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Cassazione Civile 11190/2022 – Risarcimento del danno – Fatto dannoso costituente reato – Decorrenza del termine di prescrizione

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Ordinanza 11190/2022

 

Risarcimento del danno – Fatto dannoso costituente reato – Decorrenza del termine di prescrizione

Se il fatto illecito è considerato dalla legge come reato, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno cagionato dal reato decorre dall’irrevocabilità della sentenza penale, a condizione che vi sia stata costituzione di parte civile (la quale produce un effetto interruttivo permanente della prescrizione per tutta la durata del processo), fermo restando che l’interruzione della prescrizione a fini civilistici può anche avvenire con modalità diverse dalla costituzione di parte civile nel processo penale.

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 6-4-2022, n. 11190   (CED Cassazione 2022)

Art. 2947 cc (Prescrizione del diritto al risarcimento del danno) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

A seguito di querele sporte da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS) nei confronti del (OMISSIS), per fatti risalenti all’8.1.1994, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi condannò il (OMISSIS) e il (OMISSIS) (unitamente al (OMISSIS)) per il reato di lesioni, mentre mandò assolto il (OMISSIS); il reato venne successivamente dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, con conferma delle statuizioni civili in favore del (OMISSIS).

Quest’ultimo, nell’anno 2001, presentò due denunce/querele per calunnia nei confronti del (OMISSIS) e del (OMISSIS); nel conseguente giudizio penale, il Tribunale mandò assolti i due imputati ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, con sentenza del 16.7.2004; la pronuncia venne confermata in grado di appello e la Corte di Cassazione, con sentenza del 21.1.2010, dichiarò inammissibile, per tardività, il ricorso proposto dal (OMISSIS).

Con atto di citazione del 7.1.2013, il medesimo (OMISSIS) convenne in giudizio il (OMISSIS) e il (OMISSIS) per sentirli condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguiti al delitto di calunnia; il Tribunale di Avellino accolse la domanda, condannando i convenuti al pagamento di 6.846,80 Euro a titolo di danno patrimoniale e di una eguale somma a titolo di danni non patrimoniali; pronunciando sul gravame principale del (OMISSIS), su quello incidentale adesivo del (OMISSIS) e su quello incidentale del (OMISSIS), la Corte di Appello di Napoli ha riformato la sentenza di primo grado, accogliendo i gravami del (OMISSIS) e del (OMISSIS) e dichiarando assorbito quello del (OMISSIS), con compensazione integrale delle spese del doppio grado.

La Corte territoriale ha affermato che:

gli appelli del (OMISSIS) e del (OMISSIS) erano fondati nella parte in cui deducevano che la pretesa relativa al danno patrimoniale (concernente il rimborso delle spese legali sostenute dal (OMISSIS) per difendersi nel giudizio penale in cui era imputato di lesioni) era stata avanzata in un precedente giudizio definito dalla Corte di Appello (OMISSIS) con sentenza n. 3078/2016;

al riguardo, doveva considerarsi che:

le parti erano rimaste del tutto silenti circa la sorte del giudizio nell’ambito del quale era stata emessa l’anzidetta pronuncia, sicchè restava ignoto se esso fosse o meno ancora pendente e tanto bastava a inibire una declaratoria di litispendenza o di continenza;

nondimeno “la circostanza che su detta domanda si sia già pronunciato altro giudice, sia pur con esito diverso da quello sperato dall’istante, elide l’interesse processuale alla riproposizione dell’identica domanda già respinta, che pertanto deve essere dichiarata inammissibile”;

quanto all’eccezione di prescrizione ribadita dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS), andava rilevato che:

le querele asseritamente calunniose erano state presentate il 31.3.1994 e da tale data decorreva il termine di prescrizione del reato, avente durata decennale, “talchè questo era anche il termine di prescrizione per l’azione risarcitoria civile (art. 2947 c.c., comma 2), con la conseguenza che detto termine, salva l’eventuale esistenza di atti interruttivi, veniva a spirare il 31 marzo 2004”;

la sentenza penale di primo grado del 16.7.2004, con cui il Tribunale aveva assolto il (OMISSIS) e (OMISSIS), dava conto dell’avvenuta costituzione di parte civile del (OMISSIS), ma non consentiva di individuare l’esatto momento processuale (o l’esatta data) in cui detta costituzione era avvenuta; la stessa era pertanto “inidonea a dimostrare la tempestiva interruzione della prescrizione, anche alla luce della considerazione che l’udienza dibattimentale nella quale fu pronunciata (era) successiva, sia pur di pochi mesi, allo spirare del termine decennale di prescrizione” del 31.3.2004;

doveva escludersi, peraltro, che fossero idonee a interrompere il termine estintivo le denunce/querele presentate dal (OMISSIS) o che potessero essere utilizzati (ostandovi la previsione dell’art. 345 c.p.c., comma 3) i documenti prodotti in sede di gravame dal medesimo

(OMISSIS).

Ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), affidandosi a due motivi; hanno resistito, con separati controricorsi, il (OMISSIS) e il (OMISSIS).

In data 3.12.2019 è stata depositata comparsa di costituzione di nuovo difensore per il (OMISSIS).

La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Il (OMISSIS) e il (OMISSIS) hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso del (OMISSIS) è corredato da idonea procura speciale (spillata), che è stata rilasciata anteriormente alla notifica dell’atto e che contiene specifico riferimento alla proposizione di “ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli, n. 5613/2018″.

2. è infondato il rilievo (compiuto nella memoria del (OMISSIS)) di tardività del deposito del controricorso del (OMISSIS); invero, il detto deposito risulta effettuato il 22.7.2019, a fronte di un termine scadente il 24.7.2019.

3. La comparsa di costituzione del nuovo difensore del (OMISSIS) è rituale e idonea a manifestare chiaramente (a fronte dell’indicazione delle parti e degli estremi del giudizio di cassazione e, altresì, del tenore dell’allegato mandato alle liti) la volontà di sostituire, nella difesa del (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS) all’avv. (OMISSIS) (deceduto) e all’avv. (OMISSIS) (rinunciante al mandato), e ciò a prescindere dal refuso contenuto a pag. 2 che fa riferimento a tali ” (OMISSIS) e (OMISSIS)”, anzichè al (OMISSIS).

4. Il primo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2947 c.c., commi 1 e 3 e art. 2935 c.c., e censura la Corte nella parte in cui ha affermato che dalla sentenza penale del 16.7.2004 non erano desumibili elementi idonei a dimostrare la tempestiva interruzione della prescrizione.

Premesso (“per mero scrupolo difensivo”) che al fascicolo di appello era stato allegato il verbale dell’udienza celebrata avanti al GIP, da cui si evinceva che la costituzione di parte civile era avvenuta in data 24.4.2003, il (OMISSIS) assume che la Corte di Appello ha violato le previsioni dell’art. 2947 c.c., atteso che, “se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, come concretamente avvenuto nel caso di specie, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile e, in particolare, quindi, ai sensi del comma 1, trattandosi di danno derivante da fatto illecito, in cinque anni dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile”, e pertanto dal 17 luglio 2009, data in cui era divenuta irrevocabile la sentenza di assoluzione per il reato di calunnia; aggiunge che da tale data andavano conteggiati i cinque anni (scadenti il 17.7.2014) entro i quali avviare il giudizio civile, “e tanto a prescindere dalla data effettiva di costituzione di parte civile, assolutamente inconferente al caso di specie”; di talchè la causa, introdotta con citazione del gennaio 2013, risultava proposta ampiamente entro il termine di prescrizione; conclude che, dovendo trovare applicazione dell’art. 2947 c.c., comma 3, seconda parte, la prescrizione avrebbe dovuto essere fatta decorrere dalla data in cui la sentenza penale era divenuta irrevocabile e che, “viceversa, la Corte di Appello ha erroneamente ritenuto applicabile tout court dell’art. 2947 c.c., comma 1 e, sulla scorta del fatto che il reato si prescriveva in dieci anni, ha ritenuto, sbagliando, che i dieci anni andassero a decorrere, appunto ai sensi del comma 1, dal giorno in cui il fatto si è verificato”;

4.1. Il motivo è infondato.

4.2. La controversia in esame concerne danni che si assumono provocati da un illecito costituente reato (la dedotta calunnia) e, premessa la pacifica applicazione alla pretesa risarcitoria del termine di prescrizione previsto per il reato, pone la questione della necessità o meno che il (OMISSIS) ponesse in essere atti interruttivi della prescrizione (civilisticamente rilevanti) che gli consentissero di giovarsi della previsione dell’art. 2947 c.c., comma 3, u.p., ossia di godere dei termini previsti dai commi 1 e 2, a partire dalla data di irrevocabilità della sentenza pronunciata nel giudizio penale.

Ci si chiede, in termini generali, se basti la pendenza del procedimento penale per “congelare” il decorso della prescrizione della pretesa risarcitoria o se – invece – il danneggiato debba anche compiere atti interruttivi (“dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”, ex art. 2935 c.c.) per poter fruire del termine prescrizionale proprio dell’illecito aquiliano (di cinque o due anni, ai sensi dell’art. 2947 c.c., commi 1 e 2) una volta che il giudizio penale venga definito con sentenza irrevocabile.

Il che rileva nel caso in esame, in quanto la Corte di Appello ha ritenuto che non sia stata fornita la prova che la costituzione di p.c. nel procedimento penale sia avvenuta entro il termine decennale dalla commissione del reato, mentre il (OMISSIS) assume l’ininfluenza della data di costituzione di p.c., essendo rilevante unicamente quella di irrevocabilità della sentenza penale.

4.3. Al riguardo, deve considerarsi che:

nella giurisprudenza di questa Corte è assolutamente prevalente l’affermazione secondo cui “la costituzione di parte civile ha un effetto interruttivo permanente del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno scaturito dal reato, il quale riprende a decorrere dal momento in cui diviene irrevocabile la sentenza che definisce il processo penale” (Cass. n. 26887/2008; conformi Cass. n. 9942/98, Cass. n. 872/2008, Cass. n. 19741/2011, Cass. n. 17226/2014, Cass. n. 28456/2017); in tal senso deve leggersi anche Cass., S.U. n. 8348/13, che fonda la decorrenza della prescrizione dalla data di irrevocabilità della sentenza penale, anzichè dalla data dell’evento integrante l’illecito, sull'”effetto interruttivo-sospensivo della prescrizione conseguente all’esercizio dell’azione civile” compiuto mediante la costituzione di p.c.;

è di tutta evidenza che, per il fatto stesso di rimarcare l’effetto interruttivo della costituzione di p.c., tale orientamento riconosce la rilevanza/utilità della costituzione, escludendo -implicitamente, ma univocamente- che la prescrizione possa ritenersi interrotta, ai fini civilistici, dalla mera pendenza del procedimento penale; se così fosse, infatti, la costituzione di p.c. sarebbe priva di concreta rilevanza e non si comprenderebbe la ragione dell’affermazione della sua efficacia interruttiva;

deve peraltro darsi atto dell’esistenza di un orientamento minoritario – che parrebbe di segno contrario; ci si riferisce a Cass. n. 4867/1998 (espressamente invocata dal (OMISSIS)) e all’omologa Cass. n. 16391/2009, che hanno affermato il principio secondo cui, “ai sensi dell’art. 2947 c.c., l’azione civile risarcitoria, se vi è stata sentenza penale, si prescrive nei termini indicati dai primi due commi dello stesso art., decorrenti dalla data in cui essa è divenuta irrevocabile, a prescindere dalla costituzione di parte civile del danneggiato”;

dalla lettura della prima delle due decisioni emerge che l’affermazione della non necessarietà della costituzione di p.c. venne compiuta per rigettare il motivo di ricorso con cui si sosteneva che, in difetto della costituzione, avrebbe potuto trovare applicazione soltanto la prima parte del comma 3, dell’art. 2947 c.c. (ossia il termine più lungo di prescrizione previsto per il reato) e non anche la seconda parte (ossia la nuova decorrenza del termine ordinario operante per l’illecito aquiliano a far data dalla irrevocabilità della sentenza penale); la pronuncia non ha quindi affrontato ex professo la specifica questione della rilevanza della costituzione di p.c. quale atto interruttivo della prescrizione, ma si è limitata ad affermare l’applicabilità dell’art. 2947 c.c., comma 3, u.p., anche in difetto di costituzione; neppure l’esame di Cass. n. 16391/2009 (che richiama solo ad abundantiam il principio di Cass. 4867/1998) evidenzia l’esistenza di una problematica di mancata interruzione della prescrizione a seguito della non avvenuta costituzione di p.c.;

nè appare supportata da appagante giustificazione l’affermazione compiuta da Cass. n. 9242/1998 (in motivazione, al punto 2.2.) secondo cui “è irrilevante la data in cui la parte danneggiata si è costituita parte civile e lo stesso fatto che essa si sia costituita parte civile nel processo penale”, atteso che è “lo stesso procedimento penale, qualora si concluda con sentenza irrevocabile, che impedisce la decorrenza della prescrizione”; con essa si finisce, infatti, col far dipendere la decorrenza o meno della prescrizione in corso di procedimento penale dall’esito dello stesso procedimento, ossia da un fatto successivo che non può valere – strutturalmente ed in difetto di un’espressa indicazione normativa – a privare di effetti una prescrizione che fosse nel frattempo maturata.

risulta – infine – meramente tralatizio e privo di attinenza all’odierna problematica il richiamo alle prime due pronunce effettuato da Cass. n. 20363/2019;

da un siffatto orientamento (che, per quanto detto, non argomenta specificamente in ordine alla necessità o rilevanza della costituzione di p.c. ai fini dell’interruzione della prescrizione e, comunque, sulle ragioni per cui non sarebbe necessaria) il Collegio intende discostarsi, nella misura in cui lo si legga come affermativo, in termini generali, della non necessità di atti interruttivi della prescrizione relativa ad una pretesa risarcitoria per fatto integrante reato, per tutta la durata del procedimento penale.

4.4. Premesso quanto sopra, deve ritenersi, in linea con la sentenza impugnata, che l’applicazione del (più lungo) termine di prescrizione previsto per il reato non esoneri il danneggiato dalla necessità di compiere comunque atti idonei a determinarne l’interruzione.

A conclusione diversa potrebbe pervenirsi solo ipotizzando che il diritto risarcitorio da reato, in ragione dell’instaurarsi di un processo penale, venga sottratto all’operare della prescrizione fino a che dura il processo penale che si chiuda con una delle sentenze indicate dell’art. 2947 c.c., comma 3.

Ma nelle disposizioni di legge non v’è alcunchè che suggerisca una simile regola, la quale si porrebbe in chiaro contrasto con l’art. 2935 c.c.. è palese, infatti, che dalla commissione del reato – o meglio, dalla percezione dello stesso – il diritto risarcitorio del danneggiato è esercitabile e, dunque, il termine prescrizionale decorre, sebbene con l’eventuale termine maggiore rispetto a quelli indicati dal primo e dal comma 2 dell’art. 2947 c.c.. Alla pendenza del processo penale, il cui inizio è rimesso all’autorità penale, non può dunque essere attribuito l’effetto di evitare che il danneggiato (vittima del reato) debba esercitare il diritto nel termine iniziato a decorrere dal fatto (percepito) e, dunque, debba interrompere il corso della prescrizione. Detta pendenza, invero, non rende il diritto immune dalla prescrizione.

Ferma restando la necessità dell’interruzione della prescrizione ai fini civilistici, va peraltro precisato che essa può avvenire anche con modalità diverse dalla costituzione di parte civile nel procedimento penale, essendo sufficiente qualunque atto idoneo a manifestare la volontà di far valere il diritto, e – quindi – anche una richiesta stragiudiziale che valga a costituire in mora il debitore; in ogni caso, quale che sia la modalità con cui la pretesa risarcitoria venga fatta valere, essa deve intervenire entro il termine prescrizionale stabilito per il reato.

Il danneggiato può dunque impedire la prescrizione con atti interruttivi ripetuti prima che ciascun termine si consumi oppure interromperla in modo permanente costituendosi parte civile nel processo penale e la sentenza cui allude dell’art. 2947 c.c., comma 3, comporterà che dalla sua data decorra un nuovo termine di prescrizione, nei sensi indicati, solo se la prescrizione non sia nel frattempo maturata.

Si vuol dire, in altri termini, che la (nuova) decorrenza della prescrizione dalla irrevocabilità della sentenza penale (secondo i termini previsti dai primi due commi dell’art. 2947 c.c.) postula necessariamente che la prescrizione non sia nel frattempo già maturata, ossia che la stessa sia stata interrotta al fuori del processo penale o all’interno di esso (mediante costituzione di parte civile).

Una siffatta conclusione si pone in linea di continuità col rilievo già compiuto da Cass., S.U. n. 1479/1997 e richiamato, da ultimo, da Cass. n. 2694/2021 – secondo cui “la prescrizione del diritto al risarcimento del danno cagionato dal reato, sebbene raccordata, sotto il circoscritto profilo del periodo di durata, alla disciplina della prescrizione dettata per il reato, si inserisce nel quadro generale dell’istituto della prescrizione civile, senza comprometterne la sostanziale autonomia rispetto all’analogo istituto regolato nel sistema penale. Se si eccettua tale collegamento, ciascuno dei due istituti costituisce un complesso normativo in sè chiuso e perfetto, con la conseguenza che, ai fini del diritto al risarcimento, operano esclusivamente le cause di interruzione previste nella disciplina civilistica, senza possibilità di mutua integrazione o di interferenze fra le due discipline”; il che vale a evidenziare che, fatti salvi l’applicazione del termine più lungo di prescrizione previsto per il reato e l’effetto interruttivo permanente (per la durata del processo) della costituzione di p.c., il diritto al risarcimento del danno derivante da un fatto illecito considerato dalla legge come reato rimane disciplinato – per il resto – dall’ordinarie regole civilistiche (a cominciare dagli artt. 2934 e 2935 c.c.).

4.5. Il motivo va conseguente rigettato, in quanto la Corte ha accertato la mancanza della prova della tempestiva interruzione della prescrizione prima del decorso dei dieci anni dalla commissione del reato, con la conseguenza che il danneggiato non poteva giovarsi della nuova decorrenza del termine prescrizionale dalla irrevocabilità della sentenza penale.

5. Col secondo motivo (che deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2909 c.c. e art. 124 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), nullità della sentenza per motivazione apparente e, comunque per il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4”), il ricorrente rileva che la Corte di Appello, dopo aver correttamente respinto l’eccezione di litispendenza sollevata dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS) per il fatto che restava “ignoto” se il procedimento in seno al quale era stata emessa la sentenza n. 3078/2016 fosse o meno ancora pendente, era incorsa in “evidente contraddizione” affermando la fondatezza del motivo di appello con cui era stata lamentata la duplice proposizione della pretesa relativa ai danni patrimoniali e concludendo che la circostanza che sulla domanda si fosse pronunciato altro giudice, seppur con esito diverso da quello sperato dall’istante, elideva l’interesse alla proposizione dell’identica domanda; assume che, nella sostanza, la Corte ha rilevato un giudicato portato dalla precedente sentenza n. 3078/2016 in difetto della necessaria attestazione ex art. 124 disp. att. c.p.c., entrando in insanabile contraddizione con la motivazione resa in punto di litispendenza.

5.1. Il motivo è fondato.

La deduzione della pronuncia della sentenza del 26 luglio 2016 (n. 3078 del 2016) non era idonea a provare la litispendenza del relativo giudizio, in quanto sarebbe stato necessario dimostrare la proposizione di un’impugnazione contro di essa; al riguardo, va considerato che il termine lungo per impugnare la sentenza del 2016 scadeva il 29 luglio 2017, ma all’anno solare andavano aggiunti i 31 giorni della sospensione feriale per il 2016, di modo che il termine arrivava al 29 agosto 2017 e, dunque, si imponeva l’aggiunta di altri 31 giorni per il periodo di sospensione feriale del 2017. Il termine scadeva il 29 settembre 2017. Ne consegue che alla data in cui fu riservata in decisione la sentenza qui impugnata, cioè il 10 luglio 2018, la formazione della cosa giudicata avrebbe potuto essere eccepita e provata dalla parte interessata, che invece non l’ha fatto.

D’altra parte, la deduzione del giudicato esigeva la prova della mancata impugnazione con la certificazione ai sensi dell’art. 124 disp. att. c.p.c..

Da ciò discende che la Corte di Appello napoletana – per un verso – non poteva apprezzare l’esistenza della sentenza del 2016 come rivelatrice di un giudicato (non adeguatamente provato) e – per altro verso – pur dichiarando di escludere la litispendenza, ha finito per recuperarla là dove ha affermato l’inammissibilità della seconda domanda perchè era già intervenuta una decisione su di essa in altro giudizio in cui era stata proposta (vedi punto c) a pag. 5).

La sentenza impugnata dev’essere cassata perchè, per un verso l’esistenza della sentenza del 2016 non poteva nemmeno essere apprezzata come rivelatrice di un giudicato, nel senso che la cosa giudicata non risultava provata; per altro verso, del tutto incomprensibilmente all’esistenza di quella sentenza si sono attribuiti effetti che solo la persistenza della litispendenza avrebbe potuto giustificare.

La corte napoletana si sarebbe dovuta limitare a rilevare l’assenza della prova della cosa giudicata e della prova della persistenza della litispendenza.

Va ricordato che è principio consolidato quello per cui “La litispendenza postula la contemporanea pendenza della stessa causa davanti a giudici diversi e la relativa questione (che è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, e quindi anche nel giudizio di cassazione) deve essere decisa con riguardo alla situazione processuale esistente al momento della decisione; la parte che eccepisce la litispendenza ha l’onere di produrre i documenti necessari per la verifica della persistenza della dedotta situazione fino all’udienza di discussione” (Cass. n. 22252 del 2004).

è da rilevare la palese inammissibilità della produzione effettuata sulla piattaforma Teams – dell’attestazione a data 10 luglio 2019 con cui la Corte di Appello di Napoli attesta la mancata proposizione del ricorso per cassazione avverso la ricordata sentenza. La produzione dell’attestazione di mancanza di proposizione del ricorso per cassazione, finalizzata alla prova del passaggio in cosa giudicata, per quanto si è detto, avrebbe dovuto farsi all’atto della rimessione in decisione della controversia decisa con la sentenza qui impugnata.

5.2. Il secondo motivo va pertanto accolto, con cassazione della sentenza, in relazione ad esso, e rinvio alla Corte territoriale, che provvederà anche sulle spese di lite. La Corte territoriale di rinvio dovrà decidere dando rilievo alla mancata prova della litispendenza e, nel contempo, alla mancata prova dell’esistenza del giudicato, che non era stato provato, come avrebbe dovuto.

P.Q.M.

La Corte, rigettato il primo motivo, accoglie il secondo, cassa in relazione e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma il 7 dicembre 2021 nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile.