Ordinanza 10335/29023
Assicurazione obbligatoria responsabilità civile auto – Mancato pagamento di premi successivi al primo – Sospensione – Conseguenze
In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile auto, il danneggiato che proponga l’azione diretta contro l’assicuratore, ai sensi dell’art. 18 della l. n. 990 del 1969, di fronte all’eccezione della compagnia di mancanza della copertura assicurativa, ha l’onere di provare, anche a mezzo di testimoni, essendo egli terzo rispetto al contratto assicurativo, che tale danno si è verificato nel periodo di copertura assicurativa; atteso, peraltro, che, in caso di mancato pagamento alla scadenza del premio successivo al primo, l’assicurazione resta sospesa dalle ore ventiquattro del quindicesimo giorno successivo ad essa, il sinistro accaduto nel periodo di sospensione è irrisarcibile dall’assicuratore, stante la mancanza della copertura assicurativa al momento del verificarsi del sinistro, senza che abbia rilevanza il pagamento del premio successivamente effettuato.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 18-4-2023, n. 10335 (CED Cassazione 2023)
Rilevato che:
1. Il presente giudizio trae origine da un sinistro stradale,
verificatosi il 30 giugno 1993, in cui ha perso la vita la signora
(OMISSIS), travolta da una motocicletta che transitava a
velocità sostenuta. Nell’impatto decedevano anche il conducente
della moto, (OMISSIS), e il terzo trasportato,
(OMISSIS).
Gli eredi di (OMISSIS) convennero in giudizio la Società
Milano Assicurazioni, la Assitalia “Le Assicurazioni d’Italia”, quale
impresa designata del F.G.V.S., e (OMISSIS) (madre del
defunto (OMISSIS) e proprietaria della motocicletta).
Si costituirono in giudizio, spiegando domanda riconvenzionale,
anche (OMISSIS), moglie di (OMISSIS), in proprio e
quale esercente la responsabilità genitoriale sui figli (OMISSIS),
(OMISSIS) e (OMISSIS).
Il Tribunale di Reggio Calabria, con la sentenza n. 1 del 13 gennaio
2006, rigettò la domanda principale e quella riconvenzionale
proposta da (OMISSIS), dichiarando l’estromissione dal
giudizio dell’Assitalia e compensando le spese di lite fra le parti.
In particolare, il Giudice di prime cure, pur riconoscendo quale
unico responsabile del sinistro (OMISSIS) e quale società
tenuta al risarcimento dei danni la Milano Assicurazioni, rigettò la
domanda degli attori.
In motivazione, il Tribunale ha ritenuto che: a) i parenti
dell’(OMISSIS) avessero agito in giudizio iure hereditatis e non iure
proprio; b) non fosse possibile configurare qualsivoglia danno
biologico e/o morale maturato in capo al de cuius e trasmesso per
successione agli eredi perché l’(OMISSIS) era deceduto a distanza di
un’ora dall’incidente, dopo essere stato trasportato in stato di coma
agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria.
2. La Corte d’Appello di Reggio Calabria, con la sentenza n.
383/2019, pubblicata in data 6 maggio 2019, accogliendo
parzialmente l’appello principale, condannava (OMISSIS) al
risarcimento dei danni patiti iure proprio dagli attori nella misura di
55.320,00 euro per (OMISSIS) e (OMISSIS) ed
euro 8.000,00 ciascuno per i loro figli rigettando per il resto
l’appello principale.
Inoltre, la Corte d’Appello accoglieva l’appello incidentale proposto
da Milano Ass.ni sp.a., escludendo che fosse stata fornita la prova
dell’esistenza di un valido contratto di assicurazione con la
compagnia assicuratrice, e riteneva passata in giudicato la
statuizione relativa all’estromissione dal giudizio della Società
Assitalia. Riconosceva, quindi, quale unico destinatario della
condanna al risarcimento del danno (OMISSIS), in quanto
proprietaria della motocicletta.
3. Avverso tale sentenza (OMISSIS), (OMISSIS),
(OMISSIS) e (OMISSIS) – in proprio e quali eredi di
(OMISSIS), defunto nel corso del giudizio di primo grado –
propongono ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi illustrati
da memoria.
3.1. Resistono con controricorso Milano Ass.ni S.p.a (oggi Unipolsai
Assicurazioni Spa) e la Società Generali Italia S.p.a. Quest’ultima
ha depositato memoria.
Considerato che:
4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la nullità della
sentenza, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., per violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 116 c.p.c., dell’art. 127 del D. Lgs. n.
209/2005, e degli artt. 1901 e 2700 c.c..
La Corte d’Appello, stravolgendo le risultanze istruttorie emerse nel
corso del giudizio, avrebbe erroneamente ritenuto non assolto, da
parte degli attori, l’onere di provare l’esistenza di un valido
contratto di assicurazione con la società Milano.
A giudizio dei ricorrenti, la Corte non avrebbe considerato il
principio di diritto secondo cui – anche in mancanza di una valida
polizza RCA – occorre tutelare l’affidamento ingenerato
nell’assicurato dal rilascio di un certificato o di un contrassegno
assicurativo, dando prevalenza alla situazione di apparenza del
diritto.
Nel caso di specie, infatti, l’affidamento sulla sussistenza di una
valida copertura assicurativa era stato generato dal rapporto dei
Carabinieri – depositato in atti – nonché dal teste l’appuntato
Vincenzo Pasqua.
4.2. Con il secondo motivo, proposto in via subordinata al primo, i
ricorrenti censurano la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360,
1 comma, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt.
346 e 112 c.p.c..
La Corte d’Appello avrebbe erroneamente considerato passata in
giudicato la statuizione della sentenza di primo grado relativa
all’estromissione dal giudizio della società Assitalia, con una grave
violazione degli artt. 346 e 112 c.p.c.
Ritengono i ricorrenti che, mancando l’interesse ad impugnare la
sentenza di prime cure perché vittoriosi nel giudizio di primo grado,
sarebbe stato sufficiente il richiamo da loro fatto, ai sensi dell’art.
346 c.p.c., nella comparsa conclusionale d’appello.
4.3. Con il terzo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano la nullità
della sentenza, ai sensi dell’art. 360, I comma, n. 3, c.p.c., per
avere la Corte Territoriale ritenuto insussistente il danno da perdita
del rapporto parentale (sotto il profilo della diminuzione o
modificazione delle attività dinamico relazionali) e per aver in
applicazione delle Tabelle di Milano liquidato, in modo irrisorio, il
danno morale inteso quale sofferenza soggettiva.
5. Il primo motivo è infondato.
In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile
derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, qualora il
danneggiato agisca direttamente nei confronti dell’assicuratore ai
sensi dell’art. 18 della L. n. 990/1969 e l’assicuratore gli opponga
la mancanza di copertura assicurativa, il danneggiato ha l’onere di
provare, anche a mezzo di testimoni, essendo egli terzo rispetto al
contratto assicurativo, che tale danno si è verificato nel periodo di
copertura assicurativa. A sua volta, l’assicuratore è responsabile,
nei confronti dei terzi danneggiati, per il periodo di tempo indicato
nel certificato d’assicurazione e, in caso di mancato pagamento,
alla scadenza del premio successivo al primo, fino alle ore
ventiquattro del quindicesimo giorno successivo ad essa, senza che
abbia rilevanza, con riferimento al sinistro accaduto nel periodo in
cui la garanzia assicurativa sia sospesa, il pagamento del premio
successivamente effettuato, stante che la mancanza della
copertura assicurativa al momento del verificarsi del sinistro ha
irrevocabilmente prodotto la irrisarcibilità dello stesso da parte
dell’assicuratore (v., ex multis, Cass. ord. n. 25366/2018; sent. n.
23149/2014; sent n. 5944/2014; Cass. sent. n. 5194/1998).
Nel caso di specie, come evidenziato nella sentenza impugnata, il
contratto di assicurazione – con durata annuale dal 26 giugno 1992
al 26 giugno 1993 con frazionamento quadrimestrale – risultava
risolto, al momento del verificarsi dell’incidente stradale, per
mancato pagamento del premio da parte dell’assicurato.
In ossequio alla giurisprudenza richiamata, infatti, il mancato
pagamento alla scadenza, da parte dell’assicurato, di un premio
successivo al primo determina, ai sensi dell’art. 1901, comma
secondo, c.c., la sospensione della garanzia assicurativa non
immediatamente, ma dopo il decorso del periodo di tolleranza di
quindici giorni (Cass. sent. n. 26104/2016).
Si osserva allora come la Corte Territoriale abbia correttamente
escluso la responsabilità della società Milano Ass.ni Spa, essendo il
termine ampiamente decorso, in conseguenza della risoluzione del
contratto di assicurazione, in data 26 febbraio 1992, rispetto alla
verificazione dell’evento avvenuto in data 30 giugno 1993.
Inoltre, il Giudice di secondo grado – attenendosi al disposto
dell’art. 1888 c.c. – che, in tema di assicurazione, prescrive che il
contratto debba essere provato per iscritto da chi intende
avvalersene – ha dato prevalenza alla prova documentale rispetto a
quella orale rappresentata dalla testimonianza dell’appuntato
Vincenzo Pasqua, valutando anche la mancata esibizione dei
documenti assicurativi, richiesta dal Tribunale, da parte di
(OMISSIS) e (OMISSIS). E il giudice di merito, nel suo
sovrano apprezzamento delle prove, è libero di attingere il proprio
convincimento da quegli elementi istruttori che ritenga più
attendibili ed idonei per la risoluzione della controversia senza che
tale giudizio sia sindacabile in sede di legittimità, ove non si
traduca in un insanabile vizio di motivazione.
5.1. E’ inammissibile anche il secondo motivo di ricorso, proposto
in via subordinata al primo.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito, con la sentenza n.
7940 del 2019, che nel giudizio di appello la parte totalmente
vittoriosa in primo grado deve riproporre, al fine di evitare
preclusioni, con il primo atto difensivo e comunque entro la prima
udienza, le domande e le eccezioni non accolte in primo grado
respinte o rimaste assorbite: solo in tal modo, infatti, può sottrarsi
alla presunzione di rinuncia delle stesse.
Secondo la decisione delle Sezioni Unite, la disciplina dettata
dall’art. 346 c.p.c. fa sì che in appello viga un effetto devolutivo
limitato e non automatico, con la conseguenza che la mancata
riproposizione delle domande o delle eccezioni respinte o ritenute
assorbite comporta che in capo alle parti si verifichi una vera e
propria decadenza, con formazione di giudicato implicito sul punto.
Uniche questioni che si sottraggono al principio sono quelle
pregiudiziali di rito: queste infatti, anche qualora non siano fatte
soluzione di motivazione della sentenza di primo grado, rimangono
rilevabili anche d’ufficio in grado di appello, pur in mancanza di un
motivo apposito di gravame o di loro riposizione.
La riproposizione, specifica la Corte, sebbene possa avvenire in
qualsiasi forma, deve avvenire in maniera chiara, univoca e
specifica, e non può limitarsi ad un mero richiamo delle conclusioni
del primo grado.
Inoltre la parte totalmente vittoriosa non potrà proporre appello
incidentale (in quanto carente di interesse), ma potrà solamente
riproporre quelle domande o eccezioni, contenute nella comparsa di
costituzione e risposta, non accolte o non esaminate in quanto
assorbite nella sentenza di prima grado, tra cui rientra anche la
chiamata del terzo in garanzia.
Ovviamente, come sopra ricordato, per potersi sottrarre alla
presunzione di rinuncia delle domande non riproposte, la parte
totalmente vittoriosa in primo grado potrà utilmente riproporre le
domande respinte o ritenute assorbite in qualsiasi momento del
giudizio di appello e comunque fino all’udienza per la precisazione
delle conclusioni. Le decadenze in cui si può incorrere a seguito
della tardiva costituzione nel giudizio di appello (almeno venti
giorni prima della data fissata in citazione) riguardano le domande
riconvenzionali, che come sopra visto non potranno però essere
proposte dalla parte totalmente vittoriosa in primo grado.
Ebbene, atteso che soltanto la parte vittoriosa in primo grado non
ha l’onere di proporre appello incidentale per far valere le domande
e le eccezioni non accolte e, per sottrarsi alla presunzione di
rinuncia ex art. 346 c.p.c., può limitarsi a riproporle, mentre la
parte rimasta parzialmente soccombente in relazione ad una
domanda od eccezione di cui intende ottenere l’accoglimento ha
l’onere di proporre appello incidentale, pena il formarsi del
giudicato su rigetto della stessa (Cass. sent. n. 9265/2021), nel
caso di specie, non avendo i ricorrenti impugnato in via incidentale
l’estromissione di Assitalia Spa nq per il FGVS, la relativa
statuizione risulta passata in giudicato.
5.2. Il terzo motivo è fondato.
La Corte d’Appello ha ritenuto non sussistente il danno da perdita
del rapporto parentale, quale diminuzione o modificazione delle
attività dinamico relazionali, perché risulta non provato che ‘il
soggetto deceduto convivesse, al momento della morte, con alcuno
dei parenti. (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
Tale assunto è errato.
In tema di illecito plurioffensivo, ciascun danneggiato – in forza di
quanto previsto dagli artt. 2, 29, 30 e 31 Cost., nonché degli artt. 8
e 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 1
della cd. “Carta di Nizza” – è titolare di un autonomo diritto
all’integrale risarcimento del pregiudizio subìto, comprensivo,
pertanto, sia del danno morale (da identificare nella sofferenza
interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo
nell’immediatezza dell’illecito, ma anche in modo duraturo, pur
senza protrarsi per tutta la vita) che di quello “dinamicorelazionale” (consistente nel peggioramento delle condizioni e
abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana). Ne consegue che,
in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale,
ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione
comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subìto, in
proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla
composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare
assistenza morale e materiale, avuto riguardo all’età della vittima e
a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di
costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e
ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare
(anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza)
da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la
prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la
continuità e l’intensità del rapporto familiare (Cass. n. 9231/2013).
Si è anche affermato che la convivenza non può assurgere a
connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei
rapporti parentali ovvero a presupposto dell’esistenza del diritto in
parola, ma che la stessa costituisce elemento probatorio utile,
unitamente ad altri elementi, a dimostrare l’ampiezza e la
profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a
determinare anche il quantum debeatur. In ogni caso non è
condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’art.
29 Cost., all’ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare”
(Cass. n. 21230/2016).
Quindi i congiunti devono provare la effettività e la consistenza
della relazione parentale rispetto alla quale il rapporto di
convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può
costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la
profondità.
5.2.1. Sempre con il terzo motivo, censurano i ricorrenti che
l’irrisoria liquidazione del danno morale (sofferenza soggettiva),
riconosciuta dalla Corte territoriale sia ai genitori che ai fratelli,
sarebbe in contrasto non soltanto con la documentazione versata in
atti ma anche con le stesse Tabelle Milanesi.
La Corte territoriale, in violazione dei principi ripetutamente
affermati da questa Corte, pur riconoscendo il danno morale, lo ha
liquidato quantificandolo in un terzo del minimo previsto dalle
Tabelle Milanesi sia per i genitori sia per i fratelli considerate la non
convivenza e l’età dei genitori (75 anni) e l’età dei fratelli (29 anni)
e l’età della vittima (22 anni) (cfr. pag. 8 sentenza impugnata).
Va premesso che, in tema di danno non patrimoniale da lesione
della salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta
attribuzione del risarcimento del “danno biologico”, quale
pregiudizio che esplica incidenza sulla vita quotidiana e sulle
attività dinamico-relazionali del soggetto, e di un’ulteriore somma a
titolo di ristoro del pregiudizio rappresentato dalla sofferenza
interiore (c.d. danno morale, “sub specie” di dolore dell’animo,
vergogna, disistima di sé, paura, disperazione): con la
conseguenza che, ove dedotto e provato, tale ultimo danno deve
formare oggetto di separata valutazione e liquidazione, trattandosi
di voci di danno tra loro diverse e derivanti dalla lesione di beni
logicamente ed ontologicamente distinti che trovano riferimento,
rispettivamente, nell’art. 29 e nell’art. 32 Cost. (Cass. 9857/2022;
Cass. 4878/2019; Cass. 7513/2018).
In tema di danno non patrimoniale da perdita del rapporto
parentale, se la liquidazione avviene in base ad un criterio che
prevede un importo variabile tra un minimo ed un massimo, è
consentito al giudice di merito liquidare un risarcimento inferiore al
minimo solo in presenza di circostanze eccezionali e peculiari al
caso di specie, tra le quali non si annoverano né l’età della vittima,
né quella del superstite, né l’assenza di convivenza tra l’una e
l’altro, trattandosi di circostanze che possono solo giustificare la
quantificazione del risarcimento entro la fascia di oscillazione della
tabella (Cass. 26440/2022).
Pertanto, in tema di liquidazione equitativa del danno non
patrimoniale, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione
delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di
giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale
deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul “sistema a
punti”, che preveda, oltre all’adozione del criterio a punto,
l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la
modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le
quali, indefettibilmente, l’età della vittima, l’età del superstite, il
grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi
punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei
correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che
l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata
motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale
tabella.
La Corte di rinvio dovrà applicare i predetti principi sia per la
valutazione del danno parentale sia per la liquidazione del danno
morale con riferimento ai nuovi valori tabellari previsti dalla tabella
milanese del 9.6.2022, quale parametro risarcitorio già applicato
nei precedenti gradi di giudizio.
6. In conclusione la Corte dichiara inammissibili il primo e secondo
motivo di ricorso, accoglie il terzo motivo, come in motivazione,
cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le
spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Reggio Calabria in
diversa composizione personale.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibili il primo e secondo motivo di ricorso,
accoglie il terzo motivo, come in motivazione, cassa in relazione la
sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio,
alla Corte d’Appello di Reggio Calabria in diversa composizione
personale.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza
Civile della Corte suprema di Cassazione in data 12 gennaio 2023.