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Cassazione Civile 11173/2016 – Provvedimento di estinzione del processo conseguente ad una dichiarazione di interruzione del giudizio erroneamente dichiarata

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Sentenza 11173/2016

Provvedimento di estinzione del processo conseguente ad una dichiarazione di interruzione del giudizio erroneamente dichiarata

Il provvedimento di estinzione del processo, conseguente ad una dichiarazione di interruzione del giudizio erroneamente dichiarata, per difetto di uno dei presupposti di legge, dal difensore della parte, è nullo poiché l’errore, ove sia chiaramente riconoscibile, non può ridondare a danno della parte medesima, né è riscontrabile un principio di ragionevole affidamento, atteso che la controparte ed il giudice, per il principio di effettività, debbono, rispettivamente, eccepire e rilevare l’inefficacia della dichiarazione dell’evento interruttivo.

Cassazione Civile, Sezione 6, Sentenza 30 maggio 2016, n. 11173  (CED Cassazione 2016)

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Rilevato che la Corte d’Appello di Messina, decidendo sul gravame introdotto per la determinazione dell’indennità di occupazione, nell’ambito di una procedura espropriativa, con sentenza in data 23 giugno 2014, ha dichiarato estinto il giudizio svoltosi tra il Consorzio per l’Area di sviluppo industriale (ASI) della Provincia di Messina e la signora (OMISSIS), in quanto il difensore dell’ente pubblico aveva chiesto ed ottenuto di dichiararsi l’interruzione del processo, per effetto della soppressione del Consorzio, disposto con la Legge Regionale n. 8 del 2012, a cui non era seguita la tempestiva riassunzione del giudizio;

che, non potevano essere accolte le osservazioni della Gestione separata IRSAP, così diversamente denominato il soppresso Consorzio, la quale ha invocato la legge regionale di interpretazione autentica n. 15 del 2013, secondo la quale i rapporti dei soppressi Consorzi sono transitati alle apposite gestioni separate presso il menzionato Istituto, fino alla chiusura definitiva delle operazioni di liquidazione, in quanto il provvedimento interruttivo, non seguito dalla richiesta di riassunzione, era anteriore alla legge interpretativa ed esso era stato sollecitato dallo stesso ente pubblico soppresso;

che, avverso tale pronuncia, il Consorzio ASI in liquidazione – Gestione separata IRSAP ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo (violazione e falsa applicazione della Legge Regionale n. 15 del 2013, articoli 111 e 64, di interpretazione autentica della Legge Regionale n. 8 del 2012, articolo 19, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4);

che la signora (OMISSIS) ha resistito con controricorso.

Considerato che il mezzo di cassazione appare manifestamente fondato;

che, infatti, il provvedimento di estinzione del giudizio è stato reso in difetto di uno dei presupposti di legge, costituito – nella specie – dalla validità ed esistenza del provvedimento di interruzione del processo, logica premessa per la pronuncia dell’estinzione giudiziale;

che, infatti, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione (senti. nn. 730/82, 6414/79, 182/73, 230 del 1986, 1329 del 2000), “la mancata riassunzione, nel termine perentorio di sei mesi, del processo dichiarato interrotto (o sospeso) ne determina l’estinzione ai sensi degli articoli 305 (297) c.p.c. e articolo 307 c.p.c., comma 3, in quanto, al momento della pronuncia dell’ordinanza di interruzione (o di sospensione), sia effettivamente esistito il relativo presupposto. Pertanto, qualora risulti che, a tale data, non sussista la causa di interruzione (o di sospensione) posta a fondamento del provvedimento, questo deve ritenersi nullo e l’onere di osservanza del detto termine come mai dato, onde il processo può essere utilmente riassunto anche dopo il decorso del semestre”;

che, infatti, neppure la parte controricorrente contesta che l’avvento della gestione separata dei rapporti giuridici relitti in ragione della soppressione (con liquidazione) dell’ente, potesse determinare l’automatica interruzione del processo (p. 10 del controricorso);

che, del resto, tale soluzione è da sempre affermata da questa Corte, anche in riferimento al caso paradigmatico delle ASL soppresse, escludendosi che il fenomeno successorio possa realizzarsi per il solo fatto della soppressione degli enti, ove – come nel caso in esame – sia stata stabilita una apposita procedura di liquidazione (Cass. sez. unite civili, sent. n. 14337 del 2005 e numerose altre conff.);

che, ad esempio, una norma del tenore seguente (“i crediti ed i debiti delle attuali aziende sanitarie restano in capo alla gestione liquidatoria”) – esclude che la soppressione della ASL “abbia avuto come effetto immediato e diretto l’estinzione della stessa e, comunque, l’eventuale e ipotetica rilevanza della sopravvenienza di tale evento nel processo dev’essere rilevata nei modi e nelle forme di cui agli articoli 299 c.p.c. e segg.. Ne consegue, in difetto, che la mancata interruzione del processo non può essere rilevata d’ufficio, nè essere eccepita dall’altra parte come motivo di nullità” (Sez. L, Sentenza n. 4688 del 2011; Sez. 3, Sentenza n. 24025 del 2009);

che, pertanto, la sola obiezione svolta dalla controricorrente (e che resta da esaminare in questa sede) è costituita dall’eccezione secondo cui vi sarebbe carenza d’interesse da parte dell’ente pubblico, che quella interruzione ha sollecitato a mezzo del suo difensore (e che ora insta per la dichiarazione di nullità dei provvedimenti giudiziali pronunciati in forza di quella) e circa il diritto dell’altra parte (il privato) ad un comportamento processuale corretto e rispettoso del proprio diritto alla rapida definizione della controversia;

che l’eccezione appare infondata, atteso che l’errore del difensore della parte (che tale si è rivelato in ragione di una dichiarazione data in sua violazione), quando – come nella specie – sia chiaramente riconoscibile (in forza dei principi di diritto regolativi della materia) non può ridondare a danno di questa, non potendosi affermare un principio di ragionevole affidamento, dovendo la controparte ed il giudice, rispettivamente, eccepire e rilevare l’inefficacia della dichiarazione dell’evento interruttivo, in virtù del principio dell’effettività di quegli eventi, come ha già affermato questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 15783 del 2005: “il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati: e ciò alla luce dell’articolo 328 c.p.c., dal quale si desume la volontà del legislatore di adeguare il processo di impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti”); che, del resto, il principio di ragionevole durata del processo non può eliminare l’errore cui abbia messo capo non solo il comportamento erroneo di una parte, ma anche il mancato rilievo della sua erroneità (in punto di diritto) da parte dell’avversario e del giudice chiamato a verificarne la rispondenza alla fattispecie legale;

che, in conclusione, il ricorso è manifestamente fondato e deve essere accolto con la conseguente cassazione della decisione con rinvio, anche per le spese di questa fase, alla Corte territoriale in diversa composizione, la quale si atterrà principio di diritto sopra enunciato.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, alla Corte d’Appello di Catania, in diversa composizione.