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Cassazione Civile 11086/2016 – IVA –  Regime del margine di utile di cui all’art. 36 del d.l. n. 41 del 1995

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Ordinanza 11086/2016

IVA –  Regime del margine di utile di cui all’art. 36 del d.l. n. 41 del 1995

In tema d’IVA, il regime del margine di utile di cui all’art. 36 del d.l. n. 41 del 1995, conv. con modif. nella l. n. 85 del 1995, rappresentando un regime speciale, derogatorio dell’ordinaria disciplina fiscale degli acquisti intracomunitari, impone che il contribuente provi la sussistenza dei relativi presupposti di fatto, per cui l’indicazione sulla fattura del cedente della dicitura regime del margine oggetti d’arte (oppure da collezione o di antiquariato o beni d’occasione) non può ritenersi un mero elemento formale, impedendo la sua omissione la prova del requisito d’ordine soggettivo.

Cassazione Civile, Sezione 6, Ordinanza 30 maggio 2016, n. 11086  (CED Cassazione 2016)

 

 

IN FATTO E IN DIRITTO

L’Ufficio delle Dogane Milano 1 accertava nei confronti della società (OMISSIS) s.r.l. una maggiore imposta IVA in relazione alla cessione comunitaria di alcuni dipinti acquistati dalla Galleria d’arte (OMISSIS) alla quale era stato applicato il regime del margine in assenza dei presupposti benchè si trattasse di un acquisto intracomunitario.

La società impugnava l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti innanzi al giudice di primo grado che accoglieva il ricorso con sentenza impugnata dall’Ufficio.

La CTR della Lombardia, con sentenza n. 2636/2014/00, depositata il 20.5.2014, rigettava l’appello.

La CTR osservava che la mancata indicazione, nella fattura della cedente, dell’assoggettamento al regime del margine non poteva costituire elemento idoneo a impedire l’applicazione agevolata dell’IVA, risultando quello del c.d. margine il regime ordinario in tema di commercio di opere d’arte usate. Peraltro, il Decreto Legge n. 216 del 2002, reso in attuazione della dir. 2010/45/UE, nel prevedere l’obbligo di indicazione dell’annotazione anzidetta, non poteva che valere per le fatture emesse prima dell’entrata in vigore del Decreto Legge medesimo. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, al quale ha resistito la società contribuente con controricorso e memoria.

La ricorrente ha dedotto la violazione del Decreto Legge n. 41 del 1995, articoli da 36 a 40 conv. nella L. n. 85 del 1995 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 21, comma 6.

Deduce l’Agenzia ricorrente che la CTR, nel ritenere irrilevante l’omessa indicazione in fattura da parte del cedente del regime del margine e nel considerare idoneo alla fruizione del beneficio la mera circostanza che la contribuente esercitasse il commercio d’arte, aveva violato le disposizioni anzidette, travisando altresì il senso della normativa interna di trasposizione della dir. 2010/45/EU, da intendere come meramente confermativa di un obbligo già esistente.

La società contribuente ha dedotto l’infondatezza del ricorso.

Il ricorso è manifestamente fondato.

Ed invero, la CTR, nell’affermare che l’omessa annotazione sulla fattura emessa dal cedente del regime del margine non impedisce l’agevolazione in favore della contribuente in quanto la stessa risulta essere esercente attività di commercio di opere d’arte, non ha fatto corretta applicazione del quadro normativo di riferimento per come interpretato da questa Corte, in maniera ormai consolidata, come già ritenuto in due fattispecie omologhe alla presente rese tra le stesse parti e decise con ordinanze nn. 11832/2015 e 11833/2015. In tali ultime pronunzie si è infatti ritenuto che quello del margine di utile costituisce un regime speciale, il quale permette di evitare che detti beni, al momento della loro reimmissione in commercio, siano tassati una seconda volta – ossia contribuisce ad evitare la doppia imposizione – senza che sia presa in considerazione l’imposta ancora incorporata nel loro prezzo – cfr. Corte giust. 9 luglio 1992, “K” Line Air Service Europe, C-131/91, punto 19).

Ora, il carattere speciale del regime del margine rispetto a quello ordinario dell’IVA trova conferma nell’articolo 26 bis della c.d. sesta direttiva – introdotto dalla dir. 94/5/CEE – che completa il sistema comune d’imposta sul valore aggiunto e modifica la direttiva 77/388/CEE, introducendo un “Regime particolare applicabile ai beni d’occasione e agli oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione”.

Si è pure ritenuto che tale regime è stato trasposto nell’ordinamento nazionale dal Decreto Legge n. 41 del 1995, articoli 36 ss., conv. con modificazioni dalla L. n. 85 del 1995.

In tali ultime occasioni si è inoltre aggiunto che il composito quadro normativo – comunitario e interno – consente di affermare che: a) il legislatore comunitario ha introdotto un regime di calcolo dell’IVA speciale rispetto a talune categorie di beni che sono stati indicati nel medesimo contesto e che sono soggetti ad una specifica (ed unica) regolamentazione); b) in tanto i cessionari rivenditori possono fruire del regime del margine in quanto il cedente rispetti le condizioni fissate dall’articolo 36, comma 1, Decreto Legge cit.; c) tutti i soggetti che applicano il regime del margine in base all’articolo 36 cit., comma 1 non possono detrarre l’imposta afferente l’acquisto, anche intracomunitario. Le conclusioni sopra rassegnate confermano, per un verso, l’erroneità della decisione impugnata e della prospettiva dalla quale muove la parte controricorrente, ancorata vuoi ad una lettura del quadro normativo interno non compatibile con i principi sopra esposti e comunque antitetica rispetto a quella emergente dalla lettura complessiva delle disposizioni interne e comunitarie.

Ed infatti, proprio l’armonizzazione comunitaria del regime del margine in tema di opere d’arte e da collezione e antiquariato disposta dalla dir. 94/5/CE del 14.2.1994 imponeva all’autorità giudiziaria di verificare la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione del detto regime, lo stesso risolvendosi in un minore introito di IVA comunitaria che non avrebbe nemmeno impedito la rilevabilità anche ex officio dei presupposti legittimanti l’utilizzazione del sistema del margine ad opera della parte contribuente, alla stregua dei rodati principi esposti da questa Corte in tema di efficacia del diritto comunitario – Cass. n. 13065/2006; Cass. civ., 20 luglio 2007 n. 16130; Cass. S.U. 18 dicembre 2006 n. 26984 -.

Si è parimenti aggiunto che la prospettiva dalla quale muove la parte controricorrente, alla cui stregua il regime del margine per gli operatori commerciali del settore degli oggetti d’arte – posto che non è qui in discussione la circostanza che i cedenti della società contribuente non era privati avendo fatturato le singole operazioni commerciali (v. pag. 7 2 cpv. controricorso) – sarebbe “speciale” rispetto a quello del margine previsto per altre tipologie di beni pure indicate nella normativa ed invece “ordinario” per i medesimi soggetti cozza, per un verso, con la lettera delle disposizioni normative sopra ricordate, dalle quali non è ricavabile alcuna diversità di disciplina a seconda dei beni oggetto del sistema del margine – facendosi riferimento ad un’unica tipologia di soggetto rivenditore e regolando i tratti generali del meccanismo senza operare distinguo fra le categorie dei beni ad esso assoggettabili.

Nè è possibile giungere alle conclusioni esposte dalla società controricorrente volte a sostenere che è l’esistenza stessa dell’opera d’arte oggetto di commercio fra rivenditori a legittimare l’applicazione del regime del margine, tralasciando le stesse di considerare che in tanto detto meccanismo può applicarsi, in quanto siano presenti le condizioni legittimanti di cui si è detto.

Non è pertanto condivisibile il convincimento della controricorrente che vorrebbe fare derivare l’assoggettabilità del regime del margine delle operazioni compiute dai fornitori della stessa in ragione dello svolgimento della stessa attività – commercio di beni d’arte – della società ricorrente. Parimenti erroneo risulta il richiamo, operato nel controricorso alla giurisprudenza della Corte di Giustizia relativa alla prevalenza degli elementi sostanziali rispetto agli obblighi formali che, se non rispettati, non potrebbero mettere in discussione i principi del sistema impositivo dell’IVA e, dunque, l’applicazione in parte qua del sistema del margine.

Sul punto, è sufficiente evidenziare che i presupposti già richiamati dall’ordinamento comunitario sono ben lungi dal potere essere inquadrati all’interno degli obblighi formali, invece condizionando la possibilità stessa di fare ricorso al regime agevolativo. Ed è nota la differenza corrente fra i requisiti sostanziali del diritto che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione di tale diritto e quelli formali, relativi al corretto funzionamento del sistema dell’IVA, quali gli obblighi di contabilità, di fatturazione e di dichiarazione. In definitiva, la prospettiva risultante dal regime comunitario del margine e dalla sua specificità è sovrapponibile a quella emergente dalla granitica giurisprudenza di questa Corte a proposito dell’impossibilità di estendere le ipotesi di regime agevolativi (fra i quali quello di cui qui si discute) oltre i casi espressamente previsti, escludendosi altresì ogni possibilità di interpretazioni estensiva della disciplina di settore.

Parimenti inconferente rispetto alle tesi prospettate dalla CTR (e condivise dalla parte controricorrente) ed anzi ulteriormente confermativo dei principi espressi in precedenza risulta la disciplina introdotta con la dir. 2010/45/UE del 13 luglio 2010 la quale, nel prevedere alcune modifiche in tema di fatturazione ai fini IVA, ha previsto – articolo 224 – che in caso di applicazione di uno dei regimi speciali applicabili ai beni di occasione e agi oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione sia inserita la dicitura “regime del margine” – beni d’occasione o regime del margine oggetti d’arte, oppure regime del margine oggetti da collezione o di antiquariato.

Anche tale normativa, recepita dalla L. n. 228 del 2012 – con decorrenza 1.1.2013 -, non fa che dimostrare per un verso l’assoluta omogeneità delle regole introdotte dal legislatore comunitario quanto alle fatturazioni relative al regime del margine con riferimento a tutte le tipologie dei beni ai quali esso si applica e, per altro verso, conferma che tale normativa non ha in alcun modo modificato i presupposti sostanziali correlati al riconoscimento dell’agevolazione, la prova dei quali spetta pur sempre al contribuente”.

Ai principi teste riportati il Collegio ritiene di dare continuità.

Orbene, l’avere ritenuto, da parte della CTR, che il beneficio agevolativo fosse correlato alla mera circostanza che il cessionario operasse in via esclusiva nel commercio di opere d’arte ha determinato una palese violazione dei principi sopra ricordati, per l’appunto correlata alla circostanza che l’elemento dell’omessa indicazione del regime del margine nella fattura del cedente, ben lungi dal rilevare come mero elemento formale, non consentiva di ricavare alcuna dimostrazione del fatto che il cedente si trovasse in una delle condizioni sopra esaminate, rispetto alle quali appariva non pienamente dimostrativo del diritto all’agevolazione la ricorrenza del presupposto di ordine soggettivo che pure sancisce il ricordato articolo 36.

La CTR ha dunque errato nel ritenere che “…per le opere d’arte vige il regime naturale del margine e che solo l’opzione per il regime ordinario può determinare le relative conseguenze per l’omissione di comunicazione e registrazione” senza invece considerare che secondo l’ordinamento interno l’esistenza del diritto all’agevolazione, in piena consonanza rispetto alla dir. 94/5/CE, è agganciata alla ricorrenza di ulteriori presupposti che deve essere il cessionario a dimostrare.

Le superiori considerazioni resistono ai rilievi difensivi esposti dalla controricorrente in memoria che non appaiono persuasivi laddove offrono una lettura del dato normativo -Decreto Legge n. 41 del 1995, articolo 36 – tendente ad individuare una diversità di regime fra gli esercenti l’attività di commercio di beni d’antiquariato e beni usati che non si riscontrata se si procede ad una lettura complessiva dei singoli commi della medesima disposizione.

Sulla base di tali considerazioni, idonee a superare i rilievi difensivi della società contribuente, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia perchè faccia applicazione dei principi sopra indicati.

P.Q.M.

La Corte, visti gli articoli 375 e 380 bis c.p.c.;

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia a che per la liquidazione delle spese del giudizio ad altra sezione della CTR della Lombardia.