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Cassazione Civile 11845/2021 – Accessione invertita – Buona fede dell’occupante – Onere della prova

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Ordinanza 11845/2021

Accessione invertita – Buona fede dell’occupante – Onere della prova

La buona fede rilevante ai fini dell’accessione invertita di cui all’art. 938 c.c. consiste nel ragionevole convincimento del costruttore di edificare sul proprio suolo e di non commettere alcuna usurpazione. Essa, in assenza di una previsione analoga a quella dettata in materia di possesso dall’art. 1147 c.c., non è presunta, ma deve essere provata dal costruttore; ai fini probatori, è necessario avere riguardo alla ragionevolezza dell’uomo medio e al convincimento che questi poteva legittimamente formarsi circa l’esecuzione della costruzione sul proprio suolo, in base alle cognizioni possedute effettivamente o che egli avrebbe potuto acquisire con un comportamento diligente, sicché la buona fede deve escludersi qualora, in relazione alle particolari circostanze del caso concreto, il costruttore avrebbe dovuto fin dall’inizio anche solo dubitare della legittimità dell’occupazione del suolo del vicino.

Cassazione Civile, Sezione 6-2, Ordinanza 6-5-2021, n. 11845   (CED Cassazione 2021)

Art. 938 cc (Accessione invertita) – Giurisprudenza

Art. 2697 cc (Onere della prova) – Giurisprudenza

Art. 1147 cc (Possesso di buona fede) – Giurisprudenza

 

 

Rilevato che:

– il giudizio trae origine dalla domanda proposta, innanzi al Tribunale di Trento, da An. Lu. nei confronti di Gr. Br. con la quale chiese la demolizione della parte di fabbricato realizzato sulla 13/6 di sua proprietà;

– l’attore espose che il Gr. aveva chiesto la concessione edilizia includendo detta particella nella richiesta ma il Comune rilasciò la concessione solo in relazione alle p.11e 13/2 e 13/5, escludendo quella poi illegittimamente occupata;

– Gr. An. si costituì per resistere alla domanda; in via riconvenzionale, chiese l’accertamento del confine tra le due proprietà e, in caso di sconfinamento, che fosse determinato l’importo da corrispondere all’attore ex art.938 c.c.;

– all’esito dei giudizi di merito, la corte d’appello di Trento accolse la domanda principale e rigettò la domanda riconvenzionale;

– la corte di merito escluse la sussistenza della buona fede, ai fini dell’applicabilità dell’art.938 c.c. in quanto, nonostante il Gr. avesse chiesto la concessione edilizia per la realizzazione di un fabbricato, includendo anche la p.11a 13/6 di proprietà dell’An., il titolo concessorio escludeva espressamente tale particella, e, ciò nonostante, aveva ugualmente costruito sul terreno di proprietà dell’attore;

per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Br. Gr. sulla base di due motivi;

– ha resistito con controricorso An. Lu.;

– in prossimità dell’udienza, il ricorrente ha depositato memorie illustrative;

– il relatore ha formulato proposta di decisione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., di inammissibilità del ricorso;

Ritenuto che:

– la memoria depositata dal ricorrente è inammissibile perché tardivamente depositata in data 1.12.2020, oltre i cinque giorni prima dell’adunanza ex art.380 bis c.p.c., fissata in data 4.12.2020;

– con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c., per avere la corte di merito erroneamente ritenuto l’insussistenza della buona fede, ai fini dell’applicabilità dell’istituto dell’accessione invertita della porzione di fondo occupata, nonostante detta particella fosse stata inserita per errore dal tecnico nella relazione tecnica; sostiene il ricorrente 13/6 di aver realizzato il progetto edilizio nella convinzione di non invadere la proprietà del confinante;

– il motivo è inammissibile;

– la buona fede rilevante ai fini dell’accessione invertita di cui all’art. 938 cod. civ. consiste nel ragionevole convincimento del costruttore di edificare sul proprio suolo e di non commettere alcuna usurpazione. Essa, in assenza di una previsione analoga a quella dettata in materia di possesso dall’art. 1147 cod. civ., non è presunta, ma deve essere provata dal costruttore; ai fini probatori, è necessario avere riguardo alla ragionevolezza dell’uomo medio e al convincimento che questi poteva legittimamente formarsi circa l’esecuzione della costruzione sul proprio suolo, in base alle cognizioni possedute effettivamente o che egli avrebbe potuto acquisire con un comportamento diligente, sicché la buona fede deve escludersi qualora, in relazione alle particolari circostanze del caso concreto, il costruttore avrebbe dovuto fin dall’inizio anche solo dubitare della legittimità dell’occupazione del suolo del vicino (Sez. 2, Sentenza n. 345 del 10/01/2011;

– ricorrente, sotto lo schermo della violazione di legge, sollecita un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, al fine di valutare la buona fede, ai sensi dell’art.938 c.c., che è affidata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità (Cass. Sez. 3, 10/06/2016, n. 11892);

– a tal riguardo occorre ricordare che per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115, è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892/2016; Cass. S.U. n. 16598/2016);

– nel caso di specie, la corte di merito ha escluso la sussistenza della buona fede sul rilievo che la concessione edilizia escludeva espressamente la p.11a 13/6, inserita nella domanda di concessione; ciò nonostante, il ricorrente non aveva tenuto conto del contenuto della concessione edilizia, costruendo ugualmente sul terreno di proprietà dell’attore e proponendogli il pagamento dell’indennità, circostanze che, secondo l’apprezzamento del giudice di merito escludevano la buona fede;

– con il secondo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza per carenza di motivazione e per l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art.360, comma 1, n.4 c.p.c. in quanto lo sconfinamento non avrebbe interessato la p.11a 13/6;

– il motivo è inammissibile ai sensi dell’art.360 comma 1, n.5 c.p.c. per la presenza di una “doppia conforme”, ai sensi dell’art. 54 del D.L. 83/2012 convertito nella L.134/2012, il quale prevede l’applicabilità della normativa ai giudizi introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dall’11.9.2012.

non è assolutamente ravvisabile la carenza motivazionale, anomalia che è prevista quando ricorra la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cassazione civile sez. un., 07/04/2014, n.8053);

– il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo;

– ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del DPR 115/2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del DPR 115/2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile -2, in data 2 dicembre 2020.