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Cassazione Civile 11046/2016 – Garanzia per i vizi della cosa venduta – Termine di decorrenza

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Sentenza 11046/2016

Garanzia per i vizi della cosa venduta – Termine di decorrenza

In materia di garanzia per i vizi della cosa venduta, il termine di decadenza di otto giorni dalla scoperta del vizio occulto, di cui all’art. 1495 c.c., decorre dal momento in cui il compratore ne ha acquisito certezza obiettiva e completa, sicché, ove la scoperta del vizio avvenga gradatamente ed in tempi diversi e successivi, in modo da riverberarsi sulla consapevolezza della sua entità, occorre far riferimento al momento in cui si sia completata la relativa scoperta.

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 27 maggio 2016, n. 11046  (CED Cassazione 2016)

Art. 1495 cc (Garanzia per i vizi della cosa venduta)

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 696 c.p.c. al tribunale di Modena depositato in data 21.6.2002 e notificato in data 4.7.2002 ” (OMISSIS)” s.p.a. chiedeva farsi luogo ad accertamento tecnico preventivo.

La ricorrente, operante “nel settore della produzione e commercio di vernici e lacche ad uso industriale, destinate al trattamento delle superfici in legno, carta, metallo e plastica” (così ricorso, pag. 2), esponeva che per la filtrazione delle vernici, da alcuni anni, acquistava da ” (OMISSIS)” s.r.l. filtri in nylon o poliestere; che nei mesi tra gennaio e maggio 2002 aveva ricevuto, “prima verbalmente e poi per iscritto, contestazioni da parte di diversi clienti, i quali lamentavano che, in fase di stesura, le vernici acquistate (…) presentavano la rottura della pellicola superficiale, con conseguente formazione di (…) “schivature”” (così ricorso, pagg. 2 – 3); che, a seguito di proprie verifiche, era giunta alla conclusione che “il vizio (…) fosse attribuibile alla presenza di particelle disomogenee nel corpo delle vernici e, dunque, a difetti del materiale filtrante” (così ricorso, pag. 3); che con raccomandata del 17.5.2002, anticipata via fax, aveva contestato l’accaduto alla ” (OMISSIS)”, rappresentando che i difetti concernevano il materiale filtrante oggetto delle forniture di cui alle fatture n. (OMISSIS).

Si costituiva ” (OMISSIS)” e contestava quanto ex adverso dedotto. Chiedeva inoltre autorizzarsi la chiamata in causa di ” (OMISSIS) (OMISSIS)” s.n.c..

In sede di accertamento tecnico preventivo veniva disposta ed espletata c.t.u..

Con atto notificato in data 9.4.2003 la ” (OMISSIS)” s.p.a. citava a comparire ” (OMISSIS)” s.r.l. innanzi al tribunale di Como.

Chiedeva risolversi i contratti di compravendita di cui alle suindicate fatture per inadempimento della convenuta, che aveva consegnato aliud pro alio e, comunque, merce priva della sua essenziale qualità, altresì con condanna della ” (OMISSIS)” alla restituzione di quanto percepito a titolo di corrispettivo e con liberazione di essa attrice dall’obbligo di corresponsione del residuo prezzo nonchè, ulteriormente, con condanna della convenuta a risarcirle il danno cagionatole, quantificato in Euro 284.976,62, unitamente al pregiudizio arrecato alla sua immagine, quantificato in Euro 20.000,00.

Costituitasi, ” (OMISSIS)” eccepiva pregiudizialmente l’intervenuta decadenza e l’intervenuta prescrizione dell’azione di garanzia; nel merito instava per il rigetto delle avverse domande ed in riconvenzionale perchè l’attrice fosse condannata a corrisponderle il residuo prezzo.

Autorizzata la convenuta alla chiamata in causa, si costituiva ” (OMISSIS) (OMISSIS)” s.n.c., che, tra l’altro, concludeva per il rigetto delle domande di parte attrice.

Con sentenza n. 398/2006 il tribunale adito rigettava la domanda attorea, accoglieva la riconvenzionale e, per l’effetto, condannava l’attrice a corrispondere alla convenuta la somma di Euro 4.470,31, oltre interessi, a saldo della fattura n. (OMISSIS), compensava per 1/3 le spese di lite e condannava l’attrice a rimborsare alla convenuta ed alla terza chiamata i residui 2/3. Interponeva appello la ” (OMISSIS)” s.p.a..

Resistevano la ” (OMISSIS)” s.r.l. e la ” (OMISSIS) (OMISSIS)” s.n.c..

Con sentenza n. 2221 dei 14/23.7.2010 la corte d’appello di Milano rigettava il gravame e condannava l’appellante a rimborsare alle appellate le spese del grado.

Evidenziava la corte, in ordine al primo motivo di gravame, che era da escludere che ricorresse l’ipotesi della consegna di aliud pro alio sia “sotto il profilo della diversità di genere della res tradita rispetto a quella pattuita” (così sentenza d’appello, pag. 26) sia “sotto il profilo della mancanza nella merce fornita delle qualità necessarie per assolvere alla sua naturale funzione economica – sociale” (così sentenza d’appello, pagg. 26 – 27).

Evidenziava, in ordine al secondo motivo di gravame, che “dalla documentazione prodotta da (OMISSIS) risulta che la prima denuncia è datata 20 maggio 2002 e non 17 maggio 2002 (…) e che è pervenuta all’appellata il successivo 23 maggio” (così sentenza d’appello, pag. 28); che, in considerazione del letterale tenore della denuncia del 20.5.2002, non vi era motivo per dubitare che “la consapevolezza del vizio relativo ai sacchetti filtranti forniti da (OMISSIS), quale causa delle “schivature”, fosse già stata raggiunta dalla appellante a tale data” (così sentenza d’appello, pag. 29), siccome del resto si rinveniva “conferma nelle dichiarazioni rese in sede di libero interrogatorio dal legale rappresentante di (OMISSIS)” (così sentenza d’appello, pag. 29).

Evidenziava, inoltre, analogamente in ordine al secondo motivo di gravame, che, non solo l’appellante non aveva assolto l’onere, su di essa gravante, della dimostrazione della tempestività della denuncia, ma, segnatamente alla stregua della comunicazione datata 10.5.2002 ed inviata per posta elettronica, erano stati acquisiti riscontri senz’altro idonei a dimostrare la tardività della denuncia stessa; che, invero, in considerazione del tenore della medesima mail, “sicuramente il 10 maggio la appellante aveva appreso che i problemi di “schivatura” erano imputabili ai vizi dei sacchetti filtranti” (così sentenza d’appello, pag. 30) e che, conseguentemente, “avuto riguardo al termine di otto giorni previsto dall’art.1495 c.c., la denuncia inviata non già il 17 maggio, ma datata 20 maggio e inviata via fax il 23 maggio (…)” (così sentenza d’appello, pag. 30) era irrimediabilmente tardiva.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la ” (OMISSIS)” s.r.l. (già ” (OMISSIS)” s.p.a.); ne ha chiesto sulla sorta di quattro motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di lite.

La ” (OMISSIS)” s.r.l. ha depositato controricorso contenente ricorso incidentale articolato in due motivi; ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso ed, in accoglimento della spiegato ricorso incidentale, cassarsi la sentenza della corte d’appello di Milano; in ogni caso con il favore delle spese di lite.

La ” (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS)” in liquidazione (già ” (OMISSIS) (OMISSIS)” s.n.c.) non ha svolto difese.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

La controricorrente parimenti ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente principale deduce “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in riferimento agli artt. 1490 e 1497 c.c. nonchè art. 1453 c.c. per aver escluso la configurabilità della consegna di aliud pro alio” (così ricorso principale, pag. 17).

Adduce che la corte d’appello e, prim’ancora, il tribunale hanno erroneamente qualificato i difetti riscontrati – alla stregua e degli esiti dell’a.t.p. e della documentazione allegata dalla ” (OMISSIS)” – nel materiale filtrante; che difatti la conclusione cui la corte di merito è pervenuta, è “vistosamente in contrasto con le risultanze degli atti di causa in quanto se è vero che (…) aveva ordinato sacchetti di poliestere destinati a filtrare, è stato altresì provato (anche in sede di A.T.P.) che i sacchetti consegnati erano sì sacchetti di poliestere ma tutt’altro che filtranti in quanto rilasciavano impurità assolvendo, di fatto, ad una funzione addirittura opposta a quella a cui erano destinati” (così ricorso principale, pag. 20); che, in effetti, la merce venduta presentava caratteristiche “che ne alteravano integralmente la funzionalità con riferimento non solo all’uso specifico che ne ha fatto (OMISSIS) (filtrazione di vernici), ma, altresì, con riferimento a qualsiasi altro uso tipico (ossia filtratura di qualsiasi altra sostanza), essendo compromessa proprio la unica e precipua funzione immanente ad un filtro: quella, appunto, di filtrare, ossia di trattenere le particelle impure presenti in un fluido” (così ricorso principale, pagg. 20 – 21).

Adduce, dunque, che “un materiale destinato a filtrare che non filtra non può essere considerato un filtro e, pertanto, la merce consegnata da (OMISSIS) era da considerarsi (…) completamente diversa da quella pattuita appartenendo ad un genere diverso” (così ricorso principale, pag. 24); che, “a tutto voler concedere, anche qualora (…) non si ritenesse che i beni consegnati appartenessero ad un genere diverso rispetto a quello convenuto, essi, comunque, realizzerebbero una chiara ipotesi di aliud pro alio – quantomeno – sotto il profilo della mancanza delle qualità necessarie per assolvere alla loro naturale funzione economico – sociale” (così ricorso principale, pagg. 27 – 28)

Con il secondo motivo la ricorrente principale deduce “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in riferimento agli artt. 1495 c.c. nonchè difetto di motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) in ordine al momento in cui (OMISSIS) acquisisce la consapevolezza dei vizi” (così ricorso principale, pag. 29).

Adduce che la corte distrettuale ha attribuito alla mail in data 10.5.2002 “un valore giuridico e un contenuto che vanno al di là di quello che sono realmente” (così ricorso principale, pag. 31); che “la comunicazione in parola avviene tra soggetti incaricati da (OMISSIS) di svolgere esami in laboratorio e che, come tali, non possono certo ritenersi dotati di poteri di rappresentanza tali da poter dar corso, in nome e per conto della società, ad una formale denuncia di vizi” (così ricorso principale, pag. 31); che la corte milanese “non ha considerato che il documento in parola viene girato alla ricorrente dalla Ricerca C (laboratorio di analisi) solo in data 30.5.2002 (addirittura successivamente alla missiva pervenuta ad (OMISSIS) in data 23.5.2002)” (così ricorso principale, pag. 32); che d’altra parte “la Corte disponeva (…) di altri elementi probatori dai quali al contrario sarebbe stato agevole evincere che (OMISSIS) non aveva acquisito consapevolezza dei vizi nella data indicata” (così ricorso principale, pag. 32).

Adduce che “non vi è stato un giorno preciso nel mese di maggio in cui (…) abbia acquisito la certezza della dannosità dei filtri in questione” (così ricorso principale, pag. 33); che “piuttosto (…) ha realizzato prima la sussistenza di un vizio nelle vernici trattate con i filtri (OMISSIS) e, solo dopo aver escluso che il vizio fosse determinato da altre cause (…), ha dato immediata comunicazione a quest’ultima con lettera del 17.05.2002” (così ricorso principale, pag. 33); che comunque la certezza oggettiva e non meramente soggettiva dei vizi del materiale filtrante l’ha acquisita “solo a seguito della prova del solvente del 3/6/02, poi consacrata in sede di a.t.p.” (così ricorso principale, pag. 34).

Adduce che, per altro verso, non è possibile far coincidere il dies a quo del termine di otto giorni di cui all’art. 1495 c.c. con quello in cui ha ricevuto le doglianze dei propri clienti, per l’ovvia ragione “che tali lamentele possono coincidere, tutt’al più, con la scoperta dei vizi delle vernici” (così ricorso principale, pag. 35); che infatti “il momento della scoperta dei vizi delle vernici (…) dev’essere tenuto distinto da quello (successivo) della scoperta dei vizi del materiale filtrante” (così ricorso principale, pag. 35).

Adduce che in ogni caso, giusta l’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte di legittimità, “ben avrebbe potuto attendere le risultanze della fase cautelare di accertamento preventivo per formalizzare le proprie contestazioni a (OMISSIS) negli otto giorni successivi” (così ricorso principale, pag. 37).

Con il terzo motivo la ricorrente principale deduce “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in riferimento agli artt. 2697 c.c. e ai principi generali in materia di diritto di difesa e di ammissibilità delle prove nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) in ordine agli stessi principi ed elementi” (così ricorso principale, pag. 37).

Adduce che la corte territoriale non si è in alcun modo pronunciata sulle istanze probatorie dirette a dimostrare la tempestività della denuncia, formulate e non ammesse in prime cure e riproposte in sede di gravame; che pertanto la corte d’appello “erroneamente e senza fornire adeguata motivazione ha escluso la tempestività della denuncia dei vizi senza svolgere alcuna indagine istruttoria” (così ricorso principale, pag. 38); che, segnatamente, essa ricorrente principale si era, tra l’altro, “offerta di provare che la certezza oggettiva dei vizi de quibus è stata raggiunta con la prova a solvente del 3/6/2002” (così ricorso principale, pag. 40); che perciò del tutto contraddittoriamente la corte di merito ha affermato, ancorchè abbia ritenuto di non dare ingresso alle prove orali, che essa ricorrente principale “non ha fornito prova della sua tesi difensiva” (così ricorso principale, pag. 41).

Con il quarto motivo il ricorrente principale deduce “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in riferimento agli artt. 1495 e 2697 c.c. con riguardo al soggetto su cui incombe l’onere della prova” (così ricorso principale, pagg. 42 – 43).

Adduce che la corte distrettuale ha erroneamente invertito l’onere della prova, allorchè ha ritenuto che spettasse ad essa ricorrente principale “fornire la prova della tempestività della denuncia dei vizi occulti insiti nella merce venduta da (OMISSIS)” (così ricorso principale, pag. 43); che “la decadenza, in tema di diritti disponibili, costituisce oggetto di una eccezione in senso stretto e, pertanto (…), spetta alla parte contro la quale la garanzia è fatta valere eccepire e provare la tardività della denunzia” (così ricorso principale, pag. 43); che quindi sarebbe stato onere della venditrice convenuta, ” (OMISSIS)” s.r.l., che ha opposto “la tardività della comunicazione, fornire la dimostrazione del fatto addotto, integrante un’eccezione in senso proprio, quale circostanza impeditiva della domanda” (così ricorso principale, pag 44).

Con il primo motivo la ricorrente incidentale deduce “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3) in riferimento all’art. 1495 c.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5)” (così ricorso incidentale, pagg. 54 – 55).

Adduce che sin dal primo grado ha eccepito in via pregiudiziale “che l’azione della (OMISSIS), per quanto oggetto delle (…) fatture (OMISSIS), è anche prescritta, non essendo stata (…) proposta (…) entro un anno dalla consegna di quanto acquistato” (così ricorso incidentale, pag. 55); che la prescrizione risulta per tabulas nè controparte ha dimostrato di averne interrotto il corso con atti idonei a tale fine.

Adduce, in particolare, che la prescrizione risulta sia “dai documenti di trasporto relativi alle fatture (…) n. (OMISSIS) (…), sia dal fax del vettore (OMISSIS) del 25.2.03 a (OMISSIS) s.r.l.” (così ricorso incidentale, pagg. 55 – 56); che risulta “accertato che i sacchetti filtranti (…) di cui alla fattura n. (OMISSIS) sono stati consegnati all’attrice in data 12.12.01 e quelli di cui alla fattura n. (OMISSIS) in data 18.12.01” (così ricorso incidentale, pag. 56); che “l’azione della (OMISSIS) è stata, invece, introdotta con atto di citazione notificato il 9.4.03, ossia, (…) ben oltre l’anno dalla consegna dei filtri di cui a dette due fatture” (così ricorso incidentale, pag. 56).

Adduce, ulteriormente, che è da escludere che la prescrizione sia “stata interrotta con le raccomandate datate 17.5.02 (rectius: 20.5.02) e 11.6.02 e con il ricorso per a.t.p. notificato il 4.7.02” (così ricorso incidentale, pag. 56); che infatti il contenuto delle raccomandate “non presenta quei caratteri di intimazione e di costituzione in mora idonei, ai sensi dell’art. 2943 c.c., ad interrompere” (così ricorso incidentale, pag. 56) il corso della prescrizione; che, segnatamente, “la raccomandata a.r. datata 11.6.02 contiene solo una generica riserva ad agire” (così ricorso incidentale, pag. 56); che “nessun effetto interruttivo della prescrizione ha poi nemmeno il ricorso per a.t.p. (…), essendo lo stesso inesistente e/o nullo e/o invalido e/o inammissibile” (così ricorso incidentale, pag. 57); che, in ogni caso, “la costituzione in mora non ha efficacia interruttiva rispetto ai diritti potestativi” (così ricorso incidentale, pag. 57).

Con il secondo motivo la ricorrente incidentale deduce “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3) in riferimento all’art. 91 c.p.c.; Omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5)” (così ricorso incidentale, pagg. 54, 55, 58).

Adduce che aveva in via incidentale esperito appello avverso la sentenza di prime cure, chè aveva “operato l’indebita compensazione per un terzo delle spese di lite, sul presupposto di non meglio riferiti esiti del procedimento per A.T.P. e del rigetto della domanda della (OMISSIS) solo in punto di eccezione di decadenza” (così ricorso incidentale, pag. 59); che la corte milanese non si è pronunciata al riguardo, in particolare in ordine alle spese del procedimento per a.t.p. e di primo grado, ed avrebbe dovuto, in accoglimento dell’impugnazione incidentale, disporre la “rifusione integrale delle spese di ogni fase, stato e grado del giudizio (compreso l’accertamento tecnico preventivo” (così ricorso incidentale, pag. 61).

Il primo motivo del ricorso principale è destituito di fondamento.

Si premette che tale motivo si qualifica in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (si condivide, quindi, la prospettazione della controricorrente secondo cui “la ricorrente tenta di introdurre (..) un altro motivo di gravame, ossia quello previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5″: così controricorso, pag. 32).

Occorre tener conto, da un lato, che la ” (OMISSIS)” s.r.l., col motivo de quo, censura sostanzialmente il giudizio di fatto cui la corte territoriale ha atteso (“la posizione sostenuta dalla Corte d’Appello è in realtà errata e vistosamente in contrasto con le risultanze degli atti di causa”: così ricorso principale, pag. 20).

Occorre tener conto, dall’altro, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.82004, n. 15499, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione).

Su tale scorta questa Corte non può, al riguardo, che reiterare il proprio insegnamento.

Ovvero l’insegnamento secondo cui, in tema di vendita, è configurabile la consegna di aliud pro alio non solo quando la cosa consegnata è completamente difforme da quella contrattata, appartenendo ad un genere del tutto diverso, ma anche quando è assolutamente priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente, o abbia difetti che la rendano inservibile; e secondo cui, in tale ultimo caso, è necessario che la particolare utilizzazione della cosa sia stata espressamente contemplata, da entrambe le parti, nella negoziazione (cfr. Cass. 18.1.2007, n. 1092; Cass. 17.9.2004, n. 18757).

In questi termini si evidenzia specificamente quanto segue.

Innanzitutto, che è da disconoscere senz’altro che si versi nella prima – appartenenza della res consegnata ad un genere del tutto diverso – delle ipotesi prefigurate.

Invero, la corte di merito ha debitamente ed esaustivamente dato atto che, alla stregua delle risultanze dell’a.t.p., doveva considerarsi incontestabile che l’appellante “aveva ordinato dei sacchetti filtranti per liquidi e che la merce consegnata da (OMISSIS) era appunto costituita da sacchetti di poliestere destinati a filtrare liquidi i quali presentavano le caratteristiche richieste dalla compratrice quanto al materiale, alle misure e ampiezza delle luci” (così sentenza d’appello, pag. 26).

Altresì, che è da disconoscere senza dubbio che si versi nella seconda – assoluta mancanza delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente; presenza di difetti tali che rendano inservibile la res consegnata – delle ipotesi prefigurate.

Invero, in relazione a tal ultima evenienza (presenza di difetti tali che rendano inservibile la res consegnata), la corte distrettuale ha debitamente ed esaustivamente dato atto che in sede di a.t.p. il consulente tecnico per nulla aveva “messo in discussione che non si fosse in presenza di sacchetti filtranti” (così sentenza d’appello, pag. 27), che aveva “verificato che il tessuto utilizzato era poliestere” (così sentenza d’appello, pag. 27), che di tali sacchetti in poliestere per nulla aveva “rilevato la non idoneità a filtrare” (così sentenza d’appello, pag. 27). Del resto è significativo pone in risalto che la stessa ricorrente principale ha “circoscritto”, ha “delimitato” la dedotta inettitudine funzionale dei filtri de quibus, giacchè ha prospettato specificamente che “rilasciavano particelle siliconiche di diametro inferiore alle maglie dei filtri stessi – pochi micron – e, dunque, contaminavano” (così ricorso principale, pag. 24).

Invero, in relazione alla prima evenienza (assoluta mancanza delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente), la corte milanese ha debitamente ed esaustivamente dato atto “i sacchetti presentavano le caratteristiche indicate negli ordini” (così sentenza d’appello, pag. 27). D’altronde, la controricorrente ha puntualmente rimarcato che “gli ordini scritti, dalla (OMISSIS) prodotti, non recano alcuna menzione di quale fosse la destinazione dei filtri venduti da (OMISSIS), nè è stato dedotto sul punto alcun capitolo di prova” (così controricorso, pag. 29).

Il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale sono strettamente connessi, poichè entrambi afferiscono al profilo della tempestività della denuncia dei vizi.

Il che ne suggerisce la disamina contestuale.

Ambedue i motivi comunque sono fondati e meritevoli di accoglimento nei limiti che seguono.

Si premette che analogamente i motivi de quibus si qualificano esclusivamente in relazione alla previsione dell’art. 3650 c.p.c., comma 1, n. 5): entrambe le ragioni di censura attengono all’esaustività e congruenza dell’affermata decadenza dalla garanzia in dipendenza del riscontro, quale operato dalla corte territoriale, della tardività della denunzia ex art. 1495 c.c., comma 1.

Su tale scorta si rappresenta che l’insegnamento di questo Giudice del diritto è nel senso che il termine di otto giorni dalla scoperta del vizio occulto (contrariamente all’assunto della controricorrente – cfr. controricorso, pagg. 47/48 – non rileva nella fattispecie il disposto dell’art. 1511 c.c., perchè quivi è contemplato il “termine per la denunzia dei vizi e dei difetti di qualità apparenti) decorre dal momento in cui il compratore ne ha acquisito certezza obiettiva e completa (cfr. Cass. 16.3.2011, n. 6169; Cass. 10.3.2011, n. 5732). Ed, ancora, è nel senso che, ove la scoperta del vizio avvenga gradatamente ed in tempi diversi e successivi, in modo da riverberarsi sulla consapevolezza dell’entità del vizio stesso, occorre fare riferimento al momento in cui si sia completata la relativa scoperta (cfr. Cass. 6.5.2005, n. 9515), tant’è che, qualora ai fini del riscontro oggettivo e pieno della reale entità del vizio si proceda ad accertamento tecnico preventivo, il dies a quo del termine per la denunzia si identifica con il momento in cui la competente cancelleria ha comunicato l’esito dell’a.t.p. (cfr. Cass. 23.5.2000, n. 6735; Cass. 8.7.1995, n. 7541).

Nel segno dei summenzionati insegnamenti si rappresenta quanto segue.

In primo luogo, che nella mail in data 10.5.2002 si legge testualmente, certo, che “le tele filtranti prelevate in vari momenti e da diverse confezioni hanno dato il problema delle schivature una volta usate per filtrare i prodotti all’acqua”; nondimeno nella stessa mail si aggiunge che “lavando i sacchetti con eptano ed acetone si eliminava in gran parte il problema” (cfr. al riguardo controricorso, pag. 36).

In questi termini l’affermazione della corte d’appello, secondo cui “da tale documento si evince che sicuramente il 10 maggio la appellante aveva appreso che i problemi di schivatura erano imputabili ai vizi dei sacchetti filtranti” (così sentenza d’appello, pag. 30), non può esser recepita.

Difatti la mail in data 10.5.2002, in considerazione del suo letterale tenore, meglio testimonia che, “in realtà, (…) semplicemente (…) vi erano delle ricerche sperimentali in corso e non fornisce alcuna indicazione tale da far ritenere che già si fosse arrivati ad avere cognizione piena delle problematiche dei filtri” (così ricorso principale, pag. 32), meglio si presta, ossia, ad esprimere un significativo sospetto, sospetto al contempo riflesso nelle dichiarazioni rese in sede di libero interrogatorio dal legale rappresentante di ” (OMISSIS)” e tuttavia non ancora assurto al grado di una obiettiva e completa consapevolezza e del vizio e della sua entità.

In secondo luogo, che neppure depone nel senso di una oggettiva e piena coscienza del vizio e della sua entità la denuncia in data 20.5.2002.

Vero è che quivi si afferma testualmente che “il problema si evidenzia solo dopo la fase di filtraggio attraverso i vostri sacchi filtranti” (cfr. al riguardo sentenza d’appello, pag. 29); e nondimeno siffatta affermazione è idonea ad esprimere, al più, un grado di maggior rilievo di “soggettivo” (“a suo parere” dice efficacemente e condivisibilmente la ricorrente principale a pag. 33 del ricorso) sospetto.

In questo quadro, quadro in cui l’argomentazione della controricorrente, secondo cui controparte non ha “mai precisato la data dell’avvenuta scoperta del vizio” (così controricorso, pag. 41), ben si presta, di contro, ad esser assunta quale indice della consapevolezza acquisita al riguardo da ” (OMISSIS)” “per gradi ed in tempi diversi e successivi”, la motivazione che, in parte qua agitar, sorregge il dictum della corte di merito risulta significativamente deficitaria.

Al cospetto della deduzione della appellante – principale ricorrente in questa sede – secondo cui “la piena conoscenza del vizio era intervenuta addirittura in un momento successivo a detta denuncia, e cioè il 3 giugno 2002, dopo che il laboratorio incaricato di analizzare i filtri aveva comunicato di aver rinvenuto particelle di silicone” (così sentenza d’appello, pag. 28) ovvero solo a seguito della “prova del solvente”, ben avrebbe dovuto la corte distrettuale, onde, in parte qua, dar ragione in guisa esaustiva del suo dictum, attendere al vaglio – al quale per nulla ha atteso – e dell’ammissibilità e della rilevanza della prova testimoniale dall’originaria attrice articolata in prime cure e riproposta in grado d’appello. Segnatamente ben avrebbe dovuto attendere al vaglio dei capitoli 22), 23) e 24) (riprodotti sia a pagina 40 sia, unitamente a tutti gli altri capitoli di prova, alle pagine 10 – 15 del ricorso principale) precipuamente tesi a dimostrare che la certezza oggettiva e compiuta dei vizi era stata acquisita “solo a seguito della prova del solvente del 3/6/02” (così ricorso principale, pag. 34), vaglio – di ammissibilità e rilevanza – cui, invece, ha cura di attendere la controricorrente (cfr. controricorso, pagg. 48 – 50) ad integrazione, evidentemente, di un apparato motivazionale della cui lacunosità implicitamente dà conto (cfr. Cass. sez. lav. 4.3.2000, n. 2446, secondo cui la mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio di motivazione della sentenza denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, quando il vizio stesso emerga dal ragionamento posto a base della decisione (che si riveli incompleto, incoerente e illogico) e il ricorrente indichi specificamente le circostanze di fatto oggetto della prova ed il nesso di causalità tra l’asserita omissione e la decisione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo sulla decisività della prova non ammessa, controllo che deve peraltro essere compiuto esclusivamente sulla base delle deduzioni contenute nel ricorso, senza possibilità di colmare le eventuali lacune con indagini integrative; cfr. Cass. sez. lav. 22.7.2004, n. 13730).

Al cospetto inoltre dei capitoli di prova per testimoni articolati dall’originaria attrice la motivazione che, in parte qua agitur, supporta la statuizione di seconde cure risulta in pari tempo significativamente incongrua, esattamente nella parte in cui, siccome ben ha sottolineato la ricorrente principale (cfr. ricorso principale, pag. 41), si asserisce che “non è stata provata dall’appellante (…) la tempestività della denuncia” (così sentenza d’appello, pag. 29).

La deficienza ed incongruenza motivazionale che inficiano, in parte qua agitur, la sentenza n. 2221 dei 14/23.7.2010 della corte d’appello di Milano, ne impongano, dunque, in accoglimento del secondo e del terzo motivo del ricorso principale, la cassazione con rinvio ad altra sezione della medesima corte.

Il quarto motivo del ricorso principale è privo di fondamento.

È sufficiente ribadire il radicato insegnamento giurisprudenziale di questa Corte di legittimità, in virtù del quale, in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, eccepita dal venditore la tardività della denuncia rispetto alla data di consegna della merce, incombe sull’acquirente – nel caso di specie, sulla ” (OMISSIS)” s.r.l. – trattandosi di condizione necessaria per l’esercizio dell’azione, l’onere della prova di aver denunziato i vizi nel termine di legge ex art. 1495 c.c. (cfr. Cass. 14.5.2008, n. 12130; cfr. Cass. 12.6.2007, n. 13695, secondo cui in tema di garanzia per vizi della cosa venduta, mentre sull’acquirente incombe l’onere della prova, oltrechè della tempestività della denuncia, anche dell’esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate, il venditore deve offrire la prova liberatoria; Cass. 28.1.1997, n. 844, secondo cui l’onere della prova di aver denunziato al venditore i vizi della cosa venduta entro otto giorni dalla scoperta incombe sul compratore, in quanto tale denunzia costituisce una condizione per l’esercizio della azione redibitoria o quanti minoris).

È inammissibile il primo motivo del ricorso incidentale.

La ricorrente incidentale ha espressamente riferito che il giudice di prime cure non si è pronunciato sull’eccezione di prescrizione “ritenendo assorbente e preliminare la decadenza di controparte dalla garanzia per i supposti vizi della merce” (così ricorso incidentale, pag. 58); ed ha espressamente soggiunto che la corte di Milano, “pur disaminando e valutando compiutamente le eccezioni proposte (…), non ha statuito alcunchè al riguardo” (così ricorso incidentale, pag. 58).

In questi termini anche in seconde cure, sostanzialmente, la disamina dell’eccezione di prescrizione è rimasta assorbita dal riscontro del buon fondamento, quale operato dalla corte territoriale, della eccepita decadenza.

Ne discende che riveste valenza in proposito l’insegnamento di questo Giudice del diritto a tenor del quale la declaratoria di assorbimento di una questione, a causa della decisione di un’altra che rende superflua una pronuncia di merito sulla prima, esclude l’interesse della parte vittoriosa, che l’aveva dedotta, a propone ricorso per cassazione, in quanto difetta sul punto una specifica soccombenza che legittimi l’impugnazione, non essendovi in realtà alcuna decisione sul merito della questione assorbita, e non configurandosi un’omissione di pronuncia (Cass. 23.4.2008, n. 10545).

L’accoglimento del secondo e del terzo motivo del ricorso principale assorbe e rende vana la disamina del secondo motivo del ricorso incidentale (d’altronde questa Corte spiega, con riguardo alla riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio, dopo la cassazione della sentenza, che costituiscono elementi essenziali dell’atto di riassunzione il riferimento esplicito alla precedente fase processuale e la manifesta volontà di riattivare il giudizio attraverso il ricongiungimento delle due fasi in un unico processo, per cui non devono essere riproposte tutte le pretese in precedenza avanzate dalla parte, dovendosi presumere, in difetto di elementi contrari, che le stesse siano mantenute ferme, ancorchè non trascritte: cfr. Cass. 24.3.2006, n. 6679).

Si provvederà in sede di rinvio alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo ed il quarto motivo del ricorso principale, accoglie il secondo ed il terzo motivo del medesimo ricorso principale; dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso incidentale ed assorbito il secondo motivo dello stesso ricorso incidentale; cassa, in relazione e nei limiti dei motivi accolti, la sentenza n. 2221 dei 14/23.7.2010 della corte d’appello di Milano e rinvia ad altra sezione della medesima corte anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.