Sentenza 10269/2002
Offerta non formale mediante deposito banco judicis – Somma rifiutata dal creditore in quanto insufficiente
L’offerta non formale, mediante deposito “banco judicis”, della somma che il debitore ritenga effettivamente dovuta può essere rifiutata dal creditore, che la ritenga insufficiente, senza incorrere in alcuna situazione pregiudizievole; qualora, peraltro, il giudice accerti che è dovuta la somma offerta, si producono a favore del debitore gli effetti previsti dall’art. 1220 c. c. e, pertanto, dalla data dell’offerta egli non può essere considerato in mora e non è tenuto alla corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria.
Mancato rinvenimento nel fascicolo degli atti di causa
In caso di mancato rinvenimento, negli atti di causa, al momento della decisione, di documenti invocati dalle parti, il giudice non ha l’obbligo di chiedere chiarimenti nè di disporne la produzione in copia o in originale.
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 16-7-2002, n. 10269 (CED Cassazione 2002)
Art. 1220 cc (Offerta non formale) – Giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Ge. Fr. proponeva opposizione avverso il decreto, con il quale il presidente del tribunale di Nuoro gli ingiungeva di pagare a To.Fi. Ma. la somma di lire 18.252.240, oltre accessori, quale corrispettivo di lavori di scavo su roccia di mina.
A sostegno dell’opposizione deduceva che non ricorrevano le condizioni per l’emissione dell’ingiunzione e che la somma ingiunta era sproporzionata ai lavori eseguiti; offriva “banco iudicis” la somma di lire 4.000.000.
L’opposto resisteva; il tribunale, istruita la causa, revocava il decreto e condannava l’opponente al pagamento di lire 10.951.200 con gli interessi legali dalla data della costituzione in mora.
Su gravame principale del Ge. ed incidentale del To.Fi. la corte di appello di Cagliari – sezione distaccata di Sassari – con sentenza resa il 6.11.1998 riduceva la condanna a lire 5.741.200 con gli interessi al tasso legale decorrenti dal 21.11.1989 calcolati sul valore capitale rapportato a tale epoca via via rivalutato, anno per anno, fino alla data della decisione e quelli ulteriori sul capitale liquidato dalla data della decisione fino al saldo.
Considerava la Corte che non vi era in atti la lettera, alla quale facevano riferimento le parti, sicché mancava la possibilità di valutarne il contenuto ed interpretarlo; che il To.Fi. non aveva adempiuto all’onere di provare l’importo dei lavori e, poiché tale importo non si poteva neppure desumere dalla C.T.U., non restava che ritenere che fosse dovuta la somma offerta “banco iudicis”; che, tuttavia, rivestendo il creditore la qualità di imprenditore, v’era motivo di presumere che avrebbe impiegato la somma in modo tale da sottrarla al fenomeno inflattivo, di tal che era suscettibile di rivalutazione; che gli interessi erano dovuti dalla data della domanda, ma dovevano essere calcolati “sul valore rapportato a tale epoca via via rivalutato anno per anno”.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Ge. sulla base di due motivi, illustrati con memoria; l’intimato ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi sono proposti contro la medesima sentenza e, a norma dell’art. 335 c. p.c., vanno riuniti.
Precede per ragioni di ordine logico l’esame dell’unico motivo del ricorso incidentale, con il quale, denunciandosi violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c. c. e vizi di motivazione, si lamenta che la corte di merito abbia ritenuto che, contrariamente al vero, la lettera richiamata da entrambe le parti non fosse in atti e si aggiunge che, ove mai non vi fosse stata, la corte avrebbe dovuto chiedere chiarimenti e, se del caso, invitare le parti alla produzione di essa.
Il motivo non può trovare accoglimento.
L’errore che viene imputato alla Corte di merito è di avere ritenuto che non fosse in atti documento (la lettera del Ge.) che, viceversa, vi era e non poteva non esservi.
Ebbene, un errore cosiffatto – siccome consistente nell’inesatta percezione da parte del giudice della realtà materiale – esula dall’ambito dell’art. 360 n. 5 c. p.c. ed è motivo di revocazione della sentenza ex art. 395, n. 4, stesso codice alla stregua dell’insegnamento di questa Corte, secondo il quale la differenza tra la fattispecie prevista dall’art. 360, n. 5, c. p.c. e quella prevista dall’art. 395, n. 4, stesso codice va ravvisata nel fatto che la prima concerne un errore di apprezzamento delle risultanze processuali e la seconda consiste in una inesatta percezione, da parte del giudice, di una circostanza che viene ritenuta inesistente mentre è esistente o vice versa (ex plurimis Cass. 29.5.1995 n. 6038; Cass. 20.4.1995 n. 1803; Cass. 6.2. 1993 n. 1503).
Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto nel motivo, nessun obbligo ha il giudice di merito di chiedere chiarimenti in ordine a documento che non rinvenga in atti né tanto meno di disporne la produzione in copia o in originale (cfr. in senso conforme: Cass. 24.11.2000 n. 15188).
Passando, quindi, all’esame del ricorso principale, va rilevato che con il primo motivo, nel denunciarsi violazione dell’art. 1220 c.c., nonché vizi di motivazione, si censura la corte di merito per avere omesso di considerare che la messa a disposizione “banco iudicis” della somma di lire 4.000.000 costituisce offerta non formale idonea ad evitare gli effetti della “mora debendi” e per avere in conseguenza di tale omissione pronunciato condanna al pagamento di interessi, rivalutazione monetaria, spese processuali.
Il motivo è fondato nei limiti di cui appresso.
Se il debitore offra informalmente “banco iudicis” la somma, che egli ritenga effettivamente dovuta, il creditore, che la ritenga insufficiente, può rifiutarla senza incorrere in alcuna situazione pregiudizievole; se, però, il giudice accerti che è dovuta proprio la somma offerta, si producono a favore del debitore gli effetti previsti dall’art. 1220 c.c., sicché dalla data dell’offerta egli non può essere considerato in mora e non è tenuto alla corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria.
Per quanto concerne le spese va rilevato che il giudice può compensarle in tutto o in parte, ma non può neppure in parte porle a carico del creditore in quanto l’esito definitivo del giudizio, al quale occorre avere esclusivamente riguardo al fine del riparto delle spese, è di accoglimento sia pure parziale della domanda, mentre il rifiuto della somma offerta assume esclusivo rilievo in tema di compensazione.
La sentenza impugnata si è discostata dai principi di cui sopra e va, pertanto, cassata con rinvio alla corte di appello di Cagliari per nuovo esame sulla base dei menzionati principi e pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Rimane assorbito il secondo motivo del ricorso principale, con il quale si deduce violazione dell’art. 1224 c. c. per avere la corte di merito riconosciuto la rivalutazione, pur mancando la prova che il creditore ha rivestito la qualità di imprenditore successivamente all’esecuzione dei lavori e pur non avendo egli dedotto che il pagamento tempestivo gli avrebbe consentito di evitare o ridurre gli effetti pregiudizievoli dell’inflazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il primo motivo del ricorso principale; dichiara assorbito il secondo motivo dello stesso ricorso; cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Cagliari; rigetta il ricorso incidentale.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della sezione terza civile della Corte di cassazione, il 21 dicembre 2001.