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Cassazione Civile 11737/2018 – Procura – Forma a substantiam 

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Sentenza 11737/2018

Procura – Forma a substantiam

L’art. 1392 c.c. sulla forma della procura si applica agli atti unilaterali negoziali ex art. 1324 c.c., ma non agli atti in senso stretto, come la ricezione della prestazione, sicché la rappresentanza a ricevere l’adempimento ex art. 1188, comma 1, c.c. può risultare da una condotta concludente, dimostrabile con ogni mezzo, incluse le presunzioni. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto dotato di efficacia liberatoria il pagamento effettuato a società diversa da quella creditrice, valorizzando la circostanza che quest’ultima aveva assentito, sia in termini generali che con specifico riferimento alla fattura oggetto di causa, ad un sistema di liquidazione dei propri crediti mediante versamento su un conto corrente intestato alla predetta diversa società, la quale, pertanto, risultava aver operato come legittimata, in via di fatto, a ricevere l’adempimento).

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 15-5-2018, n. 11737

Art. 1392 cc (Forma della procura) Giurisprudenza 

 

 

FATTI DI CAUSA

  1. La società C.C.C. S.p.a. (d’ora in poi, “C.C.C.”) ricorre per cassazione, sulla base di tre motivi, avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 447/14 del 14 gennaio 2014 che – rigettando il gravame dell’odierna ricorrente avverso la sentenza n. 19127/07 del 4 ottobre 2007 del Tribunale di Roma – ha respinto la domanda da essa C.C.C. proposta per la condanna della società Co. S.p.a., nonché delle società B.R. S.p.a. e C.L.F. S.p.a., al pagamento della somma di € 454.209,81 di cui alla fattura n. 1014 del 10 agosto 2002, oltre interessi, rivalutazione monetaria e maggior danno dal giorno del dovuto al saldo.
  2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di aver costituito in data 24 agosto 2000 – all’esito di procedura di incanto, indetta dalla società Aeroporto (OMISSIS) S.p.a. (d’ora in poi, “società (OMISSIS)”), avente ad oggetto l’esecuzione di lavori di interramento della linea ferroviaria di cintura Roma-Milano – un’associazione temporanea di imprese con la società C.C. S.C.aR.L., che all’interno dell’ATI assumeva la posizione di capogruppo. A quest’ultima, pertanto, veniva conferito mandato speciale con rappresentanza, affinché compisse, nei rapporti con l’amministrazione appaltante, ogni attività giuridica connessa o dipendente dall’appalto aggiudicato alla predetta ATI, ed in particolare, tra le altre, “la stipula del contratto e degli atti contrattuali e consequenziali necessari per l’affidamento, la gestione e l’esecuzione dei suddetti lavori”.

Deduce, inoltre, parte ricorrente che la predetta C.C. S.C.aR.L, in data 30 novembre 2000, stipulava con Co. F.L. S.p.a. (poi incorporata in Co. S.p.a.) – società con la quale C.C. S.C.aR.L intratteneva, sin dal 19 maggio 1995, un rapporto contrattuale di factoring – un contratto di cessione dei crediti dalla prima maturati e maturandi verso la società (OMISSIS), in relazione ai già citati lavori di interramento della linea ferroviaria Roma-Milano.

Ciò premesso, deduce che – successivamente alla stipulazione del testé menzionato contratto di cessione dei crediti – la società (OMISSIS) ha sempre provveduto al saldo, su conto corrente di Co. S.p.a., delle fatture emesse da essa C.C.C. in relazione ai lavori dalla medesima eseguiti nell’ambito del già ricordato appalto pubblico, sicchè l’odierna ricorrente ha sempre percepito con regolarità (salvo che nel caso oggetto del presente giudizio) i corrispettivi di propria spettanza, con liquidazione operata talvolta da C.C. S.C.aR.L., talaltra direttamente da Co. S.p.a.

L’unica eccezione, tuttavia, avrebbe riguardato l’importo indicato nella fattura n. 1014 del 1° agosto 2002, pari ad C 454.209,81, giacché esso – sebbene versato dalla società (OMISSIS) a Co. S.p.a. – non veniva da quest’ultima corrisposto a C.C.C.

Su tali basi, e non senza rammentare che con atto notarile del 28 giugno 2004 Co. S.p.a. attuava un progetto di scissione societaria, assegnando parte del proprio patrimonio a B.R. S.p.a. e C.L.F. S.p.a. (società entrambe da ritenere responsabili in solido, con la società scissa, dei debiti da questa precedentemente contratti), conveniva in giudizio l’una come le altre, per vedere accogliere la già ricordate conclusioni.

Costituitesi in giudizio le convenute, ed eccepito dalle stesse il proprio difetto di legittimazione passiva, il Tribunale di Roma rigettava la domanda dell’odierna ricorrente, la quale – al fine di conseguire la riforma di tale decisione – gravava la stessa con atto di appello.

La Corte capitolina rigettava però il gravame, accogliendo l’eccezione di difetto di legittimazione passiva delle convenute, nei termini di seguito meglio precisati.

Essa, in particolare, rilevava che, con “lettera in data 1°-8-2002”, C.C.C. ebbe ad esprimere “il proprio assenso a che il pagamento della fattura n. 1014 avvenisse mediante accreditamento sul conto corrente della mandataria acceso presso Co. s.p.a.”. Siffatto documento – secondo la ricostruzione che del decisum del giudice di appello propone l’odierna ricorrente – rileverebbe come “fatto certo” che, nell’ambito della già ricordata ATI, “la mandante” (ossia la predetta C.C.C.) “aveva volontariamente assentito affinché il pagamento che le era dovuto dalla società appaltante a causa della suddetta fattura avvenisse mediante accredito sul conto corrente che la mandataria” (ovvero, C.C. S.C.aR.L.) “aveva accesso presso la terza Co. nell’ambito della cessione di credito esistente tra questa e la mandataria medesima”, di talché era la predetta C.C. S.C.aR.L. che avrebbe dovuto riversare tale importo all’odierna ricorrente, donde il difetto di legittimazione di tutte le convenute.

  1. Avverso la sentenza della Corte capitolina ha proposto ricorso per cassazione C.C.C., sulla base – come detto – di tre motivi.

3.1. Con il primo motivo è dedotta – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – “violazione e falsa applicazione di norme di diritto”, e ciò “in relazione agli artt. 1704 e 1387 cod. civ. sul contratto di mandato con rappresentanza in riferimento alla normativa concernente le associazioni temporanee di imprese di cui agli artt. 93 e ss. del d.P.R. n. 554 del 1999”.

Sul presupposto che il rapporto di mandato intercorrente tra le imprese costituite in ATI per la gestione di appalti e concessioni di lavori pubblici “non determina di per sé organizzazione o associazione delle imprese riunite” (giacché ciascuna conserva – ai sensi, in particolare, dell’art. 95 del suddetto d.P.R. 21 dicembre del 1999 n. 554 – “la propria autonomia ai fini della gestione, degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali”), la ricorrente rileva come il contratto di mandato con rappresentanza intercorso tra essa C.C.C. e C.C. S.C.aR.L., “lungi dal conferire alla capogruppo un’autonomia contrattuale illimitata ed estesa al compimento di qualsivoglia atto”, delimitava, invece, tanto “l’oggetto del mandato”, quanto “il soggetto nei confronti del quale la capogruppo era legittimata a compiere tale attività”, ovvero “la sola amministrazione appaltante”.

In relazione, in particolare, a questo secondo profilo, si sottolinea come la Corte di Appello di Roma avrebbe errato, innanzitutto, nel considerare “il mandato speciale con rappresentanza istitutivo dell’ATI come legittimante l’impresa capogruppo a concludere contratti” – suscéttibili di ricadere nella sfera giuridica del mandante – “non solo con l’ente appaltante, ma, altresì, con soggetti terzi”. Una simile interpretazione, difatti, si porrebbe in contrasto con l’art. 93, comma 6, del d.P.R. n. 554 del 1999, a norma del quale l’impresa capogruppo “ha la rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti nei confronti della stazione appaltante” (ma di essa soltanto), “per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto”.

D’altra parte, e quanto al primo profilo, anche a voler tacere del fatto – sul quale insiste, in particolare, il secondo motivo di ricorso – che la mancata “spendita del nome del rappresentato” conferma che C.C. S.C.aR.L., nel dare vita al contratto di cessione del credito, avrebbe operato non in qualità di “capogruppo mandataria”, bensì nell’esplicazione “della propria autonomia contrattuale” (e, segnatamente, nell’ambito del rapporto di factoring che già la legava a Co. S.p.a.), deve evidenziarsi che la cessione del credito “non rientrava nemmeno tra le operazioni consentite” alla capogruppo dalla clausola n. 1 del contratto costitutivo dell’ATI”.

Né, poi, la cessione potrebbe “essere qualificata o considerata quale atto consequenziale necessario «per l’affidamento, la gestione e l’esecuzione»” dei lavori appaltati, né essere ritenuta “funzionale e necessaria «al buon esito del mandato»”, non risultando che ad esso “abbia in qualche modo giovato”.

3.2. Il secondo motivo ipotizza – sempre ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – “violazione e falsa applicazione di norme di diritto” in relazione “agli artt. 1398 e 1399 cod. civ. e ss. rispettivamente sulla «spendita del nome» e sulla «ratifica»”, nonché con riferimento “all’art. 1388 cod. civ.” in tema di contemplatio domini.

L’assunto di fondo è che la Corte di Appello abbia considerato, erroneamente, il contegno posto in essere da C.C. S.C.aR.L. quello proprio di un falsus procurator, che essa C.C.C. avrebbe poi ratificato con la missiva del 10 agosto 2002.

Essa avrebbe, in tal modo, disatteso il principio secondo cui l’applicazione della disciplina sulla falsa rappresentanza, ravvisabile in caso di difetto di potere rappresentativo o di eccesso dallo stesso, presuppone pur sempre la spendita del nome (qui, viceversa, mancata), in assenza della quale si verterebbe – e ciò persino nell’ipotesi “di effettivo mandato” – nella “diversa fattispecie del mandato senza rappresentanza”.

Assume, poi, la ricorrente che la contemplatio domini dovrebbe, oltretutto, sempre “risultare da una dichiarazione espressa ed univoca” (come avrebbe affermato la giurisprudenza di legittimità proprio con riferimento ad un caso che coinvolgeva un’ATI; è citata Cass. Sez. 3, sent. 17 settembre 2005, n. 18441), mentre, nel caso in esame, la Corte capitolina avrebbe valorizzato una serie di elementi presuntivi, per giunta “del tutto irrilevanti ai fini della prova che, in concreto, vi fu un comportamento della mandataria che, per univocità e concludenza, potesse ritenersi idoneo a portare a conoscenza dell’altro contraente che egli agiva (anche) per un soggetto diverso”.

3.3. Il terzo motivo è simultaneamente formulato ai sensi del n. 3) del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ., per “violazione degli artt.115 e 116 cod. proc. civ.”, nonché del n. 5) del medesimo comma dello stesso articolo, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.

Per un verso, si censura la sentenza impugnata laddove “ha del tutto ignorato” la circostanza che i movimenti di danaro intercorsi tra Co. S.p.a. e C.C. S.C.aR.L., “anche dopo la stipula ed esecuzione del contratto di appalto, abbiano continuato ad essere regolati sul conto corrente utilizzato abitualmente dalle due imprese in parola per tutti gli affari relativi al rapporto di factoring” (tra di esse intercorrente sin dal 1995), così come è stato “omesso di considerare che la odierna ricorrente aveva ricevuto regolarmente il pagamento delle fatture precedentemente emesse (e, dunque, i corrispettivi di propria spettanza anche laddove erogati dalla stazione appaltante sul conto corrente di Co.)”, ricevendoli talora da C.C. S.C.aR.L., talaltra da Co. S.p.a. Né, d’altra parte, potrebbe assumere importanza – secondo l’odierna ricorrente – la circostanza che essa C.C.C. “non abbia rilevato alcunché in ordine ai pagamenti provenienti da Co.”, giacché priva di interesse a farlo, a norma dell’art. 1180, comma 1, cod. civ., posto che essendo l’obbligazione di corrispondere denaro – in quanto bene fungibile – del tutto generica, la stessa può essere adempiuta da chiunque.

Orbene, rileva conclusivamente – sul punto – la ricorrente, ove la Corte di Appello avesse “congruamente apprezzato tali circostanze” avrebbe dovuto attribuire alla missiva del 1° agosto 2002 “una portata del tutto diversa da quella, di fatto, attribuitale”, ovvero che con essa C.C.C. si era limitata “semplicemente ad autorizzare una determinata modalità di pagamento”, senza esprimere “alcuna volontà abdicativa del proprio credito”.

Per altro verso, il ricorrente censura l’omessa pronuncia della Corte di Appello sulla legittimazione passiva delle società B.R. S.p.a. e C.L.F. S.p.a., la cui responsabilità, solidalmente con Co. S.p.a., deriverebbe dall’art. 2506-quater cod. civ., senza necessità che il debitore originario (nella specie, Co. S.p.a.) venga preventivamente escusso.

Né, poi, una simile responsabilità potrebbe ritenersi elisa dalla specificazione (contenuta nel progetto di scissione) che tutti i rapporti attivi e passivi intercorrenti tra C.C. S.C.aR.L e Co. S.p.a. rimanevano di esclusiva spettanza di quest’ultima, trattandosi di circostanza “rilevante ai soli fini del riparto del patrimonio della società scissa, senza incidere sulla attribuzione di responsabilità solidale in capo alle imprese beneficiarie della scissione”, secondo quanto chiarito dall’art. 2506-quater cod. civ., che, “come limite alla responsabilità solidale, individua non la quota di patrimonio spettante alle distinte società, bensì il «valore del patrimonio netto assegnato o rimasto»”.

  1. Ha resistito, con controricorso, alla descritta impugnazione Co. S.p.a. in liquidazione.

Ribadisce, in punto di fatto, la controricorrente che, già pendente un contratto di factoring tra Co. S.p.a. e C.C. S.C.aR.L., interveniva tra di esse una cessione di crediti mediante la quale la prima acquistava dalla seconda “tutti i crediti da questa maturati e maturandi nei confronti della società Aeroporto (OMISSIS), in ragione e dipendenza del già richiamato contratto di appalto”.

In particolare, Co. s.p.a., in forza di tale ulteriore relazione contrattuale, avrebbe “ricevuto il pagamento dei corrispettivi maturati e maturandi in esecuzione del contratto di appalto”, su un proprio conto corrente bancario, per poi versare a C.C. S.C.aR.L. “un corrispettivo pari al valore nominale dei crediti ceduti e, se futuri, venuti ad esistenza e fatturati al netto delle somme a qualsiasi titolo trattenute dal Debitore”, e ciò “al momento dell’effettivo incasso”, fatta, peraltro, salva la possibilità di un pagamento “in via anticipatoria”. Comunicata la cessione alla società debitrice, la medesima accettava la stessa, “obbligandosi a corrispondere a Co. i pagamenti cui la medesima era tenuta in dipendenza del predetto contratto di appalto”.

In forza, dunque, di tali complessive pattuizioni, Co. S.p.a. – si sottolinea sempre nel controricorso – ha erogato a C.C. S.C.aR.L. “le anticipazioni pattuite e, di volta in volta, quest’ultima le ha trasmesso i documenti attestanti l’avanzamento dei lavori appaltati e l’importo delle opere eseguite e ricomprese nella cessione dei crediti”, per poi provvedere, “entro brevissimo termine dall’accredito dei pagamenti pervenuti dalla stazione appaltante sul proprio c/c, a versare all’ATI gli importi corrispondenti alle somme indicate in ogni singola fattura emessa dalle due imprese partecipanti alla predetta associazione”. Nello specifico, si legge ancora nel controricorso, Co. S.p.a. ha provveduto ai suddetti versamenti “sul c/c accesso presso la Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.a. agenzia di Argenta”, intestato a C.C. S.C.aR.L., “autorizzata a ricevere, anche in nome e per conto del Consorzio C.C. s.p.a. (mandante), il pagamento dei corrispettivi periodici dovuti dalla Società Appalltante/Cornmittente, in corrispondenza degli stati di avanzamento lavori”, e ciò in quanto società “Capogruppo mandataria dell’ATI”. Il ricorso, pertanto, al suddetto conto corrente – corrispondente “ad un prassi ben consolidata tra le parti” – valeva a costituire, secondo tale prospettazione, una modalità operativa con cui la C.C. S.C.aR.L. “adempiva anche gli obblighi assunti nei confronti del Consorzio C.C. s.p.a., con il mandato collettivo speciale con rappresentanza”, giacché concernente, tra l’altro, “l’incasso” di tutte le somme dovute dalla società (OMISSIS); per contro, nessun obbligo avrebbe assunto Co. S.p.a. di “girare la somma portata da ciascuna fattura” a beneficio dell’odierna ricorrente C.C.C.

Del resto, una conferma a tale ricostruzione dei fatti verrebbe dai due pagamenti effettuati direttamente a quest’ultima su un conto corrente ad essa direttamente intestato (rispettivamente in data 15 maggio 2002 e 19 giugno 2002, per gli importi di C 136.768,41 e C 410.331,42), giacché in ambo i casi C.C. S.C.aR.L., sempre in qualità ‘di mandataria, avrebbe “espressamente richiesto” che, “in via del tutto eccezionale”, si procedesse in tal senso. Per contro, nel caso della fattura relativa all’importo per cui è giudizio, non solo “nessuna disposizione di versamento diretto” a favore di C.C.C. è pervenuta a Co. S.p.a., ma sussisterebbe, invece, prova documentale – la già citata missiva del 10 agosto 2002 – che il pagamento sarebbe dovuto avvenire a C.C. S.C.aR.L. quale “capogruppo mandataria dell’ATI appaltatrice dei lavori citati in oggetto” in virtù di “assenso” di C.C.C. “in merito alle modalità di accredito di detta fattura”.

Ciò premesso, l’odierna controricorrente – nel sottolineare come Co. S.p.a. avrebbe, anche in questo caso, operato “in adempimento degli obblighi assunti” (e non senza ulteriormente rammentare che l’ammissione di C.C. S.C.aR.L., con decreto del 13 agosto 2003, alla procedura di amministrazione straordinaria, previa declaratoria del suo stato di insolvenza, avrebbe indotto C.C.C. ad “indirizzare altrove le proprie pretese” per “sottrarsi alla falcidia derivante dalla ripartizione della massa attiva tra i numerosi creditori”) – ha chiesto, in via preliminare, dichiararsi l’inammissibilità e improponibilità della domanda di C.C.C., per la totale propria estraneità rispetto alle rivendicazioni da essa avanzate, ovvero la conferma del riconosciuto difetto di legittimazione passiva.

Nel merito, in ogni caso, Co. S.p.a, ha eccepito l’infondatezza dell’avversario ricorso, sottolineando come nessun dubbio parrebbe sussistere in ordine al fatto che essa avrebbe “ben pagato” a C.C. S.C.aR.L. la somma di C 454.209,81, essendo la stessa “legittimata a riceverlo, con effetto liberatorio definitivo per essa Co.”, in forza dell’art. 1188 cod. civ., trattandosi di pagamento fatto al rappresentante di C.C.C., stante la qualità di mandataria capogruppo dell’ATI posseduta dall’accipiens. Oltretutto, diversamente opinando, oltre ad esporsi Co. “al rischio di dover pagare due volte la medesima prestazione”, si sarebbe preteso dalla stessa di rendersi “inadempiente agli obblighi in capo ad essa gravanti e che la vincolavano ad eseguire il versamento solo ed esclusivamente nei confronti della mandataria”.

Né, d’altra parte, coglierebbero nel segno gli avversari motivi di ricorso, giacché i primi due sarebbero frutto “di un evidente errore di ricostruzione” della sentenza impugnata, visto che la stessa “non ha motivato la propria pronuncia di difetto di legittimazione passiva in capo all’odierna controricorrente (e così in capo agli altri convenuti), sulla scorta della sussistenza, nei rapporti con la Co. S.p.a., di un mandato con rappresentanza e/o di una ipotesi di falsus procurator e di successiva ratifica della cessione del credito” da parte di C.C.C., apparendo una simile impostazione, piuttosto, come “una autonoma iniziativa dell’odierno ricorrente”. Privi di pertinenza, dunque, sarebbero “i richiami normativi compiuti” dalla ricorrente, che non avrebbe colto l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, ovvero il consenso di C.C.C. “alla operazione di incasso della fattura”, e non anche “all’intero contratto di cessione”.

D’altra parte, prima ancora che infondato, “addirittura incomprensibile” sarebbe il terzo motivo di ricorso, nella censura “afferente l’errata applicazione dei principi in tema di prova presuntiva”, posto che la Corte capitolina non avrebbe “effettuato alcun ragionamento di natura presuntiva”, avendo invece posto, “alla base delle decisioni, fatti e circostanze emergenti per tabulas e dettagliatamente, singolarmente ed efficacemente indicati a corredo della decisione”. Quanto, infine, alla censura di supposta di “arbitraria ed incompleta valutazione delle prove”, posto che la Corte di Appello di Roma avrebbe omesso di “attribuire il necessario rilievo a taluni elementi oggetto di discussione tra le parti”, si sottolinea come il giudice del gravame abbia, invece, “dato prova di avere dettagliatamente esaminato tutta la documentazione versata in atti”.

  1. È intervenuta nel presente giudizio di legittimità la società Unicredit S.p.a., quale incorporante per fusione la UniCredit Corporate Banking S.p.a. (quest’ultima, a sua volta, subentrata alle società UniCredit Mediocredito centrale S.p.a. e UniCredit B.R. S.p.a., succedute alle originaria convenute in giudizio C.L.F. S.p.a. e B.R. S.p.a.), per resistere con controricorso all’impugnazione di C.C.C., sulla base di considerazioni analoghe a quelle svolte da Co. S.p.a., e per proporre ricorso incidentale condizionato, sulla base di unico motivo.

In particolare, si deduce – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. – l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero il difetto di legittimazione passiva delle originarie convenute in giudizio e, ora, di essa Unicredit S.p.a.

Censura, in particolare, l’assorbimento, nella pronuncia della Corte di Appello, dell’eccezione di difetto di legittimazione già sollevata da ambo le originarie convenute, la cui “decisività” non potrebbe essere revocata in dubbio, visto che il suo accoglimento “avrebbe determinato, in via preliminare e con esonero dell’esame del merito, la risoluzione della vertenza” con riguardo alla stesse.

Sul punto, dunque, assume l’esistenza di “una interpretazione non corretta del disposto dell’art. 2506-quater, comma 3, cod. civ.”, giacché la circostanza dell’avvenuta scissione di Co. S.p.a. in B.R. S.p.a. e C.L.F. S.p.a. non “sarebbe sufficiente” ex se ad affermarne la responsabilità solidale per i debiti assunti dalla prima. Sarebbe, infatti, rimasta sfornita di “alcun supporto probatorio” proprio la circostanza “dell’avvenuta successione pro quota” delle predette società “nell’asserito – ma in realtà insussistente – debito della Co. nei confronti del C.C.C.”. Difatti, le supposte “visure” prodotte in giudizio costituirebbero “puri e semplici stampati nei quali è contenuto soltanto un sommario riferimento all’avvenuta scissione, i quali non recano menzione alcuna – né generica, né specifica – dei beni, dei diritti ed, in generale, degli assets patrimoniali trasmessi”, e ciò in spregio all’art. 2697 cod. civ. ed agli artt. 115 e 184 cod. proc. civ.

D’altra parte, poi, neppure potrebbe ignorarsi il fatto che la responsabilità solidale delle società beneficiarie della scissione è non solo limitata, ma anche sussidiaria, nel senso di presupporre che la società scissa sia escussa dal creditore, di talché “qualsiasi domanda giudiziale sarà esperibile nei confronti della società beneficiaria solo ed esclusivamente in caso di accertata insufficienza del patrimonio della società scissa a soddisfare le pretese creditorie”.

Infine, si ribadisce che il citato art. 2506-quater cod. civ. non potrebbe, neppure volendo, venire in considerazione nella fattispecie dedotta, atteso che le parti, nella libera esplicazione della propria autonomia negoziale, hanno espressamente escluso che alle società beneficiarie venisse trasferito il rapporto di factoring, nonché parallelamente convenuto che soltanto a Co. continuassero a far capo tutti i rapporti aventi quali controparti contrattuali C.C. S.C.aR.L.

  1. Ha resistito al suddetto ricorso incidentale la ricorrente C.C.C., deducendone – prima ancora che l’infondatezza – l’inammissibilità, sul rilievo che esso, anche quando qualificato come condizionato, deve essere giustificato dalla soccombenza in appello, essendo altrimenti inammissibile per carenza di interesse (è citata Cass. Sez. 5, ord. 20 dicembre 2012, n. 23548).
  2. Nel corso del giudizio si costituito il nuovo difensore di C.C.C., che ha pure presentato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Il ricorso principale non è fondato.

7.1. In particolare, il primo e secondo motivo del ricorso principale – tesi a dimostrare, in sostanza, un errore di sussunzione nell’applicazione della disciplina in tema di falsa rappresentanza e di ratifica dell’operato del falsus procurator dettata, in termini generali, dal codice civile e ricavabile, quanto alle ATI costituite per la gestione di appalti e concessioni di lavori pubblici, dal d.P.R. n. 554 del 1999 – non colgono l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.

Essa, infatti, ha valorizzato – a prescindere dall’effettivo contenuto del contratto di cessione dei crediti intervenuto tra C.C. S.C.aR.L. e Co. S.p.a., ed in particolare dalla circostanza se nella sua stipulazione la cedente avesse operato uti síngula, ovvero come capogruppo/mandataria dell’ATI (e quindi “impegnando” la volontà anche di C.C.C., o meglio, anche i suoi crediti) – la circostanza che l’odierna ricorrente avesse assentito ad un sistema di liquidazione dei propri crediti, derivanti dall’esecuzione dei lavori oggetto del contratto intercorso tra l’ATI e la società Aeroporto (OMISSIS), basato sull’individuazione di C.C. S.C.aR.L. quale soggetto legittimato a ricevere i pagamenti.

Difatti, come emerge dalla sentenza impugnata, C.C.C. ha acconsentito, in termini generali, che la liquidazione dei propri crediti avvenisse – secondo una prassi ben consolidata, esistente tra C.C. S.C.aR.L. e Co. S.p.a. (nell’ambito dei rispettivi, risalenti, rapporti di dare/avere) – mediante versamento su un conto corrente intestato a C.C. S.C.aR.L.

Inoltre, con specifico riferimento al credito dì € 454.209,81 oggetto della fattura n. 1014 del 10 agosto 2002, essa C.C.C., con comunicazione di pari data, dava specifica disposizione affinché il pagamento avvenisse nei confronti di tale società quale “capogruppo mandataria dell’ATI appaltatrice dei lavori” svolti in forza dell’appalto concluso con la società Aeroporto (OMISSIS).

Questa circostanza, unitamente a quella – neppure contestata, al pari della prima, dall’odierna ricorrente – che in due soli casi risultano, in via di eccezionale deroga a quello che era il sistema ordinario, delle liquidazioni di Co. S.p.a. direttamente a favore di C.C.C., su un conto corrente ad essa intestato (rispettivamente, quelle effettuate in data 15 maggio 2002 e 19 giugno 2002, per gli importi di C 136.768,41 e C 410.331,42), induce a ritenere che C.C. S.C.aR.L. fosse stata legittimata, in via di fatto, a ricevere i pagamenti spettanti all’odierna ricorrente.

Sulla base di questi elementi, dunque, si deve concludere che la Corte di Appello di Bologna ha fatto sostanziale applicazione, nella specie, del principio secondo cui l’art. 1392 cod. civ. sulla forma della procura “si applica agli atti unilaterali negoziali ex art. 1324 cod. civ., ma non agli atti in senso stretto, come la ricezione della prestazione, sicché la rappresentanza a ricevere l’adempimento ex art. 1188, comma 1, cod. civ. può risultare da una condotta concludente, dimostrabile con ogni mezzo, incluse le presunzioni” (cfr. Cass. Sez. 2, sent. 9 ottobre 2015, n. 20345, Rv. 636599-01).

Ne consegue, dunque, che se C.C. S.C.aR.L. risulta aver operato come soggetto legittimato a ricevere l’adempimento, il pagamento effettuato da Co. S.p.a. risulta, per la medesima, dotato di efficacia solutoria.

Riguardata, infatti, dal punto di vista di chi effettuò il pagamento, l’espressa richiesta di C.C.C. che il credito di cui alla fattura n. 1014 del 1° agosto 2002 fosse liquidato a C.C. S.C.aR.L., costituisce comportamento idoneo a generare un legittimo affidamento in ordine all’efficacia solutoria del pagamento compiuto.

7.2. Le considerazioni che precedono valgono anche ad escludere la fondatezza del terzo motivo del ricorso principale, diretto a censurare la carenza – nella sentenza impugnata – di un “congruo” apprezzamento delle circostanze di fatto costituite dalle modalità con cui Co. S.p.a. ha provveduto alla liquidazione, a ciascuna delle società costituite nell’ATI aggiudicataria dell’appalto dei lavori commissionati dalla società Aeroporto (OMISSIS), dei crediti derivanti dall’esecuzione degli stessi.

Il motivo, come sopra evidenziato, si articola in realtà i due diverse censure, formulate rispettivamente ai sensi dei nn. 3) e 5) del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ..

Esse censurano sia l’apprezzamento (ritenuto non “congruo”) delle circostanze fattuali nelle quali ebbe a sostanziarsi la complessiva dinamica delle relazioni intercorrenti tra essa C.C.C. e Co. S.p.a., sia, in particolare, l’omessa considerazione della circostanza che l’odierna ricorrente ebbe a ricevere regolarmente il pagamento delle fatture precedentemente emesse (e, dunque, i compensi di propria spettanza, anche laddove corrisposti dalla stazione appaltante sul conto corrente di Co.), tranne, appunto, che nel caso oggetto del presente giudizio.

Al riguardo, tuttavia, deve notarsi che nessuna “omissione” – ai sensi del n. 5) del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ. – può essere addebitata alla Corte bolognese, la quale, anzi, ha operato una complessiva ricostruzione dei rapporti tra le parti, per pervenire alla conclusione che C.C. S.C.aR.L. avesse assunto (in relazione a quanto dovuto a C.C.C., in relazione ai lavori appaltati all’ATI dalla Società (OMISSIS)) la veste di indicataria di pagamento.

Quanto, invece, alla censura di non “congruo” apprezzamento di quelle stesse circostanze, va qui ribadito che il “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01).

  1. Quanto, invece, al ricorso incidentale, dello stesso va dichiarata l’inammissibilità.

Trova, infatti, applicazione il principio – richiamato dalla ricorrente principale nel proprio controricorso – secondo cui “è inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale condizionato allorché proponga censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito bensì a questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza” (da ultimo, Cass. Sez. 5, sent. 22 settembre 2017, n. 22095, Rv. 645632-01; nello stesso senso già Cass. Sez. Lav., sent. 21 febbraio 2014, n. 4130, Rv. 629997-01; Cass. Sez. 5, ord. 20 dicembre 2012, n. 23548, Rv. 625035-01).

  1. La soccombenza reciproca tra la ricorrente principale e quella incidentale impone, tra di esse, la compensazione delle spese del presente giudizio, che seguono, invece, la soccombenza – e vanno poste a carico della ricorrente principale – quanto a Co. S.p.a. in liquidazione. Le stesse sono liquidate come da dispositivo, ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55.
  2. A carico della ricorrente principale e di quella incidentale, rimaste entrambe soccombenti, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale, compensando le spese di lite tra la società C.C.C. S.p.a. e la società Unicredit S.p.a., condannando, invece, la società C.C.C. S.p.a. a rifondere a Co. S.p.a. in liquidazione le spese del presente giudizio, che liquida in C 8.000,00, più C 200,00 per esborsi e spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 24 ottobre 2017.