Ordinanza 10474/2022
Responsabilità del notaio – Pattuito esonero dal compimento delle visure catastali – Concorso di colpa
Il notaio, incaricato della redazione e autenticazione di un contratto di compravendita, non può limitarsi ad accertare la volontà delle parti e a sovrintendere alla compilazione dell’atto, ma è tenuto a realizzare tutte le attività, preparatorie e successive, che, allo stato degli atti, garantiscano sia la serietà e la certezza dell’atto giuridico da rogare, sia il raggiungimento del suo scopo tipico e del risultato pratico perseguito dalle parti (come quelle di informazione, di consiglio o di dissuasione dalla stessa stipula dell’atto), tra le quali non rientra il pattuito esonero dal compimento delle visure catastali, in quanto costituente parte integrante del negozio, purché giustificato da concrete esigenze delle parti. Ne deriva che l’inosservanza di tali doveri, quand’anche non contemplati dalla legge professionale, determina l’insorgere di responsabilità contrattuale per inadempimento dell’obbligazione di prestazione d’opera intellettuale, trovando essi fondamento nella clausola generale di buona fede oggettiva, senza che possa configurarsi il concorso colposo del danneggiato ai sensi dell’art. 1227 c.c.. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito per avere escluso la responsabilità contrattuale del notaio che aveva omesso di informare le parti dell’infrazionabilità del box parcheggio rispetto alla porzione pertinenziale, vincolo richiamato in precedenti atti notarili oltre che essere previsto dalla l. n. 112 del 1989).
Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 31-3-2022, n. 10474 (CED Cassazione 2022)
Art. 1218 cc (Responsabilità del debitore) – Giurisprudenza
Art. 1227 cc (Concorso di colpa) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1.1. Se. Le., con atto di citazione notificato il 26/4/2007, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Roma, Lu. Pi. e Fr. Ce. deducendo di aver acquistato dalla prima, con atto per notar (OMISSIS) del 10/10/2003, un immobile dal quale, tuttavia, la venditrice aveva espunto il vano interrato, costituito da box e cantina, riservandosene la proprietà, in violazione dell’atto d’obbligo per notar Misurale del 31/5/1993 in forza del quale la cooperativa che aveva realizzato l’immobile si era inderogabilmente impegnata a non frazionare l’interrato dalla porzione residenziale.
1.2. La venditrice, peraltro, ha proseguito l’attore, dopo aver eseguito il frazionamento e mutato la destinazione dell’interrato in locale ad uso abitativo in violazione del regolamento comunale e di quello condominiale, aveva venduto l’immobile così ottenuto, a mezzo di atto per notar (OMISSIS) del 31/5/2006, a Fr. Ce..
1.3. L’attore, quindi, ha chiesto che fosse riconosciuto il suo diritto di proprietà ovvero d’uso sui cespiti originari stante l’inopponibilità nei suoi confronti della predetta compravendita.
1.4. Lu. Pi. si è costituita in giudizio sostenendo che il Le. aveva preso atto dell’esistenza – dell’atto d’obbligo, rinunciando al diritto di acquistare le pertinenze, e, in ogni caso, che i vincoli dovevano intendersi Ric. 2017 n. 8650 – Sez. 2 – CC del 25 febbraio superati anche in considerazione della domanda di condono presentata al Comune. La convenuta, inoltre, ha chiesto e ottenuto l’autorizzazione a chiamare in causa i notai (OMISSIS) e (OMISSIS) per essere manlevata in caso di soccombenza.
1.5. Si è costituito in giudizio anche Fr. Ce. proponendo domanda nei confronti della Pi. al fine di ottenere la risoluzione del contratto di compravendita e il risarcimento dei danni, estendendo quest’ultima domanda anche nei confronti del notaio (OMISSIS) per non aver accertato l’esistenza del vincolo d’infrazionabilità e dell’irregolarità urbanistica.
1.6. Si sono autonomamente costituiti i notai (OMISSIS) e (OMISSIS) chiedendo che fosse esclusa la loro responsabilità per essere stati espressamente esonerati dai contraenti dall’eseguire accertamenti specifici sulla regolarità urbanistica degli immobili compravenduti.
1.7. Il tribunale, con sentenza del 9/7/2010, ha accolto sia la domanda dell’attore, dichiarando il suo diritto d’uso della porzione immobiliare, che quella del Ce., dichiarando la risoluzione del contratto di compravendita intercorso tra lo stesso e la Pi., ed escludendo, infine, la responsabilità dei notai.
2.1. Lu. Pi. ha proposto appello avverso tale sentenza ribadendo, tra l’altro, la responsabilità dei notai.
2.2. Il Le. ha chiesto il rigetto dell’appello e proposto appello incidentale per l’omessa pronuncia su alcune domande avanzate in primo grado.
2.3. Il Ce., a sua volta, ha chiesto il rigetto dell’appello, proponendo appello incidentale per l’integrazione delle somme ottenute a titolo risarcitorio.
2.4. I notai, costituendosi autonomamente, hanno chiesto la conferma della sentenza di primo grado.
3.1. La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello principale ed ha, in parte, accolto gli appelli incidentali sicché, in parziale riforma della sentenza appellata, ha condannato Lu. Pi. tanto al risarcimento del danno subito dal Le. per il mancato trasferimento a quest’ultimo del diritto d’uso sul box e sulla cantina, da liquidare in separata sede, quanto al risarcimento dei danni arrecati al Ce., pari ad C. 44.566,58, oltre interessi legali dalla sentenza fino al soddisfo.
3.2. La corte, in particolare, ha ritenuto che l’appello principale doveva essere rigettato.
3.3. La corte, sul punto, ha ritenuto, innanzitutto, che il vincolo d’infrazionabilità dell’interrato rispetto alla porzione pertinenziale, previsto non solo nell’atto d’obbligo per notar Misurale del 31/5/1993, richiamato in tutti e due gli atti di vendita in questione, ma anche dalla normativa sui parcheggi vigente all’epoca dei fatti, avesse natura pubblicistica ed inderogabile in quanto imposto dalla legge (sul box) e da una convenzione con un ente pubblico (sulla cantina).
3.4. Quanto al box, ha osservato la corte, la I. n. 122 del 1989 ha previsto un vincolo inderogabile che si traduce in un diritto reale d’uso dell’area parcheggio in favore delle unità abitative dei condomini e che opera a prescindere dal fatto che il costruttore non abbia rispettato il rapporto superficie/volumetria che la predetta legge imponeva.
3.5. Quanto alla cantina, ha proseguito la corte, l’inderogabilità del vincolo apposto con atto notarile scaturisce dal fatto che l’interesse sotteso all’infrazionabilità faceva capo all’ente territoriale ed è, quindi, ispirato all’esigenza di uno sviluppo urbanistico ordinato ed omogeneo, rimanendo, per contro, irrilevante la norma eventualmente esistente nel regolamento condominiale che consentiva con determinate maggioranze la frazionabilità delle pertinenze.
3.6. Né, ha aggiunto la corte, la Pi. può avanzare pretese d’integrazione del prezzo nei confronti del Le. per la concessione del diritto d’uso “non avendo sul punto spiegato espressa domanda riconvenzionale in primo grado”.
3.7. La corte, inoltre, ha ritenuto che doveva essere esclusa la responsabilità del notaio (OMISSIS). Il notaio, infatti, ha osservato la corte, aveva ricevuto “assicurazioni dalle parti circa la piena conoscenza dell’atto d’obbligo per notar Misurale” nonché “l’espressa dispensa” dall’incarico di provvedere agli accertamenti urbanistici e amministrativi in quanto già svolti dalle parti attraverso tecnici di propria fiducia.
3.8. La corte, poi, per ciò che riguarda la risoluzione del contratto di vendita dell’interrato al Ce., ha ritenuto che “l’esistenza del vincolo d’infrazionalità e la conseguente pretesa del Le. di ottenere il trasferimento, o la disponibilità d’uso, dell’interrato comporta automaticamente la risoluzione del contratto di vendita di quest’ultimo al Ce., che subisce l’evizione o la perdita del diritto d’uso dello stesso”. Non rileva, dunque, ha osservato la corte, il fatto che esistesse, in ordine al mutamento della destinazione d’uso, una domanda di condono, specie se si considera che tale domanda non risulta “mai delibata”, né approvabile con il silenzio- assenso, che presuppone l’idoneità igienico-sanitaria dei locali, esclusa invece dal consulente tecnico d’ufficio.
3.9. Deve, al riguardo, escludersi, ha aggiunto la corte, la responsabilità del notaio (OMISSIS), che ha menzionato nell’atto l’esistenza della domanda di condono e verificato “la conoscenza da parte dei contraenti dell’atto d’obbligo per notar Misurale”, “non comportando il suo incarico professionale ulteriori accertamenti”.
3.10. La corte, inoltre, ha rilevato come la pronuncia del tribunale, lì dove aveva riconosciuto all’attore “il diritto d’uso” degli immobili e condannato la Pi. alla riduzione in pristino dei locali, accollando a quest’ultima l’obbligo di rilasciare la “disponibilità” di questi ultimi in favore dell’attore, ha, in sostanza, dichiarato la “nullità della clausola del contratto di vendita (per notar (OMISSIS)) con il quale la Pi. si riservava la proprietà del box auto e della cantina”.
3.11. La corte, infine, ha ritenuto, innanzitutto, che, a fronte della potenzialità dannosa del fatto, e cioè della mancata disponibilità dei locali interrati, doveva essere accolta la domanda dell’attore di condannare la Pi. a risarcire il danno subito dallo stesso, da accertare e liquidare in separata sede, e, in secondo luogo, che il danno subito dal Ce. doveva essere maggiorato delle somme sostenute per la ristrutturazione dell’immobile e per l’atto notarile.
4.1. Lu. Pi., con ricorso notificato il 6/4/2017, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente notificata il 6 e 7/2/2017.
4.2. Se. Le., Fr. Ce., (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con distinti controricorsi.
4.3. La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 952-956 e 832 ss. 7 c.c. nonché degli artt. 100, 101 e 102 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha omesso d’integrare il contraddittorio con il Comune di Roma in quanto proprietario del suolo.
5.2. La violazione delle disposizioni contenute nell’atto d’obbligo del 31/5/1993 tra la coop. edilizia Cidalcase e il Comune, infatti, poteva comportare la decadenza del concessionario dal diritto di superficie per cui il relativo esame e la relativa statuizione avrebbero potuto avvenire solo in presenza in giudizio del Comune di Roma.
5.3. Il Comune, in effetti, ha aggiunto la ricorrente, si era riservato la facoltà, in caso d’inottemperanza della concessionaria, di provvedere in proprio a quanto formava oggetto dell’atto d’obbligo in questione.
5.4. D’altra parte, la pronuncia di condanna della Pi. alla riduzione in pristino del fabbricato investe i diritti e gli interessi del dominus soli sicché, in definitiva, ha concluso la ricorrente, la pronuncia, ove non fosse integrato il contraddittorio, sarebbe inutili ter data.
6.1. Il motivo è infondato. La ricorrente, in effetti, pretende di fondare la sussistenza di un litisconsorzio necessario con il Comune di Roma sul presupposto che il giudizio ha investito i diritti dello stesso, e cioè la proprietà del suolo e quelli attribuiti dall’atto d’obbligo del 31/5/1993, senza, tuttavia, considerare che, in realtà, le domande proposte dalle parti, riguardando esclusivamente il diritto d’uso spettante all’acquirente sull’immobile interrato e i diritti (restitutori e risarcitori) conseguenti in capo a quest’ultimo e al successivo acquirente dello stesso cespite, non hanno in alcun modo inciso né sul diritto di proprietà del suolo in capo al Comune, che aveva concesso alla cooperativa edilizia il relativo diritto di superficie ad aedificandum, né sulle pretese azionabili dallo stesso in caso d’inottemperanza agli obblighi assunti dalla cooperativa con il predetto atto del 31/5/1993 (quale emerge nel testo riprodotto in ricorso a p. 4, 5 e 6).
6.2. Questa Corte, del resto, ha già affermato che: – il Comune che, nell’ambito di un programma di edilizia residenziale pubblica, a norma dell’art. 35 della I. n. 865 del 1971, abbia attribuito ad una cooperativa edilizia un diritto di superficie ad aedificandum a tempo determinato, non è litisconsorte necessario nel giudizio promosso dal vicino nei confronti della cooperativa per violazione delle distanze legali, atteso che con la costituzione del diritto di superficie predetto si realizza un’ipotesi di proprietà temporanea a favore degli assegnatari, che esclude la contemporanea proprietà dell’ente concessionario, non essendo giuridicamente concepibile che più soggetti siano proprietari dello stesso bene (Cass. n. 8476 del 1995); – il Comune che, nell’ambito di un programma di edilizia residenziale pubblica, a norma dell’art. 35 della I. n. 865 del 1971, abbia attribuito ad una cooperativa edilizia un diritto di superficie ad aedificandum a tempo determinato, non è litisconsorte necessario nei giudizi aventi ad oggetto le domande di rivendicazione e di restituzione di parte della proprietà superficiaria asseritamene oggetto di illegittima occupazione per sconfinamento, atteso che con la costituzione del diritto di superficie predetto si realizza un’ipotesi di proprietà temporanea a favore degli assegnatari, che esclude la contemporanea proprietà dell’ente concessionario, non essendo giuridicamente configurabile che più soggetti siano proprietari esclusivi dello stesso bene (cfr. Cass. n. 12911 del 2002; Cass. n. 20692 del 2016).
7.1. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1418, 1346, 1419, comma 2°, 1421, 1453, 1218, 1223 e 1494 c.c., dell’art. 41 sexies della I. n. 1150 del 1942, introdotto dalla I. n. 765 del 1967, dell’art. 9, comma 5, della I. n. 122 del 1989, dell’art. 40, comma 2, della I. n. 47 del 1985, in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado che ha condannato la Pi. al risarcimento dei danni nei confronti sia del primo acquirente che del secondo, senza, tuttavia, considerare che tanto la nullità parziale del contratto che la stessa aveva concluso con il Le., nella parte in cui si era riservata la proprietà del locale interrato, in quanto stipulato in violazione dell’art. 9, comma 5, della I. n. 122 cit., quanto la nullità totale del contratto stipulato con il Ce., in quanto stipulato in violazione di norme cogenti ed inderogabili ed, in particolare, dell’atto d’obbligo per notar Misurale del 1993, determinando, il primo, la sostituzione ope legis della norma elusa ed, il secondo, l’improduttività di qualsiasi effetto che non fosse la restituzione di quanto pagato, non poteva comportare né la risoluzione dei contratti né il risarcimento del danno a carico della convenuta.
8.1. Il motivo è inammissibile. La questione posta dalla ricorrente, infatti, non risulta in alcun modo trattata dalla sentenza impugnata. Ed è, invece, noto che, secondo il costante insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018), qualora una determinata questione giuridica, come quella sopra esposta, implichi un accertamento di fatto (vale a dire i presupposti fattuali che, a fronte della stipulazione di un contratto in tutto o in parte nullo ovvero di un contratto risolto, attribuiscano ai rispettivi acquirenti il diritto al risarcimento dei conseguenti danni) e non risulti in alcun modo trattata dalla sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere (rimasto, nella specie, del tutto inadempiuto) non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.
8.2. D’altra parte, come visto, la corte d’appello, per un verso, ha dichiarato la “nullità della clausola del contratto di vendita (per notar (OMISSIS)) con il quale la Pi. si riservava la proprietà del box auto e della cantina” e, per altro verso, ha pronunciato “la risoluzione del contratto di vendita di quest’ultimo al Ce., che subisce l’evizione o la perdita del diritto d’uso dello stesso”. Ed è noto, come si evince dalle norme previste, rispettivamente, dagli artt. 1338 e 1483 c.c., che tanto la nullità del contratto (compresa, evidentemente, quella che ipso iure investe gli atti di cessione di aree destinate a parcheggio conclusi in violazione dell’art. 9, comma 5, della I. n. 122 del 1989, in comb.disp. degli artt. 1418 e 1346 c.c.), quanto la risoluzione del contratto di compravendita conseguente alla perdita sopravvenuta del bene acquistato (e al corrispondente inadempimento, ove imputabile, del venditore) non sono affatto incompatibili con il diritto del (rispettivo) compratore al risarcimento dei danni conseguentemente subiti, che, anzi, (alle condizioni ivi previste) senz’altro gli attribuiscono.
9. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 99, 100 e 36 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pur a fronte di conclusioni nelle quali l’attore aveva dichiarato la sua disponibilità a versare le somme integrative eventualmente dovute quale corrispettivo contrattuale e/o quali canoni per il diritto reale, non ha considerato, per un verso, che la convenuta aveva a sua volta rappresentato l’accettazione dell’offerta fatta dall’attore in ipotesi di integrazione ope legis del contratto, una volta che fosse stata annullata la clausola di riserva, con la conseguente esclusione della necessità di proporre una specifica domanda riconvenzionale, e, per altro verso, che il tribunale aveva, pertanto, erroneamente ritenuto che la domanda riconvenzionale della convenuta fosse tardiva.
10. Il motivo è inammissibile per difetto della necessaria specificità. La ricorrente, infatti, non deduce né dimostra, riproducendo in ricorso il testo dell’atto d’appello, se e quando aveva censurato la sentenza del tribunale per aver, in ipotesi erroneamente, ritenuto inammissibile perché tardiva la domanda riconvenzionale che la stessa assume di aver proposto in primo grado. Ed è, invece, noto che, in linea di principio, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d’inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di specificità dei relativi motivi (cfr. Cass. n. 24048 del 2021). Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione del giudice d’appello che ha considerato tardiva una domanda riconvenzionale che invece lo stesso assume di aver presentato tempestivamente, ha l’onere di precisare, nel ricorso, non solo le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e tempestiva la domanda riconvenzionale ma anche, riportandone il contenuto nella misura a tal fine necessaria, le censure che avverso la statuizione di tardività assunta dal tribunale aveva proposto con l’atto d’appello.
11.1. Con il quarto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1218, 1223 e 2236 c.c., nonché la violazione o la falsa applicazione degli artt. 28, 58, 76 e 47 della legge notarile e dell’art. 9, comma 5, della I. n. 122 del 1989, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, travisando i fatti descritti nei documenti acquisiti nel corso dell’istruttoria, ha escluso la responsabilità del notaio (OMISSIS) e del notaio (OMISSIS) sul rilievo che tanto l’uno, quanto l’altro avevano verificato la conoscenza da parte dei contraenti dell’atto d’obbligo per notar Misurale.
11.2. Così facendo, tuttavia, ha osservato la ricorrente, la corte d’appello ha omesso di considerare che, in realtà, il notaio, richiesto della redazione di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, ha l’obbligo di compiere tutte le attività, preparatorie e successive, per assicurare la certezza dell’atto da rogare ed il conseguimento del suo scopo tipico, verificando, in particolare, l’esistenza di tutte le condizioni necessarie a garantire ai contraenti l’esatta produzione di tutti gli effetti giuridici che essi si propongono di conseguire, sicché, in mancanza, risponde dei danni conseguenti.
11.3. Nel caso in esame, peraltro, ha aggiunto la ricorrente, negli atti rogati dai notai (OMISSIS) e (OMISSIS) si fa riferimento non all’atto d’obbligo per notar Misurale del 31/5/1993 ma alla convenzione stipulata il 4/3/1994 a rogito del medesimo notaio.
11.4. I notai, quindi, avrebbero dovuto essere ritenuti responsabili della nullità degli atti rogati per aver omesso di effettuare le visure urbanistiche posto che le dispense formulate sul punto dai contraenti non erano giustificate da esigenze concrete delle parti e l’esonero si era estrinsecato in una mera clausola di stile.
11.5. I notai, del resto, a norma degli artt. 28, 58, 76 e 47 della legge notarile, non potevano ricevere e neppure autenticare gli atti di compravendita in quanto espressamente proibiti dalla legge o manifestamente contrari a norme imperative, come previsto dall’art. 9, comma 5, della I. n. 122 del 1989 e dall’art. 40, comma 2, della I. n. 47 del 1985 e come ribadito dall’art. 47 del d.P.R. n. 380 del 2001.
11.6. Peraltro, a fronte dell’inesatto adempimento da parte dei notai, sarebbe stato loro onere dimostrare l’esatto adempimento quale fatto estintivo della propria obbligazione, per cui, in mancanza, la corte d’appello avrebbe dovuto accogliere la domanda di manleva proposta dalla venditrice convenuta.
11.7. I notai, infine, ha concluso la ricorrente, se avessero effettuato le visure di rito, avrebbero potuto accertare che l’atto d’obbligo per notar Misurale del 31/5/1993, trascritto il 2/6/1993, prevedeva che la concessionaria cooperativa si era obbligata, nei confronti del Comune, a mantenere permanentemente la destinazione d’uso dei locali al piano interrato al servizio dell’edificio nonché a destinare e mantenere permanentemente a parcheggio privato al servizio ” dell’edificio “la superficie a parcheggio” indicata nella planimetria ad esso allegata.
12.1. Con il quinto motivo, la ricorrente, lamentando travisamento del fatto che si risolve in un vizio della motivazione nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che nei rogiti dei notai De Fazio e (OMISSIS) i contraenti avevano dichiarato di avere piena conoscenza dell’atto d’obbligo per notar Misurale senza, tuttavia, considerare che, in realtà, nei predetti rogiti si fa esclusivo riferimento alla convenzione stipulata il 4/3/1994 a rogito notar Misurale e che i notai, pertanto, non avevano informato le parti dei vincoli imposti dall’atto d’obbligo, pur se trascritto, del 31/5/1993, al quale i relativi rogiti non fanno alcun cenno.
13.1. Il quarto motivo è fondato, nei limiti che seguono, con assorbimento delle residue censure e del quinto.
13.2. In effetti, come ripetutamente affermato da questa Corte, il notaio incaricato della redazione e autenticazione di un contratto di compravendita immobiliare non è un destinatario passivo delle dichiarazioni delle parti e non può quindi, limitarsi ad accertare la volontà delle stesse e sovrintendere alla compilazione dell’atto ma ha l’obbligo di compiere l’attività, preparatoria e successiva, necessaria ad assicurare tanto la serietà e la certezza dell’atto giuridico da rogarsi, quanto l’attitudine dello stesso ad assicurare il conseguimento del suo scopo tipico e del risultato pratico voluto dalle parti della relativa stipulazione (Cass. n. 24733 del 2007; Cass. n. 26020 del 2011; Cass. n. 11246 del 2020), vale a dire l’interesse che l’operazione contrattuale è volta a soddisfare (Cass. n. 7283 del 2021; Cass. n. 11296 del 2020; Cass. n. 12482 del 2017; Cass. SU n. 13617 del 2012), a partire, evidentemente, dal compimento delle attività che concernono la sussistenza delle condizioni di validità e di efficacia dell’atto medesimo (cfr. Cass. n. 5946 del 1999, in motiv.).
13.3. L’inosservanza dei suddetti obblighi accessori da parte del notaio dà conseguentemente luogo, a suo carico, a responsabilità contrattuale per inadempimento dell’obbligazione di prestazione d’opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità, dovendosi peraltro escludere alla luce di tale obbligo la configurabilità del concorso colposo del danneggiato ai sensi dell’art. 1227 c.c. (Cass. n. 24733 del 2007; Cass. n. 11296 del 2020).
13.4. Il notaio, dovendo compiere l’attività necessaria ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici e il risultato pratico perseguito ed esplicitato dalle parti, ha, in particolare, l’obbligo nei confronti delle stesse di informazione e di consiglio (Cass. n. 7283 del 2021). Tale obbligo, che sussiste nei confronti di tutte le parti dell’atto (cfr. Cass. n. 26855 del 2020) e trova fondamento nella clausola generale di buona fede oggettiva quale criterio determinativo ed integrativo della prestazione contrattuale, che impone il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della controparte (cfr. Cass n. 16990 del 2015), si concretizza, tra l’altro, nel dovere di dissuasione dei clienti dalla stipula dell’atto, salvo espressa dispensa delle parti (Cass. n. 20297 del 2019, in motiv.), che consiste nell’avvertire le parti degli effetti derivanti dai vincoli giuridici eventualmente gravanti sull’immobile, come quelli derivanti dall’esistenza di una trascrizione o iscrizione pregiudizievole sul bene oggetto di trasferimento (Cass. n. 7283 del 2021, in motiv.), e, più in generale, delle problematiche, che una persona non dotata di competenza specifica non sarebbe in grado di percepire, collegate al possibile rischio, ad es., che una vendita immobiliare possa risultare inefficace a causa della condizione giuridica dell’immobile (Cass. n. 7707 del 2007), sicché, ad esempio, il notaio che abbia la conoscenza o anche il solo sospetto di un’iscrizione pregiudizievole gravante sull’immobile oggetto della compravendita, deve informarne le parti, quand’anche sia stato esonerato dalle visure, essendo tenuto comunque all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, comma 2°, c.c. e della buona fede (Cass. n. 15726 del 2010).
13.5. Solo nel caso in cui il notaio sia stato espressamente esonerato, per concorde volontà delle parti, dallo svolgimento delle attività accessorie e successive, necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti e, in particolare, dal compimento delle cosiddette “visure catastali” e ipotecarie allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà da pregiudizi, deve escludersi la sussistenza della responsabilità professionale del notaio stesso in quanto detta clausola non può essere considerata meramente di stile essendo stata parte integrante del negozio, a condizione, peraltro, che la stessa appaia giustificata da esigenze concrete delle parti, come nel caso della sussistenza di ragioni di urgenza di stipula dell’atto addotte dalle parti medesime (Cass. n. 25270 del 2009; Cass. n. 5868 del 2006).
13.6. Deve, per contro, ritenersi estraneo all’obbligo di diligenza relativo all’attività esercitata dal notaio solo quello di fornire informazioni oppure consigli non basati sullo stato degli atti a disposizione del professionista e sulle circostanze di fatto specificamente esistenti, note o comunque prevedibili, dovendosi valutare la diligenza del notaio ex ante e non ex post e, dunque, giammai sulla base di circostanze future e meramente ipotetiche (cfr. Cass. n. 20297 del 2019). Non rientrano, pertanto, tra gli obblighi di informativa e di consulenza, cui è tenuto il notaio al momento del rogito, tutti gli ipotetici ed eventuali scenari di rischio correlati a una trascrizione o iscrizione pregiudizievole (Cass. n. 20297 del 2019).
13.7. Nel caso in esame, come visto, la corte d’appello, dopo aver evidenziato che la I. n. 122 del 1989 aveva previsto un vincolo inderogabile che si traduce in un diritto reale d’uso dell’area parcheggio in favore delle unità abitative dei condomini e, quindi, del relativo acquirente, come l’attore: – innanzitutto, ha ritenuto che il contratto di vendita intercorso tra la Pi. e l’attore, stipulato con atto per notar (OMISSIS) in data 10/10/2003, fosse, nella parte in cui la venditrice si era riservata la proprietà del piano interrato (e, quindi, del box), viziato da nullità (confermando la pronuncia del tribunale che aveva dichiarato la “nullità della clausola del contratto di vendita (per notaio (OMISSIS)) con il quale la Pi. si riservava la proprietà del box auto e della cantina”); – in secondo luogo, una volta riconosciuto all’acquirente “il diritto d’uso” del predetto cespite ed il conseguente diritto ad averne la “disponibilità” dalla venditrice, ha confermato la pronuncia con cui il tribunale aveva dichiarato la risoluzione del contratto con il quale, a mezzo di atto per notar (OMISSIS) del 31/5/2006, il medesimo box era stato, in seguito, venduto dalla Pi. (che, come visto, se n’era riservata la proprietà) al Ce.: e ciò sul rilievo che “l’esistenza del vincolo d’infrazionalità e la conseguente pretesa del Le. di ottenere il trasferimento, o la disponibilità d’uso, dell’interrato comporta automaticamente la risoluzione del contratto di vendita di quest’ultimo al Ce., che subisce l’evizione o la perdita del diritto d’uso dello stesso”.
13.8. La stessa corte, tuttavia, pur a fronte della (parziale) nullità del primo contratto di vendita (stipulato il 10/10/2003), nella parte in cui “la Pi. si riservava la proprietà del box auto e della cantina”, e della (conseguente) risoluzione del secondo contratto (stipulato il 31/5/2006) di vendita (dello stesso box) a favore del Ce., “che subisce l’evizione o la perdita del diritto d’uso dello stesso”, ha escluso, tanto con riguardo al primo, quanto con riguardo al secondo, la responsabilità dei notai che avevano rogato i rispettivi atti (e cioè, rispettivamente, il notaio (OMISSIS) ed il notaio (OMISSIS)) nei confronti (per quel che ancora rileva) della venditrice: sul rilievo, quanto al primo, che il notaio (OMISSIS) aveva ricevuto “assicurazioni dalle parti circa la piena conoscenza dell’atto d’obbligo per notar Misurale” nonché “l’espressa dispensa” dall’incarico di provvedere agli accertamenti urbanistici e amministrativi in quanto già svolti dalle parti attraversi tecnici di propria fiducia, e, quanto al secondo, che il notaio (OMISSIS) aveva verificato “la conoscenza da parte dei contraenti dell’atto d’obbligo per notar Misurale”, “non comportando il suo incarico professionale ulteriori accertamenti”.
13.9. La corte d’appello, però, così giudicando, ha erroneamente trascurato di verificare (in tal modo cadendo nel vizio di falsa applicazione delle norme, come sopra riassunte, che disciplinano la responsabilità professionale del notaio nei confronti delle parti) se, in fatto, i notai che hanno rogato gli atti in questione avessero (non tanto prefigurato alle parti tutti i possibili scenari futuri circa l’evoluzione dei rispettivi titoli di acquisto quanto, piuttosto, e più semplicemente) svolto, in concreto, i necessari accertamenti, di natura tecnica e giuridica, in ordine alla effettiva e stabile idoneità degli atti medesimi a produrre e conservare nel tempo gli effetti giuridici che le parti evidentemente si proponevano di realizzare e, all’esito, se avevano adeguatamente informato le parti (non già, semplicemente, dell’esistenza dell’atto d’obbligo del 31/5/1993 ma, più radicalmente) dell’esito di tali accertamenti, se del caso dissuadendoli, in ragione dei rischi conseguenti, dalla relativa stipulazione.
13.10. Risulta, invero, oltremodo evidente che i notai, in ragione dei doveri di buona fede e di diligenza professionale cui erano tenuti, dovevano quantomeno dubitare, fornendo alle parti le necessarie informazioni sul punto e tentando con le stesse la conseguente dissuasione, dell’effettiva idoneità degli atti rogati a realizzare effettivamente gli effetti giuridici e lo scopo pratico che i contraenti si proponevano di conseguire, e cioè, rispettivamente, con il primo atto di vendita, la conservazione in capo alla venditrice del diritto di proprietà del box nonostante la vendita dell’appartamento cui lo stesso accedeva e, con il secondo atto di vendita, il trasferimento del diritto di proprietà del box medesimo in favore di un terzo diverso dall’acquirente dell’appartamento, non potendo gli stessi ignorare, per la diligenza professionale che deve assistere l’adempimento delle obbligazioni assunte nei confronti delle parti, né la nullità dell’atto di trasferimento del box separatamente dall’appartamento, né (in conseguenza della nullità della riserva di proprietà in capo alla venditrice ivi contenuto) la possibile perdita del bene da parte del secondo acquirente.
13.11. Ed infatti, per quanto riguarda il primo atto di vendita, la Corte (premesso che dalla sentenza impugnata emerge il fatto, rimasto incontestato fra le parti, che nella specie si tratta, ratione temporis, di area di parcheggio disciplinata dalla I. n. 122 del 1989: cd. legge Tognoli) non può che rilevare come gli atti di cessione di aree destinate a parcheggio, conclusi in violazione dell’art. 9, comma 5, della I. n. 122 cit., in comb. disp. degli artt. 1418 e 1346 c.c., sono ipso iure nulli poiché sottraggono, mediante riserva al venditore o trasferimento a terzi, la relativa superficie alla sua inderogabile destinazione a parcheggio.
13.12. L’art. 9 della I. n. 122 cit., in effetti, nel testo in vigore all’epoca degli atti in questione (e cioè gli anni 2003 e 2006), aveva espressamente stabilito, per un verso, che “i proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero in locali siti al piano terreno parcheggi da destinarsi a pertinenza delle singole unità immobiliari e ciò anche in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti” (comma 1) e, per altro verso, che i Comuni “su richiesta dei privati interessati o di imprese di costruzione o di società anche cooperative, possono prevedere, nell’ambito del programma urbano dei parcheggi, la realizzazione di parcheggi da destinare a pertinenza di immobili privati su aree comunali o nel sottosuolo delle stesse”, a mezzo della cessione (subordinatamente alla “stipula di una convenzione nella quale siano previsti: a) la durata della concessione del diritto di superficie per un periodo non superiore a novanta anni; b) il dimensionamento dell’opera ed il piano economico-finanziario previsti per la sua realizzazione; c) i tempi previsti per la progettazione esecutiva, la messa a disposizione delle aree necessarie e la esecuzione dei lavori; d) i tempi e le modalità per la verifica dello stato di attuazione nonché le sanzioni previste per gli eventuali inadempimenti”) del relativo “diritto di superficie” (comma 4), prevedendo, tanto per gli uni, quanto per gli altri (e, quindi, a prescindere dalla natura privata o pubblica dell’area interessata), che “i parcheggi realizzati ai sensi del presente articolo non possono essere ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale” e che “i relativi atti di cessione sono nulli” (comma 5).
13.13. L’art. 9 della I. n. 122 cit. detta, pertanto, una disciplina vincolistica (tuttora efficace per le aree che, come nel caso in esame, sono di proprietà pubblica: l’art. 9, comma 5, seconda parte, nel testo attualmente in vigore, prevede che “i parcheggi realizzati ai sensi del comma 4 non possono essere ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale e i relativi atti di cessione sono nulli, ad eccezione di espressa previsione contenuta nella convenzione stipulata con il comune, ovvero quando quest’ultimo abbia autorizzato l’atto di cessione”) diversa da quella che vige per i parcheggi di cui alla cd. legge ponte: mentre questi ultimi possono essere alienati separatamente dall’unità immobiliare cui accedono, fermo restando il diritto di uso in capo al proprietario e/o utilizzatore dell’immobile principale, i parcheggi costruiti in base alla legge Tognoli, al contrario, sono assoggettati a vincolo di destinazione e a vincolo di inscindibilità dall’unità principale, e cioè “a utilizzazione vincolata” e, al tempo stesso, “a circolazione controllata” (Cass. n. 1664 del 2012, in motiv.).
13.14. Questa Corte, in effetti, ha ripetutamente Ric. 2017 rt. 8650 – Sez. 2 – CC del 25 febbraio 2022 affermato che, in tema di aree destinate a parcheggio nei complessi condominiali di nuova costruzione, mentre il vincolo di destinazione ex artt. 18 della I. n. 765 del 1967 e 26 della I. n. 47 del 1985 implica l’insorgenza dell’obbligo non già di trasferire la proprietà dell’area destinata a parcheggio insieme alla costruzione quanto, piuttosto, di non eliminare il vincolo esistente, così creando in capo all’acquirente dell’appartamento un diritto reale d’uso sull’area medesima, come individuata sulla base della concessione edilizia, laddove, al contrario, nel caso dei parcheggi soggetti al vincolo pubblicistico d’inscindibilità con l’unità immobiliare, introdotto dall’art. 2 della I. n. 122 del 1989, il proprietario dell’unità abitativa può pretendere una determinata autorimessa, essendo tali parcheggi assoggettati a un regime di circolazione controllata e di utilizzazione vincolata e, di conseguenza, non trasferibili in via autonoma (Cass. n. 22364 del 2017; Cass. n. 2248 del 2012; in precedenza, Cass. n. 21003 del 2008; Cass. SU n. 12793 del 2005).
13.15. Per ciò che concerne, invece, il secondo atto d’acquisto, la Corte ritiene che la caducità del titolo non poteva essere diligentemente ignorata dal notaio che l’aveva rogato in ragione, per un verso, della (come visto, testuale e, quindi, evidente) nullità della riserva di proprietà in capo alla venditrice contenuta nel primo e del conseguente diritto del primo acquirente all’uso del box, e, per altro verso, del serio rischio che, in ragione della conseguente evizione, venisse meno, come poi è accaduto, l’atto di vendita operato dalla venditrice del predetto cespite, di cui si era (illegittimamente) riservato la proprietà, in favore di un terzo compratore.
14. Il ricorso, nei limiti esposti, dev’essere, pertanto, accolto e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Roma che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte così provvede: rigetta il primo motivo, dichiara l’inammissibilità del secondo e del terzo e accoglie, nei limiti esposti, il quanto motivo, assorbito il quinto; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Roma che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 25 febbraio 2022.