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Cassazione Civile 11107/2023 – Incidente stradale tra veicolo e animale selvatico – Responsabilità ex art. 2052 c.c. – Presupposti – Onere della prova incombente sul conducente danneggiato

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Ordinanza 11107/2023

Incidente stradale tra veicolo e animale selvatico – Responsabilità ex art. 2052 c.c. – Presupposti – Onere della prova incombente sul conducente danneggiato

Nel caso di danni derivanti da incidenti stradali tra veicoli e animali selvatici, ai fini dell’integrazione della fattispecie di responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. è necessario provare che la condotta dell’animale sia stata la causa del danno, sicché non è sufficiente, per il danneggiato, dimostrare la presenza dell’animale sulla carreggiata e l’impatto tra quest’ultimo e il veicolo, essendo egli tenuto – anche ai fini di assolvere all’onere della prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno ex art. 2054, comma 1, c.c. – ad allegare e dimostrare l’esatta dinamica del sinistro, dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida (cautela da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possi bile presenza di animali selvatici) e che il contegno dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui – nonostante ogni cautela – non sarebbe stato comunque possibile evitare l’impatto, di modo che essa possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno.

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 27-4-2023, n. 11107   (CED Cassazione 2023)

Art. 2052 cc (Danno cagionato da animali)

 

 

Fatti di causa

(OMISSIS) ha agito in giudizio nei confronti della Regione
Marche per ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla sua
autovettura a seguito della collisione con un animale selvatico
(cinghiale), avvenuta sulla S.P. 78 Picena.

La domanda è stata accolta dal Giudice di Pace di Macerata.

Il Tribunale di Macerata, in riforma della decisione di primo
grado, l’ha invece rigettata.

Ricorre il (OMISSIS), sulla base di cinque motivi.
Resiste con controricorso la Regione Marche.

È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1
c.p.c..

Ragioni della decisione

1. Preliminarmente va disattesa l’istanza avanzata dal ricorrente, di riunione del presente ricorso ad altri ricorsi pendenti
davanti a questa stessa Corte e aventi ad oggetto analoghe
questioni.

Si tratta, infatti, all’evidenza, di fattispecie autonome e distinte,
derivanti da diversi incidenti occorsi a diversi soggetti in diverse
circostanze di tempo e di spazio, che hanno dato luogo ad autonomi giudizi di merito.

Il fatto che si tratti comunque di danni che si assumono causati
da animali selvatici e che le sentenze che hanno definito i giudizi
di merito in secondo grado (a dire del ricorrente) abbiano identica motivazione, non può certamente ritenersi sufficiente per
disporre la richiesta riunione in relazione ai procedimenti indicati nell’istanza del ricorrente.

2. Il quinto motivo del ricorso ha carattere pregiudiziale e,
quindi, va esaminato per primo.

Con esso si denunzia «difetto di valida rappresentanza processuale ad appellare – nullità della procura ad impugnare».

Il ricorrente sostiene di avere eccepito nel corso del giudizio di
appello, già con la comparsa di costituzione e risposta, l’irregolarità della costituzione in giudizio della Regione appellante, per
la mancanza della delibera amministrativa di autorizzazione alla
proposizione dell’appello stesso. Lamenta che il tribunale non
avrebbe neanche preso in esame la sua eccezione e, comunque, che sussisterebbe il dedotto difetto di rappresentanza.

Il motivo è inammissibile, ancor prima che infondato.
In violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., infatti, non è
richiamato nel ricorso lo specifico contenuto degli atti difensivi
in cui sarebbe stata sollevata la predetta eccezione nel corso
del giudizio di secondo grado e gli esatti termini della stessa,
né direttamente, mediante la trascrizione del contenuto rilevante di quegli atti, né indirettamente, mediante la precisa indicazione della loro allocazione nel fascicolo processuale e l’individuazione della parte rilevante degli stessi.
In ogni caso, l’ente controricorrente ha, in primo luogo, prodotto copia della comparsa di costituzione in appello del ricorrente, dalla quale non emerge affatto che fosse stata proposta l’eccezione in questione, contrariamente a quanto egli assume nel ricorso.

Ha, altresì, prodotto copia degli atti amministrativi di autorizzazione alla proposizione del gravame, dei quali il ricorrente
assume la mancanza, con la prova dell’avvenuta produzione di
essi nel corso del giudizio di appello (si veda il “fascicolo di parte
dell’appello” prodotto dalla Regione in modalità telematica in
allegato al controricorso, che contiene: la deliberazione autorizzativa alla proposizione dell’appello, decreto del Presidente
della Giunta Regionale n. 71 in data 11 marzo 2020, integrato
con la precedente deliberazione della Giunta Regionale n. 1531
in data 2 dicembre 2019; la relativa nota di deposito nel fascicolo del giudizio di secondo grado, in data 30 aprile 2020; la
conformità di tali documenti a quelli presenti nel fascicolo del
giudizio di appello non risulta oggetto di specifica contestazione
da parte del ricorrente, il quale, nella stessa memoria che pure
ha depositato ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., in realtà, non
solo non contesta ulteriormente e specificamente, di fronte alla
indicata produzione documentale, che le delibere autorizzative
alla lite erano state depositate dalla Regione nel giudizio di appello, ma neanche torna specificamente sulla questione della
regolare costituzione di quest’ultima, limitandosi ad un generico
richiamo di tutti i motivi del ricorso).

Dunque, la costituzione della Regione Marche in appello deve
ritenersi regolare, sussistendo le necessarie delibere di autorizzazione alla lite.

3. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «violazione e falsa
applicazione dell’art. 2052 cc (in relazione all’art. 360 comma
1 n°3 c.p.c.)».

Con il secondo motivo si denunzia «violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2052 CC (in relazione all’art. 360
comma 1 n°3 c.p.c.)».

Con il terzo motivo si denunzia «violazione e falsa applicazione
dell’art. 132 cpc (in relazione all’art. 360 comma 1 n°4 c.p.c.)».

Con il quarto motivo si denunzia «violazione e falsa applicazione
degli art. 115 e 116 cpc (in relazione all’art. 360 comma 1 n°5
c.p.c.)».

I primi quattro motivi sono connessi e possono, quindi, essere
esaminati congiuntamente.

Essi sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

3.1 È opportuno premettere che, in materia di danni causati
dalla fauna selvatica, è stato di recente puntualizzato l’indirizzo
di questa Corte con alcune pronunzie della Terza Sezione Civile
(cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7969 del 20/04/2020, Rv.
657572 – 01-02-03; Sez. 3, Sentenza n. 8384 del 29/04/2020;
Sez. 3, Sentenza n. 8385 del 29/04/2020; conf., successivamente: Sez. 3, Sentenza n. 12113 del 22/06/2020, Rv. 658165
– 01-02-03; Sez. 3, Ordinanza n. 13848 del 6/07/2020, Rv.
658298 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 20997 del 2/10/2020,
Rv. 659153 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16550 del
23/05/2022, Rv. 665057 – 01; nonché, non massimate: Sez.
6 – 3, Ordinanza n. 18085 del 31/08/2020; Sez. 6 – 3,
Ordinanza n. 18087 del 31/08/2020; Sez. 6 – 3, Ordinanza n.
19101 del 15/09/2020; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 25466 del
12/11/2020; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3023 del 9/02/2021; cfr.
anche Sez. 3, Ordinanza n. 25280 dell’11/11/2020), in cui sono
stati affermati i seguenti principi di diritto:

«i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A.
a norma dell’art. 2052 c.c., giacché, da un lato, il criterio di
imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si
fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette ai sensi della l. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e
alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema»;

«nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’art. 2052 c.c. la legittimazione passiva
spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della
competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte – per delega o
in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti;

la Regione può rivalersi (anche mediante chiamata in causa
nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti
degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio di
funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno»;
«in materia di danni da fauna selvatica a norma dell’art. 2052
c.c., grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell’animale si è posta del
tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa
autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti
misure – concretamente esigibili in relazione alla situazione di
fatto e compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e
dell’ecosistema – di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi».

Il collegio intende dare continuità a tali principi di diritto.

Nella specie, peraltro, il tribunale, con la decisione impugnata,
pur dando conto dell’indirizzo appena esposto e pur rilevando
che, al contrario, la decisione di primo grado di accoglimento
della domanda si era fondata su quello contrario (secondo il
quale i danni provocati dalla fauna selvatica sono risarcibili
esclusivamente sulla base delle disposizioni generali in tema di
condotta colposa lesiva, cioè ai sensi dell’art. 2043 c.c., non
quindi ai sensi dell’art. 2052 c.c.), ha ritenuto la domanda infondata sotto entrambi i profili.
Con riguardo al primo ha, infatti, ritenuto non sufficientemente
provata la condotta colposa dell’ente pubblico convenuto.

Con riguardo al secondo, ha ritenuto non provata la condotta di
guida prudente dell’attore e l’imputabilità dell’incidente stradale, sotto il profilo causale, ad un comportamento imprevedibile dell’animale selvatico.

3.2 Tanto premesso, si osserva, in primo luogo, che è inammissibile la censura (di cui al primo motivo del ricorso) con la
quale il ricorrente sostiene che il tribunale avrebbe escluso – a
suo dire erroneamente – la possibilità di una riqualificazione
della sua domanda nell’ambito della disciplina di cui all’art.
2052 c.c. in quanto ciò avrebbe comportato un vizio di extrapetizione.

Tale censura non coglie la effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.

In verità, nella motivazione di quest’ultima non pare affatto
ravvisabile l’argomentazione indicata dal ricorrente a fondamento della decisione di rigetto della domanda.
In ogni caso, come appena chiarito, la domanda risulta in realtà
espressamente esaminata dal giudice di appello (anche) sotto
il profilo del regime di imputazione della responsabilità di cui
all’art. 2052 c.c. e, proprio sotto tale profilo, è stata ritenuta
infondata.

3.3 Per quanto riguarda le ulteriori censure, con le quali, nella
sostanza, il ricorrente sostiene che egli aveva ampiamente fornito la prova necessaria ai fini dell’affermazione della responsabilità della Regione ai sensi dell’art. 2052 c.c., mentre quest’ultima non avrebbe fornito la prova liberatoria del caso
fortuito, si osserva quanto segue.

La decisione impugnata risulta del tutto conforme, in diritto, ai
principi che si sono esposti in premessa, in tema di responsabilità per gli incidenti stradali causati da animali selvatici, ai
sensi dell’art. 2052 c.c..

Come espressamente precisato nei precedenti già richiamati di
questa Corte (ed invocati dallo stesso ricorrente a sostegno
della presente impugnazione), con i quali si è affermata l’applicabilità dell’art. 2052 c.c. alle ipotesi di danni causati dalla
fauna selvatica, «nel caso di danni derivanti da incidenti stradali
tra veicoli ed animali selvatici (ipotesi invero statisticamente
molto frequente, nel tipo di contenzioso in esame), non può
ritenersi sufficiente – ai fini dell’applicabilità del criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. – la sola
dimostrazione della presenza dell’animale sulla carreggiata e
neanche che si sia verificato l’impatto tra l’animale ed il veicolo,
in quanto, poiché al danneggiato spetta di provare che la condotta dell’animale sia stata la “causa” del danno e poiché, ai
sensi dell’art. 2054, comma 1, c.c., in caso di incidenti stradali
il conducente del veicolo è comunque onerato della prova di
avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, quest’ultimo –
per ottenere l’integrale risarcimento del danno che allega di
aver subito – dovrà anche allegare e dimostrare l’esatta dinamica del sinistro, dalla quale emerga che egli aveva nella specie
adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida
(cautela da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici) e che la condotta dell’animale
selvatico abbia avuto effettivamente ed in concreto un carattere
di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui – nonostante ogni
cautela – non sarebbe stato comunque possibile evitare l’impatto, di modo che essa possa effettivamente ritenersi causa
esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno» (cfr. Cass.,
Sez. 3, Sentenza n. 7969 del 20/04/2020, in motivazione, al
paragrafo 6.1; conf., più di recente: Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 30294 del 14/10/2022).
Il tribunale, nel rilevare la mancanza di adeguata prova della
condotta di guida connotata da speciale prudenza da parte
dell’attore nel tratto di strada in cui è avvenuto l’incidente, ove
era nota e segnalata la possibile presenza di animali selvatici,
nonché del comportamento in concreto imprevedibile dell’animale, tale da rendere inevitabile l’impatto, cioè, in altri termini,
nel negare che fosse stata fornita sufficiente prova del nesso di
causa tra la condotta dell’animale selvatico e l’evento dannoso
lamentato dall’attore, ha correttamente applicato i suddetti
principi di diritto, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente.

Per ogni altro aspetto, le censure di quest’ultimo si risolvono
nella contestazione degli accertamenti di fatto operati dal giudice del merito – che sono sostenuti da adeguata e esaustiva,
benché sintetica, motivazione (la si trova espressa a pag. 5
della sentenza impugnata), non apparente né insanabilmente
contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella
presente sede – nonché nella richiesta di una nuova e diversa
valutazione delle prove, il che non è consentito in sede di legittimità.

4. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base
del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali
(rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R.
30 maggio 2002 n. 115.

Per questi motivi

La Corte:
– rigetta il ricorso;
– condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di
legittimità in favore dell’ente controricorrente, liquidandole in complessivi € 1.500,00, oltre € 200,00 per
esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento, da parte
del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei
limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis
dello stesso art. 13.

Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 28 febbraio 2023.