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Cassazione Civile 10293/2018 – Offerta non formale mediante deposito “banco judicis”

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Ordinanza 10293/2018

 

Offerta non formale mediante deposito “banco judicis”

L’offerta non formale, mediante deposito “banco judicis”, della somma che il debitore ritenga effettivamente dovuta può essere rifiutata dal creditore, che la ritenga insufficiente, senza incorrere in alcuna situazione pregiudizievole; qualora, peraltro, il giudice accerti che è dovuta la somma offerta, si producono a favore del debitore gli effetti previsti dall’art.1220 c.c. e, pertanto, dalla data dell’offerta egli non può essere considerato in mora e non è tenuto alla corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria.

Cassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 27 aprile 2018, n. 10293   (CED Cassazione 2018)

Art. 1220 cc (Offerta non formale) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

  1. Con la pronuncia impugnata, notificata il 28/12/2012, la Corte d’appello di Cagliari ha revocato la sentenza con cui il Tribunale di Cagliari, ritenuti sussistenti la legittimazione del creditore istante F.C.G. s.n.c. (stante il riconoscimento del debito portato da un assegno di € 2.952,21), il presupposto di cui all’art. 15, ult.co., legge fall. (a fronte di protesti e debiti iscritti in bilancio per circa 161 mila euro) e lo stato di insolvenza, aveva dichiarato il fallimento della società DI. s.r.l.
  2. Accogliendo il reclamo ex art. 18 legge fall., il giudice d’appello ha ritenuto che l’unico debito certo, liquido ed esigibile fosse quello (esiguo) portato dall’assegno suddetto, di cui era stato però offerto il pagamento banco judicis, con conseguente «carenza di legittimazione attiva sopravvenuta» del creditore istante, dal momento che gli ulteriori crediti da questi esposti, fondati su documenti ritenuti inidonei a comprovarne la sussistenza (fatture predisposte unilateralmente, bolle di accompagnamento sottoscritte in sede di ricezione da soggetti non riconducibili alla società e assegni emessi dall’ex amministratore della società debitrice su conti correnti e postali ad essa non riconducibili), avrebbero dovuto essere accertati in un separato giudizio di merito – invece neppure avviato – e non già «durante un’istruttoria prefallimentare, la cui necessaria speditezza e concentrazione mal si conciliano con le problematiche connesse all’accertamento della fondatezza dei crediti ».
  3. Il Fallimento DI. ha impugnato la pronuncia con ricorso affidato a due motivi (poi corredato da memoria illustrativa) notificato il 16/1/2013 al DI. s.r.l., che ha resistito con controricorso, e il 17-22/1/2013 alla società F.C.G. s.n.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Con il primo motivo – rubricato «violazione degli artt. 1206, 1207, 1208, 1209, 1210, 1220 e 1227 c.c., dell’art. 6 della Legge 16 marzo 1942 n. 267, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.» – si censura l’affermazione per cui l’offerta effettuata banco judicis avrebbe avuto effetto estintivo dell’obbligazione di pagamento (piuttosto che limitarsi ad evitare la mora debendi), senza peraltro considerare la piena legittimità del rifiuto di un’offerta di pagamento intempestiva e parziale, con conseguente venir meno di ogni fondamento della prospettata «carenza di legittimazione attiva sopravvenuta».
  2. Con il secondo mezzo – rubricato «violazione degli artt. 6 e 52 della Legge 16 marzo 1942 n. 267, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.» – si contesta la negazione di valenza probatoria delle fatture e bolle di consegna prodotte dal creditore istante, in contrasto con il principio per cui in sede prefallimentare il credito allegato deve essere oggetto di accertamento incidentale, senza che sia richiesto un previo accertamento giudiziale.
  3. Entrambi i motivi, che in quanto connessi possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.
  4. Preliminarmente vanno disattese le eccezioni di inammissibilità sollevate a pag. 21 del controricorso, poiché la dedotta inutilizzabilità dei documenti nuovi prodotti in violazione dell’art. 372 cod. proc. civ. resta superata dalla loro superfluità ai fini della decisione, mentre la dedotta carenza di interesse per mancata impugnazione della ratio decidendi fondata sull’insussistenza del presupposto di cui all’art. 15, ult.co., legge fall. non tiene conto del fatto che le censure sollevate, in realtà, si riflettono oggettivamente anche su detta condizione.
  5. Nel merito, occorre innanzitutto rammentare che, a fronte del rifiuto del creditore di accettare l’offerta reale, l’art. 1210, comma 2, cod. civ. prevede che il debitore è liberato dalla sua obbligazione solo se il corrispondente deposito venga accettato dal creditore, ovvero dichiarato valido con sentenza passata in giudicato; presupposto, questo, previsto anche dall’art. 1214 cod. civ. ai fini della mora accipiendi del creditore, in ipotesi di offerta «nelle forme d’uso anziché in quelle prescritte dagli articoli 1208 e 1209». Inoltre, ai sensi dell’art. 1220 cod. civ. l’unico effetto di una tempestiva offerta della prestazione priva delle formalità di cui agli artt. 1206 e ss. cod. civ. è che il debitore non può essere considerato in mora, a meno che il creditore l’abbia rifiutata per un motivo legittimo, il quale ricorre, ad esempio, in caso di offerta di una prestazione parziale, come si desume anche dall’art. 1208, n. 3, cod. civ. (v. Cass. 15/12/1981 n. 6631; Cass. 19/01/2000 n. 562).

5.1. Va quindi data continuità all’orientamento di questa Corte per cui «L’offerta non formale, mediante deposito banco judicis della somma che il debitore ritenga effettivamente dovuta, può essere rifiutata dal creditore che la ritenga insufficiente, senza incorrere in alcuna situazione pregiudizievole; qualora, peraltro, il giudice accerti che è dovuta la somma offerta, si producono a favore del debitore gli effetti previsti dall’art. 1220 c.c. e, pertanto, dalla data dell’offerta egli non può essere considerato in mora e non è tenuto alla corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria» (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10269 del 16/07/2002).

5.2. In altre parole, l’offerta banco judicis non priva certo di legittimazione attiva il creditore istante per il fallimento del proprio debitore, ed anzi conferma il corrispondente presupposto soggettivo, potendo al più – ricorrendone i presupposti – far venir meno lo stato di insolvenza del suo debitore. Di qui l’erroneità della «carenza di legittimazione attiva sopravvenuta» divisata dal giudice a quo.

  1. Parimenti erronea è l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per cui il creditore istante avrebbe dovuto sottoporre a separato accertamento giudiziale l’esistenza, liquidità ed esigibilità del credito vantato in sede prefallimentare, in contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte per cui «in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, l’art. 6 legge fall., laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante» (ex plurimis, Cass. Sez. U, Sentenza n. 1521 del 23/01/2013).
  2. ne consegue che, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ai fini dell’accertamento incidentale della consistenza del credito vantato dal creditore istante, anche in relazione al presupposto di cui all’art. 15, ult.co., legge fall., oltre che per la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Cagliari in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

 

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