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Cassazione Civile 11320/2022 – Responsabilità dell’obbligato alla sorveglianza – Prestazioni sanitarie – Contratto con effetti protettivi in favore di terzi

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Sentenza 11320/2022

Responsabilità dell’obbligato alla sorveglianza – Prestazioni sanitarie – Contratto con effetti protettivi in favore di terzi

Il rapporto contrattuale tra il paziente e la struttura sanitaria o il medico non produce, di regola, effetti protettivi in favore dei terzi, perché, fatta eccezione per il circoscritto campo delle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione, trova applicazione il principio generale di cui all’art. 1372, comma 2, c.c., con la conseguenza che l’autonoma pretesa risarcitoria vantata dai congiunti del paziente per i danni ad essi derivati dall’inadempimento dell’obbligazione sanitaria, rilevante nei loro confronti come illecito aquiliano, si colloca nell’ambito della responsabilità extracontrattuale. (Nella specie, la S.C. ha escluso la spettanza dell’azione contrattuale “iure proprio” alla moglie di un soggetto che, affetto da Morbo di Parkinson, si era allontanato dalla struttura sanitaria presso cui era ricoverato e non era stato mai più ritrovato, precisando che la stessa avrebbe potuto eventualmente beneficiare della tutela aquiliana, con le conseguenti regole in tema di ripartizione dell’onere della prova).

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 7-4-2022, n. 11320   (CED Cassazione 2022)

Art. 2043 cc (Responsabilità per fatto illecito) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

Nel 2016, (OMISSIS) – premesso che, in data (OMISSIS), il marito, (OMISSIS), affetto da Morbo di Parkinson, si era ricoverato presso la struttura sanitaria della Fondazione Ospedale (OMISSIS), in (OMISSIS), per intraprendere un percorso di riabilitazione motoria; che quegli, dopo soli tre giorni dal ricovero, era improvvisamente scomparso, senza comunicare ad alcuno il suo allontanamento dalla struttura e senza più dare notizie di sè; che le successive ricerche, protrattesi per anni, non avevano dato alcun esito; e che da questa scomparsa, imputabile all’inadempimento degli obblighi contrattuali assunti dalla struttura sanitaria (ed in particolare dell’obbligo di vigilanza e protezione del paziente ivi ricoverato), ella aveva subito conseguenze dannose patrimoniali e non patrimoniali, quantificabili in complessivi Euro 908.118,00 – convenne la Fondazione Ospedale (OMISSIS) dinanzi al tribunale di Milano chiedendone la condanna al risarcimento dei danni predetti, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.

Nel 2018, il tribunale rigettò la domanda e la decisione è stata confermata, sia pure con diversa motivazione, dalla Corte di appello di Milano, con sentenza del 27 giugno 2019, sui rilievi: che l’invocata responsabilità della struttura sanitaria doveva essere correttamente qualificata, non come responsabilità contrattuale ma come responsabilità extracontrattuale, essendo la sig.ra (OMISSIS) estranea al contratto di spedalità stipulato dal marito e non avendo essa azionato una pretesa risarcitoria acquisita iure hereditario ma una pretesa risarcitoria asseritamente vantata iure proprio; che, ciò premesso, l’attrice non aveva assolto l’onere, gravante sul danneggiato, di provare gli elementi costitutivi dell’illecito ascritto alla struttura sanitaria danneggiante, vale a dire, da un lato, l’omissione colposa del dovere di vigilanza sul marito (configurabile solo in presenza di una condizione di menomazione psichica del paziente tale da imporre un simile obbligo, nella specie insussistente) e, dall’altro lato, il danno che dalla predetta omissione le sarebbe consequenzialmente derivato; che, al contrario, in base alle risultanze istruttorie (in particolare la testimonianza dello specialista neurologo che lo aveva avuto in cura e le annotazioni contenute nella cartella clinica), era emerso che il sig. (OMISSIS) era sempre parso persona lucida, orientata nel tempo e nello spazio ed autosufficiente, e che il Morbo di Parkinson gli aveva bensì provocato difficoltà nella deambulazione e, in generale, nel movimento (per affrontare le quali si era volontariamente determinato al ricovero riabilitativo presso la struttura sanitaria convenuta) ma non anche compromissione della capacità cognitiva; che, inoltre, la non configurabilità, nel caso in esame, di una condotta colposa omissiva, lesiva di un dovere cautelare di vigilanza e protezione del paziente (con conseguente irrilevanza degli ulteriori mezzi di prova dedotti dall’attrice) aveva trovato conferma sia nella stessa conformazione strutturale del nosocomio (che offriva prestazioni di riabilitazione motoria in un ambiente aperto, dotato di parco e con affaccio sulla spiaggia, alla quale i degenti potevano liberamente accedere) sia nell’atteggiamento tenuto dallo stesso sig. (OMISSIS) (il quale, persona mentalmente sana e perfettamente capace di intendere e di volere, poco prima del suo spontaneo allontanamento era stato notato sulla spiaggia, mentre conversava confidenzialmente con due donne, in un contesto di perfetta serenità, che non avrebbe giustificato alcun provvedimento limitativo della sua libertà di movimento).

Avverso la sentenza della Corte milanese (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di sei motivi. Ha risposto con controricorso la Fondazione Ospedale (OMISSIS).

Fissata la pubblica udienza, il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.

Il Procuratore Generale, nella persona del Dott. Alessandro Pepe, ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo (violazione degli artt. 1176, 1218, 1228, 1374 e 1375 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha qualificato la domanda proposta in giudizio come domanda di risarcimento del danno derivante da responsabilità extracontrattuale.

La ricorrente sostiene che, al contrario, la responsabilità della struttura sanitaria, da lei fatta valere nel caso di specie, avesse natura di responsabilità contrattuale, in quanto la pretesa risarcitoria trovava la propria fonte nell’inadempimento del contratto atipico stipulato dal coniuge, dal quale discendevano obbligazioni non limitate alla somministrazione di cure mediche e farmacologiche, ma comprensive del dovere di salvaguardare l’incolumità fisica e patrimoniale del paziente.

2. Il secondo motivo (violazione o falsa applicazione degli artt. 1176, 1218 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), critica la decisione di appello nella parte in cui, sulla scorta dell’erronea negazione della natura contrattuale della responsabilità invocata a carico della struttura sanitaria, ha posto in capo alla creditrice-danneggiata l’onere di provare i fatti costitutivi dell’illecito (omissione colposa della struttura presupponente un dovere di vigilanza giustificato da una condizione di scemata lucidità cognitiva del paziente; pregiudizio subito dalla ricorrente in proprio; nesso causale tra omissione colposa e danno) anzichè in capo alla debitrice-danneggiante il contrario onere di fornire la prova liberatoria dalla sua responsabilità.

La ricorrente deduce che, al contrario, la circostanza che il sig. (OMISSIS) non risentisse di una riduzione della propria capacità intellettiva non escludeva la sussistenza di uno specifico obbligo di protezione e vigilanza in capo alla struttura, atteso che la diligenza da questa esigibile, quale criterio legale di determinazione della prestazione debitoria, ex art. 1176 c.c., comma 2, si sarebbe specificata anche nel dovere di adeguata sorveglianza del degente.

3. Il terzo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 1218 c.c., nonchè degli artt. 2 e 29 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) disapprova la sentenza impugnata per avere escluso che la pretesa risarcitoria azionata in giudizio, vantata dalla sig.ra (OMISSIS) iure proprio e non iure hereditario, trovasse la sua fonte nell’inadempimento, da parte della Fondazione Ospedale (OMISSIS), delle obbligazioni derivanti dal contratto concluso con il sig. (OMISSIS).

La ricorrente deduce che, al contrario, il contratto stipulato dal paziente con il medico o con la struttura sanitaria non ha un’efficacia limitata alle sole parti, ma produce effetti (cc.dd. “effetti protettivi”) anche nei confronti dei terzi (in particolare il coniuge e i prossimi congiunti: cc.dd. “terzi protetti dal contratto”) che sono legati da vincoli significativi con il creditore, i quali, ove subiscano in proprio un pregiudizio in conseguenza dell’inadempimento del debitore (c.d. “danno riflesso”), possono chiederne il ristoro con azione di natura contrattuale.

4. Il quarto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2697 e 2729 c.c., nonchè dell’art. 24 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) censura la sentenza impugnata per avere omesso di fare applicazione del principio di prossimità della prova, che avrebbe imposto di esonerare l’attrice dall’onere di provare un’attività (la condotta dannosa degli operatori sanitari) che essa non era obiettivamente in grado di dimostrare.

La ricorrente sostiene che, piuttosto, il nesso causale tra la condotta del personale e il danno subito dal paziente (precisamente, nella specie, dal familiare del paziente) avrebbe potuto ritenersi presuntivamente dimostrato alla luce dell’incompletezza della cartella clinica.

4.1. Gli illustrati motivi devono essere esaminati congiuntamente, in quanto muovono tutti dall’asserita erroneità della qualificazione della domanda operata dalla Corte di appello come domanda di risarcimento del danno extracontrattuale e dall’omesso riconoscimento al contratto tra paziente e struttura sanitaria della natura di contratto con effetti protettivi dei terzi, per poi criticare le implicazioni di tali erronee premesse in termini di ripartizione dell’onere probatorio nella fattispecie concreta.

Essi sono infondati.

4.2. Il rapporto contrattuale che si instaura tra il paziente e la struttura sanitaria ha efficacia “ultra partes” allorchè costituisce fonte di obbligazioni aventi ad oggetto prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione. Viene in considerazione, in particolare, il contratto stipulato dalla gestante, avente ad oggetto la prestazione di cure finalizzate a garantire il corretto decorso della gravidanza (Cass. n. 6735 del 2002; Cass. n. 14488 del 2004; Cass. n. 10741 del 2009; Cass. n. 2354 del 2010; Cass. n. 16754 del 2012; Cass. n. 10812 del 2019; Cass. n. 14615 del 2020) oppure l’accertamento, e correlativa informazione, di eventuali patologie del concepito, anche in funzione del consapevole esercizio del diritto di autodeterminarsi in funzione dell’interruzione anticipata della gravidanza medesima (Cass. n. 11503 del 1993; Cass. n. 2354 del 2010; Cass. n. 22837 del 2010; Cass. n. 16754 del 2012).

L’inesatta esecuzione della prestazione che forma oggetto di tali rapporti obbligatori, infatti, incide in modo diretto sulla posizione del nascituro e del padre talchè la tutela contro l’inadempimento deve necessariamente essere estesa a tali soggetti, i quali sono legittimati ad agire in via contrattuale per i danni che da tale inadempimento siano loro derivati.

Al di fuori di queste specifiche ipotesi, poichè l’esecuzione della prestazione che forma oggetto della obbligazione sanitaria non incide direttamente sulla posizione dei terzi, torna applicabile anche al contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria la regola generale secondo cui esso ha efficacia limitata alle parti (art. 1372 c.c., comma 2); pertanto, per un verso non è predicabile un “effetto protettivo” del contratto nei confronti di terzi, per altro verso non è identificabile una categoria di terzi (quand’anche legati da vincoli rilevanti, di parentela o di coniugio, con il paziente) quali “terzi protetti dal contratto”.

Ciò non vuol dire che i prossimi congiunti del creditore, ove abbiano subito in proprio delle conseguenze pregiudizievoli, quale riflesso dell’inadempimento della struttura sanitaria (cc.dd. danni mediati o riflessi), non abbiano la possibilità di agire in giudizio per ottenere il ristoro di tali pregiudizi. Il predetto inadempimento, tuttavia, potrà rilevare nei loro confronti esclusivamente come illecito aquiliano ed essi saranno dunque legittimati ad esperire, non già l’azione di responsabilità contrattuale (spettante unicamente al paziente che ha stipulato il contratto), ma quella di responsabilità extracontrattuale, soggiacendo alla relativa disciplina, anche in tema di onere della prova.

La legittimazione all’azione di responsabilità contrattuale residua per i prossimi congiunti nel caso in cui facciano valere pretese risarcitorie iure hereditario, già consolidatesi nella sfera del loro dante causa quali crediti derivanti dall’inadempimento contrattuale e da questi trasmesse mortis causa ai suoi eredi.

4.3. Il principio secondo il quale nell’ambito delle prestazioni sanitarie il perimetro del contratto con efficacia protettiva dei terzi deve essere circoscritto alle relazioni contrattuali intercorse tra la gestante e la struttura sanitaria (o il professionista) che ne segua la gestazione e il parto, già enunciato in più risalenti decisioni di questa Corte (Cass. n. 6914 del 2012 e Cass. n. 5590 del 2015), è stato di recente reiteratamente ribadito, ora sul presupposto che solo in questa fattispecie vi sarebbe identità tra l’interesse dello stipulante e l’interesse del terzo (Cass. n. 19188 del 2020), ora sulla considerazione del carattere “relazionale” della responsabilità contrattuale (in base al quale l’estensione soggettiva dell’efficacia del contratto potrebbe ammettersi solo nei casi limite in cui i terzi siano portatori di un interesse strettamente connesso a quello “regolato già sul piano della programmazione negoziale”: Cass. n. 14258 del 2020), ora, infine, sulla base del dato sistematico desunto dalla disciplina di altre fattispecie di responsabilità civile nelle quali, come in quella sanitaria, si può determinare l’eventualità che dall’inadempimento dell’obbligazione dedotta nel contratto possano derivare, in via riflessa o mediata, pregiudizi in capo a terzi estranei al rapporto contrattuale (Cass. n. 14615 del 2020); tra queste ipotesi, quella più rilevante concerne l’infortunio subito dal lavoratore per inosservanza del dovere di sicurezza da parte del datore di lavoro (art. 2087 c.c.), in relazione alla quale non si dubita che l’azione contrattuale spetti unicamente al lavoratore infortunato, mentre i suoi congiunti, estranei al rapporto di lavoro, ove abbiano riportato iure proprio danni patrimoniali o non patrimoniali in seguito all’infortunio medesimo, sono legittimati ad agire in via extracontrattuale (tra le più recenti, cfr. Cass. n. 2 del 2020).

4.4. All’orientamento in esame, progressivamente consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte, occorre dare in questa sede ulteriore continuità, aggiungendo agli argomenti surricordati ulteriori rilievi, fondati sulla struttura e sui limiti del vincolo obbligatorio.

Sotto il profilo strutturale, deve rilevarsi che la già evidenziata “relazionalità” della responsabilità contrattuale trova fondamento nel carattere relativo degli elementi costitutivi soggettivi del rapporto obbligatorio (la posizione di credito e la posizione di debito) quali posizioni strumentali che danno luogo ad una relazione intersoggettiva dinamica (rapporto giuridico) non propriamente ravvisabile al cospetto delle situazioni finali, proprie dei diritti assoluti. Il carattere strumentale della posizione passiva di debito, correlativa ad una posizione soggettiva attiva avente natura di diritto relativo, conferisce l’attributo della relatività anche agli elementi costitutivi oggettivi del rapporto obbligatorio (l’interesse e la prestazione): la prestazione, pertanto, deve corrispondere all’interesse specifico del creditore (art. 1174 c.c.) e non a quello di terzi, salvo che questi ultimi non siano portatori di un interesse assolutamente sovrapponibile a quello del primo; la circostanza che il contenuto della prestazione sia soggetto a criteri legali (oltre che contrattuali) di determinazione, costituiti in primo luogo dalla buona fede (art. 1175 c.c.) e dalla diligenza (art. 1176 c.c.), non vale a configurare obbligazioni ulteriori aventi ad oggetto prestazioni di salvaguardia dei terzi (secondo la teoria dei cc.dd. “obblighi accessori di protezione” – Schutzpflichten e Nebenspflichten – che costituisce la premessa concettuale, nell’ambito della disciplina generale dell’obbligazione, della teoria del “contratto con effetti protettivi di terzi”) ma solo a conformare l’oggetto dell’obbligazione in funzione della realizzazione dell’interesse concreto dedotto nel contratto. Sussiste, in altre parole, una corrispondenza biunivoca tra l’interesse creditorio (art. 1174 c.c.) e la causa del contratto, intesa quale causa concreta: l’interesse creditorio, per un verso, concorre ad integrare la causa concreta del contratto; per altro verso, è da quest’ultima determinato, quando l’obbligazione ha titolo nel contratto medesimo.

Sotto il profilo dei limiti del vincolo obbligatorio, non va sottaciuto che secondo il diffuso intendimento sociale, recepito dal diritto positivo, esso è improntato a criteri di normalità, i quali, da un lato, sul piano oggettivo, impongono di individuare limiti di ragionevolezza al sacrificio del debitore (esonerandolo, ad es., salvo che l’inadempimento non dipenda da dolo, dal risarcimento del danno imprevedibile: art. 1225 c.c.), mentre, dall’altro lato, sul piano soggettivo, inducono ad escludere, di regola, che la tutela contrattuale possa essere invocata dai soggetti terzi rispetto al contratto che abbiano riportato un pregiudizio in seguito all’inadempimento, ancorchè siano legati al creditore da rapporti significativi di parentela o dal rapporto di coniugio.

Deve pertanto ribadirsi che, mentre il paziente, in quanto titolare del rapporto contrattuale di spedalità, è legittimato ad agire per il ristoro dei danni cagionatigli dall’inadempimento della struttura sanitaria con azione contrattuale, al contrario, fatta eccezione per il circoscritto ambito dei rapporti afferenti a prestazioni inerenti alla procreazione, la pretesa risarcitoria vantata dai congiunti per i danni da essi autonomamente subiti, in via mediata o riflessa, in conseguenza del medesimo contegno inadempiente, rilevante nei loro confronti come illecito aquiliano, si colloca nell’ambito della responsabilità extracontrattuale ed è soggetta alla relativa disciplina.

4.5. Per aver fatto corretta applicazione di tale principio, traendone le dovute implicazioni in ordine alla ripartizione dell’onere della prova tra le parti del rapporto controverso, la sentenza impugnata appare, dunque, perfettamente conforme a diritto.

Giuridicamente corretta, infatti, alla luce di tali premesse, si mostra l’affermazione secondo la quale l’attrice avrebbe dovuto fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale della struttura, vale a dire il fatto colposo (consistente nel contegno omissivo conseguente alla violazione di un dovere di sorveglianza giustificato da una minorazione cognitiva del paziente, rimasta indimostrata), il pregiudizio che da questo fatto sarebbe conseguito alla ricorrente e il nesso causale tra il fatto colposo e il danno.

Dinanzi al rilievo che, alla luce della corretta ripartizione dell’onere probatorio nell’ambito di una fattispecie inquadrabile nella responsabilità aquiliana, quello spettante alla ricorrente non era stato affatto assolto, del tutto aspecificamente nel ricorso viene formulata, poi, la censura di mancata applicazione del criterio di vicinanza della prova; questo criterio, infatti, quale mezzo di definizione della regola finale di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., trova applicazione nel processo quando una delle parti sia in condizione di avere una più compiuta conoscibilità delle circostanze da provare e una migliore accessibilità ai mezzi per dimostrarne la sussistenza (Cass. n. 7023 del 2020), sicchè l’uso di tale canone è bensì consentito quando sia necessario dirimere un’eventuale sovrapposizione tra fatti costitutivi e fatti estintivi, impeditivi o modificativi (Cass. n. 7830 del 2018) ma esso non può essere invocato al fine di sollevare integralmente la parte dall’onere di provare i fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio.

I primi quattro motivi di ricorso vanno pertanto rigettati.

5. Il quinto motivo (violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 1176, 1218, 2729 c.c., art. 26 del codice di deontologia medica, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), censura la sentenza impugnata per non aver ritenuto colposa la condotta della struttura sanitaria consistente nella cattiva tenuta della cartella clinica (sul presupposto che l’omessa o carente compilazione della documentazione medica costituirebbe figura sintomatica di inesatto adempimento) e per non aver attribuito alcuna rilevanza a tale carente compilazione in funzione della prova del fatto colposo addebitabile alla struttura sanitaria (sebbene la pagina dedicata alle annotazioni sul percorso riabilitativo del paziente e sulle attività svolte non fosse stata compilata e sebbene nel diario infermieristico non fossero state riportate informazioni relative al paziente con riguardo all’intero periodo di tre giorni intercorrente tra il suo ingresso nel nosocomio e la sua scomparsa).

Erroneamente, inoltre, la Corte di merito avrebbe considerato tardivo il rilievo di incompletezza della documentazione medica, che era stato, al contrario, già formulato nell’atto di citazione introduttivo del primo grado di giudizio.

6. Il sesto motivo (“omesso esame di fatto decisivo per il giudizio in relazione agli artt. 115, 116 c.p.c., artt. 1218 e 1223 c.c., per omessa ammissione senza motivare dei mezzi di prova”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), critica la decisione impugnata per non avere ammesso, senza motivare sul punto, le prove testimoniali tempestivamente dedotte in primo grado al fine di dimostrare le condizioni fisiche del sig. (OMISSIS), l’intensità del rapporto affettivo coniugale e le condizioni psicologiche della sig.ra (OMISSIS) in conseguenza della scomparsa del marito.

6.1. Questi motivi – che devono essere esaminati congiuntamente in ragione dell’evidente reciproca connessione – sono inammissibili.

In primo luogo, con specifico riguardo al quinto motivo, va rilevato che esso, nella parte in cui critica la mancata formulazione di un giudizio di colpa in ordine alla dedotta incompletezza della cartella clinica e della documentazione sanitaria, difetta di specificità in relazione al tenore della decisione impugnata.

La Corte territoriale, infatti, pur reputando che il rilievo attinente alla cattiva tenuta della cartella clinica fosse stato per la prima volta proposto in sede di appello, non ha omesso di esaminarlo nel merito.

Nel condurre tale esame, inoltre, essa non ha escluso il carattere colposo della denunciata eventuale omissione, ma si è limitata a considerarla irrilevante, ritenendo insussistente “qualsivoglia nesso causale tra tale presunta omissione… e la condotta di allontanamento dalla struttura posta in essere da (OMISSIS)”, in mancanza della dimostrazione che quegli “avesse espresso e comunicato tale intenzione non riportata, in ipotesi, per incuria, nella cartella clinica” (p. 10 della sentenza di appello).

Appare allora evidente il difetto, nella censura in esame, del necessario attributo della specificità, il quale esige che il motivo di ricorso sia riferibile alla decisione di cui si chiede la cassazione, non essendo ammissibili nel giudizio di legittimità doglianze non aventi specifica attinenza alle ragioni che sorreggono la sentenza impugnata (cfr., in tema, Cass. n. 17330 del 2015 e Cass. 22478 del 2018).

6.2. In secondo luogo, con riferimento al sesto motivo, va rilevato che esso, nella parte in cui – evocando l’art. 360 c.p.c., n. 5 – deduce l’omesso esame di un fatto decisivo, non tiene conto che il “fatto” di cui può denunciarsi con ricorso per cassazione l’omesso esame, ai sensi della norma sopra citata, deve essere un fatto storico vero e proprio avente carattere di fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o di fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale) e deve altresì possedere i due necessari caratteri dell’essere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della causa) e dall’aver formato oggetto di controversia tra le parti (Cass. Sez. U, n. 8053 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 27415 del 2018), sicchè non costituisce omissione censurabile ai sensi della norma richiamata l’omessa ammissione di mezzi di prova sulla base del giudizio di irrilevanza degli stessi, di esclusiva pertinenza del giudice del merito.

6.3. In terzo luogo, infine, con riguardo sia al quinto che al sesto motivo, va evidenziato che essi – nella parte in cui rimproverano alla Corte di appello di non aver attribuito rilevanza alla carente compilazione della cartella clinica in funzione della prova del fatto colposo addebitabile alla struttura e nella parte in cui criticano l’omessa ammissione della prova testimoniale richiesta – non tengono conto che tanto l’apprezzamento della risultanze delle prove e degli elementi di prova acquisiti ed espletati quanto l’ammissione o non ammissione dei mezzi di prova dedotti, sulla base del giudizio di rilevanza o di irrilevanza degli stessi, sono attività riservate al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. n. 16499 del 2009; Cass. n. 11511 del 2014; Cass. n. 13485 del 2014; Cass. n. 16467 del 2017).

La Corte territoriale, con valutazione incensurabile in questa sede, ha motivatamente ritenuto: che le condizioni di salute del sig. (OMISSIS), quale persona mentalmente sana e perfettamente capace di intendere e di volere, fossero state adeguatamente dimostrate alla luce della testimonianza dello specialista neurologo che lo aveva avuto in cura, nonchè delle annotazioni comunque contenute nella cartella clinica; che, nella fattispecie, la non configurabilità di un dovere di sorveglianza continua da parte della struttura, oltre che resa palese dalla conformazione della stessa quale struttura aperta (ove era consentita ai degenti la piena libertà di movimento), doveva affermarsi alla stregua dello stesso contegno tenuto dal paziente ancora poco prima della scomparsa, allorchè egli era stato notato in una situazione di piena serenità, mentre si trovava in compagnia di due signore sulla spiaggia vicina alla struttura; e che, in ragione di tali evidenze, doveva ritenersi “del tutto superfluo” (p. 10 della sentenza impugnata) l’approfondimento istruttorio richiesto dall’appellante mediante la deduzione di ulteriori prove testimoniali.

Avuto riguardo alle motivate e incensurabili valutazioni della Corte di merito, i motivi di ricorso in esame si mostrano, dunque, inammissibili, in quanto tendono a provocare dalla Corte di cassazione una lettura delle risultanze delle prove espletate, nonchè un giudizio di rilevanza delle prove non ammesse, diversi da quelli forniti dal giudice di appello, il quale non ha immotivatamente omesso di ammettere le ulteriori prove testimoniali dedotte dall’attrice ma, sulla base di rilievi insindacabili in questa sede di legittimità, le ha motivatamente reputate irrilevanti alla luce delle risultanze acquisite.

7. In conclusione, il ricorso proposto da (OMISSIS) deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Ai sensi dell’art. 13, comma l quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. l, comma 17, della l. n. 228 del 2012, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma l bis del citato art. 13, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma l quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. l, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma l bis dello stesso art. 13, ove dovuto.

Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile il giorno 9 marzo 2022.