Ordinanza 11526/2017
Responsabilità per cose in custodia ex art. 2051 cc – Prova del nesso causale tra evento dannoso e bene in custodia – Caduta su un marciapiede sconnesso e reso scivoloso da un manto di foglie
In tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto eziologiamente riconducibili alla condotta del ricorrente i danni da quest’ultimo sofferti a seguito di una caduta su un marciapiede sconnesso e reso scivoloso da un manto di foglie, posto che l’incidente era accaduto in pieno giorno, le condizioni di dissesto del marciapiede erano a lui note, abitando nelle vicinanze, e la idoneità dello strato di foglie a provocare una caduta era facilmente percepibile, circostanza che avrebbe dovuto indurlo ad astenersi dal transitare per quel tratto di strada).
Cassazione Civile, Sezione 6-3, Ordinanza 11 maggio 2017, n. 11526 (CED Cassazione 2017)
Art. 2051 cc (Danno cagionato da cosa in custodia) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, il Comune di quella città, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lui sofferti a seguito di una caduta determinata dalla presenza di un marciapiede sconnesso e reso scivoloso da un manto di foglie.
Si costituì in giudizio il convenuto, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo il rigetto della domanda.
Fu chiamata in giudizio la s.r.l. (OMISSIS) la quale chiese il rigetto della domanda.
Il Tribunale accolse la domanda e condannò i convenuti in solido risarcimento dei danni detetininati in Euro 37.350, oltre interessi, nonchè al pagamento delle spese di giudizio.
2. Avverso la sentenza è stato proposto appello da parte di Roma Capitale e della s.r.l. (OMISSIS) e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 9 novembre 2015, ha accolto il gravame e, in totale riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda dell’attore e l’ha condannato alla restituzione delle somme percepite, compensando le spese dei due gradi di giudizio.
3. Contro la sentenza d’appello ricorre (OMISSIS) con atto affidato ad un solo motivo.
Resistono Roma Capitale e la s.r.l. (OMISSIS) con due separati controricorsi.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c. e il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo ed unico motivo di ricorso si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., sostenendo che la sentenza avrebbe fatto un’errata applicazione dei principi giurisprudenziali in argomento.
1.1. Il motivo non è fondato.
La Corte d’appello, con un accertamento di merito non sindacabile in questa sede, ha osservato che l’incidente era accaduto in pieno giorno, che le condizioni di dissesto del marciapiede erano ben note al (OMISSIS), che abitava nelle vicinanze, e che lo strato di foglie era idoneo a provocare una caduta, per cui l’attore avrebbe dovuto astenersi dal transitare per quel tratto di strada.
Tale motivazione è in piena armonia con la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha affermato che l’applicazione delle regole di cui all’art. 2051 c.c., presuppone sempre che il danneggiato dimostri il fatto dannoso ed il nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno e che, ove la cosa in custodia sia di per sè statica e inerte, il danneggiato è tenuto a dimostrare altresì che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno (sentenza 5 febbraio 2013, n. 2660). è stato poi riconosciuto che, ai fini di cui all’art. 2051 c.c., il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo del danneggiato (v. da ultimo le sentenze 18 settembre 2015, n. 18317, e 22 giugno 2016, n. 12895).
è appena il caso di ricordare, inoltre, che la più recente giurisprudenza di questa Corte è andata ponendo in evidenza, sul punto in questione, due aspetti di fondamentale importanza: da un lato il concetto di prevedibilità dell’evento dannoso e dall’altro quello del dovere di cautela da parte del soggetto che entra in contatto con la cosa. Questa Corte ha definito il concetto di prevedibilità come concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo ed ha evidenziato che, ove tale pericolo sia visibile, si richiede dal soggetto che entra in contatto con la cosa un grado maggiore di attenzione, proprio perchè la situazione di rischio è percepibile con l’ordinaria diligenza (v. le sentenze 22 ottobre 2013, n. 23919, e 20 gennaio 2014, n. 999, nonchè le ordinanze 9 marzo 2015, n. 4661, e 6 luglio 2015, n. 13930).
2. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
In considerazione degli alterni esiti dei giudizi di merito, la Corte ritiene equo compensare integralmente le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono tuttavia le condizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 2 marzo 2017.