Sentenza 10875/2016
Trasferimento della servitù in luogo diverso da quello originario – Presupposti
In tema di servitù prediali non integra la fattispecie prevista dal quarto comma dell’art. 1068 c.c. (divieto di trasferire la servitù in luogo diverso da quello originario) la sostituzione, ad opera del proprietario del fondo servente, di una vecchia scala in legno, utilizzata per l’esercizio del diritto di passaggio per l’accesso al fondo dominante, con una nuova scala in muratura, anche qualora, con la sua sostituzione, ne sia stato ridisegnato il tracciato, trattandosi di una mera ridefinizione dei limiti o dei confini dell’area destinata all’esercizio della servitù.
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 25 maggio 2016, n. 10875 (CED Cassazione 2016)
Art. 1068 cc (Trasferimento della servitù in luogo diverso)
FATTI DI CAUSA
1. – Il Tribunale di Bolzano, definitivamente pronunciando sulle domande proposte con atto di citazione in data 18 gennaio 1999 da (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari della p.ed. (OMISSIS) C.C. Maia, nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari delle finitime (OMISSIS), accertava e dichiarava la sussistenza a carico delle p.ed. (OMISSIS), in particolare su tracciato risultante dalle tavole 6.a) e 6.b) allegate alla c.t.u. curata dal geom. Claudio Paterno, ed a favore della p.ed. (OMISSIS), di servitù di passaggio a piedi, costituita per destinazione del padre di famiglia, ed ordinava al competente ufficio del libro fondiario conforme intavolazione, ma disattendeva, al contempo, una serie di ulteriori domande attoree aventi ad oggetto violazioni varie delle norme di buon vicinato asseritamente commesse dai convenuti nell’ambito di lavori di ristrutturazione degli edifici di rispettiva proprietà intrapresi negli anni 90, e compensava tra le parti le spese di causa.
2. – Contro la sentenza gli attori interponevano appello con atto di citazione notificato il 26 gennaio 2009, denunciando:
– che il primo giudice aveva errato nell’individuazione del percorso della servitù: da un lato l’aveva rapportata non alla situazione in essere nel 1978, ossia all’epoca della sua costituzione per destinazione del padre di famiglia, ma a quella illegittimamente innovata dal convenuto (OMISSIS) con nuove opere eseguite nei primi anni 90 – in particolare una nuova scala conducente dal pianterreno al primo piano e un nuovo pianerottolo in corrispondenza di quest’ultimo, costruiti in sostituzione di analoghe, ma diversamente localizzate strutture preesistenti e dall’altro lato ingiustificatamente aveva ritenuto gravata, oltre a scala e pianerottolo, solo una fascia ridotta della p.f. (OMISSIS) anzichè la stessa nella sua estensione integrale, salva solo la porzione già occupata da un deposito di legna;
– che il Tribunale nemmeno aveva considerato che la nuova scala ed il nuovo pianerottolo dovevano essere rimossi, con ripristino dello status quo ante, anche perchè costruiti in violazione della distanza di 3 metri dall’edificio attoreo;
che infondatamente il Tribunale aveva omesso di condannare il convenuto (OMISSIS) alla rimozione di due abbaini realizzati a distanza inferiore a quella legale di 3 metri;
che inoltre il giudice avrebbe dovuto condannare alla, perlomeno parziale, chiusura di una nuova finestra e di una porta finestra in cui era stata trasformata una finestra preesistente, e che si trovavano a distanze inferiori a quelle imposte dagli artt. 905 e 906 cod. civ.;
che infondatamente aveva disatteso la loro domanda di inibire al convenuto (OMISSIS) di convogliare sulla loro p.ed. (OMISSIS), in una tubazione collocata nella colonna d’aria sopra la stessa, le acque piovane provenienti dal terrazzo sul lato sud della sua p.ed. (OMISSIS);
che infondatamente aveva disatteso, infine, la domanda di Sua condanna a ripristinare, al posto del parapetto murato della terrazza sulla p.ed. (OMISSIS), quello preesistente in legno.
Costituendosi in giudizio, gli appellati contestavano la fondatezza dell’impugnazione, chiedendone il rigetto con vittoria di spese e con modifica in loro favore del regolamento delle spese anche del primo grado.
3. – La Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 17 gennaio 2011, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bolzano, ha così provveduto:
– ha accertato e dichiarato che sussiste a carico delle pp.ed. (OMISSIS)76/4 (OMISSIS) C.C. Maia ed a favore della p.m. 2 della p.ed. (OMISSIS) C.C. Maia servitù di passaggio a piedi per destinazione del padre di famiglia, così come tracciata dal c.t.u. nelle tavole 7.a) e 7.b) della relazione peritale dd. 15 giugno 2006, allegate alla sentenza, ordinando al competente ufficio tavolare le relative intavolazioni;
– ha condannato (OMISSIS), in conformità della relazione del c.t.u. in data 15 giugno 2006 e dei quattro allegati alla stessa intitolati “opere di ripristino”:
(a) a rimuovere la nuova scala sulla p.ed. (OMISSIS) e p.f. (OMISSIS) (fotografia n. 4 allegata alla relazione del c.t.u. in data 12 ottobre 2005) e il pianerottolo in laterizi con travi d’acciaio tra la p.ed. (OMISSIS) e la p.ed. (OMISSIS) C.C. Maia (fotografie nn. 5, 29 e 30 allegate alla c.t.u. in data 12 ottobre 2005) ed a ripristinare lo stato antecedente;
(b) a ripristinare la scala sulle pp.ed. (OMISSIS) e (OMISSIS) C.C. Maia conducente al 1 piano della p.ed. (OMISSIS) C.C. Maia come raffigurata sulla fotografia n. 2 allegata alla c.t.u. in data 12 ottobre 2005 ed a ripristinare la parte del balcone al 1 piano della p.ed. (OMISSIS) C.C. Maia come evidenziata nella tav. 7.b) all. alla c.t.u. in data 15 giugno 2006, allo stesso livello del pavimento dell’abitazione p.m. 2 della p.ed. (OMISSIS) C.C. Maia;
– ha condannato (OMISSIS), inoltre:
(a) a rimuovere quelle parti dei “nuovi abbaini” raffigurati nella tav. 2.c) all. alla c.t.u. 12 ottobre 2015 che si trovano a una distanza di meno di 3 metri (non dalla tettoria sporgente sulle particelle finitime, bensì) dai muri dell’edificio in p.ed. (OMISSIS);
(b) a ridurre sul fronte sud della p.ed. (OMISSIS) C.C. Maia la finestra che a pag. 18 della c.t.u. 12 ottobre/8 novembre 2005 è contrassegnata con il n. 1 alle dimensioni di cui alla fotografia n. 14 cod. 4 degli appellanti;
(c) a chiudere sul fronte sud della p.ed. (OMISSIS) C.C. Maia la finestra che a pag. 18 della c.t.u. 12 ottobre/8 novembre 2005 è contrassegnata col n. 2 nella misura necessaria ai fini del rispetto delle distanze previste dall’art. 906 cod. civ.;
(d) a non far defluire le acque piovane del terrazzo sul lato sud dell’edificio in p.ed. (OMISSIS) C.C. Maia su o attraverso la p.ed. (OMISSIS) C.C. Maia degli attori appellanti;
ha condannato (OMISSIS) a rimuovere il proprio balcone sulla p.ed. (OMISSIS) C.C. Maia secondo quanto previsto al par. 2.2 della c.t.u. 15 giugno 2006;
ha confermato la reiezione nella sentenza impugnata della domanda degli attori di condanna del convenuto (OMISSIS) a rimuovere il nuovo parapetto sul terrazzo della p.ed. (OMISSIS) C.C. Maia, nonchè della loro domanda di risarcimento dei danni;
ha regolato le spese del giudizio dei due gradi.
4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso, con atto notificato il 10 marzo 2011, sulla base di sette motivi.
Gli intimati hanno resistito con controricorso.
In prossimità dell’udienza i ricorrenti hanno depositato una memoria di costituzione di nuovo difensore, anche ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – È preliminare in ordine logico l’esame del sesto e del settimo motivo di ricorso, perchè con essi vengono poste questioni processuali.
2. – Il sesto motivo lamenta violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 574, art. 20, commi 3 e 12, (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari). Si osserva che nel processo bilingue, quale il presente, i provvedimenti del giudice debbono essere pronunciati e redatti in entrambe le lingue. Invece, in violazione di tale prescrizione, il dispositivo del decreto riservato emesso dalla Corte di Bolzano il 20 febbraio 2010 è stato redatto nella sola lingua tedesca, senza alcuna traduzione in lingua italiana. I ricorrenti ricordano inoltre che nel processo bilingue le sentenze debbono essere redatte nella lingua italiana e nella lingua tedesca; invece l’impugnata sentenza, nel testo redatto in lingua italiana, riporta dalla dodicesima riga della pagina 2 alla sesta riga della pagina 5 le conclusioni degli appellanti in lingua tedesca, senza traduzione in lingua italiana, mentre nel testo redatto in lingua tedesca le conclusioni degli appellati sono in lingua tedesca, essendo state tradotte dall’originaria lingua italiana.
2.1. – Il motivo è infondato.
Quanto alla mancata traduzione in lingua italiana del “dispositivo del decreto riservato emesso dalla Corte bolzanina il 20 febbraio 2010”, si tratta del decreto con cui il presidente della Corte d’appello, nominato un nuovo relatore in sostituzione del precedente, ha fissato l’udienza per la precisazione delle conclusioni alle ore 9.30 del 30 giugno 2010. Ora, poichè i difensori di tutte le parti sono comparsi all’udienza del 30 giugno 2010 ed hanno rassegnato le loro conclusioni, deve escludersi la lamentata nullità, avendo l’atto raggiunto il suo scopo.
Quanto poi alla sentenza, il cui testo redatto in lingua italiana contiene le conclusioni degli appellanti in lingua tedesca (come in originale), senza traduzione, va premesso che, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 574 del 1988, art. 20, comma 12, (nel testo sostituito prima dal Decreto Legislativo 29 maggio 2001, n. 283, art. 8 e, poi, dal Decreto Legislativo 13 giugno 2005, n. 124, art. 9), nel processo bilingue le sentenze sono redatte nella lingua italiana e nella lingua tedesca, salvo che vi rinunci la parte che vi abbia interesse. E tuttavia occorre considerare che, per un verso, queste conclusioni – precisate nell’atto di appello dalla pag. 28 alla pag. 31 e confermate all’udienza delle precisazione delle conclusioni – sono quelle che la parte ha formulato usando la lingua dalla stessa scelta, come è espressamente consentito dal citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 574 del 1988, art. 20, comma 3. Inoltre, nella narrativa dello svolgimento del processo, la sentenza impugnata riporta, in italiano, le richieste delle parti formulate nel giudizio di appello; nè alcuna delle parti fa questione sul fatto che sia mancata in concreto una decisione, da parte del giudice di appello, sulle domande ed eccezioni ritualmente proposte. Anche sotto questo profilo va pertanto esclusa la lamentata nullità della sentenza.
3. – Con il settimo motivo si prospetta l’illegittimità costituzionale delle modifiche apportate all’originario Decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 574, art. 20 da parte del Decreto Legislativo 29 maggio 2001, n. 283, art. 8 e dal Decreto Legislativo 13 giugno 2005, n. 124, art. 9 per supposto contrasto con gli artt. 3 e 4 Cost., art. 24 Cost., comma 2, artt. 70 e 75 Cost., con l’art. 100, comma 4 e con il testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con il Decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, art. 1088, comma 1. Con il motivo i ricorrenti sostengono che nel processo bilingue l’uso della lingua italiana dovrebbe essere obbligatorio e ad esso potrebbe aggiungersi l’uso della lingua tedesca; che, mentre nell’originario Decreto del Presidente della Repubblica n. 574 del 1988, art. 20, comma 2 nel processo bilingue la traduzione degli atti e documenti era a cura e spese dell’ufficio e la verbalizzazione doveva essere redatta contestualmente nelle due lingue, le modifiche a tale art. 20 introdotte dai successivi decreti delegati hanno comportato l’esonero dell’ufficio dall’obbligo di traduzione degli atti e documenti, essendo previsto l’obbligo della traduzione solo se gli atti e i documenti in lingua tedesca devono essere notificati fuori del territorio della Provincia di Bolzano.
3.1. – Il dubbio è manifestamente infondato perchè:
– va escluso che abbia carattere perentorio il termine di due anni fissato dallo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con il Decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, art. 108, comma 1, (Corte cost., sentenza n. 160 del 1985);
la disciplina censurata esprime un non irragionevole punto di equilibrio, individuato dal legislatore nella sua discrezionalità, tra tutela delle minoranze linguistiche e garanzia a un processo di ragionevole durata;
il richiamo fatto dai ricorrenti all’art. 100, comma 4 statuto speciale per il Trentino-Alto Adige – il quale stabilisce che “salvi i casi previsti espressamente è riconosciuto… l’uso disgiunto dell’una o dell’altra delle due lingue” – non può condurre a diversa conclusione, giacchè, per un verso, è carattere proprio delle norme di attuazione degli statuti delle Regioni ad autonomia differenziata quello di integrare la portata delle norme statutarie, anche per armonizzarle con altre discipline, e non di limitarsi a una mera esecuzione degli statuti stessi (Corte cost., ordinanza n. 479 del 2002), e, per l’altro verso, la norma indubbiata è per l’appunto espressione dell’anzidetto carattere, definendo essa uno di quei nei quali è operante la regola dell’uso disgiunto;
la pronuncia additiva richiesta comporterebbe una disciplina articolata che non può che spettare al legislatore, anche alla luce della pluralità delle soluzioni possibili.
4. – Passando all’esame degli altri motivi, con il primo motivo si denuncia falsa applicazione dell’art. 1068 cod. civ. Ci si duole che l’impugnata sentenza abbia erroneamente ritenuto che la servitù di passaggio a piedi per destinazione del padre di famiglia – della quale ha accertato e dichiarato essere gravati una fascia di larghezza di metri 1,50 della p.f. (OMISSIS) C.C. Maia, la scala in legno di raccordo con il pianerottolo delle pp.ed. (OMISSIS), (OMISSIS) C.C. Maia e lo stesso pianerottolo a favore della p.m. 2 della p.ed. (OMISSIS) C.C. Maia – dovesse considerarsi trasferita in luogo diverso da quello nel quale era stata stabilita originariamente, in quanto i proprietari del fondo servente avevano sostituito, a loro esclusive spese, la detta scala con una scala in muratura più larga, più comoda per la minore altezza dei gradini, più solida e più sicura, che, per vincere il dislivello esistente tra la quota della p.f. (OMISSIS) C.C. e quella del pianerottolo, aumentato per motivi costruttivi di circa 35 centimetri, era stata costruita con un andamento sinuoso anzichè retto e ad una distanza di qualche centimetro dalla posizione della scala preesistente. Sostengono i ricorrenti che nella fattispecie, come si desume dal confronto tra il tracciato della precedente servitù ed il nuovo tracciato della servitù, il luogo di esercizio della servitù di passaggio sarebbe rimasto sostanzialmente immutato ed anzi sarebbe stato reso più comodo, agevole e sicuro, e che lo spostamento di pochi centimetri in piano della scala e di circa 35 centimetri in altezza del pianerottolo, compensato con la creazione di due bassi scalini di accesso al fondo dominante, non avrebbe mutato in maniera significativa o comunque rilevante nè il tracciato del passaggio, nè le sue caratteristiche.
Con il secondo mezzo (violazione del combinato disposto dell’art. 1067 cod. civ., comma 2 e dell’art. 832 cod. civ.) si censura che la Corte d’appello abbia erroneamente ritenuto che nella fattispecie ricorresse un’ipotesi regolata dall’art. 1068 cod. civ. e, in difetto di una pertinente istanza sotto forma di domanda riconvenzionale o di eccezione necessaria per l’esercizio del diritto potestativo di chiedere il trasferimento della servitù in luogo diverso, abbia accolto la domanda, mentre le opere compiute dai proprietari del fondo servente – si sostiene – rappresentano il legittimo esercizio del loro diritto garantito dall’art. 832 cod. civ. Ad avviso dei ricorrenti, il semplice fatto di una innovazione apportata al fondo servente non può essere considerato di per sè costitutivo di una limitazione della servitù se non costituisca anche un danno effettivo per il fondo dominante, in quanto l’esercizio della servitù è informato al criterio del minimo mezzo, nel senso che il titolare di essa ha il diritto di realizzare il beneficio che gli deriva dal titolo o dal possesso senza appesantire l’onere del fondo servente oltre quanto sia necessario ai fini di quel beneficio.
Il terzo motivo lamenta omessa e insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia. L’impugnata sentenza, anzichè vagliare, in applicazione del combinato disposto dell’art. 832c.c. e art. 1067 c.c., comma 2, se la modifica della scala di accesso al pianerottolo, il conseguente innalzamento di circa 35 centimetri del pianerottolo e la creazione di due bassi scalini per assicurare il comodo accesso al fondo dominante fossero consentiti in quanto non diminuivano l’esercizio della servitù di passaggio a piedi, nè lo rendevano più incomodo o più gravoso, avrebbe tralasciato di compiere tale indagine in quanto non sarebbe stata proposta dai convenuti alcuna domanda in relazione ad essa. La motivazione della sentenza d’appello sarebbe insufficiente in quanto contraria al parere del c.t.u. La Corte distrettuale avrebbe completamente omesso di considerare nel suo complesso il nuovo tracciato per vagliare la maggiore o minore comodità. Sostengono i ricorrenti che le modifiche apportate alla scala, riportata pressochè nel suo primitivo tracciato, costruita non più in legno ma in muratura, più larga, più comoda per la minore altezza dei gradini, più solida e più sicura, compenserebbero la pretesa scomodità derivante dall’inserimento di due bassi gradini. D’altra parte, se la scomodità del nuovo tracciato era costituito solo dall’inserimento dei due scalini, la decisione di ridurre tutto nel pristino stato sarebbe eccessiva e ingiusta, in quanto sarebbe stato sufficiente disporre l’eliminazione dei due detti scalini con la creazione al loro posto di uno scivolo. Completamente privi di motivazione sarebbero l’ordine di ripristinare la scala e l’ordine di rimettere in pristino la parte del balcone al primo piano.
4.1. – I tre motivi – da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione – sono fondati.
Questa Corte ha già statuito che non integra gli estremi della violazione dell’art. 1068 cod. civ. (divieto, per il proprietario del fondo servente, di trasferire la servitù in luogo diverso da quello originario) la mera ridefinizione dei limiti o dei confini dell’area destinata all’esercizio della servitù (Sez. 2, 15 giugno 1999, n. 5916).
Pertanto, non costituisce trasferimento della servitù in luogo diverso la sostituzione, ad opera del proprietario del fondo servente, della vecchia scala in legno, su cui veniva esercitato, da parte dei titolari della servitù, il diritto di passaggio per accedere al fondo dominante, con una nuova scala in muratura, anche se, in occasione della sostituzione della scala, ne sia stato ridefinito il tracciato.
D’altra parte, nel valutare se l’innovazione compiuta dai proprietari del fondo servente abbia diminuito l’esercizio della servitù o lo abbia reso più incomodo, la Corte d’appello ha dato rilievo esclusivo alla circostanza che, per effetto del compimento dell’opera, è stato creato un dislivello a seguito dell’innalzamento della quota del pianerottolo antistante l’alloggio degli attori, tanto che, a superamento del dislivello, sono stati inseriti, nell’ultimo tratto, due scalini antistanti la porta di ingresso: il che – ha sottolineato la sentenza impugnata – ha reso anche più scomodo l’accesso al fondo dominante, perlomeno nel suo ultimo tratto.
Sennonchè, così argomentando, la Corte d’appello non ha logicamente motivato le basi del proprio conclusivo convincimento, perchè ha desunto il danno e lo svantaggio per i titolari del diritto di servitù esclusivamente dall’inserimento, nell’ultimo tratto, di due scalini, reso necessario dal rialzo di 35 cm., per motivi costruttivi, del pianerottolo, ma ha omesso di effettuare una valutazione complessiva e non parcellizzata, trascurando di considerare il beneficio derivante dalla sostituzione della insicura e vetusta scala in legno con una nuova, solida scala in muratura.
5. – Con il quarto motivo (falsa applicazione dell’art. 873 cod. civ. e violazione dell’art. 1 dell’allegato 1 – norme di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Merano – della L.P. autonoma di Bolzano 4 marzo 1970, n. 5, ed insufficiente motivazione) ci si duole che la Corte abbia ritenuto che l’edificazione di un nuovo abbaino sul tetto al posto dell’apertura vetrata già esistente e lo spostamento minimo dell’altro abbaino già esistente, costituissero una nuova costruzione per la quale dovesse, a norma dell’art. 873 c.c., essere rispettata la distanza minima di tre metri dall’altrui edificio. Secondo i ricorrenti, l’inserimento di abbaini nelle falde del tetto non costituisce una innovazione, ma una semplice consentita modifica; e ciò anche alla luce delle norme del piano regolatore del Comune di Merano, approvato con la L.P. Bolzano n. 5 del 1970.
5.1. – Il motivo è infondato.
In materia di distanze legali tra edifici, la modificazione del tetto di un fabbricato integra sopraelevazione e, come tale, una nuova costruzione soltanto se essa produce un aumento della superficie esterna e della volumetria dei piani sottostanti, così incidendo sulla struttura e sul modo di essere della copertura; spetta al giudice di merito di volta in volta verificare, in concreto, se l’opera eseguita abbia le anzidette caratteristiche ovvero se, in ipotesi, avendo carattere ornamentale e funzioni meramente accessorie rispetto al fabbricato, vada esclusa dal calcolo delle distanze legali (Cass., Sez. 2, 25 settembre 2006, n. 20786; Cass., Sez. 2, 5 giugno 2008, n. 14932).
A tale principio si è attenuta la Corte di merito, la quale ha ordinato l’eliminazione degli abbaini nella misura in cui distano meno di tre metri dai muri dell’edificio degli appellanti dopo aver sottolineato che “i nuovi abbaini, visibili sulla foto 3 allegata alla c.t.u. (la quale appare confermare le misure indicate a pag. 20 della citazione in appello, di m. 1,3 di larghezza, m. 1,9 e rispettivamente m. 1,4 di lunghezza e m. 2 di altezza), evidentemente hanno comportato un aumento sensibile sia della superficie esterna che anche della volumetria del piano sottostante”.
La Corte del merito – attraverso argomentazioni complete ed appaganti, improntate a retti criteri logici e giuridici, nonchè frutto di un’indagine accurata e puntuale delle risultanze istruttorie – ha quindi escluso che i nuovi abbaini abbiano una natura di mera variazione architettonica, ed ha affermato che integrano, essendosi verificato un aumento di superficie e di volumetria del piano sottostante, la nozione di costruzione: come tale soggetta al rispetto delle distanze dettate dall’art. 873 c.c., non derogato dalla L.P. autonoma di Bolzano n. 5 del 1970.
6. – Con il quinto motivo si denuncia violazione degli artt. 902 cod. civ. e 112 cod. proc. civ. Ad avviso dei ricorrenti, la richiesta dei coniugi (OMISSIS) di ridurre la finestra alle precedenti dimensioni, accolta dalla sentenza impugnata, si basava sulla circostanza che essa avesse conservato la sua qualificazione di veduta e perciò dovesse essere ridotta alle dimensioni di quella che aveva acquistato il diritto all’affaccio, ma essendo mutata la sua qualifica in luce la loro domanda come formulata non poteva essere accolta, in quanto essi avevano solo la facoltà, costituente un diritto potestativo, da loro non esercitato, di chiederne la regolarizzazione ai sensi dell’art. 902 c.c., comma 2.
6.1. – Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha ordinato la parziale chiusura della nuova porta finestra rilevando che l’ampliamento della preesistente finestra semplice ha comportato un aggravamento per il fondo degli attori, con essa essendosi realizzata una più ampia visuale sul detto fondo se non per chi stia direttamente affacciato ad una finestra, ora porta finestra, perlomeno per chi guardi dall’interno della stanza.
I ricorrenti contestano questa conclusione, deducendo che l’apertura de qua non ha i caratteri della veduta ed è da considerare luce anche se non state osservate le prescrizioni indicate dall’art. 901 cod. civ.
Si tratta, pervero, di una questione che presuppone un accertamento di fatto che non risulta dalla sentenza impugnata e che il ricorrente tenta di introdurre nella sede del giudizio di legittimità rimettendo inammissibilmente a questa Corte l’esame diretto della “fotografia a pag. 18 della c.t.u. 12 ottobre 2006” e delle “foto n. 24, 25 e 28 ad essa allegate”.
7. – Il ricorso è accolto nei primi tre motivi e rigettato nel resto.
La sentenza impugnata è cassata in relazione alla censura accolta.
La causa è rinviata alla Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, in diversa composizione.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso, rigetta il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di Cessazione, il 3 maggio 2016.