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Cassazione Civile 11671/2018 – Appalto non implicante il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sulla cosa – Dovere di custodia e di vigilanza in capo al committente detentore – Lastrico solare

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Ordinanza 11671/2018

 

Appalto non implicante il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sulla cosa – Dovere di custodia e di vigilanza in capo al committente detentore – Lastrico solare

Nel caso di appalto che non implichi il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguita l’opera appaltata, non viene meno per il committente e detentore del bene il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilità ex art. 2051 c.c. che, essendo di natura oggettiva, sorge in ragione della sola sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha determinato l’evento lesivo. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il lastrico solare, indipendentemente dalla sua consegna all’appaltatore, rimanga sempre nella disponibilità del condominio committente per via della sua funzione primaria di copertura e protezione delle sottostanti strutture murarie).

Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 14 maggio 2018, n. 11671

Art. 2051 cc (Danno cagionato da cosa in custodia) – Giurisprudenza

 

 

FATTO E DIRITTO

Osservato che (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nonchè (OMISSIS), quali proprietari, il primo in via esclusiva, dell’immobile sito in (OMISSIS), e tutti, in comunione tra loro, dell’immobile sito nel medesimo stabile, int. (OMISSIS), a seguito di infiltrazioni di acqua nei predetti cespiti provenienti dal lastrico di copertura, convennero in giudizio, innanzi al Tribunale di Genova, il CONDOMINIO (OMISSIS) (d’ora in avanti, breviter, CONDOMINIO) nonchè l’IMPRESA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante p.t, quale appaltatrice dei lavori di manutenzione del lastrico, al fine di sentirli condannare, in solido tra loro, al ristoro dei danni in conseguenza patiti;

che, intervenuti altresì nel giudizio (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (quali proprietari di altre unità immobiliari interessate dal medesimo fenomeno percolativo), il Tribunale di Genova accolse la domanda nei soli confronti dell’IMPRESA (OMISSIS), rigettandola nei confronti del CONDOMINIO;

che, a seguito di gravame proposto da (OMISSIS), (OMISSIS), quale erede di (OMISSIS) nonchè esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore (OMISSIS), anch’essa erede di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte di appello di Genova riformò parzialmente la decisione di primo grado, per l’effetto condannando il CONDOMINIO, in solido con la DITTA (OMISSIS), al risarcimento dei danni subiti dagli appellanti, con la sola esclusione del pregiudizio non patrimoniale patito dalla (OMISSIS);

che avverso tale decisione il CONDOMINIO ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.;

che si sono costituiti ed hanno resistito, con controricorso, (OMISSIS), (OMISSIS), quale erede di (OMISSIS) nonchè esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore (OMISSIS), anch’essa erede di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), tutti anche quali eredi di (OMISSIS);

che sono rimasti contumaci, benchè ritualmente evocati in giudizio, gli altri intimati (OMISSIS), (OMISSIS), nella qualità di erede di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), nella qualità di erede di (OMISSIS), mentre, per quanto concerne la posizione di (OMISSIS), pur non essendo presente agli atti l’avviso di ricevimento della notifica ex art. 140 c.p.c. eseguita nei confronti dello stesso (cfr. la relata di notifica in calce al ricorso), cionondimeno non va disposta alcuna rinnovazione della notifica del ricorso, in ragione dell’esito finale della decisione (Cass., Sez. U, 3.11.2008, n. 26373, Rv. 605610-01);

che, con i primi quattro motivi, parte ricorrente lamenta la violazione, sotto plurimi profili, degli artt. 1655, 2051 e 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto il CONDOMINIO corresponsabile dei danni in questione, nonostante (a) l’avvenuta consegna, all’IMPRESA (OMISSIS), del lastrico da cui promanavano le infiltrazioni in questione, per l’esecuzione dei relativi lavori di manutenzione, (b) l’autonomia decisionale dell’appaltatrice in relazione alle opere da eseguirsi e, (c) anche tenuto conto della tempistica di verificazione degli eventi meteorologici causa dei fenomeni infiltrativi, (d) l’assenza, rispetto ad essi, di una relazione di custodia su detto bene imputabile al CONDOMINIO medesimo;

che, con il quinto motivo, parte ricorrente si duole della violazione dell’art. 92 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,), sia per avere erroneamente posto le spese di lite a carico del CONDOMINIO, nonostante l’assenza di soccombenza di quest’ultimo, sia per non avere comunque considerato, ai fini di una compensazione parziale, il rigetto della domanda proposta da (OMISSIS);

che i primi quattro motivi – da esaminare congiuntamente, stante l’identità di questioni agli stessi sottese – sono infondati; che, infatti, la Corte di appello ha ampiamente e congruamente motivato (cfr. pp. 5-7) in ordine alla (cor)responsabilità del CONDOMINIO per l’omessa adozione, nel periodo oggetto di valutazione (4.8.2000-4.12.2000), di concrete misure di precauzione – concettualmente diverse dal semplice sollecito alla appaltatrice di procedere alla ripresa dei lavori – atte ad evitare il (ri)prodursi dei fenomeni infiltrativi per cui è causa e, tanto, nonostante la pacifica conoscenza, ad opera dell’assemblea (proprio per tale ragione riunitasi in piu’ occasioni), “della grave situazione di degrado degli immobili degli appellanti e della saltuarietà degli interventi dell’impresa (OMISSIS)”;

che parte ricorrente vorrebbe pertanto sostituire una propria diversa ricostruzione dei fatti a quella compiuta dalla Corte territoriale, in tal modo, tuttavia, esorbitando dai limiti del vizio motivazionale denunziabile in sede di legittimità, ormai circoscritto, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio in questione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Cass., Sez. U., 7.4.2014, n. 8053, Rv. 629830-01, cit. nonchè, da ultimo, Cass., Sez. 3, 12.10.2017, n. 23940, Rv. 645828-01). In particolare, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., Sez. 6-5, 7.4.2017, n. 9097, Rv. 643792-01);

che, per altro verso, il ricorso – e, in specie, il quarto motivo pecca, in parte qua, anche di specificità (cfr. art. 366 c.p.c., n. 6), avendo la difesa del CONDOMINIO omesso di trascrivere il contenuto degli atti – provenienti dall’amministratore come dall’assemblea (solo genericamente richiamati alle pp. 21-24 dell’atto introduttivo della presente fase di giudizio) – la cui valutazione sarebbe stata omessa dalla Corte territoriale e dai quali dovrebbe invece emergere il comportamento diligente della parte ricorrente (consistente nel disporre l’adozione di precauzioni atte a limitare i danni già verificatisi nonchè ad evitare il prodursi di nuovi), così precludendo alla Corte ogni valutazione in merito;

che, ad ogni buon conto, la Corte territoriale si è attenuta ai pacifici principi applicabili in tema di appalto, per cui, se è vero che l’autonomia dell’appaltatore comporta che, di regola, egli deve ritenersi unico responsabile dei danni derivati a terzi dall’esecuzione dell’opera, potendo configurarsi una corresponsabilità del committente soltanto in caso di specifica violazione di regole di cautela nascenti ex art. 2043 c.c., ovvero nell’ipotesi di riferibilità dell’evento al committente stesso per culpa in eligendo (per essere stata affidata l’opera ad un’impresa assolutamente inidonea) ovvero quando l’appaltatore, in base a patti contrattuali, sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente, agendo quale nudus minister dello stesso (Cass., Sez. 2, 25.1.2016, n. 1234, Rv. 638645-01), cionondimeno: a) il committente può essere chiamato a rispondere dei danni derivanti dalla condizione della cosa di sua proprietà laddove, per sopravvenute circostanze di cui sia venuto a conoscenza – come, ad es., nel caso di abbandono del cantiere o di sospensione dei lavori da parte dell’appaltatore – sorga a carico del medesimo il dovere di apprestare quelle precauzioni che il proprietario della cosa deve adottare per evitare che dal bene derivino pregiudizi a terzi (Cass., Sez. 2, 15.6.2010, n. 14443, in motivazione); b) ove l’appalto non implichi il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguita l’opera appaltata, non viene meno per il committente e detentore del bene il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilità ex art. 2051 c.c. che, essendo di natura oggettiva, sorge in ragione della sola sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha determinato l’evento lesivo (Cass., Sez. 3, 18.7.2011, n. 15734, Rv. 619067-01);

che, a tale ultimo riguardo ed in aggiunta a quanto in precedenza esposto, va comunque osservato che, già in linea astratta, il lastrico svolge, indipendentemente dal regime proprietario ovvero da una sua fruizione diretta, una ineludibile funzione primaria di copertura e protezione delle sottostanti strutture (arg. da Cass., Sez. 6-2, 9.8.2017, n. 19779, Rv. 645340-01 e da Cass., Sez. U., 10.5.2016, n. 9449, Rv. 639821-01): sicchè, quantomeno sotto tale profilo ed indipendentemente dall’avvenuta “consegna” – quale area di cantiere – all’appaltatore, per l’esecuzione di lavori volti alla relativa manutenzione o ristrutturazione, il lastrico deve considerarsi nella persistente disponibilità del condominio, con conseguente permanenza, in capo a quest’ultimo, delle obbligazioni connesse alla sua custodia e delle connesse responsabilità per il relativo inadempimento (arg. Da Cass., Sez. 3, 18.7.2011, n. 15734, Rv. 619067-01, cit.);

che risulta altresì inammissibile il quinto motivo;

che, infatti, la Corte di appello ha pacificamente applicato, nella liquidazione delle spese del doppio grado di merito, il principio della soccombenza il quale, diversamente dalla compensazione, non richiede alcun obbligo di motivazione (neppure implicita, stante l’applicabilità, nella specie, dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nella formulazione precedente alla novella introdotta con la L. n. 263 del 2005, trattandosi di giudizio instaurato, in prime cure, anteriormente all’1.3.2006). Peraltro, la facoltà di disporre la compensazione, tra le parti, delle spese processuali rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione. (Cass., Sez. U., 15.7.2005 n. 14989);

Ritenuto, dunque, che il ricorso debba essere rigettato, con condanna del CONDOMINIO al pagamento, in favore dei controricorrenti costituitisi, delle spese del presente grado giudizio, liquidate come da dispositivo, nulla dovendosi disporre al riguardo, invece rispetto agli altri intimati, che non hanno svolto alcuna attività difensiva;

che, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del CONDOMINIO ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente CONDOMINIO DI (OMISSIS), in persona dell’amministratore p.t., al pagamento, in favore dei controricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), quale erede di (OMISSIS) nonchè esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore (OMISSIS), anch’essa erede di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 (cinquemila/00) per compenso professionale ed Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso professionale ed agli accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente CONDOMINIO DI (OMISSIS), in persona dell’amministratore p.t., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 5.2.2018.