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Cassazione Civile 11179/2015 – Risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione stradale – Scontro di veicoli

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Sentenza 11179/2015


Risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione stradale – Scontro di veicoli – Azione giudiziaria proposta nei confronti del conducente di uno solo dei veicoli coinvolti.

In tema di risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione stradale, l’azione giudiziaria per il conseguimento dell’intero risarcimento, proposta dal danneggiato nei confronti del conducente di uno solo dei veicoli coinvolti in uno scontro, non implica di per sé una remissione tacita del debito nei confronti del corresponsabile del danno, né una rinuncia alla solidarietà, presupponendo la prima un comportamento inequivoco che riveli la volontà del creditore di non avvalersi del credito, e la seconda che il creditore agisca nei confronti di uno dei condebitori solidali solo per la parte del debito gravante su quest’ultimo.

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 29 maggio 2015, n. 11179 (CED Cassazione)

Articolo 2043 c.c. annotato con la giurisprudenza

 

 

 

RITENUTO IN FATTO

1. – Il (OMISSIS) in Roma, si scontrarono frontalmente il motociclo condotto da (OMISSIS) e l’auto condotta da (OMISSIS), assicurato con la (OMISSIS) S.p.A., con conseguenti lesioni personali a carico del primo, al quale veniva amputata la gamba sinistra.

1.1. – Il (OMISSIS), sostenendo che l’autovettura, in sede di incrocio, aveva invaso l’opposta corsia di marcia, convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Roma, il (OMISSIS) e la predetta compagnia di assicurazioni per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti, nonchè al ristoro di quelli patiti dalla propria moglie, (OMISSIS), e dalla figlia minore (OMISSIS).

1.2. – Restò contumace il (OMISSIS), mentre si costituì la (OMISSIS) S.p.A. contestando la fondatezza della domanda, nonchè – sul presupposto della corresponsabilità nella causazione del sinistro di altre due autovetture rimaste sconosciute – chiedendo di essere autorizzata a chiamare in causa l’ (OMISSIS), quale impresa designata dal Fondo di Garanzia per le Vittima della Strada (FGVS), ai fini del rimborso, nel rapporto interno tra coobbligati, delle somme da essa eventualmente dovute in forza della dedotta corresponsabilità.

Autorizzata la chiamata del terzo, si costituì l’ (OMISSIS) che chiese il rigetto delle domande, in ogni caso adducendo che la eventuale responsabilità del FGVS dovesse essere limitata alla capienza del massimale al momento del sinistro.

Si costituì anche (OMISSIS), in proprio e quale esercente la potestà genitoriale su (OMISSIS), per chiedere la condanna del (OMISSIS) e della (OMISSIS) al risarcimento del danno morale patito.

Venne disposta la riunione con il giudizio promosso dall’Inail nei confronti della (OMISSIS), al fine di ottenere il rimborso delle prestazioni assicurative erogate al (OMISSIS).

1.3. – Istruita la causa, anche con espletamento di c.t.u. medico-legale, il Tribunale di Roma, con sentenza del gennaio 2004, dichiarò cessata la materia del contendere tra l’Inail, il (OMISSIS) e la (OMISSIS) S.p.A.; dichiarò il difetto di legittimazione del (OMISSIS) in relazione alla domanda svolta nell’interesse della moglie e della figlia minore; condannò – previo accertamento di un concorso di responsabilità pari al 55% a carico del (OMISSIS), del 30% a carico dei conducenti delle auto rimaste sconosciute e del 15% a carico del (OMISSIS) – (OMISSIS) e la (OMISSIS) S.p.A., in solido tra loro, al risarcimento del danno (pro quota del 55%) in favore di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente nella misura di euro 166.918,00, euro 9.510,00 ed euro 5.756,00 oltre alle spese di lite, rigettando la domanda svolta dalla (OMISSIS) S.p.A. nei confronti dell’ (OMISSIS) per il FGVS.

2. – Per quanto ancora interessa in questa sede, avverso tale sentenza proponevano impugnazione principale (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale sulla minore (OMISSIS), nonchè gravame incidentale la (OMISSIS) S.p.A. (già (OMISSIS) S.p.A.).

La Corte di appello di Roma, con sentenza resa pubblica il 21 dicembre 2010, accoglieva solo in parte l’impugnazione principale (sulla liquidazione della inabilità temporanea a carico del (OMISSIS) e sulla liquidazione del danno non patrimoniale patito dalla (OMISSIS) e dalla figlia (OMISSIS)), mentre rigettava quella incidentale.

Sicchè, in parziale riforma della sentenza, la Corte territoriale condannava il (OMISSIS) e la (OMISSIS) al pagamento di ulteriori somme in favore di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), liquidate rispettivamente in euro 10.830,00, euro 35.490,00 ed in euro 22.244,00, “oltre lucro cessante ed interessi legali come indicati nella motivazione della sentenza impugnata”.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali genitori della figlia minore (OMISSIS), affidando le sorti dell’impugnazione a sedici motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso l’ (OMISSIS) S.p.A., quale impresa designata per il FGVS e la (OMISSIS) S.p.A.; quest’ultima ha anche proposto ricorso incidentale, in parte condizionato, al quale hanno resistito con controricorso sia il (OMISSIS), che l’ (OMISSIS) S.p.A..

L'(OMISSIS) S.p.A. ha anche depositato memoria.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimato (OMISSIS).

CONSIDERATO IN DIRITTO

A) Il ricorso principale di (OMISSIS) ed (OMISSIS), in proprio e nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sulla, minore (OMISSIS).

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 2054, 2907 e 1227 c.c., articoli 88, 99, 112, 115, 167 e 183 c.p.c., articoli 24 e 111 Cost., “in quanto la Corte di Appello ha confermato il concorso di colpa imputato al (OMISSIS) dal giudice di primo grado sull’erroneo presupposto della ritenuta applicabilità al caso de quo della presunzione di cui all’articolo 2054 c.c.”.

La Corte territoriale, in assenza di tempestiva eccezione di controparte sull’esistenza di un concorso di colpa a carico del danneggiato, con specifica allegazione dei fatti che lo avrebbero dovuto fondare, non avrebbe potuto applicare l’articolo 2054 c.c., poichè l’accertamento del giudice, seppur d’ufficio, non potrebbe prescindere dai fatti tempestivamente allegati dalla parte che vi è onerata. Di qui, anche la violazione delle norme processuali indicate in rubrica, costituenti i principi cardini del giudizio civile.

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per extrapetizione e/o ultrapetizione, nonchè violazione degli articoli112 e 345 c.p.c., poichè “la Corte di appello ha confermato il concorso di colpa imputato al (OMISSIS) dal giudice di primo grado sull’erroneo presupposto della ritenuta applicabilità al caso de quo della presunzione di cui all’articolo 2054 c.c., pur in difetto di una tempestiva allegazione al riguardo”.

La Corte territoriale non avrebbe tenuto conto che esso (OMISSIS) aveva dedotto la tardività delle eccezioni e delle allegazioni di controparte e, quindi, il vizio di ultrapetizione del giudice di primo grado in ordine al ritenuto concorso di colpa del danneggiato; sicchè, anche la sentenza di secondo grado avrebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

2.1. – Il primo ed il secondo motivo, che vanno congiuntamente scrutinati per loro stretta connessione, sono infondati.

È principio consolidato che, nel caso di scontro tra veicoli, la presunzione di pari responsabilità prevista dall’articolo 2054 c.c., ha carattere sussidiario, dovendosi applicare soltanto nel caso in cui sia impossibile accertare in concreto il grado di colpa di ciascuno dei conducenti coinvolti nel sinistro; l’accertamento della intervenuta violazione, da parte di uno dei conducenti, delle prescrizioni imposte dal codice della strada, non dispensa peraltro il giudice dal verificare il comportamento dell’altro conducente onde stabilire se quest’ultimo abbia a sua volta violato o meno le norme sulla circolazione stradale ed i normali precetti di prudenza, potendo l’eventuale inosservanza di dette norme comportare l’affermazione di una colpa concorrente (tra le tante, Cass., 12 giugno 2012, n. 9528; Cass., 13 febbraio 2013, n. 3543).

Il dovere del giudice di valutare, in ogni caso, la portata delle condotte di tutti i conducenti coinvolti nel sinistro stradale, che non è condizionato dalla sollecitazione proveniente dalle parti, si misura, tuttavia, con i fatti allegati in giudizio e le prove dalle medesime parti dedotte, ma ciò – contrariamente a quanto opinato dai ricorrenti – in ragione del principio di acquisizione probatoria, in funzione del quale le parti stesse non possono disporre degli effetti delle prove ritualmente assunte, prove che possono giovare o nuocere all’una o all’altra parte, indipendentemente da chi le abbia dedotte (tra le altre, Cass., 25 settembre 2013, n. 21909).

Sicchè, si palesa strabica anche l’evocazione, da parte degli stessi ricorrenti, del principio dell’onere della prova, posto che esso potrà operare, semmai, all’esito della valutazione giudiziale di tutte le risultanze istruttorie ritualmente acquisite.

Nella specie, la Corte territoriale ha fondato il proprio convincimento sulla esistenza di un concorso di colpa del (OMISSIS) nella verificazione del sinistro in base alle risultanze del verbale della polizia municipale ritualmente acquisito nella fase istruttoria, peraltro in forza di produzione effettuata dallo stesso (OMISSIS).

Me consegue che tutte le prospettate doglianze sono prive di consistenza, avendo il giudice di appello fatto corretta applicazione in iure dell’articolo 2054 c.c., senza incorrere in violazioni dell’articolo 112 c.p.c. (nè, tantomeno, delle ulteriori disposizioni richiamate nelle rubriche dei motivi), ricostruendo la dinamica del sinistro e valutando le condotte dei conducenti ivi coinvolti in base ai fatti allegati ed alle prove ritualmente acquisite in giudizio.

3. – Con il terzo mezzo è denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, “quale la dinamica del sinistro ed in particolare la posizione del (OMISSIS) sulla carreggiata che, ove adeguatamente considerato, avrebbe indotto la Corte di appello ad escludere il concorso di colpa imputato al (OMISSIS) dal giudice di primo grado e a riconoscere l’assenza di nesso causale tra la condotta del (OMISSIS) e la causazione dell’incidente”.

I ricorrenti argomentano sulla (correttezza della) posizione del (OMISSIS) al momento del sinistro (viaggiando egli non “al centro della carreggiata”, ma “al centro della sua corsia di marcia”) e sulla mancata considerazione, da parte della Corte di appello, dei rilievi di fatto prospettati nell’atto di gravame, tanto da determinare una omessa o, comunque, insufficiente motivazione sulla sussistenza o meno di nesso causale tra la condotta del danneggiato e il sinistro, giacchè il giudice di gravame avrebbe dovuto valutare se, in ogni caso, l’obbligo di tenere la destra era condotta idonea ad evitare l’evento.

4. – Con il quarto mezzo è prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 40 e 41 c.p., articolo 143 C.d.S., articolo 345 c.p.c. e articolo 2054 c.c., con conseguente “erronea attribuzione di una percentuale di responsabilità a carico del Sig. (OMISSIS)”.

La Corte territoriale, nell’intendere in modo eccessivamente rigido l’obbligo di tenere la destra di cui all’articolo 143 C.d.S., ed errando nell’affermare la novità della deduzione di esso appellante sulla manovra che si apprestava ad effettuare, avrebbe violato i principi in materia di causalità materiale, posto che la condotta di esso (OMISSIS) era da reputarsi irrilevante ai fini della causazione del sinistro.

4.1. – Il terzo e quarto motivo, da esaminare congiuntamente perchè connessi, non possono trovare accoglimento.

Giova rammentare che la presunzione di colpa, posta dal citato articolo 2054 c.c., a carico del conducente di autoveicolo, non deroga al principio di causalità, nè a quello del concorso di cause. Pertanto, se l’evento è in rapporto di causalità materiale con una pluralità di azioni riferibili a più persone, ciascuna delle quali abbia posto in essere uno stato di cose che ha determinato l’evento dannoso, la responsabilità grava su tutte le persone predette, indipendentemente dalla presunzione di colpa posta dalla legge a carico del conducente dell’autoveicolo, verificandosi un concorso di cause e non potendosi attribuire al conducente medesimo una responsabilità maggiore di quella derivante dalla obiettiva efficienza causale della sua azione. Dunque, se il conducente del veicolo non riesce a vincere la presunzione di responsabilità, ossia non riesce a dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ma risulta contemporaneamente accertata la colpa del danneggiato, bene è affermato il concorso di colpe nella produzione dell’evento (in tal senso già Cass., 9 marzo 1967, n. 563).

La Corte territoriale, nel confermare la decisione di primo grado, ha accertato, in base alle risultanze probatorie, che il (OMISSIS), al momento dell’incidente, concretatosi in un impatto frontale tra veicoli (motociclo dell’attore e autovettura del (OMISSIS)), non si trovava in prossimità del margine destro della propria semicarreggiata (come imposto dall’articolo 143 C.d.S., anche in ipotesi di strada “libera”: cfr. Cass., 6 aprile 2005, n. 7099), ma al centro della carreggiata, in prossimità delle linea di mezzeria (pp. 4 e 14 della sentenza impugnata).

La medesima Corte ha, altresì, ritenuto che si trattasse soltanto di “illazione … non suffragata da alcun riscontro probatorio” (assenza di prova che è affermata al di là, dunque, del rilievo sulla novità dell’argomento) la ragione addotta dal (OMISSIS) (ossia l’essersi “apprestato ad incanalarsi sulla sinistra”) in ordine al fatto che si trovasse “al centro della semicarreggiata e non in prossimità della mezzeria” (pp. 14 e 15 della sentenza impugnata).

In definitiva, la Corte di merito ha tratto, dalle emergenze istruttorie, il convincimento sulla inscindibile compenetrazione tra la condotta del (OMISSIS), che viaggiava sull’opposta corsia di marcia e che ha avuto preponderante efficienza causale nella produzione dell’evento, e la condotta del (OMISSIS), che pur rappresentando un apporto causale pari soltanto al 15%, si è comunque inserita nella serie di cause che hanno cagionato l’evento dannoso.

Si tratta, dunque, di motivazione coerente con le coordinate in diritto sulle quali la stessa si fonda, avendo il giudice di appello individuato una condotta colposa del conducente danneggiato in violazione di specifica prescrizione del codice della strada, ritenuta causalmente determinativa dell’evento lesivo (in ragione della dinamica del sinistro e della posizione dei veicoli coinvolti) e, dunque, fatto corretta applicazione dell’articolo 2054 c.c..

Si tratta, altresì, di motivazione sufficiente ed adeguata, che non si presta a censure di illogicità, nè è scalfita da argomentazioni affatto decisive, posto, peraltro, che i rilievi mossi con il ricorso sono orientati, piuttosto, a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito all’opinione che di essi hanno gli stessi ricorrenti, i quali, dunque, prospettano, ma in modo inammissibile, un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai fini della denuncia di un vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (tra le tante, Cass., 23 maggio 2007, n. 12052).

5. – Con il quinto mezzo è dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’articolo 112 c.p.c. e articolo 2055 c.c., la “nullità della sentenza e del procedimento per omessa pronuncia in merito alla richiesta di integrale risarcimento dei danni subiti dagli appellanti avanzata nei confronti degli originari convenuti”.

Con l’atto di appello era stata censurata la liquidazione dei danni disposta soltanto per il 55% corrispondente alla responsabilità riconosciuta a carico del (OMISSIS), contestandosi la rinuncia alla solidarietà passiva dei danneggianti ex articolo 2055 c.c., che il giudice di primo grado aveva ravvisato nel comportamento degli attori.

La Corte territoriale, oltre ad aver errato nell’escludere l’automatica estensione della domanda al terzo chiamato, ai fini della condanna solidale al risarcimento dei danni del (OMISSIS) con i due conducenti delle auto rimaste sconosciute e, dunque, con il FGVS, avrebbe, altresì, omesso di pronunciarsi sull’altra domanda, quella di condanna esclusiva degli originari convenuti alla totalità dei danni, che sarebbe stata avanzata in modo inequivocabile sin dal primo grado.

6. – Con il sesto mezzo è denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in riferimento alla “allegata circostanza di richiesta di liquidazione dei danni totali degli appellanti che avrebbe dovuto indurre la Corte di appello a riformare la loro liquidazione pro quota. attesa la solidarietà passiva e l’estensione automatica della domanda risarcitoria nei confronti del terzo chiamato”.

La Corte di appello, nel ritenere che non si era avuta estensione automatica della domanda dei danneggiati al terzo chiamato, non avrebbe motivato sul perchè, a fronte della richiesta di liquidazione integrale del danno (che legittimamente i danneggiati possono rivolgere ad un solo dei responsabili), era invece stata pronunciata una condanna prò quota, degli originari convenuti.

Inoltre, la sentenza impugnata sarebbe illogica e contraddittoria là dove il giudice di merito ha ritenuto che la scelta di indirizzare la domanda nei confronti di taluno soltanto dei danneggianti configurasse l’esercizio di un diritto dei danneggiati, nonostante la presunta scelta di ottenere una domanda pro quota fosse sicuramente non conveniente per quest’ultimi.

7. – Con il settimo mezzo è dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 2055, 1292 e 1311 c.c., “nel caso in cui si ritenga che la Corte di appello, nel momento in cui ha statuito l’esclusione dell’estensione automatica della domanda attorea al terzo chiamato, abbia implicitamente rigettato l’alternativa domanda di condanna esclusiva degli originali convenuti alla totalità dei danni degli appellanti aderendo implicitamente alle argomentazioni addotte al riguardo dal giudice di primo grado”.

Nell’ipotesi indicata, la Corte territoriale avrebbe violato i principi in materia di responsabilità solidale, in quanto, in forza dell’articolo 2055 c.c., la proposizione della domanda nei confronti di uno solo degli autori del fatto dannoso non comporta la rinuncia alla solidarietà, là dove poi l’articolo 1292 c.c., garantisce la libertà di scelta del creditore di rivalersi nei confronti degli obbligati in solido e l’articolo 1311 c.c., tipizza la forma della rinuncia alla solidarietà.

7.1. – I motivi dal quinto al settimo sono da scrutinare congiuntamente per la loro stretta connessione in riferimento al tema decisorio della censurata liquidazione pro quota.

È fondato il settimo motivo, mentre non possono trovare accoglimento gli altri due.

7.1.1. – Il Tribunale di Roma, con la sentenza di primo grado, aveva condannato (OMISSIS), in solido con la (OMISSIS) S.p.A., al risarcimento del danno patito dal (OMISSIS) e dall’ (OMISSIS), anche nella qualità, in misura pari al 55% dell’intero ammontare, corrispondente al grado di colpa ascritto al medesimo (OMISSIS) nella causazione del sinistro; ciò sul presupposto della rinuncia alla “solidarietà passiva tra più danneggiati fissata dall’articolo 2055 c.c.”.

Tale pronuncia, investita di impugnazione anche nella disposta liquidazione pro quota, è stata confermata dal giudice di appello, che l’ha integralmente richiamata nella sentenza impugnata in questa sede, altresì motivando sull’ulteriore, diverso, seppur connesso, profilo, anch’esso oggetto del gravame, della mancata estensione della condanna nei confronti degli altri convenuti.

Sicchè, non può essere apprezzata un’omessa pronuncia del giudice del gravame sul motivo di appello che censurava, parimente, l’errore del primo giudice sia sulla liquidazione pro quota, sia sulla mancata estensione della condanna all’impresa designata dal FGVS. Nè, del resto, può ritenersi ammissibile la doglianza che, in relazione allo stesso profilo, prospetti anche un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (tra le altre, Cass., 27 ottobre 2010, n. 22759).

Dunque, il quinto motivo è infondato ed il sesto è inammissibile.

7.1.2. – È invece fondato, come detto, il settimo motivo.

È orientamento stabile di questa Corte quello secondo cui, in materia di risarcimento del danno da fatto illecito, ove esistano più possibili danneggianti, la graduazione delle colpe tra di essi ha una mera funzione di ripartizione interna tra i coobbligati della somma versata a titolo di risarcimento del danno, e non elide affatto la solidarietà tra loro esistente: ne consegue che la circostanza che il danneggiato si sia rivolto in giudizio contro uno solo degli autori del fatto dannoso non comporta la rinuncia alla solidarietà esistente tra tutte le persone alle quali lo stesso fatto dannoso sia imputabile, sicchè, se anche nel corso del giudizio emerga la graduazione di colpa tra i vari corresponsabili, ciò non preclude al danneggiato la possibilità di chiedere di essere integralmente risarcito da uno solo dei corresponsabili (tra le altre, Cass., 5 ottobre 2010, n. 19934).

Inoltre, quanto al profilo della rinuncia alla solidarietà passiva, il Collegio intende ribadire il principio per cui, in tema di risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione stradale, l’azione giudiziaria per il conseguimento dell’intero risarcimento, proposta dal danneggiato nei confronti del conducente di uno solo dei veicoli coinvolti in uno scontro, non implica di per sè una remissione tacita del debito nei confronti del corresponsabile del danno, nè una rinuncia alla solidarietà, presupponendo la prima un comportamento inequivoco che riveli la volontà del creditore di non avvalersi del credito, e la seconda che il creditore agisca nei confronti di uno dei condebitori solidali solo per la parte del debito gravante su quest’ultimo (Cass., 2 luglio 2010, n. 15737).

Nella specie, l’azione promossa dagli originari attori nei confronti del (OMISSIS) e del suo assicuratore riguardava il risarcimento dell’intero danno patito a seguito del sinistro, come emerge chiaramente dagli atti di promovimento del giudizio (e, segnatamente, dalle conclusioni rassegnate in primo grado).

Donde, in ragione dei principi innanzi rammentati, la condanna dello stesso (OMISSIS), in solido con la (OMISSIS) S.p.A., non avrebbe potuto essere pronunciata prò quota, (ma per l’intero ammontare risarcitorio), nè si sarebbe potuto reputare, per l’effetto, che vi fosse stata rinuncia alla solidarietà.

Del resto, il giudice di appello, nel confermare sul punto la sentenza di primo grado, neppure si è espresso sull’eventuale profilo della remissione del debito; nè la conferma della prima decisione sarebbe conducente in tale ultima direzione, giacchè il Tribunale non aveva affatto affrontato l’aspetto della remissione del debito (ma soltanto quello della rinuncia alla solidarietà), rispetto alla quale remissione si sarebbero dovute evidenziare, in ogni caso, circostanze congruenti e inequivoche, che non risultano essere oggetto della decisione di primo grado (siccome trascritta nella sentenza impugnata in questa sede), confermata in appello.

Dunque, ha errato la Corte di appello a confermare la sentenza di primo grado nella parte in cui la condanna solidale del (OMISSIS) e della (OMISSIS) S.p.A. è stata pronunciata pro quota (in ragione del grado di responsabilità accertato a carico dello stesso (OMISSIS), pari al 55%) e non per l’intero risarcimento spettante agli attori.

8. – Con l’ottavo mezzo è prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 99, 106, 112 e 345 c.p.c., in quanto “erroneamente la Corte di appello ha ritenuto che la domanda risarcitoria dei danneggiati non potesse considerarsi estesa nei confronti del terzo chiamato”.

Il giudice di secondo grado si sarebbe discostato dal consolidato principio della automatica estensione della domanda al terzo, errando nel ritenere che una contraria volontà degli attori in tal senso non avrebbe potuto desumersi implicitamente dalle conclusioni rassegnate con le quali era stata chiesta la condanna integrale al risarcimento dei danni nei confronti degli originari convenuti.

9, – Con il nono mezzo è denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione agli articoli 112 e 345 c.p.c. e articolo 2055 c.c., la nullità della sentenza e del procedimento “per omessa pronuncia in merito alla richiesta di condanna solidale degli appellati (OMISSIS), (OMISSIS) S.p.A., ora (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) S.p.A. quale impresa designata dal F.G.V.S. al risarcimento dei danni tutti subiti dagli appellanti”.

Posto che (come dedotto con l’ottavo motivo di ricorso) la domanda di risarcimento doveva intendersi automaticamente estesa anche al terzo chiamato in causa, la richiesta di condanna solidale avanzata in grado di appello doveva ritenersi ammissibile in quanto già implicitamente posta in primo grado in virtù del principio di automatica estensione. Di qui, pertanto, l’omessa pronuncia della Corte territoriale.

9.1. – L’ottavo ed il nono motivo, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

È principio consolidato quello per cui, nell’ipotesi in cui la parte convenuta in un giudizio di responsabilità civile chiami in causa un terzo in qualità di corresponsabile dell’evento dannoso, la domanda risarcitoria deve intendersi estesa al terzo anche in mancanza di un’espressa dichiarazione in tal senso dell’attore, in quanto la diversità e pluralità delle condotte produttive dell’evento dannoso non da luogo a diverse obbligazioni risarcitorie, con la conseguenza che la chiamata in causa del terzo non determina il mutamento dell’oggetto della domanda ma evidenzia esclusivamente una pluralità di autonome responsabilità riconducibili allo stesso titolo risarcitorio (tra le altre, Cass., 3 marzo 2010, n. 5057).

Il principio è stato puntualizzato nel senso che la limitazione della domanda all’originario convenuto può esservi solo in forza della volontà dell’attore di escludere l’estensione della domanda al terzo chiamato e tale intenzione va verificata precipuamente non al momento della proposizione della domanda nei confronti del convenuto, bensì a quello, successivo, della chiamata in causa, che può indurre l’attore medesimo a modificare la strategia processuale in un primo tempo scelta (cfr. anche Cass., 24 febbraio 2004, n. 3643). Con l’ulteriore conseguenza che, qualora il convenuto evocato in causa estenda il contraddittorio nei confronti di un terzo assunto come l’effettivo titolare passivo della pretesa dedotta in giudizio dall’attore, se quest’ultimo escluda espressamente la condanna del terzo chiamato in causa qualora riconosciuto come responsabile e si limiti, invece, a chiedere la sola condanna dell’originario convenuto, al giudice, in virtù del principio generale della domanda, è inibito il potere di emettere una statuizione di condanna nei confronti dello stesso terzo e a favore dell’attore, senza che all’attore medesimo sia consentito di estendere successivamente la domanda condannatoria nei riguardi del terzo in appello, perchè essa, configurandosi come nuova, incorrerebbe nella preclusione prevista dall’articolo 345 cod. proc. civ. (Cass., 16 gennaio 2009, n. 998).

Nella specie, la volontà degli attori di escludere la condanna del terzo chiamato (l’ (OMISSIS) in qualità di impresa designata dal FGVS) è desumibile chiaramente (da questa Corte, in quanto giudice del “fatto processuale”, in ragione della natura di error in procedendo del vizio dedotto), dalla conferma, netta ed evidente, formulata in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado (cfr. verbale di udienza del 23 aprile 2003 allegato al ricorso), della richiesta di condanna del solo (OMISSIS), e del suo assicuratore, al risarcimento di tutti i danni patiti dagli attori medesimi, nonostante che il contraddittorio si fosse pienamente spiegato con il terzo chiamato in causa, la cui presenza non è stata, dunque, intenzionalmente considerata rilevante dalle parti attrici ai fini della estensione delle proprie pretese risarcitorie.

Sicchè, alla stregua del principio di diritto da ultimo richiamato, non potevano gli attori, che avevano limitato la pretesa di condanna nei confronti degli originari convenuti, estenderla la terzo in sede di appello.

10. – Con il decimo mezzo è dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2056, 1223 e 1226 c.c., nonchè degli articoli 2, 3 e 32 Cost..

La Corte di appello di Roma avrebbe erroneamente omesso di attualizzare, al momento della liquidazione, i danni riconosciuti in favore degli odierni ricorrenti, cosi disconoscendone la natura di obbligazioni di valore e violando il principio dell’integralità del risarcimento del danno alla salute, costituzionalmente garantito.

All’esito del supplemento della c.t.u. medico-legale espletata in secondo grado, con la quale veniva confermata la percentuale di inabilità permanente del (OMISSIS) stimata in primo grado nella misura del 65%, il giudice di secondo grado riteneva di non doversi discostare dalla quantificazione del danno effettuata dal Tribunale, che aveva liquidato, in favore del danneggiato principale, la somma di 166.918,00 euro, detratto quanto già percepito. La Corte avrebbe errato a confermare la liquidazione del danno effettuata dal primo giudice, senza procedere nuovamente alla quantificazione monetaria del danno da invalidità permanente al momento della seconda pronuncia.

A seguito dell’integrazione di indagine peritale disposta in appello emergeva che il (OMISSIS) avesse subito ulteriori 90 giorni di invalidità temporanea relativa al 50%, e che, in futuro, si sarebbe dovuto sottoporre ad operazioni di sostituzione dell’invaso e della protesi, con conseguente invalidità temporanea assoluta di 10 giorni ogni 18 mesi. La Corte territoriale riconosceva, quindi, alla vittima del sinistro ulteriori euro 10.830,00, liquidati, però, sulla base dello stesso parametro già utilizzato dal Tribunale, di importo pari a euro 38,00 giornalieri, così mancando di attualizzare quest’ultima posta risarcitoria.

Analogamente, il giudice di appello avrebbe omesso di attualizzare, all’epoca della decisione di secondo grado, le maggiori somme riconosciute in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente moglie e figlia del danneggiato principale. La Corte di merito, liquidando euro 45.000,00 in favore della prima ed euro 28.000,00 in favore della seconda, avrebbe incongruamente determinato detti importi con riferimento all’epoca della decisione di primo grado, come si evincerebbe dal fatto che i relativi importi di condanna indicati in dispositivo, pari a euro 35.490,00 e ad euro 22.244,00, risultano tali per sottrazione delle somme già liquidate dal primo giudice (euro 9.510,00 in favore della (OMISSIS) ed euro 5.756,00 in favore della minore (OMISSIS)).

10.1. – Il motivo, che propone profili di doglianza tra loro autonomi, è solo parzialmente fondato.

10.1.1. – Non è fondata, anzitutto, la doglianza che attiene alla omessa riliquidazione al momento della decisione di secondo grado del danno biologico permanente patito dal (OMISSIS), sulla scorta della percentuale di invalidità permanente pari al 65%, in tale misura accertata sia in primo, che in secondo grado, in forza di collimanti conclusioni delle c.t.u. medico-legali (esito, questo, che non è stato fatto oggetto di censure in questa sede).

Come gli stessi ricorrenti hanno evidenziato (p. 85 ricorso; p. 7 memoria ex articolo 378 c.p.c.), l’intero importo liquidato dal primo giudice, comprensivo degli accessori (per una complessiva somma pari ad euro 208.400,00, di cui euro 191.200,00 in favore di (OMISSIS), euro 10.700,00 in favore dell’ (OMISSIS) ed euro 6.500,00 in favore di (OMISSIS)), è stato già corrisposto dalla (OMISSIS) S.p.A. (già (OMISSIS) S.p.A.) in data 28 aprile 2004, ancor prima, dunque, dell’instaurazione del giudizio di appello.

Sicchè, la reintegrazione patrimoniale consentanea alla natura di valore dell’obbligazione risarcitoria si è realizzata ancor prima della proposizione dell’appello, all’esito del quale la liquidazione effettuata dal primo giudice è stata confermata, non potendo, quindi, il (OMISSIS) lamentare la svalutazione (o la mancata “attualizzazione”) dell’importo spettantegli a titolo di danno biologico, già tempestivamente corrispostogli (avuto riguardo al momento della decisione di primo grado e della rispettiva liquidazione del danno).

Del resto, in tal senso si è espressa questa Corte già da epoca risalente, enunciando il seguente principio (al quale le argomentazioni che precedono assicurano continuità): “la liquidazione del danno converte l’obbligazione di risarcimento (debito di valore) in un’obbligazione di pagamento di una determinata somma (debito di valuta). Se la somma di danaro, liquidata per il predetto titolo, da una sentenza non ancora passata in giudicato, sia già entrata nella materiale disponibilità del creditore, questi non può richiedere la rivalutazione della somma stessa, ulteriormente svalutatasi nelle more del giudizio o dei giudizi successivi” (Cass., 6 ottobre 1958, n. 3114).

10.1.2. – Neppure è fondata la doglianza relativa all’omesso adeguamento delle somme liquidate dalla Corte territoriale in favore di (OMISSIS), in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale su (OMISSIS).

Quanto agli importi già liquidati dal Tribunale, l’inconsistenza della censura emerge in forza delle medesime considerazioni sviluppate in riferimento alla posizione di (OMISSIS), alle quali si rinvia (p.10.1.1, che precede).

Quanto, poi, alle ulteriori somme liquidate dal giudice di secondo grado, questi, contrariamente a quanto opinato dai ricorrenti, ha provveduto autonomamente a liquidare il danno non patrimoniale, per lesione del rapporto parentale, in via equitativa, personalizzandolo in base alle circostanze peculiari del caso, relative a ciascuna danneggiata (cfr. pp. 22 e 23 della sentenza impugnata). Trattasi, dunque, di liquidazione equitativa all’attualità, con riferimento al momento della decisione di gravame, la quale, del resto, nella sua intrinseca e concreta portata, non è stata fatta oggetto di specifiche e pertinenti censure (arrestandosi queste al profilo, esaminato, dell’asserita assenza di “attualizzazione” del risarcimento).

Sicchè, anche sotto tale profilo la doglianza è infondata.

10.1.3. – È, invece, parzialmente fondata la doglianza che attiene alla mancata attualizzazione, in sede di appello, del risarcimento del danno patito da (OMISSIS) a titolo di danno biologico per inabilità temporanea, assoluta e relativa.

La censura non può trovare accoglimento quanto alle somme liquidate a siffatto titolo dal Tribunale, in quanto, come detto, già corrisposte al (OMISSIS) (p.10.1.1., che precede).

È invece fondata in riferimento al risarcimento del danno biologico per inabilità temporanea ulteriormente liquidato in sede di appello (sulla scorta delle risultanze di un supplemento di c.t.u.). A tal fine, l’importo a tal fine liquidato dalla Corte territoriale (euro 10.830,00) è stato determinato in base al parametro equitativo di euro 38,00 giornaliere, già utilizzato dal Tribunale ai fini della medesima liquidazione, avvenuta con sentenza del gennaio 2004.

Dunque, la Corte capitolina, nel liquidare il risarcimento per il predetto danno non patrimoniale spettante al danneggiato, ha errato nel non attualizzare la liquidazione al momento della decisione di appello. Ed a ciò avrebbe dovuto provvedere tramite la rivalutazione dell’importo risarcitorio stimato al momento del fatto illecito (c.d. taxatio) o, piuttosto, in applicazione del criterio equitativo tabellare vigente ratione temporis al momento della decisione, là dove reso attuale e satisfattivo del principio dell’integralità del risarcimento del danno alla persona, secondo la natura omnicomprensiva dello stesso, affermata dalla giurisprudenza di questa Corte a partire dalle sentenze delle Sezioni Unite del novembre 2008 (cfr. Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972).

In siffatti termini la censura deve, pertanto, trovare accoglimento.

11. – Con l’undicesimo motivo è denunciato vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla “quantificazione dei giorni di invalidità temporanea assoluta operata in sede di appello in favore di (OMISSIS) che, ove correttamente, effettuata, avrebbe portato ad una maggiore liquidazione di tale voce di danno”.

A seguito del supplemento di c.t.u. in sede di gravame, era emerso che, per provvedere alla sostituzione dell’invaso o dell’intera protesi, il (OMISSIS) avrebbe dovuto, ogni 18 mesi, sottoporsi ad un’operazione tale da comportare 10 giorni di inabilità temporanea assoluta. Sicchè, il giudice di secondo grado ha determinato in ulteriori 240 giorni detta inabilità futura, senza però specificare quale sia stato l’intero arco temporale di riferimento e quale la normale aspettativa di vita del danneggiato presi a parametro per la determinazione raggiunta.

Il giudice di appello avrebbe, inoltre, omesso di indicare le ragioni per le quali avrebbe disatteso la diversa quantificazione effettuata dagli appellanti nella memoria conclusiva, nella quale si indicava la normale aspettativa di vita del (OMISSIS) in ulteriori 50 anni, così determinando 334 giorni di invalidità futura (50 anni x 12 mesi = 600 mesi: 18 mesi = 33,33 x 10 giorni = 334 giorni).

11.1. – Il motivo è infondato.

L’iter logico seguito dalla Corte territoriale nel quantificare il numero complessivo di giorni di inabilità temporanea assoluta da risarcire in favore del (OMISSIS) si palesa del tutto intelligibile in base alla sentenza impugnata e fondato su dati non contestati, come quelli dell’età del danneggiato al momento della decisione di appello (anni 44), della cadenza degli interventi sanitari ai quali lo stesso (OMISSIS) si sarebbe dovuto sottoporre in futuro (ogni 18 mesi) e dei giorni di inabilità assoluta per ciascuno dei predetti interventi (10 giorni), questi ultimi desunti dalla c.t.u. espletata in sede di gravame. Sicchè, è agevole evincere il calcolo sotteso alla determinazione definitiva di giorni 240 di inabilità temporanea, in rapporto ad una, implicita, ma evidente e plausibile, aspettativa di vita del danneggiato rapportata ad anni 80 (80 anni – 44 anni = 36 anni di aspettativa di vita x 12 mesi = 432 mesi: 18 mesi = 24 x 10 giorni = 240 giorni di invalidità temporanea assoluta).

Con ciò le doglianze dei ricorrenti in punto di vizio motivazionale sono prive di consistenza, risultando, poi, inammissibili quelle che intendono suggerire (sostituendolo alla valutazione spettante unicamente al giudice del merito) un diverso e più favorevole calcolo, rapportato alla (peraltro non plausibile) aspettativa di ulteriori 50 anni in soggetto di anni 44.

12. – Con il dodicesimo mezzo è prospettato vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla “quantificazione dell’invalidità permanente operata in sede di appello in favore di (OMISSIS) che, ove correttamente effettuata, avrebbe portato ad una maggiore liquidazione di tale voce di danno”.

La Corte territoriale, nel confermare la percentuale di invalidità permanente (65%) accertata a carico del (OMISSIS) in primo grado, avrebbe comunque errato a non riliquidare il danno relativo in base alle tabelle del Tribunale di Roma aggiornate al momento della decisioni di secondo grado, trattandosi di un debito di valore.

12.1. – Il motivo è infondato.

Con esso si ripropone, sotto il profilo del vizio di motivazione, una censura del tutto sovrapponibile a quella veicolata con il decimo motivo e già scrutinata e disattesa in base a considerazioni che sono pienamente mutuabili anche nel caso in esame, alle quali, pertanto, si rinvia integralmente (cfr. pp.10.1.1. e 10.1.2., che precedono).

13. – Con il tredicesimo mezzo è dedotto vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla “quantificazione del danno morale operata in sede di appello in favore di (OMISSIS) che, ove correttamente effettuata, avrebbe portato ad una maggiore liquidazione di tale voce di danno”.

La Corte avrebbe incongruamente disatteso la pretesa di maggiorazione del danno morale, ritenendo irrilevante e generica l’affermazione degli appellanti circa l’esiguità del relativo risarcimento, liquidato dal primo giudice in euro 55.000,00, là dove, invece, era stata censurata la mancata considerazione delle gravi sofferenze morali che il danneggiato avrebbe patito quotidianamente per il resto della propria vita.

Sarebbe, inoltre, illogica e contraddittoria la motivazione nella parte in cui viene erroneamente paragonata la perdita di una gamba, incidente sulle normali attività vitale della persona, con la diversa situazione rappresentata dalla morte di un figlio unico di età inferiore a 20 anni, danno, quest’ultimo, di per sè non risarcibile in quanto da perdita della vita.

La Corte territoriale avrebbe poi mancato di considerare che gli uffici giudiziari capitolini liquidano, abitualmente, il danno morale in percentuale, da un quarto alla metà, dell’accertato danno biologico; sicchè, avrebbe dovuto incrementare la liquidazione del danno morale una volta accertata un’ulteriore inabilità temporanea assoluta a carico del (OMISSIS), il quale, peraltro, avrebbe sofferto in futuro, ogni 18 mesi, un allontanamento forzoso e ripetuto dai propri familiari in conseguenza dei necessari interventi di sostituzione dell’invaso o della protesi alla gamba.

14. – Con il quattordicesimo motivo è prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 32 Cost., articoli 1223, 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c., “per avere la Corte liquidato il danno morale di (OMISSIS) in maniera sostanzialmente arbitraria”.

La Corte territoriale avrebbe errato nella liquidazione equitativa del danno morale, provvedendo in modo arbitrario e senza attuare alcuna personalizzazione in riferimento alle particolarità del caso di specie e all’entità del pregiudizio in concreto patito dal (OMISSIS), considerato, segnatamente, della sua necessità di sottoporsi, per il resto della propria vita, alla sostituzione dell’invaso o della protesi, con cadenza di 18 mesi.

14.1. – I motivi tredicesimo e quattordicesimo, da trattare congiuntamente per la loro stretta connessione, non possono trovare accoglimento.

Essi, sebbene prospettino anche asseriti vizi di violazione di legge, nella sostanza si concentrano nel censurare la portata della motivazione adottata dal giudice di secondo grado, che ha confermato la liquidazione del danno morale già disposta dal Tribunale, in misura di euro 55.000,00, pari al 55% del totale dovuto (in forza della, erronea, liquidazione pro quota, che è stata oggetto di esame in precedenza).

A tal riguardo, la Corte territoriale ha rilevato la genericità della doglianza proposta dagli appellanti, essendosi costoro limitati a sottolineare l’incongruità dell’importo liquidato rispetto alla gravità delle lesioni subite dal (OMISSIS), senza censurare in modo specifico la ragione della ritenuta insufficiente liquidazione, nè adducendo alcuna analisi comparativa “con altri precedenti, se esistenti, di liquidazioni più generose”.

Peraltro, il giudice di secondo grado ha messo in rilievo che la liquidazione operata in primo grado corrispondeva, nel totale, ad “un importo pari alla metà circa del danno (morale-esistenziale) per la perdita di un figlio” unico e di anni 20, somma pari a circa euro 200.000,00, in base alla liquidazione “attualmente” effettuata dagli “uffici giudiziari capitolini”.

Una siffatta motivazione, anzitutto, non risulta specificamente aggredita in questa sede, giacchè i ricorrenti non si fanno carico del giudizio di genericità del motivo di gravame affermato dalla Corte di appello. Ciò che avrebbe dovuto indurre a confezionare una doglianza di vizio in procedendo, richiamando in modo puntuale i contenuti dell’atto di impugnazione all’uopo rilevanti; il che non è affatto avvenuto.

Nè, in ogni caso, viene intrinsecamente censurato il ragionamento esibito dalla motivazione della sentenza impugnata, giacchè, per un verso, si propone (inammissibilmente) una prospettazione di parte di come si sarebbe dovuto orientare il convincimento del giudice del merito e, per altro, verso, si fraintende quanto quest’ultimo ha inteso affermare, allorchè, ai fini del peso della liquidazione equitativa, ha posto in relazione, del tutto plausibile, un danno “morale” derivante da una lesione fisica (perdita di un arto) e un danno “morale-esistenziale” per la perdita di un figlio, entrambi a carico del medesimo soggetto; ciò per evidenziare la adeguatezza della liquidazione del primo, in quanto pari a circa la metà di quella dovuta per il secondo (proprio in base ai parametri utilizzati dagli uffici giudiziari capitolini), quest’ultimo pregiudizio ritenuto concretante una sofferenza “morale-esistenziale” maggiore dell’altro.

Nè, peraltro, sono in grado di scalfire il giudizio operato dalla Corte territoriale sulla adeguatezza della liquidazione del “danno morale” le doglianze che fanno leva sulla asserita mancata considerazione della ulteriore inabilità temporanea assoluta del (OMISSIS) accertata in sede di appello. Il convincimento espresso dal giudice di appello è tale, per un verso, da postulare il complessivo esame della concreta situazione determinante la sofferenza “morale” oggetto di liquidazione (che, del resto, non deve essere necessariamente un’esatta frazione di quanto attribuito per il ristoro del danno biologico – nella specie, peraltro, solo temporaneo – risultando essenziale che essa sia oggettivamente congrua, tenuto conto di tutti gli aspetti della fattispecie, ritenuti dal giudice in concreto rilevanti: Cass., 29 novembre 2011, n. 25222) e, per altro verso, si raccorda armonicamente al principio per cui l’esercizio del potere equitativo del giudice di merito in ordine alla determinazione del danno morale è censurabile, in sede di legittimità, solo quando la liquidazione del danno stesso appaia manifestamente simbolica o per nulla correlata con le premesse in fatto in ordine alla natura ed all’entità del danno accertato dal medesimo giudice (Cass., 16 settembre 2008, n. 23725). Ciò che, come evidenziato dalla stessa Corte territoriale, non è riscontrabile nel caso in esame.

15. – Con il quindicesimo mezzo è prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1219, 1223 e 2056 c.c., articoli 99, 112 e 345 c.p.c., “per aver la Corte riconosciuto il danno da mancata disponibilità della somma e gli interessi secondo quanto statuito dal giudice di primo grado”.

La Corte avrebbe errato là dove, liquidando le somme ulteriori in favore di (OMISSIS) (euro 10.830,00), di (OMISSIS) (euro 35.490,00) e (OMISSIS) (euro 22.244,00), ha altresì stabilito che gli importi fossero corrisposti “oltre lucro cessante ed interessi legali come indicati nella motivazione della sentenza impugnata”.

In tal modo, confermando la sentenza di primo grado, che riconosceva ai danneggiati il lucro cessante unicamente con riferimento al periodo intercorrente tra l’epoca dell’illecito e la data della prima pronuncia, nonchè gli interessi legali con decorrenza dalla sentenza di primo grado al saldo effettivo, la Corte di appello, in relazione alle somme ulteriori riconosciute e liquidate in sede di gravame, avrebbe omesso di liquidare il danno da ritardato adempimento maturato dalla sentenza di primo grado (2004) a quella di secondo grado (2010) e gli interessi dalla data della seconda pronuncia.

15.1. – Il quindicesimo motivo è infondato, nei termini appresso precisati.

Non è in discussione il criterio di calcolo utilizzato dal primo giudice ai fini della liquidazione del lucro cessante (quello degli interessi sulle somme liquidate, devalutate al momento dell’evento e annualmente rivalutate, con decorrenza dal momento del fatto illecito, sino al giorno della sentenza) e ripreso dalla Corte territoriale in relazione agli ulteriori importi dalla medesima liquidati in sede di gravame, bensì unicamente la fissazione della decorrenza di detto criterio, che i ricorrenti assumono essere, erroneamente, la stessa di quella indicata dal primo giudice, ossia dal fatto illecito al deposito della sentenza in data 7 gennaio 2004, oltre interessi legali dalla stessa sentenza al saldo.

Invero, la statuizione della Corte di appello deve essere interpretata nel senso che il richiamo al “lucro cessante ed interessi legali come indicati nella motivazione della sentenza impugnata” attiene essenzialmente al criterio di liquidazione del danno da lucro cessante, senza per ciò stesso assumere anche la relativa decorrenza, la quale deve essere, evidentemente, parametrata alla sentenza di secondo grado, in tal senso da intendersi i riferimenti al “periodo (anni mesi giorni) ricompreso tra il fatto illecito ed il deposito della presente sentenza” e alla decorrenza degli “interessi legali dal giorno della presente sentenza”.

Sicchè, nella specie, il lucro cessante sulle somme liquidate dal giudice di appello è da ritenersi quantificato in base al criterio indicato nella motivazione di primo grado, mentre la relativa decorrenza è quella dal fatto illecito sino alla sentenza di secondo grado, dal cui deposito decorrono gli interessi legali sino al saldo.

Così interpretata la sentenza impugnata in questa sede, la censura esaminata non può essere accolta.

16. – Con il sedicesimo mezzo è dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli articoli 91, 92, 112, 336 e 342 c.p.c., “per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto di non poter riformare il capo della sentenza di primo grado sulle spese giudiziali in difetto di uno specifico motivo di gravame sul punto”.

Posto che, in forza dell’articolo 336 c.p.c., a fronte di una riforma, anche parziale, della sentenza di primo grado, è dovere del giudice di appello provvedere d’ufficio ad un nuovo regolamento sulle stesse, la Corte territoriale avrebbe dovuto direttamente rideterminare le spese liquidate in primo grado, riconoscendo quest’ultime in misura maggiore, in considerazione del fatto che le domande in primo grado sarebbero dovute essere accolte per la maggiore somma determinata in appello.

16.1. – Il motivo non può trovare accoglimento.

La Corte territoriale ha ritenuto inammissibile (per genericità) il motivo di appello proposto dagli appellanti principali (attuali ricorrenti) sulla liquidazione (asseritamente erronea) delle spese di primo grado, per poi provvedere alla regolamentazione delle spese processuali in ragione del “complessivo esito della lite”, così da avere “anche riguardo all’accoglimento soltanto parziale ed in misura marginale dell’appello (OMISSIS) – (OMISSIS)”, tanto da compensare integralmente le spese del grado, porre definitivamente a carico della (OMISSIS) S.p.A. quelle di c.t.u. e così confermare la sentenza di primo grado sul favore delle spese processuali in capo ad “attore ed intervenienti”, oltre che sugli ulteriori capi di merito, in quanto non toccati dalla “parziale riforma”.

Posto che la censura si incentra sulla violazione, da parte del giudice di appello, dell’articolo 336 c.p.c., in relazione al capo delle spese della sentenza di primo grado, deve trovare applicazione, nella specie (in cui la riforma parziale ha riguardato una decisione di primo grado che aveva accolto in parte la domanda, condannando alle spese i convenuti), il principio – enunciato da Cass., 6 novembre 2009, n. 23634; ma cfr. anche Cass., 28 giugno 2010, n. 15360, in riferimento proprio ad ipotesi analoga al caso in esame – secondo cui, “in tema di regolamento delle spese di lite nel giudizio d’appello, il principio secondo cui la riforma, anche parziale, della pronuncia di primo grado determina la caducazione ex lege anche della statuizione di condanna alle spese, non risulta violato nel caso in cui il giudice di secondo grado confermi espressamente, per le parti non riformate, la sentenza di primo grado, cosi recependo il pregresso regime delle spese di lite sulla base di una complessiva riconsiderazione, seppure implicita, riguardante entrambi i gradi, dell’esito della lite”.

8) Il ricorso incidentale della (OMISSIS) S.p.A. (già (OMISSIS) S.p.A.).

17. – Con il primo mezzo del ricorso incidentale la (OMISSIS) S.p.A. denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di motivazione in relazione alla “incidenza causale nella determinazione dell’incidente della condotta di guida dei due automobilisti rimasti sconosciuti”, nonchè, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione “delle norme in materia in materia di nesso di causalità … che hanno comportato una erronea attribuzione di responsabilità a carico del sig. (OMISSIS)”.

La Corte territoriale avrebbe errato nell’escludere la colpa esclusiva del (OMISSIS) e dei due automobilisti rimasti sconosciuti nella causazione del sinistro, senza fornire una reale motivazione sul perchè venisse confermata una percentuale di responsabilità del (OMISSIS), nonostante che fosse stato provato che la sua manovra di spostamento sulla corsia opposta era dipesa dalla situazione di emergenza di evitare una collisione con i due veicoli che non si erano fermati allo stop ed avevano invaso la corsia di marcia del medesimo convenuto. Nè il giudice di appello avrebbe adeguatamente motivato in riferimento alla circostanza della velocità tenuta dal (OMISSIS), in quanto ritenuta non consona allo stato dei luoghi, e in punto di esclusione dell’invocata scriminante dello stato di necessità.

17.1 – Il motivo non può trovare accoglimento.

Le doglianze, sebbene prospettate formalmente al fine di denunciare anche un vizio di violazione di legge, sono tutte orientate, nella sostanza, a veicolare un vizio motivazionale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Del resto, è principio consolidato quello per cui l’apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, all’accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico (tra le tante, Cass. 23 febbraio 2006, n. 4009; Cass., 25 gennaio 2012, n. 1028).

Nella specie, la Corte territoriale, nel respingere l’appello incidentale della (OMISSIS), ha preso in considerazione tutte le doglianze con esso proposte, rilevando, in via dirimente, che la velocità accertata di 50 km/h era comunque inadeguata ad una manovra di attraversamento di un incrocio, tale da porsi “in situazione di intrinseco pericolo … a causa del contemporaneo sopraggiungere di più veicoli dalle diverse direzioni di marcia”. Inoltre, il giudice di appello ha motivamente aderito al convincimento del Tribunale in ordine alla insussistenza della scriminate dello stato di necessità, in ragione della velocità eccessiva tenuta dal (OMISSIS) e della mancata allegazione e prova sia circa la “proporzionalità tra la sua condotta ed il pericolo corso”, sia sul fatto che “la manovra di invasione della opposta semicarreggiata fosse l’unica idonea ad evitare un grave danno alla sua persona”.

Si tratta, pertanto, di motivazione sufficiente, priva di vizi logici e giuridici, nonchè plausibile; dunque, incensurabile in questa sede di legittimità, tantomeno tramite non consentite letture alternative delle emergenze processuali, nelle quali si risolvono, per il resto, le censure della ricorrente incidentale.

18. – Con il secondo mezzo – proposto in via condizionata all’accoglimento del ricorso principale in punto di attribuzione per intero al (OMISSIS) dell’obbligo risarcitorio – è denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’omessa pronuncia sulla domanda, proposta da essa (OMISSIS) S.p.A., di manleva nei confronti della (OMISSIS), quale impresa designata dal FGVS, per le somme da versare a titolo di risarcimento danni in relazione all’incidente per cui è causa.

18.1. – Il motivo di ricorso incidentale condizionato è inammissibile, per difetto di interesse, giacchè riguarda censura proposta dalla parte vittoriosa non già contro una statuizione della sentenza di merito, ma relativa a questione (domanda di manleva) sulla quale il giudice d’appello non si è pronunciato, ritenendola assorbita (per aver confermato la liquidazione pro quota del risarcimento del danno), atteso che tale questione, con l’accoglimento del ricorso principale, può essere riproposte davanti al giudice di rinvio (tra le tante, Cass., 23 maggio 2006, n. 12153).

C) Conclusioni.

19. – Vanno, dunque, accolti il settimo e, per quanto di ragione, il decimo motivo del ricorso principale, con rigetto dei restanti motivi del medesimo ricorso.

Va, inoltre, rigettato il ricorso incidentale autonomo e dichiarato inammissibile quello condizionato proposti dalla (OMISSIS) S.p.A..

La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata in relazione e rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, la quale si atterrà ai principi enunciati ai pp.7.1.2. e 10.1.3., che precedono.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE

accoglie il settimo e, per quanto di ragione, il decimo motivo del ricorso principale proposto da (OMISSIS) ed (OMISSIS), in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sulla minore (OMISSIS);

rigetta i restanti motivi del medesimo ricorso principale;

rigetta il ricorso incidentale autonomo e dichiara inammissibile quello condizionato proposti dalla (OMISSIS) S.p.A.;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, in data 6 marzo 2015.

 

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