Ordinanza 12064/2023
Onere di contestazione – Fatti ignoti alla parte – Esclusione
L’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in un giudizio di manutenzione del possesso, aveva ritenuto non contestati fatti ignoti al proprietario del bene, quali la durata ultrannuale del possesso e il suo carattere continuo e non interrotto).
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 8-5-2023, n. 12064 (CED Cassazione 2023)
Art. 2697 cc (Onere della prova)
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) ricorre, sulla base di quattro motivi,
per la cassazione della sentenza n. 754/20, del 21 maggio 2020,
della Corte di Appello di Bari, che – respingendone il gravame
avverso la sentenza n. 1918/17, dell’11 settembre 2017, del
Tribunale di Trani – ha rigettato l’opposizione a precetto dalla
stessa proposta nei confronti di (OMISSIS), ritenendola
però ammissibile, diversamente dal primo giudice.
2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di aver
proposto opposizione a precetto, intimatole dalla (OMISSIS),
lamentando l’ingiustizia della doppia condanna alla rifusione delle
spese processuali, comminatale all’esito di un procedimento ex
artt. 1170 cod. civ. e 703 cod. proc. civ., deducendo la nullità e
l’inefficacia del precetto.
Nei suoi confronti, infatti, la (OMISSIS) aveva esperito azione
di manutenzione, sul presupposto che l’avvenuto interramento, in
violazione dell’art. 889, comma 2, cod. civ., di un impianto di
irrigazione – lungo il confine che separa il proprio fondo da quello
della (OMISSIS) – costituisse turbativa del possesso. Disposta
dall’adito giudicante – ex art. 669-sexies cod. proc. civ. –
l’escussione di due sommari informatori testimoniali (e ciò
quantunque la (OMISSIS) avesse dichiarato, all’udienza di prima
comparizione, l’avvenuta cessazione della turbativa, giacché, a
suo dire, la (OMISSIS) avrebbe nel frattempo spostato l’impianto,
collocandolo a congrua distanza dal confine tra i due terreni),
all’esito dell’incombente veniva dichiarata la cessazione della
materia del contendere, ponendosi, però, le spese del
procedimento a carico dell’odierna ricorrente. Esperito, da
quest’ultima, reclamo al collegio, lo stesso veniva rigettato, con
condanna della (OMISSIS) al pagamento pure delle spese di tale
ulteriore fase processuale.
Per riscuotere la somma complessiva liquidata in suo favore
all’esito del predetto procedimento possessorio (e pari a C
6.908,51), la (OMISSIS) intimava alla (OMISSIS) il precetto fatto
oggetto di opposizione.
In tale, sede l’opponente riproponeva le questioni in fatto e in
diritto già articolate nel processo possessorio, definito con le
ordinanze emesse in sede sommaria, in particolare ribadendo il
difetto di legittimazione della (OMISSIS) (in quanto l’azione di
manutenzione era stata esperita sul presupposto di essere
“proprietaria” del fondo asseritamente oggetto di turbativa),
l’insussistenza delle condizioni per dichiarare cessata la materia
del contendere, ed infine la carenza di ogni molestia, stante
l’assenza di ogni violazione delle distanze legali.
L’adito Tribunale dichiarava inammissibile l’opposizione,
poiché basata su motivi che l’opponente avrebbe dovuto far valere
nell’ambito del procedimento possessorio precedentemente
instaurato e ove i titoli esecutivi si erano formati.
Esperito gravame, il giudice di appello ha ritenuto
l’opposizione a precetto ammissibile, ma infondata nel merito.
3. Avverso la sentenza della Corte barese ha proposto ricorso
per cassazione la (OMISSIS), sulla base – come detto – di quattro
motivi.
3.1. Con il primo motivo è denunciata – ex art. 360, comma
1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt.
81 e 115 cod. proc. civ.
La ricorrente assume l’erroneità della statuizione della Corte
territoriale, nella parte in cui ha confermato la sentenza di prime
cure circa l’esclusione del difetto di legittimazione attiva, in capo
alla (OMISSIS), nell’ambito del procedimento possessorio dalla
medesima instaurato.
Sostiene, infatti, la (OMISSIS) che la qualità di proprietaria
del bene immobile, asseritamente attinto da turbative, è
irrilevante, giacché la (OMISSIS) avrebbe dovuto provare ed
allegare il suo possesso ultrannuale, continuo e non interrotto, ai
fini dell’espletamento dell’azione ex art. 1170 cod. civ. Inoltre, la
ricorrente lamenta l’erronea applicazione, da parte della Corte
barese, del principio di non contestazione sull’asserita qualità di
possessore, posto che la (OMISSIS) non avrebbe potuto
contestare specificatamente affermazioni mai formulate.
3.2. Il secondo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione dell’art. 100 cod. proc.
civ.
La ricorrente censura la sentenza impugnata per aver
condiviso la statuizione del giudice della fase sommaria del
procedimento possessorio circa la sussistenza dei presupposti per
pronunciare la cessazione della materia del contendere.
Premesso, infatti, che può dirsi cessata la materia del
contendere solo quando le parti del giudizio si diano
reciprocamente atto della mutata situazione giuridica e
sottopongano al giudice conclusioni conformi, errata risulterebbe
la valutazione espressa dalla Corte barese circa il venir meno
dell’interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 cod. proc. civ., per
essere la riduzione in pristino intervenuta successivamente
all’instaurazione del giudizio.
Secondo la (OMISSIS), invece, gli atti di istruzione
indispensabili, compiuti nell’ambito del procedimento possessorio
(ovvero, l’escussione dei sommari informatori testimoniali), non
avrebbero confermato, con certezza, che l’impianto idrico venne
rimosso solo a seguito dell’instaurazione del procedimento ex art.
703 cod. proc. civ.
3.3. Il terzo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma
1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione degli artt. 889, comma 2, e
1170 cod. civ.
Secondo la ricorrente la Corte barese avrebbe errato nel
ritenere quale “turbativa”, e pericolosa, la mera presenza
dell’impianto di irrigazione a distanza inferiore dal confine.
Sottolinea, infatti, che la messa in opera era incompleta, che
l’impianto era, comunque, soggetto ad un uso limitato e saltuario,
dovendo, pertanto, escludersi alcun tipo di molestia nel possesso,
oltre che la violazione dell’art. 889 cod. civ.
3.4. Il quarto motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma
1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione dell’art. 91 cod. proc. civ.
La ricorrente sostiene che l’opposizione avrebbe dovuto
essere accolta nel merito, e conseguentemente le spese
avrebbero dovuto essere poste a carico della (OMISSIS), poiché la
stessa ebbe ad instaurare illegittimamente il giudizio possessorio.
4. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso,
la (OMISSIS), chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile
o, comunque, rigettata.
5. La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. In via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità del controricorso,
in quanto tardivo.
6.1. Difatti, essendo stato il ricorso notificato il 21 luglio 2020,
il termine per il deposito dello stesso – che costituisce il “dies a
quo” per la notificazione del controricorso, da compiersi entro
venti giorni, secondo quanto previsto dall’art. 370, comma 1, cod.
proc. civ. – scadeva il 10 agosto 2020, non applicandosi al
presente giudizio la sospensione feriale dei termini.
Difatti, la previsione di cui all’art. 3 della legge 7 ottobre 1969,
n. 742, che esclude dalla sospensione dei termini processuali nel
periodo feriale le cause previste dall’art. 92 del r.d. 30 gennaio
1941, n. 12, tra cui le opposizioni esecutive, è applicabile anche
al giudizio di cassazione, riferendosi la norma alla natura della
controversia e ad ogni sua fase processuale (da ultimo, Cass. Sez.
3, 14 gennaio 2022, n. 1127 (Rv. 663502-10).
Il controricorso andava, dunque, notificato entro il 31 agosto
2020 (il giorno 30 era domenica), mentre la notifica risale al
giorno 22 settembre, donde la sua inammissibilità.
7. Tanto premesso, il ricorso va accolto, nei termini di seguito
precisati.
8. “In limine”, tuttavia, deve osservarsi che esso pone una
questione inedita nella giurisprudenza di legittimità, atteso che gli
unici arresti di questa Corte sulle spese del procedimento
possessorio risultando intervenuti nella vigenza del testo
dell’art. 669-sexies cod. proc. civ., anteriore alle modifiche apportate
dall’art. 50, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69.
Tali pronunce, in particolare, avevano affermato
l’inammissibilità dell’impugnazione relativa alla statuizione sulle
spese della fase interdittale del procedimento possessorio,
essendo (allora) previsto “lo specifico rimedio della opposizione ai
sensi dell’art. 645 e seguenti cod. proc. civ., rimanendo altresì
ferma la possibilità per la parte condannata di chiederne la revoca
nella seconda fase del procedimento” (Cass. Sez. 2, sent. 31
agosto 2005, n. 17561, Rv. 583348-01; Cass. Sez. Un., sent. 8
giugno 2007, n. 13396, Rv. 597945-01), fase, “illo tempore”,
indefettibile (Cass. Sez. Un., sent. 24 febbraio 1998, n. 1984, Rv.
512984-01), fino a quando non è intervenuta l’introduzione del
comma 3 dell’art. 703 cod. proc. civ., ad opera dell’art. 2, comma
3, lett. e-bis, n. 7.2), del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35,
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
L’ammissibilità dell’opposizione al precetto è stata, tuttavia,
argomentata dalla Corte barese estendendo al giudizio
possessorio – al quale continua ad applicarsi, “in quanto
compatibile” (ex art. 703, comma 2, cod. proc. civ.), la disciplina
dettata per il procedimento cautelare uniforme – i principi
affermati, appunto, per detto procedimento.
Ancora di recente, infatti, questa Corte ha ribadito che
“l’ordinanza di rigetto del reclamo cautelare non è ricorribile per
cassazione, neppure in ordine alle sole spese, perché è un
provvedimento inidoneo a divenire cosa giudicata, formale e
sostanziale, conservando i caratteri della provvisorietà e non
decisorietà”, sicché, “dopo la novella dell’art. 669-septies cod.
proc. civ. da parte della I. n. 69 del 2009, la contestazione delle
spese – ove il soccombente abbia agito «ante causam» e non
intenda iniziare il giudizio di merito – va effettuata in sede di
opposizione al precetto ovvero all’esecuzione, se iniziata,
trattandosi di giudizio a cognizione piena in cui la condanna alle
spese può essere ridiscussa senza limiti, come se l’ordinanza sul
reclamo fosse, sul punto, titolo esecutivo stragiudiziale; qualora,
invece, il giudizio di merito sia instaurato, resta, comunque,
sempre impregiudicato il potere del giudice di rivalutare, all’esito,
la pronuncia sulle spese adottata nella fase cautelare, in
conseguenza della strumentalità, mantenuta dalla I. n. 80 del
2005, tra tutela cautelare e merito” (Cass. Sez. 6-2, ord. 1°
marzo 2019, n. 6180, Rv. 652799-01).
Orbene, la correttezza – o meno – di tale “equiparazione” (ai
fini suddetti) del procedimento possessorio a quello cautelare, non
è più controvertibile in questa sede, in assenza di impugnazione,
sul punto, da parte della creditrice opposta (OMISSIS).
Sicché – assunta come, appunto, non più discutibile in questa
sede l’affermazione secondo cui lo strumento dell’opposizione al
precetto era esperibile per contestare la regolazione data alle
spese di lite all’esito del procedimento possessorio – i motivi di
ricorso vanno esaminati nel merito.
8.1. Tanto premesso, il primo motivo di ricorso è fondato.
8.1.1. Va censurata, infatti, l’affermazione compiuta dalla
Corte barese secondo cui la qualità di proprietario di un bene
“implicherebbe necessariamente” quella di possessore.
Sul punto, invero, non sembra ozioso rammentare che – in
base ad una risalente (ma mai superata) giurisprudenza di questa
Corte – il “requisito del possesso ultrannuale rappresenta una
condizione dell’azione di manutenzione, la cui sussistenza
dev’essere rilevata dal giudice, anche d’ufficio, in ogni grado e
stato del processo, sempre che non si sia verificata al riguardo
preclusione, per non essere stata riproposta la questione, già
decisa nel precedente grado del giudizio, con motivo
d’impugnazione e tramite esplicita eccezione della parte
vittoriosa” (Cass. Sez. 2, sent. 22 ottobre 1964, n. 2641, Rv.
303974-01).
D’altra parte, errato è pure il riferimento – sempre compiuto
dalla sentenza impugnata – all’operatività, nel caso di specie, del
principio di “non contestazione”.
Sul punto, deve, infatti, ribadirsi che “l’onere di contestazione,
la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di
prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte” (da ultimo, Cass.
Sez. Lav., ord. 1° febbraio 2020, n. 2174, Rv. 660331-01), tale
non potendo ritenersi la durata ultrannuale del possesso del
terreno, del quale la (OMISSIS) lamentava molestia, né gli altri
suoi presupposti (carattere continuo e non interrotto, acquisto
“nec vim, nec clam”) richiesti per l’esercizio dell’azione ex art.
1170 cod. civ.
Fermo, in ogni caso, restando che la “operatività del principio
di non contestazione, con conseguente «relevatio» dell’avversario
dall’onere probatorio”, presuppone che costui abbia “ottemperato
all’onere processuale, posto a suo carico, di provvedere ad una
puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali l’altra
parte è tenuta a prendere posizione” (da ultimo, Cass. Sez. 2,
sent. 29 settembre 2020, n. 20525, Rv. 659198-02), ciò che nella
specie non risulta avvenuto, avendo la (OMISSIS) dichiaratamente
agito in qualità di proprietaria.
8.2. Il secondo motivo di ricorso è, invece, inammissibile.
8.2.1. Se è vero, infatti, che la cessazione della materia del
contendere presuppone che la parti di un giudizio si diano
reciprocamente atto della mutata situazione giuridica e
sottopongano al giudice conclusioni conformi, tuttavia, ove il fatto
sopravvenuto “abbia determinato il soddisfacimento del diritto
azionato con la domanda dall’attore, in una valutazione alla luce
del criterio cui l’ordinamento ancora la possibilità di adire la tutela
giurisdizionale, cioè alla stregua dell’interesse ad agire, il suo
rilievo potrà dare luogo ad una pronuncia dichiarativa
dell’esistenza del diritto azionato (e, quindi, per tale aspetto di
accoglimento della domanda)” e, con essa, ad una “valutazione
sulle spese giudiziali, che deve tenere conto della circostanza che
l’attore è stato costretto al giudizio dal disconoscimento del suo
diritto da parte dal convenuto, venuto meno solo durante il suo
svolgimento e, dunque, della sostanziale esistenza di una
soccombenza del convenuto” (Cass. Sez. 3, sent. 8 luglio 2010,
n. 16150, Rv. 613959-01).
A questo principio si è richiamata la sentenza impugnata, di
talché la censura con cui l’odierna ricorrente contesta – in tal
modo sollecitando una non consentita rivisitazione delle risultanze
dell’istruzione compiuta nel procedimento possessorio – la
valutazione relativa all’effettiva “necessità” che la (OMISSIS)
adisse l’autorità giudiziaria deve ritenersi inammissibile.
8.3. Il terzo motivo di ricorso non è fondato.
8.3.1. Invero, già la sola “violazione delle distanze legali nella
collocazione di un tubo” è idonea, astrattamente, a integrare “una
molestia al possesso del fondo finitimo perché, anche quando non
ne comprime l’esercizio, importa tuttavia, automaticamente, una
modificazione o una restrizione delle relative facoltà” (Cass. Sez.
2, sent. 24 gennaio 2003, n. 1136, Rv. 559993-01), e ciò in
quanto “l’art. 889 cod. civ.”, il quale “prescrive la distanza legale
minima di un metro tra il confine ed i tubi d’acqua pura o lurida,
e loro diramazioni”, pone “una presunzione assoluta di dannosità
della condotta in caso di distanza inferiore ad un metro”, sicché
“l’applicabilità di detta norma prescinde da ogni indagine circa la
assenza, in concreto, di una potenzialità dannosa della condotta
posta a distanza inferiore a quella legale” (Cass. Sez. 2, sent. 4
dicembre 1995, n. 12491, Rv. 494929-01).
8.4. Infine, il quarto motivo è inammissibile.
8.4.1. Esso, infatti, non deduce alcun autonomo e specifico
vizio di legittimità della statuizione sulle spese, prospettando la
caducazione della stessa alla stregua di “res sperata”,
conseguente all’accoglimento del ricorso, presentandosi, così, alla
stregua di un “non motivo” (Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015,
17330, Rv. 636872-01; Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n.
22478, Rv. 650919-01).
9. In conclusione, il ricorso va accolto quanto al suo primo
motivo e, per l’effetto, la sentenza va cassata in relazione.
Reputa, inoltre, questa Corte di poter decidere la causa nel
merito, ex art. 384, comma 2, seconda parte, cod. proc. civ., non
essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. L’opposizione
della Petruzzelli va accolta, in difetto di prova del possesso
ultrannuale in capo alla (OMISSIS), con condanna della stessa a
rifondere alla prima le spese di ambo i gradi di giudizio di merito,
oltre quelle del presente giudizio di legittimità.
Quanto, in particolare, alle spese del primo grado di giudizio,
le stesse vanno liquidate, per compensi, in € 3.150 (di cui €
650,00 per la fase di studio, € 500,00 per quella introduttiva, €
1.000,00 per quella di trattazione e € 1.000,00 per quella
decisionale), oltre IVA e CPA come per legge. In relazione, poi, al
giudizio di appello, le spese vanno liquidate, per compensi, in €
3.050 (di cui € 750,00 per la fase di studio, € 800,00 per quella
introduttiva e € 1.500,00 per quella decisionale), oltre IVA e CPA
come per legge.
Le spese di legittimità sono da liquidarsi, infine, come da
dispositivo.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara
inammissibile il secondo e il quarto, e infondato il terzo e, per
l’effetto, cassa in relazione la sentenza impugnata e, decidendo la
causa nel merito, accoglie l’opposizione a precetto proposta da
(OMISSIS).
Condanna, inoltre, (OMISSIS) a rifondere a Damiana
(OMISSIS) le spese del giudizio di merito, che liquida, per il primo
grado di giudizio, in € 3.150, oltre IVA e CPA come per legge,
nonché, per il giudizio di appello, in € 3.050, oltre IVA e CPA come
per legge.
Condanna, infine, (OMISSIS) a rifondere, a Damiana
(OMISSIS), le spese del presente giudizio di legittimità, che
liquida in C 2.200,00, più C 200,00 per esborsi, oltre spese
forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della
Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 22
novembre 2022