, 1581/2020).
5.2. Al contrario, è stata reputata «manifestamente eccessiva la penale che, mantenendo in capo al concedente la proprietà del bene, gli consente di acquisire i canoni maturati fino al momento della risoluzione, ciò comportando un indebito vantaggio derivante dal cumulo della somma dei canoni e del residuo valore del bene» (Cass. Sez. U, 26531/2021, con rinvio a Cass. 19732/2011, 1581/2020).
5.3. Le stesse Sezioni Unite hanno sottolineato come resti fermo «il diritto dell’utilizzatore di ripetere l’eventuale maggior valore che dalla vendita del bene (a prezzo di mercato) ricavi il concedente, rispetto alle utilità» che quest’ultimo «avrebbe tratto dal contratto qualora finalizzato con il riscatto del bene», con l’ulteriore puntualizzazione che, nel caso in cui la clausola penale non faccia riferimento ad una collocazione del bene a prezzi di mercato, essa «dovrà esser letta negli stessi termini alla luce del parametro della buona fede contrattuale, ex art. 1375 c.c.» (Cass. 15202/2018; conf. Cass. 28023/2022).
5.4. Ma soprattutto, per quanto rileva in questa sede, le più volte citate Sezioni Unite hanno evidenziato che, ove il contratto preveda una clausola penale manifestamente eccessiva, a causa del cumulo tra acquisizione dei canoni riscossi e mantenimento della proprietà del bene (cd. clausola di confisca), essa, ai sensi dell’art. 1526, comma 2, c.c., deve essere ridotta dal giudice, anche d’ufficio, «sempre che, naturalmente, la penale stessa sia stata fatta oggetto di domanda ovvero dedotta in giudizio come eccezione – in senso stretto – nel rispetto delle preclusioni di rito: Cass., 12 settembre 2014, n. 19272»; ciò, appunto, «nell’esercizio del potere correttivo della volontà delle parti contrattuali affidatogli dalla legge, al fine di ristabilire in via equitativa un congruo contemperamento degli interessi contrapposti (Cass., S.U., n. 18128 del 2005, citata) e, quindi, nella specie dovendo operare una valutazione comparativa tra il vantaggio che la penale inserita nel contratto di leasing traslativo assicura al contraente adempiente e il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto (tra le altre, Cass. n. 4969 del 2007, citata, e Cass., 21 agosto 2018, n. 20840)».
5.5. A tal fine il giudice, tenuto conto delle circostanze concrete, dovrà – ferma restando l’irripetibilità dei canoni già riscossi – disporre la stima del bene ai valori di mercato al momento della sua restituzione (salvo che esso non sia stato già venduto o altrimenti allocato, nel qual caso facendosi riferimento ai valori conseguiti) e poi detrarre tale valore dalle somme dovute dall’utilizzatore al concedente (con diritto del primo all’eventuale residuo).
6. Venendo alla fattispecie in esame, deve innanzitutto affermarsi in modo netto (e non in chiave ipotetica, come a pag. 6 della sentenza impugnata) che, dopo il riferito arresto del massimo organo nomofilattico, in caso di leasing traslativo – come è stato qualificato il contratto per cui è causa – resta valida la soluzione adottata dal diritto vivente di individuare, per analogia legis, nella disposizione dell’art. 1526 c.c. la disciplina della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore (conf., da ultimo, Cass. 5754/2022), alla luce della quale devono quindi essere interpretate le pattuizioni contrattuali.
6.1. Orbene, l’articolo 1526 c.c. consta di due livelli: sul piano restitutorio, il primo comma contempla la restituzione dei canoni riscossi, con diritto alla decurtazione di un «equo compenso per l’uso della cosa» (cfr. Cass. 12883/2021), come visto comprendente la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e il logoramento per l’uso; sul piano risarcitorio, il secondo comma ammette la stipula di una clausola penale che preveda la corresponsione di un’indennità in misura pari ai canoni già pagati dall’utilizzatore (con conseguente venir meno del diritto alla restituzione prevista, di norma, dal primo comma), ma assegna in tal caso al giudice, conformemente all’art.1284 c.c., il potere di ridurre ad equità – anche d’ufficio – la penale che risulti manifestamente eccessiva, ad esempio a causa del cumulo tra mantenimento dei canoni riscossi e della proprietà del bene (cd. clausola di confisca), attraverso una valutazione comparativa tra il vantaggio che la penale assicura al contraente adempiente e il margine di guadagno che questi si riprometteva di trarre dalla regolare esecuzione del contratto (Cass. Sez. U, 2061/2021; Cass.20840/2018, 4969/2007).
6.2. E’ dunque la legge ad affidare al giudice l’esercizio del potere correttivo della volontà contrattuale delle parti, al fine di ristabilire in via equitativa un congruo contemperamento dei loro interessi contrapposti (Cass. Sez. U, 2061/2021, 18128/2005), naturalmente a condizione che la penale sia stata dedotta – in via di azione o di eccezione (in senso stretto) – nel rispetto delle preclusioni di rito (Cass. Sez. U, 2061/2021; Cass. 19272/2014), mentre l’omesso esercizio del potere di riduzione della penale da parte del giudice di appello – cui spetta appunto il potere officioso di applicare l’art. 1384 c.c. – può essere non solo dedotto dalla parte interessata, ma anche, integrando un’eccezione in senso lato, rilevato d’ufficio da parte del giudice di legittimità, sempre che non siano necessari accertamenti di fatto (Cass. 26531/2021).
7. Così ricostruito il quadro ermeneutico, il giudice d’appello non avrebbe dovuto limitarsi ad interpretare e applicare letteralmente il contenuto dell’art. 20 del contratto inter partes, ma avrebbe dovuto innanzitutto accertare se tale pattuizione integrasse, nel suo complesso, una clausola penale – come si desume dai riferimenti ivi contenuti alla «indennità di risoluzione» ed al «maggior danno» – e quindi verificare d’ufficio se essa fosse manifestamente eccessiva, ai 1 fini della sua eventuale riduzione ad equità, ex artt. 1384 e 1526 co. 2 c.c., nell’esercizio, appunto, di quel potere correttivo della volontà contrattuale – nel contemperamento dei contrapposti interessi delle parti – predicato dalle Sezioni Unite da oltre tre lustri.
8. La sentenza va quindi cassata con rinvio per nuova valutazione dell’art. 20 del contratto di leasing traslativo per cui è causa, tenendo conto dei principi sopra richiamati, oltre che per la statuizione sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 02/02/2022.