Ordinanza 11437/2022
Mutuo senza indicazione del termine
In tema di mutuo senza indicazione del termine, sussiste il diritto del creditore di esigere immediatamente l’adempimento restitutorio da parte del mutuatario, laddove quest’ultimo sia divenuto insolvente, risultando invece superflua la preventiva fissazione giudiziale del termine per l’adempimento.
Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 8-4-2022, n. 11437 (CED Cassazione 2022)
Art. 1186 cc (Decadenza dal termine) – Giurisprudenza
Ritenuto che:
– il Tribunale di Busto Arsizio, con sentenza n. 174 del 2015, accoglieva la domanda formulata da Co. Oo. nei confronti di Mi. Na. volta ad ottenere la restituzione della somma pari ad euro 165.000,00 in ragione della stipulazione tra le parti di un contratto di mutuo “non scritto”, tenuto conto sia della testimonianza resa da L.F.C., sia dell’assegno emesso dal Na. a garanzia del suddetto prestito;
– sul gravame interposto da Mi. Na., la Corte di appello di Milano, nella resistenza di Al., Lu. Ga., An., Ch. e Ra. Oo. – nella loro qualità di eredi di Co. Oo. – con sentenza n. 1434 del 2017, rigettava l’appello e per l’effetto confermava il provvedimento impugnato.
Nel dettaglio, la Corte distrettuale accertava che parte attrice, in osservanza dell’onere probatorio, aveva prodotto in giudizio gli assegni circolari provenienti dal conto corrente personale di Co. Oo. e consegnati dal Co. (allora socio in affari del Na. e delegato ad operare sul conto corrente dell’Oo.) al Na.. Ritenuta, quindi, irrilevante la circostanza che il mutuante e il mutuatario non si conoscessero personalmente, accertava che i predetti assegni erano stati emessi su richiesta di Oo. e consegnati materialmente al Na. (indicato come beneficiario) tramite il Co., momento in cui si perfezionava la consegna della provvista di denaro oggetto del credito.
Aggiungeva la Corte di merito che l’assegno di euro 165.000,00 emesso dal Na. in favore di Co., integrava un principio di prova scritta dell’obbligo restitutorio dell’appellante e del carattere oneroso dell’operazione di finanziamento a vantaggio di quest’ultimo, per essere stato emesso dalla persona contro la quale era diretta la domanda restitutoria, oltre ad essere logicamente connesso al fatto controverso dedotto in causa.
Ciò posto, il giudice di appello chiariva che la prova testimoniale del mutuo era stata correttamente ammessa in primo grado e la diversa ricostruzione fornita dall’appellante, quale mandato di credito, era del tutto irrilevante ai fini della decisione poiché, a prescindere dalla qualificazione giuridica del rapporto obbligatorio, l’obbligo di restituzione era comunque gravante sull’appellante. Difatti, tenuto conto delle dichiarazioni della teste Freitas, la Corte accertava che Co. aveva fatto da tramite e da garante per la consegna degli assegni circolari destinati al Na., fungendo poi da depositario e garante dell’obbligo restitutorio, mediante la ricezione dell’assegno emesso in suo favore da Na., peraltro mai posto all’incasso dal Co..
Quanto alla questione relativa all’inesigibilità della prestazione restitutoria per l’assenza di un termine per l’adempimento quale elemento essenziale del contratto di mutuo, la Corte riteneva che, data l’insolvenza del debitore, era superflua la fissazione giudiziale del termine per l’adempimento, essendo il creditore abilitato ad esigere immediatamente la prestazione ai sensi dell’art. 1186 c.c., con condanna Na. alla restituzione della somma oggetto del mutuo e degli interessi legali a norma dell’art. 1815 c.c.;
– avverso la sentenza della Corte di appello di Milano Mi. Na. propone ricorso per cassazione fondato su sei motivi, cui resistono Al., Ra., Lucia e Ch. Oo., nella loro qualità di eredi di Co. Oo. con controricorso;
– in prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Atteso che:
– con il primo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360 comma 1 n.3 c.p.c., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1813 c.c. e 2697 c.c. per aver la Corte di appello ritenuto provato l’obbligo restitutorio sulla base della sola prova della consegna materiale della somma di denaro dal Co. al Na., senza la prova, tantomeno rigorosa, degli elementi costitutivi del contratto di mutuo intercorso con l’Oo..
In particolare, ad avviso del ricorrente, la prova circa l’esistenza di un accordo restitutorio non potrebbe essere ricavata dalla circostanza che il Na., a distanza di cinque anni dalla ricezione delle somme, avrebbe consegnato un assegno bancario al Co. di importo pari alle somme ricevute molti anni prima. Difatti, anche rispetto a questa seconda consegna , l’Oo. sarebbe comunque soggetto terzo, così come nel caso della precedente consegna da Co. a Na., sicchè il giudice di secondo grado avrebbe potuto al più accertare incidentalmente un obbligo restitutorio dell’appellante non già nei confronti di controparte, ma nei confronti del Co..
In altri termini, il ricorrente ritiene che la Corte del merito avrebbe operato una sovrapposizione delle persone del Co. e dell’Oo. avendo considerato la consegna di denaro da parte del Co. prova della traditio proveniente dall’Oo. e l’assegno consegnato al Co. dal Na. prova di un obbligo restitutorio in favore di Oo..
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1958 c.c., in combinato disposto con gli artt. 1813 e ss. e 2697 c.c., nonché la conseguente violazione e falsa applicazione degli artt. 246 e 157 c.p.c. con riguardo alla testimonianza resa dalla Freitas nel giudizio di primo grado. Più precisamentefil ricorrente sostiene che il giudice di appello, dopo aver configurato un mandato di credito tra l’Oo. e il Co., avrebbe violato l’art. 1958 c.c, in combinato con gli obblighi probatori di cui agli artt. 1813 c.c. e ss., dichiarando da un lato irrilevante ai fini probatori la qualificazione negoziale del rapporto intercorrente tra i tre soggetti interessati, per poi ritenere comunque provata la dazione di denaro, il titolo della stessa e l’obbligo restitutorio, in ragione della testimonianza della Freitas Co..
Peraltro, ad avviso del ricorrente, la testimone, in qualità di figlia ed erede legittima del defunto Co., avrebbe un evidente interesse giuridico che la legittimerebbe a partecipare al giudizio, con conseguente impossibilità di assumere la sua deposizione, come eccepito nei precedenti gradi di giudizio dall’odierno ricorrente. In altri termini, il ricorrente sostiene che il giudice, dopo aver riconosciuto espressamente la qualità di garante naturale del Co. in relazione all’obbligazione restitutoria gravante sul Na., avrebbe dovuto farne derivare, quale logica conseguenza, l’incapacità a testimoniare della Freitas, quale erede legittima del Co., e non ritenere provato il contratto di mutuo intercorso tra le parti proprio sulla base di detta testimonianza.
Ancora, con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e la falsa applicazione degli artt.2721 e 2724 c.c., in riferimento alle prove testimoniali assunte in primo grado e ritenute ammissibili anche nel giudizio di secondo grado. Secondo il ricorrente nella fattispecie in esame, pur volendo ammettere e riconoscere la sussistenza del primo elemento necessario per integrare il principio di prova per iscritto, non sarebbe comunque sussistente la seconda condizione in quanto l’assegno consegnato dal Na. al Co. non renderebbe in alcun modo verosimile la tesi avversaria, ossia quella della sussistenza di un’obbligazione restitutoria tra le parti di causa.
Il primo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in quanto attinenti alla sussistenza del rapporto di mutuo e alla relativa prova, vanno respinti.
Va osservato che, secondo consolidato orientamento di questa Corte, l’attore chi chiede la restituzione di somme date a mutuo è, a sensi dell’art. 2697 c.c., tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda, ossia la consegna e il titolo da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione (in tal senso, Cass. n. 30944 del 2018).
Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto provata sia la consegna della somma di denaro per effetto della produzione in giudizio di assegni circolari provenienti dal conto corrente personale di Co. Oo. e consegnati dal Co. – delegato ad operare sullo stesso conto – al Na., sia l’obbligo restitutorio gravante sul Natali, in forza dell’assegno di importo pari ad euro 165.000,00 emesso dal Natali in favore del Co. e corrispondente alla somma versata al Na. dalli Oo. cinque anni prima, circostanza corroborata dalla deposizione testimoniale resa in primo grado da L.F.C.. Difatti, come rilevato dalla Corte di appello, la predetta produzione documentale, proveniente dal Na. e concernente l’assegno circolare emesso da quest’ultimo in favore del Co., costituisce quel principio di prova scritta che, come tale, consente, ai sensi del n. 1 dell’art. 2724 c.c., di superare i limiti di prova, con conseguente legittimità dell’ammissione della prova testimoniale del contratto di mutuo.
Sul punto questa Corte ha affermato che il documento che può costituire principio di prova per iscritto tale da consentire l’ammissione della prova per testimoni, deve provenire dalla controparte e non è necessario un preciso riferimento al fatto controverso, ma solo l’esistenza di un nesso logico tra lo scritto e il fatto stesso, da cui scaturisca verosimiglianza del secondo, alla stregua di un apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo di vizio di motivazione (Cass. n. 190/2020, Cass. n. 7093/2017). Del resto, è altresì incontestato che l’ammissione della prova testimoniale oltre i limiti di valore stabili dall’art. 2721 c.c., costituisce un potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, o mancato esercizio, è insindacabile in sede di legittimità ove sia correttamente motivato (Cass. n. 11889 del 2007 e Cass. n. 190 del 2020).
Ebbene, nella specie la Corte di appello, con una motivazione conforme a diritto, ha affermato che l’assegno circolare di euro 165.000,00 emesso dal Na. in favore del Co., essendo tratto dalla persona contro la quale la domanda restitutoria era diretta ed essendo logicamente connesso al fatto controverso dedotto in causa – come dimostrato dalla circostanza relativa alla corrispondenza del predetto importo con quello oggetto della pretesa restitutoria – non poteva che considerarsi prova scritta dell’obbligo restitutorio di Na. in favore dell’Oo., ragion per cui era legittima l’ammissione della prova testimoniale.
Quanto all’eccepita incapacità della teste ex art. 246 c.p.c., va considerato che la Corte distrettuale ha ritenuto la Fr. capace a deporre, accertando l’irrilevanza ai fini della decisione della sussistenza (o meno) dell’obbligo restitutorio del Na., della ricostruzione fornita da parte appellante, in virtù della quale il Co. risulterebbe fideiussore della somma prestata al Na., quale mandante nell’ambito di un rapporto di credito tra il Co., il Na. e l’Oo..
La Corte del merito ha infatti affermato che anche a voler ravvisare nell’assegno prodotto in giudizio la prova della sussistenza di un mandato di credito conferito dal Co. all’Oo. per finanziare il Na., beneficiario del credito, l’obbligazione restitutoria graverebbe comunque in capo al Na., quale debitore principale e il mandante di credito sarebbe un semplice garante dell’operazione di finanziamento del terzo, promessa dall’Oo.. Per tale ragione, il Co. ha ricevuto in garanzia e non in pagamento l’assegno corrispondente all’importo dato a credito dall’ Oo. al Na., per cui l’Oo. avrebbe potuto escutere la garanzia derivante dal mandato di credito direttamente nei confronti di Co., quale suo garante naturale, il quale solo a quel punto avrebbe avuto azione personale di rivalsa nei confronti di Na., quale debitore principale inadempiente.
Peraltro, siffatta ricostruzione avrebbe dovuto formare oggetto di prova da parte di chi ha allegato le circostanze, anche ai fini dell’eccezione di incapacità ex art. 246 c.p.c.
Le doglianze di parte ricorrente si traducono, quindi, in una mera critica agli apprezzamenti di merito effettuati dal giudice del gravame, intesa a far valere una diversa e più favorevole valutazione ricostruttiva degli elementi di fatto esaminati nei precedenti gradi di giudizio, come tale inammissibile in sede di legittimità. Del resto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare l’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito (Cass. n. 16051/2019);
– con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di contestazione tra le parti in relazione alla mancata prova della conoscenza da parte del Na. della provenienza degli assegni dal conto c/c dell’ Oo., quale fatto decisivo idoneo ad escludere il perfezionamento del contratto di mutuo, venendo meno sia l’elemento reale dello stesso, concernente la somma di denaro, sia l’accordo tra le parti volto alla restituzione delle somme.
Ancora, il ricorrente sotto la stessa censura lamenta l’omesso esame di un ulteriore fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di contestazione tra le parti, consistente nel mancato incontro delle parti prima del settembre 2009, circostanza idonea ad escludere il perfezionamento del contratto di mutuo.
Il motivo è inammissibile sotto vari profili.
Va osservato che in caso di doppia conforme, prevista dall’art. 348- ter, comma 5, c.p.c. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774/2016).
Inoltre, la doglianza, oltre a non confrontarsi con la ratio decidendi della pronuncia, avendo la Corte di appello esaminato la predetta circostanza ritenendola irrilevante ai fini della decisione, non dimostra nemmeno la decisività del fatto omesso, ossia che le parti non si conoscevano tra loro e che si erano incontrate per la prima volta solo nel settembre 2009, con conseguente inammissibilità della censura così come prospettata per difetto di specificità;
– con il quinto motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 comma 1 n.3 c.p.c., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1182, 1186 e 1817 c.c. per aver il giudice di appello ritenuto applicabile alla fattispecie di causa la disciplina di cui all’art. 1186 c.c. e non già quella di cui all’art. 1817 c.c. per non essere lo stato di insolvenza del debitore stato oggetto di discussione tra le parti, né tantomeno dedotto da controparte.
Il motivo è infondato.
Codesta Corte aveva già statuito in epoca risalente – che qui si intende ribadire – che nel mutuo senza prefissione del termine è applicabile il principio secondo cui è superflua la fissazione giudiziale del termine per l’adempimento, qualora il debitore sia insolvente, essendo in tal caso il creditore abilitato a esigere immediatamente la prestazione (Cass. n. 2055/1972).
Ancora, il diritto del creditore di avvalersi della decadenza del debitore dal beneficio del termine e di esigere immediatamente la prestazione ai sensi dell’art. 1186 c.c., non postula il conseguimento di una preventiva pronuncia giudiziale, né la formulazione di un’espressa domanda, ma può essere virtualmente dedotto con la domanda o con il ricorso per ingiunzione di pagamento del debito non ancora scaduto, sicchè la sentenza o il decreto che accolgano quella domanda o ricorso devono ritenersi contenere un implicito accertamento positivo delle condizioni per l’applicabilità della citata norma (Cass. n. 1343/1978, Cass. 24330/2011, Cass. n. 20042/2020).
Nella specie, la Corte di appello di Milano, nel rigettare il secondo motivo di appello concernente l’inesigibilità del credito per mancata apposizione del termine da parte del giudice a norma dell’art. 1817 c.c., ha affermato che lo stesso rifiuto di adempimento opposto nel giudizio vale quale prova dell’incapacità ad adempiere (v. pag. 14 della sentenza impugnata), facendo buon governo dei principi sopra richiamati;
– infine, con il sesto motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1815 c.c. per non aver il giudice di appello considerato e valutato i fatti oggetto di discussione tra le parti idonei a dimostrare la volontà dei contraenti circa la gratuità del finanziamento. In via subordinata, il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, a norma dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., in relazione alla pretesa onerosità del mutuo, avuto riguardo all’assegno di euro 165.000,00 emesso dal ricorrente in favore del Co. in data 15.08.2009, oltre che la violazione e la falsa applicazione, a norma dell’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c., degli artt. 1282 e 1815 c.c., in ordine alla decorrenza degli interessi sulla sorte capitale versata al ricorrente.
Anche il sesto motivo è inammissibile sotto vari profili.
La doglianza, nel censurare la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1815 c.c. a norma dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., è del tutto generica non chiarendo quale sarebbe la prova fornita a supporto della gratuità del mutuo, con conseguente inammissibilità per difetto di specificità. Del resto, la Corte di appello, in mancanza della prova della gratuità del mutuo, ha correttamente applicato il principio di onerosità del mutuo di cui all’art. 1815 c.c., che prevede, infatti, un’obbligazione accessoria in capo al mutuatario circa il pagamento degli interessi salvo diversa pattuizione, pattuizione che nella specie non è stata dimostrata, come accertato dallo stesso giudice di appello.
Infine, la censura laddove deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. è inammissibile per le ragioni sopra chiarite in tema di doppia conforme, oltre a riguardare questioni di merito la cui indagine è inammissibile in questa sede.
Conclusivamente va respinto il ricorso.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio in cassazione in favore dei controricorrenti, che liquida in complessivi euro 5.800,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte di Cassazione, il 21 ottobre 2021.