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Cassazione Civile 12033/2022 – Accessione invertita – Occupazione di porzione di fondo attiguo – Indicazione o modificazione dell’indennità in appello

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Sentenza 12033/2022

 

Accessione invertita – Occupazione di porzione di fondo attiguo – Indicazione o modificazione dell’indennità in appello

Nell’ipotesi di accessione cd. invertita ai sensi dell’art. 938 c.c., il costruttore il quale abbia occupato in buona fede una parte del suolo del vicino, al fine di ottenere l’attribuzione della proprietà del suolo occupato, pur dovendo proporre un’espressa domanda, non è tenuto ad offrire anche una congrua indennità, perché la determinazione di questa è riservata al giudice del merito il quale, pertanto, non è vincolato dall’entità dell’offerta compiuta dal costruttore, né dalla condotta processuale dello stesso, che può indicare tale indennità anche in appello nonché modificarla, senza che la sua attività processuale al riguardo resti soggetta ai limiti degli artt. 345 e 346 c.p.c.

Domanda di attribuzione della proprietà del suolo occupato – Accoglimento – Carattere costitutivo della sentenza – Trasferimento della proprietà all’occupante condizionato al pagamento dell’indennità

La sentenza di accoglimento della domanda ex art. 938 c.c. e di attribuzione al costruttore della proprietà dell’opera realizzata e del suolo (cd. accessione invertita) ha natura costitutiva in quanto trasferisce il diritto di proprietà della porzione di suolo occupata in buona fede, sicché il giudice con la pronuncia deve condizionare l’effetto traslativo al pagamento dell’indennità dovuta al proprietario del suolo pari al doppio del valore della superficie occupata.

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 13-4-2022, n. 12033   (CED Cassazione 2022)

Art. 938 cc (Accessione invertita) – Giurisprudenza

Art. 345 cpc (Domande ed eccezioni nuove nel giudizio di appello) – Giurisprudenza

Art. 346 cpc (Decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) conveniva in giudizio (OMISSIS) dinanzi al Tribunale di Verona per chiedere la determinazione del confine tra il proprio compendio immobiliare in (OMISSIS), censito al foglio (OMISSIS) e la proprietà del convenuto censita al foglio (OMISSIS). L’attore sosteneva che il convenuto aveva ampliato il proprio immobile andando ad invadere la sua proprietà, posizionando anche una fioriera e, oltre all’accertamento del confine, chiedeva il ripristino dello stato dei luoghi con demolizione di parte dei manufatti e il risarcimento del danno.

1.1 (OMISSIS) si costituiva in giudizio sostenendo di aver costruito in un’intercapedine situata tra il proprio immobile e il muro di contenimento della scarpata di proprietà dell’attore, ritenendo che quel muro indicasse la linea di confine e, quindi, di aver costruito nella sua proprietà. In via riconvenzionale chiedeva l’accertamento dell’usucapione dell’intercapedine e, in via riconvenzionale ulteriormente subordinata chiedeva l’applicazione dell’art. 938 c.c. sostenendo la propria buona fede.

2. Il Tribunale, condividendo la CTU, determinava quindi la linea di confine diversamente da quanto affermato dal convenuto, respingeva le domande riconvenzionali e disponeva il ripristino dello stato dei luoghi, cioè l’abbattimento dei manufatti costruiti nell’intercapedine e condannava (OMISSIS) al risarcimento dei danni oltre che alle spese legali.

2.1 Secondo il CTU, infatti, il confine non era posto sulla linea del muro di contenimento, bensì entro l’intercapedine, larga circa un metro e lunga circa 24 metri, sicchè i manufatti realizzati del convenuto ricadevano nella proprietà dell’attore.

3. (OMISSIS) proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

3.1 Si costituiva (OMISSIS) chiedendo la conferma della sentenza del Tribunale di Verona.

3. La Corte d’Appello di Venezia, in parziale accoglimento dell’appello, stabiliva che la linea di confine fra i due fondi rispettivamente di (OMISSIS) e di (OMISSIS), era posta lungo la linea di sedime delle costruzioni di (OMISSIS), sul mappale (OMISSIS) del catasto urbano di (OMISSIS) e, per la parte non eventualmente determinata dall’aria di sedime, rappresentata dalla linea azzurra nelle tavole A1, A2, A3, A4, e A5 dell’allegato 5.2 della CTU svolta in primo grado. La Corte, inoltre, in accoglimento della domanda riconvenzionale subordinata del convenuto appellante, trasferiva la proprietà dei manufatti insistenti sul predetto mappale n. (OMISSIS), e la relativa aria di sedime in (OMISSIS), a (OMISSIS). Confermava invece la sentenza nella parte in cui aveva riconosciuto a titolo di risarcimento danni l’importo di Euro 5000 a carico di (OMISSIS) ed in favore di (OMISSIS).

4. Il giudice del gravame rigettava il primo motivo di appello circa la mancata prova della titolarità della proprietà dell’area e circa la carenza di legittimazione attiva di (OMISSIS) in quanto questi aveva prodotto l’atto di donazione con il quale aveva acquistato la proprietà dei beni oggetto del giudizio. La Corte rigettava anche i restanti motivi di appello, evidenziando che la consulenza tecnica, precisa e coerente, aveva appurato che il muro di sostegno cadeva nella proprietà di (OMISSIS) e che la motivazione del tribunale fondata sulla suddetta consulenza era anch’essa puntuale e coerente. Peraltro, entrambe le parti avevano interloquito tramite i propri consulenti tecnici di parte in ordine ai lavori peritali e il contraddittorio era stato correttamente instaurato e, dunque, la consulenza non era viziata. Il consulente aveva esaminato tutti gli elementi di fatto che conducevano alla determinazione del confine, evidenziando che gli stessi non conducevano univocamente ad una linea precisa e, dunque, doveva farsi ricorso alle mappe catastali come stabilito dall’art. 950 c.c. Infine doveva respingersi la domanda di usucapione da parte di (OMISSIS), in quanto, fino al 1995 non si rilevava l’esistenza di fabbricati nella striscia contesa e i mezzi di prova indicati dall’appellante erano assolutamente generici e non circostanziati e, dunque, inidonei a fornire la prova del possesso della striscia di terreno contesa. Con riferimento all’ipotesi di usucapione abbreviata ex art. 1159 bis c.c. non era stata fornita la prova che l’appellante fosse coltivatore diretto e che la striscia fosse adibita alla coltivazione.

4.1 La Corte d’Appello di Venezia accoglieva, invece, l’undicesimo motivo d’appello relativo alla c.d. “accessione invertita”. In particolare, accoglieva la domanda riconvenzionale subordinata di applicazione dell’art. 938 c.c. sul presupposto della buona fede di (OMISSIS) in relazione alla costruzione dei manufatti sul suolo oggetto del giudizio e della mancata opposizione del confinante. Infatti, il dante causa di (OMISSIS) non aveva fatto opposizione entro tre mesi dal giorno in cui aveva avuto inizio la costruzione e anzi risultava che non avesse mai fatto opposizione.

Il Tribunale aveva ritenuto che (OMISSIS) non avesse dato prova della propria buona fede e che avesse costruito i manufatti occupando una porzione del fondo di (OMISSIS).

Secondo la Corte d’Appello di Venezia, il requisito della buona fede poteva essere provato anche con indizi e presunzioni e anche avuto riguardo alla ragionevolezza dell’uomo medio circa il convincimento di agire legittimamente costruendo sul proprio suolo. Nella specie (OMISSIS) aveva il ragionevole convincimento di edificare sul proprio suolo, al momento della costruzione, ed era quindi in buona fede avendo acquisito la consapevolezza di aver costruito su solo altrui solo in corso di causa. Militavano a favore di tale tesi la situazione personale dell’appellante (età, contesto sociale, mancata opposizione da parte del proprietario), nonchè lo stato dei luoghi: la presenza del muro di contenimento, contro il quale andava a costruire l’appellante, ritenendo che quello fosse il confine fisico e giuridico tra i due fondi e le mappe risalenti al catasto austriaco prodotte dalla sua difesa ove il confine pareva essere in adesione alla scarpata per la presenza di una risega, e la stessa laboriosità della CTU che aveva dovuto procedere all’accertamento con le sole mappe catastali non trovando sul posto termini lapidei ad affermazione del confine.

La Corte, dunque, riteneva che l’occupazione della striscia fosse avvenuta in buona fede sulla base di tutti questi indizi, uniti al prolungato possesso del terreno, anche se non idoneo a giustificarne l’usucapione. Risultavano integrati, pertanto, i presupposti per attribuire a (OMISSIS) la proprietà dell’edificio del suolo occupato, ai sensi dell’art. 938 c.c.. In seguito alla decisione il confine tra due fondi era quello indicato al punto 3.

4.2 La Corte d’Appello evidenziava che doveva riconoscersi il risarcimento del danno a carico di (OMISSIS), come conseguenza dell’accessione invertita, e confermava la decisione del Tribunale di Verona che lo aveva quantificato in via equitativa nella somma di Euro 5000.

5. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di cinque motivi di ricorso.

6. (OMISSIS) ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale sulla base di ventisette motivi.

7. Fissato all’udienza pubblica del 10 marzo 2022, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di conversione n. 176 del 2020, e dal Decreto Legge n. 105 del 2021, art. 7 convertito nella L. n. 126 del 2021, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.

8. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto di entrambi i ricorsi.

9. (OMISSIS) con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di rigetto del ricorso principale e di accoglimento del ricorso incidentale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso principale è così rubricato: violazione o falsa applicazione dell’art. 938 c.c. nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che il requisito della buona fede può essere provato anche con indizi e presunzioni.

Secondo il ricorrente la buona fede del costruttore non può essere presunta ma deve essere dimostrata dallo stesso costruttore che voglia conseguire il trasferimento della proprietà del suolo occupato con la costruzione (nel ricorso è riportata la relativa giurisprudenza di legittimità). Sarebbe erronea, pertanto, la decisione della Corte veneta che ha ritenuto che la buona fede possa essere presunta mentre avrebbe dovuto rilevare, come già fatto dal Tribunale di Verona, che deve essere dimostrata dalla parte interessata, unitamente agli altri requisiti oggettivi della fattispecie, essendo irrilevante che non vi sia stata opposizione da parte del confinante entro tre mesi.

Le stesse Sezioni Unite hanno affermato che il requisito della buona fede richiede la ragionevole opinione da parte del costruttore di essere proprietario della porzione di suolo e dunque deve essere escluso quando vi sia la consapevolezza della sua appartenenza ad altri.

Nel caso in esame vi sarebbe la prova che (OMISSIS) fosse consapevole di costruire sulla proprietà di (OMISSIS). Egli, infatti, aveva riconosciuto di essere a conoscenza dell’altruità della cosa anche in sede di comparsa di costituzione e risposta nella quale dichiarava di aver operato uno sconfinamento, costruendo verso la fine degli anni 90 nel fondo di controparte ma di averlo fatto perchè richiesto dallo stesso attore intenzionato ad edificare al di sopra del solaio creato dal manufatto. Tale consapevolezza sarebbe dimostrata anche da altri atti quali la variante al progetto per la ristrutturazione di un fabbricato presentato da parte convenuta il (OMISSIS) nel quale la linea di confine era stata individuata proprio con il lato esterno del versante nord dei fabbricati di sua proprietà come indicato anche dal CTU. Inoltre, nella domanda di concessione edilizia in sanatoria presentata l'(OMISSIS) e nella denuncia di cambiamento dei terreni, entrambe presentate da (OMISSIS), la linea di confine era identificata con il lato esterno del versante nord dei fabbricati dello stesso richiedente.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., nonchè degli artt. 938, 2697, 2730 e 2733 c.c., congiuntamente al vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.

La censura ha ad oggetto l’omesso esame degli atti di causa e dei documenti prodotti nel corso del giudizio sempre in relazione alla presunta buona fede della controparte. Gli atti e documenti sono gli stessi indicati con riferimento al primo motivo i quali avrebbero addirittura contenuto confessorio ex art. 2730 e 2733 c.c., in relazione alla consapevolezza in capo alla controparte di costruire sul terreno confinante. Vi sarebbe stato, inoltre, un travisamento della prova rispetto a tali documenti e un omesso esame di un fatto controverso in relazione ai suddetti atti che dimostravano la suddetta consapevolezza.

2.1 Il primo e il secondo motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono in parte infondati ed in altra parte inammissibili.

La buona fede rilevante ai fini dell’accessione invertita, ex art. 938 c.c., consiste nel ragionevole convincimento del costruttore di edificare sul proprio suolo e di non commettere alcuna usurpazione e, in assenza di una previsione analoga a quella dettata in tema di possesso dall’art. 1147 c.c., non sì presume, ma deve essere dimostrata dal costruttore (cfr.: cass. civ., sez. 2, sent. 29 novembre 1993, n. 11836). Inoltre, identificandosi detta buona fede nella ignoranza incolpevole di ledere l’altrui diritto, è necessario avere riguardo per il suo riconoscimento alla ragionevolezza dell’uomo medio e al convincimento che questi poteva legittimamente formarsi circa l’esecuzione della costruzione sul suolo proprio, in base alle cognizioni effettivamente possedute o che avrebbe potuto acquisire con un comportamento diligente (Sez. 6-2, Ord. n. 11845 del 2021; Sez. 2, Sent. n. 3303 del 2000; Sez. 2, Sent. n. 2589 del 1997) e l’esistenza di essa va esclusa quando, in relazione alle particolari circostanze del caso concreto, il costruttore avrebbe dovuto fin dall’inizio anche solo dubitare della legittimità dell’occupazione del suolo del vicino (cfr.: cass. civ., sez. 2, sent. 5 marzo 1986, n. 1393) ovvero quando, sia pure convinto del suo diritto di proprietà, si sia fatto ragione da sè e sia venuto in possesso della porzione di fondo nel quale ha edificato attraverso uno spoglio del possesso altrui (Sez. 2, Sent. n. 2398 del 1983).

2.3 All’applicazione di tali consolidati principi si è uniformata la sentenza impugnata, che ha tratto il convincimento della sussistenza della buona fede da una serie di elementi quali la situazione personale dell’appellato (età, contesto sociale, mancata opposizione da parte del precedente proprietario) e lo stato dei luoghi. In particolare, la Corte d’Appello ha valorizzato la presenza del muro di contenimento contro il quale è andato a costruire (OMISSIS), ritenendo che quello fosse il confine fisico e giuridico fra i due fondi, come affermato tra l’altro nelle prime difese, le mappe risalenti al catasto austriaco e prodotte dall’ (OMISSIS), ove il confine pareva essere in adesione alla scarpata, la presenza di una risega, la stessa laboriosità della consulenza tecnica di ufficio che aveva dovuto procedere all’accertamento del confine con le sole mappe catastali, non trovando sul posto termini lapidei ed affermazioni del confine. Tutti questi indizi, uniti al prolungato possesso della striscia provavano la buona fede di (OMISSIS).

2.3 Il ricorrente richiama la giurisprudenza che afferma che in materia di accessione invertita ex art. 938 c.c. la buona fede non si presume ma la censura di risolve nella contestazione degli elementi probatori offerti dal costruttore ritenendoli insufficienti.

In proposito deve osservarsi che il fatto che in tema di accessione invertita la buona fede non si presuma significa che l’onere probatorio è posto a carico del costruttore a differenza delle ipotesi disciplinate dall’art. 1147 c.c., ma ciò non esclude affatto che la prova possa essere data anche mediante elementi indiziari ex art. 2729 c.c. come osservato anche dal Procuratore Generale nella sua requisitoria.

In tal senso deve darsi continuità al seguente principio di diritto: “Ai fini dell’accessione invertita prevista dall’art. 938 c.p.c., il requisito della buona fede, consistente nella ragionevole opinione del costruttore di edificare sul proprio suolo e di non commettere alcuna usurpazione, deve essere provato dal costruttore medesimo che l’allega, non essendo assimilabile alla buona fede del possessore di cui all’art. 1147 c.c., e la relativa prova può essere fornita con ogni mezzo e anche mediante presunzioni aventi i requisiti richiesti dall’art. 2729 c.c.” (Sez. 2, Sent. n. 1599 del 1986).

Sulla base della prova offerta dal costruttore e fornita con ogni mezzo, dunque, il giudice è chiamato ad accertare se egli avesse la convinzione di costruire su di una porzione di terreno di sua proprietà, convinzione fondata sulla erronea rappresentazione degli esatti confini della proprietà (diversi da quelli reali) tale da ritenere come propria anche una porzione del terreno del confinante.

D’altra parte, la stessa giurisprudenza indicata dal ricorrente fa riferimento ad un criterio prognostico per la valutazione dell’elemento soggettivo, quale quello che fa riferimento per il suo riconoscimento, alla ragionevolezza dell’uomo medio e al convincimento che questi poteva legittimamente formarsi circa l’esecuzione della costruzione sul suolo proprio. Si tratta evidentemente della prova di un elemento soggettivo in capo al costruttore, prova che non può che fondarsi sulla valutazione di elementi indiretti, non essendo suscettibile di una prova diretta e che, per questo motivo, la giurisprudenza ammette con ogni mezzo.

Da quanto detto discende anche l’inammissibilità della restante parte del motivo, in quanto il ricorrente sotto lo schermo della violazione di legge (art. 938 c.c.), sollecita un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, al fine di affermare l’insussistenza della buona fede o la portata confessoria di alcuni documenti e, tuttavia, l’apprezzamento degli elementi di fatto è attività propria del giudice di merito ed è sottratta al sindacato del giudice di legittimità (Cass. Sez. 3, 10/06/2016, n. 11892).

In altri termini va ribadito quanto affermato da questa Corte in più occasioni e, cioè: che con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente: l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. n. 7921 del 2011). La sentenza impugnata offre una propria versione dei fatti oggetto della lite ed argomenta di conseguenza, cosicchè, sotto tale profilo, risulta incensurabile in questa sede.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’art. 938 c.c.

La Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere applicabile l’accessione invertita ex art. 938 c.c. anche alle costruzioni eseguite da parte di (OMISSIS) al di sotto del suolo di proprietà di (OMISSIS).

Il ricorrente richiama la sentenza di questa corte n. 5133 del 2008 che ha escluso l’accessione in caso di occupazione verticale del suolo altrui. In sostanza l’accessione non sarebbe configurabile laddove un bene sia stato edificato nel sottosuolo del confinante come nel caso di specie, essendo pacifico che il bagno e l’antibagno siti al piano terra interrato erano stati costruiti da (OMISSIS) sotto terra.

3.1 Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

Deve convenirsi con il P.G. che ha evidenziato che il motivo in esame introduce un argomento (c.d. occupazione verticale) che non risulta trattato nel corso del giudizio di merito, sicchè deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: “In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio” (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord n. 15430 del 2018).

Infatti, il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (per l’ipotesi di questione non esaminata dal giudice del merito: Cass. 02/04/2004, n. 6542; Cass. 10/05/2005, n. 9765; Cass. 12/07/2005, n. 14599; Cass. 11/01/2006, n. 230; Cass. 20/10/2006, n. 22540; Cass. 27/05/2010, n. 12992; Cass. 25/05/2011, n. 11471; Cass. 11/05/2012, n. 7295; Cass. 05/06/2012, n. 8992; Cass. 22/01/2013, n. 1435; Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138).

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 938 c.c., errore nell’accoglimento della domanda di trasferimento della proprietà.

La censura attiene all’accoglimento della domanda ex art. 938 c.c. di attribuzione della proprietà del fondo del vicino da parte di (OMISSIS) senza disponibilità al pagamento della indennità stabilita dal medesimo art. nel doppio del valore della superficie occupata. In tal senso, il ricorrente cita la sentenza di questa Corte n. 5593 del 1981 secondo cui il giudice non può accogliere la domanda diretta a far valere l’obbligazione indennitaria in difetto dell’attribuzione al costruttore della proprietà dell’edificio e, secondo la prospettazione del ricorrente, ciò implicherebbe anche, all’opposto, che non si può accogliere la domanda diretta ad ottenere l’attribuzione della proprietà dell’edificio in difetto della richiesta o disponibilità al pagamento dell’obbligazione indennità.

4.1 Il quarto motivo di ricorso è infondato.

Deve premettersi che in caso di accessione invertita – che sostanzialmente consiste in una alienazione forzosa del suolo occupato – il costruttore beneficiario deve pagare al proprietario del suolo una somma pari al doppio del suo valore venale, salvo il risarcimento dei danni. Nella specie (OMISSIS) era convenuto in giudizio di regolamento di confini e nel costituirsi aveva sostenuto che il confine tra i fondi era rappresentato dal muro costruito nell’intercapedine. Inoltre, aveva spiegato domanda riconvenzionale per l’accertamento dell’usucapione del terreno e, solo in via ulteriormente subordinata, aveva chiesto trasferirsi la proprietà ex art. 938 c.c.

Il giudizio, dunque, aveva ad oggetto in via principale l’individuazione del confine tra i due fondi e la domanda riconvenzionale di accessione invertita ex art. 938 c.c. era fatta solo in via subordinata ed eventuale, in caso di soccombenza rispetto alla propria richiesta di delimitazione del confine, sicchè il ricorrente non poteva fare un’offerta rispetto ad una porzione di terreno non ancora individuata, non essendo certa la superficie da lui occupata che anzi in via principale sosteneva interamente nel proprio confine.

Ad ogni modo sul punto deve richiamarsi anche il seguente principio di diritto: “Nell’ipotesi di accessione cosiddetta invertita ai sensi dello art. 938 c.c., il costruttore il quale abbia occupato in buona fede una parte del suolo del vicino, al fine di ottenere la attribuzione della proprietà del suolo occupato, pur dovendo proporre una espressa domanda, non è tenuto ad offrire anche una congrua indennità, perchè la determinazione di questa è riservata al giudice del merito il quale, pertanto, non è vincolato dall’entità dell’offerta compiuta dal costruttore, nè dalla condotta processuale dello stesso, che può indicare quella indennità anche in appello nonchè modificarla, senza che la sua attività processuale al riguardo resti soggetta ai dettami degli artt. 345 e 346 c.p.c.” (Sez. 2, Sent. n. 1404 del 1986).

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 938 c.c. omessa pronuncia di condanna della controparte al pagamento del doppio del valore della superficie occupata.

In via subordinata rispetto ai precedenti motivi il ricorrente lamenta l’omessa condanna di (OMISSIS) al pagamento in favore di (OMISSIS), oltre al risarcimento dei danni, anche del doppio del valore della superficie occupata.

5.1 Il quinto motivo di ricorso è fondato.

La Corte d’Appello di Venezia nell’accogliere la domanda subordinata riconvenzionale di (OMISSIS) di applicazione dell’art. 938 c.c. ha omesso di subordinare il trasferimento della proprietà al pagamento del doppio del valore della superficie occupata come prescritto dall’art. 938 c.c.. La norma ora citata, infatti, prevede che l’autorità giudiziaria, tenuto conto delle circostanze, possa attribuire al costruttore la proprietà dell’edificio e del suolo occupato in buona fede se entro tre mesi non vi sia stata opposizione da parte del proprietario del fondo attiguo. In tal caso, tuttavia, il costruttore è tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata, oltre al risarcimento dei danni.

La Corte d’Appello di Venezia, invece, ha condannato (OMISSIS) solo al pagamento di Euro 5000 a titolo di risarcimento del danno calcolato in via equitativa, senza provvedere in ordine all’obbligo del medesimo di pagare il doppio del valore della superficie occupata e senza subordinare il prodursi dell’effetto di trasferimento della proprietà del suolo all’adempimento del suddetto obbligo.

Il quinto motivo pertanto deve essere accolto e la sentenza deve essere cassata con rinvio alla corte d’appello affinchè provveda in applicazione del seguente principio di diritto: “la sentenza del giudice di accoglimento della domanda ex art. 938 c.c. e di attribuzione al costruttore della proprietà dell’opera realizzata e del suolo (cosiddetta accessione invertita) ha natura costitutiva in quanto trasferisce il diritto di proprietà della porzione di suolo occupata in buona fede, sicchè il giudice con la pronuncia deve condizionare l’effetto traslativo al pagamento dell’indennità dovuta al proprietario del suolo pari al doppio del valore della superficie occupata”.

6. (OMISSIS) ha proposto ricorso incidentale sulla base di 27 motivi.

6.1 Il ricorso incidentale – come eccepito dal ricorrente principale – è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4, che prescrive che il ricorso sia redatto in forma sintetica, con una selezione dei profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice, in un’ottica di economia processuale, che deve trovare riscontro nella formulazione, altrettanto concisa, dei motivi di ricorso.

Com’è noto, infatti, l’art. 366 c.p.c., nel dettare le condizioni formali del ricorso, ossia i requisiti di “forma-contenuto” dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, configura un vero e proprio “modello legale” del ricorso per cassazione, la cui mancata osservanza è sanzionata con l’inammissibilità del ricorso stesso.

In proposito il collegio intende ribadire l’orientamento espresso più volte da questa Corte e da ultimo anche a Sezioni Unite con la pronuncia n. 37552 del 2021 secondo cui: “Il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; tuttavia l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c.” (ex plurimis Sez. U, Ord. n. 37552 del 2021).

Nella specie l’inosservanza del requisito di sinteticità e chiarezza pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, pertanto, comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponendosi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (art. 111 Cost., comma 2, e art. 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui (Sez. 5, Sent. n. 8425 del 2020).

6.2 Deve osservarsi, infatti, che la sentenza della Corte d’Appello di Venezia – che consta, di sette pagine, senza considerare le prime sei che si limitano a riportare le conclusioni delle parti, – statuisce su un thema decidendum circoscritto (la verifica del confine stabilito dal giudice di primo grado in conformità alla consulenza tecnica svolta in primo grado e in subordine la domanda del ricorrente di usucapione della parte di terreno eventualmente illegittimamente occupata). Ebbene, alla relativa semplicità delle questioni giuridiche concernenti la controversia, congruamente illustrata nella sentenza impugnata, si contrappone un ricorso incidentale (che consta di 127 pagine: recanti 27 motivi d’impugnazione), che non rispetta i canoni redazionali della chiarezza e della sinteticità e, anzi, è ponderoso, ipertrofico, con una mescolanza di elementi di fatto ed elementi di diritto che rendono incomprensibile le ragioni delle doglianze, risultando palese la violazione dei principi di sinteticità e chiarezza sopra richiamati.

I motivi, infatti, sono formulati in maniera farraginosa, disordinata confusa, con una prosa involuta, difficilmente comprensibile, appesantita da continue e ridondanti ripetizioni e sovrapposizioni di elementi di fatto e di diritto, con l’inserimento di interi documenti agli atti del processo (atti negoziali, fotografie, elaborati grafici, piantine planimetriche), rendendo impossibile per il Collegio di discernere le critiche rivolte alla sentenza impugnata in vista del controllo di legittimità. Tale tecnica redazionale, con l’ulteriore aggravio della continua ripetizione del medesimo motivo proposto sotto il profilo della mancanza di motivazione, della violazione di legge e dell’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione, non è compatibile con i principi esposti che definiscono le modalità di introduzione del giudizio di legittimità sulla base del disposto dell’art. 366 c.p.c. come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte.

6.3 Il ricorso incidentale deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

7. In conclusione la Corte, accoglie il quinto motivo del ricorso principale, rigetta i restanti quattro, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese.

8. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo del ricorso principale, rigetta i restanti quattro, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese;

ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente incidentale del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 10 marzo 2022.