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Cassazione Civile 11498/2006 – Concorso del fatto colposo del creditore o del danneggiato – Fattispecie di cui al secondo comma: dovere di correttezza

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Sentenza 11498/2006

Concorso del fatto colposo del creditore o del danneggiato – Fattispecie di cui al secondo comma: dovere di correttezza

Il dovere del danneggiato di attivarsi per evitare il danno secondo l’ordinaria diligenza va inteso come sforzo di evitare il danno attraverso un’agevole attività personale, o mediante un sacrificio economico relativamente lieve, mentre non sono comprese nell’ambito dell’ordinaria diligenza quelle attività che siano gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici, sicché, in tema di responsabilità della p.a. per l’inadempimento ad una convenzione di lottizzazione per effetto di un illegittimo provvedimento di riduzione dell’indice di fabbricabilità e conseguente rigetto di domande di concessione edilizia, non può esigersi dal danneggiato una condotta conformativa a detto provvedimento comportante la rinuncia al bene della vita per il quale il soggetto aveva legittima aspettativa, ed implicante un dovere di presentare un progetto edificatorio conforme all’indice fabbricativo illegittimamente ridotto dal Comune, poiché ciò comporterebbe la rinuncia a realizzare il precedente progetto, con l’unica prospettiva di risarcimento per equivalente.

Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Sentenza 17 maggio 2006, n. 11498   (CED Cassazione 2006)

 Art. 1227 cc annotato con la giurisprudenza

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Pa. Ma. conveniva in giudizio il Comune di Br., innanzi al Tribunale della stessa città, chiedendo la liquidazione dei danni conseguiti ad inadempimenti degli obblighi assunti dall’amministrazione comunale nei confronti della propria dante causa Gi. Pa. con una convenzione di lottizzazione, stipulata il 26 ottobre 1966, e con tre successivi atti del 20 marzo 1967 con cui, tra l’altro, il Comune si era obbligato a realizzare l’impianto di illuminazione ed alcune strade del comprensorio nonché a edificarvi entro tre anni un istituto magistrale da intitolare ad Et. Pa.; l’attore esponeva che la Corte di appello di Lecce, con sentenza del 18 aprile 1977, passata in giudicato, aveva accertato la responsabilità del Comune di Br. in relazione ai detti inadempimenti, ai quali riconduceva: a) il rigetto, nel gennaio 1969, delle istanze per l’ottenimento di licenze edilizie pur conformi alla convenzione di lottizzazione; b) l’introduzione, con delibera n. 87 del 16 marzo 1968 di modifiche alle norme tecniche di attuazione del P.R.G. che avevano ridotto l’indice di edificabilità da 10 a 6 mc./mq.; c) l’impedimento frapposto alla realizzazione della convenzione di lottizzazione. Con lo stesso atto introduttivo il Pa. Ma. chiedeva anche la condanna del convenuto al risarcimento dei danni subiti per il silenzio rifiuto oppostogli in relazione alle istanze di concessione edilizia presentate nel 1977.

Il Tribunale, con sentenza dell’8 febbraio 1999, premesso che tutti gli inadempimenti coperti da giudicato dovevano ricondursi alla illegittima deliberazione n. 87/1968, quantificava il danno risarcibile, secondo quanto ritenuto dai consulenti tecnici d’ufficio, nella differenza, con riferimento alla data del 16 marzo 1968 (data di approvazione della delibera che aveva ridotto gli indici di edificabilità) ed alla data dell’8 giugno 1973 (data in cui il Consiglio di Stato aveva annullato detta delibera), tra gli interessi bancari percepibili sulla somma ricavabile dalla vendita dei suoli lottizzati con un indice di 10 mc./mq. e gli interessi che sarebbero maturati sulla somma ottenibile dalla stessa vendita con il minore indice di 6 mc./mq.; pertanto, condannava il Comune di Br. al pagamento della somma di £ 124.708.656, oltre rivalutazione ed interessi sulla somma rivalutata. Il Tribunale rigettava, invece, le ulteriori domande di risarcimento assumendo che l’attore non aveva dimostrato che anche il silenzio rifiuto sulle istanze di concessione presentate nel 1977 era stato dichiarato illegittimo dal giudice amministrativo.

Avverso detta sentenza il Pa. Ma., in via principale, ed il Comune di Br., in via incidentale, proponevano gravami che la Corte di appello di Lecce, con sentenza del 12 marzo 2001, accoglieva parzialmente, liquidando il danno in via equitativa in £ 150.000.000, oltre rivalutazione ed interessi sulle somme via via rivalutate. A sostegno della decisione la Corte di appello osservava che: 1) il passaggio in giudicato della sentenza del 18 aprile 1977 non consentiva al Comune di invocare il principio dello ius variandi accordato alla P.A. in tema di scelte urbanistiche; 2) il pregiudizio economico subito dal Pa. Ma. andava individuato non solo nelle conseguenze della illegittima deliberazione n. 87/1968 (da ritenersi assorbente rispetto al rigetto delle domande di licenza edilizia ed alla temporanea mancata realizzazione del programma di lottizzazione) ma anche nelle conseguenze della mancata realizzazione di strade e impianti di illuminazione e consisteva nella perdita delle aspettative di guadagno, da valutarsi, come lucro cessante e in via equitativa; quanto, invece, alla mancata realizzazione di scuole, l’inadempimento del Comune non avrebbe impedito, se non in termini di minore appetibilità degli insediamenti, l’attuazione del programma edilizio; 3) il danno doveva essere liquidato tenendo conto, ai sensi dell’art. 1227 c.c., del concorso colposo del danneggiato – creditore che avrebbe potuto limitare le conseguenze dannose degli illeciti ascrivibili al Comune, ridisegnando il programma costruttivo secondo gli indici di edificabilità ridotti dalla delibera n. 87/1968, e che, invece, con la sua inerzia aveva reso possibile la definitiva inedificabilità della zona conseguita alla destinazioni previste dal P.R.G. del 1980; 4) il danno, pertanto, tenuto conto dei criteri di liquidazione suggeriti dai consulenti tecnici d’ufficio, era liquidabile in via equitativa in £ 150.000.000 con valutazione riferita al giugno del 1973, epoca dell’annullamento, da parte del Consiglio di Stato della delibera n. 87/1968; 5) quanto al silenzio rifiuto sulle domande di concessione presentate nel 1977, malgrado il comportamento della P.A. fosse stato dichiarato illegittimo dal TAR di Puglia, sezione di Lecce, con sentenza n. 977/1987, detto comportamento non poteva determinare un autonomo risarcimento perché il danno doveva ricomprendersi in quello già liquidato, considerato che i progetti del 1977 riproducevano i progetti presentati nel 1968; 5) gli interessi sulla somma liquidata dovevano calcolarsi non sulla somma rivalutata all’attualità ma anno per anno sulla somma via via rivalutata; 6) le spese dei due gradi di giudizio, compensate per un terzo, dovevano porsi a carico del Comune di Br. per i restanti due terzi.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione Pa. Ma.. Il Comune di Br. resiste con controricorso, con cui fa presente l’inabilitazione del Pa. Ma. con sentenza del 17 settembre 2001, e propone ricorso incidentale, illustrato anche con memoria, nella quale viene indicato il giorno 25 giugno 2001 quale data della sentenza di inabilitazione. Pa. Ma. resiste al ricorso incidentale con controricorso. Il Comune di Br. ha anche depositato decreto del 18 dicembre 2001 con cui il giudice tutelare di Brindisi ha nominato un curatore per l’inabilitato Pa. Ma..

I ricorsi, proposti avverso la stessa sentenza, sono stati riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il controricorrente non ha depositato copia della sentenza di inabilitazione del Pa. Ma. ed ha indicato per la stessa due diverse date (25 giugno 2001 e 17 settembre 2001), senza precisare se esse si riferiscano alla decisione o alla pubblicazione ovvero se, come appare probabile, le due date si riferiscano rispettivamente ai due eventi. Pertanto, indipendentemente dalla mancata produzione della sentenza, alla stregua delle stesse indicazioni del controricorrente non emerge che il ricorso (notificato il 13 luglio 2001) sia stato proposto dopo la pubblicazione della sentenza di inabilitazione, e perciò dopo la produzione dei suoi effetti (art. 421 c.c.). Questa Corte è, quindi, esonerata dall’esame della questione relativa alle conseguenze della inabilitazione sulla capacità processuale del ricorrente.

Con il primo motivo il ricorrente principale deduce il vizio di motivazione e la violazione dell’art. 2909 c.c., lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva omesso di riconoscere un autonomo pregiudizio discendente dall’inadempimento degli oneri assunti dal Comune di Br. con le donazioni modali concluse con gli atti del 20 marzo 1967, integrativi della convenzione di lottizzazione, ed aveva, invece, ritenuto detto pregiudizio assorbito da quello derivante dall’illegittima deliberazione n. 87/1968. In particolare, aveva omesso di considerare che la realizzazione delle opere previste avrebbe consentito la vendita dei lotti anche prescindendo dalla riduzione degli indici di edificabilità.

Il motivo è infondato. La Corte di appello ha preso in considerazione gli inadempimenti degli oneri assunti dal Comune, ha ricondotto a taluni di essi, e cioè alla mancata realizzazione di strade ed illuminazione pubblica. un effetto pregiudizievole che non ha affatto ritenuto assorbito da quello derivante dalla riduzione degli indici di edificabilità e dalla conseguente mancata realizzazione del programma edilizio (v. pag. 10 della sentenza impugnata), mostrando anzi di ritenere che la mancata realizzazione delle opere aveva presumibilmente reso meno appetibili i lotti, indipendentemente dalla riduzione dell’indice di edificabilità, con effetti insensibili al successivo annullamento della delibera di riduzione. Infine, proprio tenendo conto degli effetti pregiudizievoli riconducibili ad alcuni di tali inadempimenti, la Corte di appello ha proceduto alla “globale quantificazione del danno da lucro cessante, a fronte dei fatti pregiudizievoli … identificati”.

Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce violazione degli artt. 793, 1223 e 1226 c.c. nonché vizio di motivazione, lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto che la mancata edificazione delle previste scuole non fosse fonte di danno risarcibile, pur riconoscendo che ne conseguiva una non completa urbanizzazione del comprensorio ed una minore appetibilità dei programmati insediamenti.

Il motivo è fondato. Invero, appare chiara la contraddizione tra il riconoscimento della minore appetibilità dei lotti per la mancata realizzazione delle scuole previste e l’affermazione della non quantificabilità del pregiudizio, sulla base del rilievo che comunque la minore appetibilità non impediva al privato di portare avanti il suo programma edilizio. È evidente, infatti, come del resto la stessa Corte di appello ha ritenuto rispetto alle opere considerate nel primo motivo, che la mancanza di opere di urbanizzazione determinava un minore valore dei lotti, quale che ne fosse l’indice di edificabilità, con conseguente necessità di liquidare il relativo danno.

Con il terzo motivo il ricorrente principale deduce la violazione dell’art. 1227 c.c. ed il vizio di motivazione, lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto il concorso colposo del danneggiato per il fatto che lo stesso non aveva adeguato il programma edilizio ai nuovi indici di edificabilità, imputando così al ricorrente il fatto di non avere prestato acquiescenza ai provvedimenti illegittimi; infatti, non si poteva ritenere che la presentazione di un nuovo programma edilizio fosse compatibile con la salvezza dell’impugnazione proposta, considerato che la pendenza della stessa non avrebbe consentito alla P.A. di convenzionare un nuovo e più ridotto progetto urbanizzativo o, comunque, avrebbe reso inverosimile il consenso della stessa P.A..

Il motivo è fondato. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il dovere dal danneggiato di attivarsi per evitare il danno secondo l’ordinaria diligenza ex art. 1227 secondo comma, c.c., va inteso come sforzo di evitare il danno attraverso un’agevole attività personale, o mediante un sacrificio economico relativamente lieve, mentre non sono comprese nell’ambito dell’ordinaria diligenza quelle attività che siano gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici (v. ex multis e da ultimo Cass. 11 febbraio 2005, n. 2855; Cass. 21 agosto 2004, n. 16530; Cass. 12 luglio 2004, n. 12867). Alla stregua di tale criterio, in tema di responsabilità della P.A. conseguente ad un provvedimento illegittimo, non si può esigere dal danneggiato una condotta che si conformi a detto provvedimento, quando essa comporti la rinuncia a conseguire, se non per equivalente risarcitorio, il bene della vita al quale lo stesso danneggiato aveva una legittima aspettativa; una tale rinuncia, implicita in tutti i casi in cui l’illegittimità del provvedimento non riguardi soltanto marginali aspetti del bene in discussione, non può, infatti, ricondursi al dovere di ordinaria diligenza che incombe sul creditore – danneggiato. Il dovere giuridico posto a carico del creditore dall’art. 1227 è espressione dell’obbligo di comportarsi secondo i principi generali di correttezza e buona fede di cui all’art. 1175 c.c.; il che esclude che il creditore possa pretestuosamente rifiutare il conseguimento di un bene della vita sostanzialmente identico a quello rispetto al quale aveva una aspettativa tutelata, ma non consente certo di imporre a suo carico, per limitare le conseguenze dannose del comportamento della P.A., il definitivo sacrificio dello stesso interasse leso dall’illegittima attività della P.A.. È da escludersi, quindi, alla stregua di quanto accertato in punto di fatto dalla Corte di merito, che il Pa. Ma. avesse il dovere di presentare un progetto edificatorio conforme all’indice di edificabilità illegittimamente ridotto dal Comune di Br., perché ciò avrebbe comportato la definitiva rinuncia a realizzare il precedente progetto, con una considerevole riduzione della cubatura (da 10 a 6 mc./mq.) e con l’unica prospettiva di un risarcimento per equivalente. Tale comportamento non era, quindi, esigibile e, pertanto, escluso ex art. 384, 1° comma, c.p.c., il concorso colposo del creditore, la Corte di merito, in sede di rinvio, dovrà liquidare il danno, consistente nell’intero lucro cessante conseguente alla mancata realizzazione del programma edilizio con le caratteristiche derivanti dalla prevista esecuzione delle opere di urbanizzazione il cui onere era stato assunto dal Comune.

Con il quarto motivo il ricorrente principale deduce la violazione dell’art. 2043 c.c. e dei principi generali in materia di responsabilità della P.A. per atti illegittimi nonché il vizio di motivazione, lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto che il damo conseguente all’illegittimo rifiuto delle concessioni edilizie richieste nel 1977 era già compreso in quello liquidato in relazione alla illegittima riduzione degli indici di edificabilità. In particolare, il ricorrente osserva che nel 1977 era già intervenuto l’annullamento della delibera di riduzione degli indici e che, pertanto, il rifiuto delle concessioni aveva determinato un danno diverso ed autonomo rispetto al ritardo nell’attuazione del programma lottizzatorio, considerato che l’illegittimo silenzio rifiuto, annullato soltanto nel 1987, aveva consentito che i suoli in questione divenissero assolutamente inedificabili per effetto della loro destinazione a servizi operata dal P.R.G. del 1980.

Il motivo resta assorbito dalla precedente individuazione del danno che non lascia spazio per un ulteriore pregiudizio.

Con il primo motivo il ricorrente incidentale deduce violazione degli artt. 278 e 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., lamentando che la Corte territoriale aveva provveduto alla liquidazione del danno esclusivamente sulla base della consulenza tecnica d’ufficio, incongruamente disposta in assenza di un qualsiasi elemento di prova in ordine all’esistenza ed all’entità del danno.

Il motivo è infondato. Acquisita la prova del danno, consistente nella mancata realizzazione dell’originario programma edilizio, si deve escludere il carattere meramente esplorativo della consulenza tecnica che ha avuto, invece, la normale funzione di fornire al giudice la valutazione dei fatti già probatoriamente acquisiti.

Con il secondo motivo il ricorrente incidentale deduce la violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., lamentando che, in assenza di qualsiasi impugnazione sul punto, la Corte di appello aveva elevato il tasso di interesse dalla misura del 5% al tasso corrente per l’epoca di riferimento.

Il motivo è infondato poiché, come emerge dall’appello incidentale, la censura del Comune investiva le modalità di calcolo della rivalutazione ed interessi; pertanto la Corte di appello, modificando, come le era stato chiesto, i criteri di attualizzazione del riconosciuto debito di valore, ha senza errore proceduto d’ufficio alla determinazione della misura degli interessi diretti a compensare il pregiudizio derivato al danneggiato dalla mancata disponibilità della somma dovuta.

Con il terzo motivo il ricorrente incidentale lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., malgrado il Comune fosse risultato vittorioso nel giudizio di appello.

Il motivo resta assorbito dalla cassazione della sentenza impugnata.

P.Q.M.

Rigetta il primo motivo del ricorso principale; accoglie il secondo ed il terzo motivo; dichiara assorbito il quarto; rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Lecce.

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