Roma, Via Valadier 44 (00193)
o6.6878241
avv.fabiocirulli@libero.it

Cassazione Civile 11052/2016 – Usucapione del diritto di servitù – Decorrenza

Richiedi un preventivo

Sentenza 11052/2016

Usucapione del diritto di servitù – Decorrenza

Al fine della determinazione del “dies a quo” per l’usucapione del diritto di servitù costituito dal mantenimento di una determinata opera a distanza illegale deve farsi riferimento non al momento di inizio della costruzione bensì a quello nel quale questa sia venuta ad esistenza, mercé la realizzazione di elementi strutturali ed essenziali, idonei a rivelare anche al titolare del fondo servente l’esistenza di uno stato di fatto coincidente con l’esercizio di un diritto reale di servitù.

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 27 maggio 2016, n. 11052  (CED Cassazione 2016)

Art. 873 cpc (Distanze nelle costruzioni)

Art. 1158 cpc (Usucapione di beni immobili)

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 22-6-1989 (OMISSIS) conveniva dinanzi al Tribunale di Roma (OMISSIS), lamentando che quest’ultimo aveva realizzato sul fondo contiguo a quello di sua proprietà delle costruzioni che non rispettavano le distanze dai confini previste dai titoli d’acquisto e dalla legge, aveva aperto vedute a distanza illegale ed aveva occupato abusivamente parte di un terreno destinato a strada di lottizzazione, con conseguente limitazione della viabilità della zona. L’attrice chiedeva, conseguentemente, la condanna del convenuto alla eliminazione dei predetti manufatti e al risarcimento dei danni.

Nel costituirsi, il convenuto contestava la fondatezza della domanda attrice e deduceva che, avendo costruito per primo e posseduto le costruzioni per un periodo superiore a venti anni senza alcuna opposizione da parte della vicina confinante, in suo favore era maturata l’usucapione del diritto a mantenere le costruzioni a distanza inferiore a quella legale. Il (OMISSIS), inoltre, chiedeva in via riconvenzionale la condanna della (OMISSIS) alla riduzione in pristino e alla interdizione all’uso di via (OMISSIS), assumendo che era stata l’attrice a non rispettare le distanze convenzionali delle sue edificazioni dal confine e contestando il diritto della controparte a transitare sulla strada di lottizzazione (OMISSIS).

Con sentenza n. 21337/1999 il Tribunale rigettava tutte le domande, sul presupposto che la pendenza delle procedure di condono precludesse ogni decisione nel merito.

Tale decisione veniva impugnata con appello principale dalla (OMISSIS) e con appello incidentale dal (OMISSIS).

Con sentenza n. 3748/2002 la Corte di Appello di Roma riformava l’impugnata sentenza, condannando entrambe le parti ad arretrare, mediante parziale demolizione, le costruzioni realizzate sui lotti di rispettiva proprietà fino a stabilire un distacco di metri quattro dal confine comune.

Avverso la predetta pronuncia proponeva ricorso per cassazione il (OMISSIS), lamentando, tra l’altro, con il secondo motivo, l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione in ordine alla dedotta usucapione del diritto a mantenere le costruzioni realizzate alle minori distanze accertate.

Con sentenza n. 16194/2007 la Corte di Cassazione, in accoglimento del motivo in esame, cassava la sentenza di appello, rinviando ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma per il riesame della questione concernente l’eccepita usucapione.

Riassunto il giudizio dal (OMISSIS), con sentenza n. 917/2011 la Corte di Appello di Roma rigettava la domanda del convenuto intesa alla declaratoria di usucapione, ritenendo non acquisita la prova dell’epoca di realizzazione della costruzione e, quindi, del decorso del prescritto termine ventennale.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS), sulla base di tre motivi.

(OMISSIS) ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi.

In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo il ricorrente principale lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, in relazione all’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui “dall’ulteriore missiva della (OMISSIS)”) del 20-5-1994, indirizzata ai VV. UU…….emerge che in quel periodo il (OMISSIS) operava lavori di sbancamento ad una profondità di oltre 3,50 mt dal piano di calpestio del livello naturale del terreno… La segnalazione è riscontrata dall’esito degli accessi eseguiti dal C.T.U. che, nei primi mesi del 1994, effettivamente verificava l’avvenuto sbancamento ad una profondità di mt. 3,50 per 170 mq a confine con l’appellata”. Deduce, in particolare, che l’invio di una missiva non dimostra la corrispondenza a verità di quanto riferito dalla (OMISSIS) e che, in ogni caso, quanto denunciato dall’attrice e poi riscontrato dal C.T.U. riguarda lavori di sbancamento e non lavori sull’edificio del (OMISSIS).

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per non avere la Corte di Appello tenuto conto della documentazione prodotta dal (OMISSIS), da cui si evince che le costruzioni del medesimo sono state erette nel 1966 e, quindi, oltre venti anni prima della notifica della citazione introduttiva del giudizio, nonchè delle ammissioni contenute nell’atto di citazione della (OMISSIS) circa il fatto che la costruzione del convenuto era stata eseguita molto prima del 22-61989 e, in tale data, aveva già la sagoma attuale.

Con il terzo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 233 c.p.c. e dell’omessa motivazione sulla richiesta del (OMISSIS) di deferimento di giuramento suppletorio al convenuto, il quale aveva offerto una probatio semipiena delle sue ragioni.

2) I primi due motivi, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, devono essere disattesi.

La Corte di Appello ha rigettato la domanda di usucapione proposta in via riconvenzionale dal convenuto, per mancanza di prova circa il decorso del prescritto termine ventennale dal momento in cui l’organismo edilizio contestato è rimasto individuabile nei suoi elementi strutturali essenziali. Essa ha osservato, infatti, che il (OMISSIS) non ha fornito alcun elemento certo circa l’epoca di realizzazione delle sue costruzioni, frutto di successive edificazioni, rilevando, in particolare, che nessuna valenza probatoria può attribuirsi all’autodichiarazione resa nel 1986, ai fini della sanatoria, dal convenuto, secondo cui il medesimo aveva realizzato circa 470 mq. a fini abitativi nell’anno 1966. Il giudice del gravame ha aggiunto che, al contrario, dalla documentazione prodotta dalla (OMISSIS) emergono “consistenti indizi” circa la collocazione dell’attività edilizia del convenuto in epoca di gran lunga successiva a quella assunta dal (OMISSIS).

Il giudizio espresso al riguardo dalla Corte territoriale risulta sorretto da una motivazione esaustiva e congrua, con la quale è stato dato adeguato conto delle ragioni della decisione.

Ciò posto, si osserva che le doglianze mosse dal ricorrente, attraverso la formale denuncia di vizi di motivazione, da cui la sentenza è immune, si risolvono, in realtà, in mere censure di merito in ordine alla valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di appello.

Ma, come è noto, la valutazione delle risultanze probatorie rientra nei compiti istituzionali del giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi processualmente acquisiti considerati nel loro complesso (Cass. 25-10-2003 n. 16087).

I vizi di motivazione denunciabili in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, pertanto, non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, perchè spetta solo a quel giudice individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (Cass. 14-10-2010 n. 21224; Cass. 5-3-2007 n. 5066; Cass. 21-4-2006, n. 9368; Cass., 204-2006, n. 9234; Cass., 16-2-2006, n. 3436; Cass. 20-10-2005 n. 20322).

Nè può dubitarsi della correttezza, sul piano giuridico, della valutazione espressa dal giudice del gravame, secondo cui la decorrenza del termine di usucapione va fissata nel momento in cui l’organismo edilizio contestato sia individuabile nei suoi elementi strutturali essenziali, idonei a palesarne la portata pregiudizievole all’altrui diritto.

Tale affermazione risulta conforme al principio enunciato dalla giurisprudenza, secondo cui, al fine della determinazione del “dies a quo” per l’usucapione del diritto di servitù costituito dal mantenimento dì una determinata opera a distanza illegale, deve farsi riferimento non al momento di inizio della costruzione, ma a quello nel quale questa sia venuta ad esistenza, mercè la realizzazione di elementi strutturali ed essenziali, idonei a rivelare anche al titolare del fondo servente l’esistenza di uno stato di fatto coincidente con l’esercizio di un diritto reale di servitù (Cass. 2912-2005 n. 28784; Cass. 20-1-2010 n. 934).

3) Anche il terzo motivo è infondato.

Deve, infatti, rammentarsi che il potere del giudice del merito di deferire il giuramento suppletorio ha natura eminentemente discrezionale, e il suo mancato esercizio, pur in presenza di espressa richiesta di parte, non può formare oggetto di sindacato alcuno in sede di legittimità, neppure sotto il profilo dell’omissione di motivazione (Cass. 19-8-2002 n. 12235; Cass. 8/9/2006 n. 19270; Cass. 2-4-2009 n. 8021).

Il ricorrente, pertanto, non può dolersi del mancato esercizio di una facoltà rimessa al potere discrezionale del giudice di merito ed alla sua autonoma valutazione circa la sussistenza o meno della semiplena probatio.

4) Per le ragioni esposte il ricorso principale deve essere rigettato, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato proposto dalla (OMISSIS).

Segue, per rigore di soccombenza, la condanna del ricorrente principale al pagamento delle spese sostenute dalla resistente nel presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13-4-2016