Roma, Via Valadier 44 (00193)
o6.6878241
avv.fabiocirulli@libero.it

Cassazione Civile 12131/2023 – Decisione implicita – Ricorso per cassazione – Motivi deducibili – Violazione di legge e difetto di motivazione

Richiedi un preventivo

Ordinanza 12131/2023

Decisione implicita – Ricorso per cassazione – Motivi deducibili – Violazione di legge e difetto di motivazione

È configurabile la decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza; ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di rigetto dell’appello, affermando che il giudizio di irrilevanza della questione attinente alla tardività della domanda di risoluzione ex art. 1456 c.c. doveva reputarsi implicito nella pronuncia di primo grado, che aveva risolto la locazione ex art. 1453 c.c. per gravità dell’inadempimento della conduttrice, non già in applicazione della clausola risolutiva espressa convenuta tra le parti).

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 8-5-2023, n. 12131   (CED Cassazione 2023)

Art. 360 cpc (Ricorso per cassazione)

 

 

Rilevato che,

con sentenza resa in data 5/3/2019, la Corte d’appello di Venezia
ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha
pronunciato la risoluzione del contratto di locazione intercorso tra
l'(OMISSIS) s.r.l. (in qualità di conduttrice) e (OMISSIS) (quale custode
giudiziario della procedura esecutiva avviata, presso il Tribunale di
Verona, nei confronti della proprietaria, originaria locatrice
dell’immobile locato, (OMISSIS)), per inadempimento della società
conduttrice;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha
evidenziato la tempestività e legittimità della domanda di risoluzione
per inadempimento proposta dal custode giudiziario nei confronti della
società conduttrice e l’effettiva sussistenza del requisito della ‘non
scarsa importanza’ dell’inadempimento in cui era incorsa la società
conduttrice; inadempimento nella specie consistito nella reiterata
tardività con la quale la conduttrice aveva provveduto al pagamento di
taluni canoni dovuti;

avverso la sentenza d’appello, la (OMISSIS) s.r.l. propone ricorso
per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione;

(OMISSIS), nella qualità spiegata, resiste con controricorso;

la (OMISSIS) s.r.l. ha depositato memoria;

considerato che,

con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza
impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 115
c.p.c., nonché dell’art. 55 della legge 392/78 (in relazione all’art. 360
nn. 3 e 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto
pacifica la natura del contratto di locazione oggetto di causa quale
locazione ad uso commerciale, anziché ad uso di abitazione, ritenendo
illegittimamente di poter conferire rilievo al difetto di contestazione
della qualificazione giuridica di un rapporto (anziché delle sole
circostanze di fatto), omettendo così di procedere all’esatta
qualificazione del rapporto secondo il principio iura novit curia e
trascurando, conseguentemente, di riconoscere la decisività
dell’avvenuta sanatoria giudiziale del ritardo nel pagamento dei canoni
dovuti, ai sensi dell’art. 55 della legge 392/78;

il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come, secondo quanto riferito dalla medesima
società ricorrente (cfr. pag. 11 del ricorso, in cui appare testualmente
riprodotto un passo della sentenza di primo grado), il giudice di primo
grado avesse già deciso, in modo espresso, sulla qualificazione del
contratto di locazione in esame, evidenziandone la natura di contratto
di locazione a uso diverso da quello di abitazione;
in forza di tale premessa, al fine di impedire l’eventuale formazione
del giudicato interno sul punto, la società ricorrente avrebbe dovuto
proporre impugnazione avverso la decisione di primo grado,
segnatamente sul punto concernente l’avvenuta qualificazione del
contratto concluso tra le parti come contratto di locazione ad uso
diverso di abitazione;

l’omessa proposizione di alcun gravame su tale specifico punto ha
quindi determinato la formazione del corrispondente giudicato interno,
con la conseguente inevitabile attestazione dell’inammissibilità della
censura in esame;

con il secondo motivo, la ricorrente si duole della nullità della
sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio
dispositivo sostanziale e processuale di cui agli artt. 99-115 c.p.c. (in
relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per essersi la corte territoriale
sottratta alla pronuncia sul motivo di appello avanzato dall’odierna
ricorrente con riguardo alla tardività della domanda di risoluzione ex
art. 1456 c.c., avendo il custode giudiziario proposto tale domanda solo
tardivamente con la nota integrativa ex art. 426 c.c.;

il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della
giurisprudenza di questa Corte, non ricorre il vizio di omesso esame di
un punto decisivo della controversia se l’omissione riguarda una tesi
difensiva o un’eccezione che, anche se non espressamente esaminata,
risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa
dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto della tesi o
dell’eccezione, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non
già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul
procedimento ( art. 112 cod. proc. civ.), bensì come violazione di legge
e come difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di
legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla
decisività del punto (Sez. 3, Sentenza n. 14486 del 29/07/2004, Rv.
575700 – 01; conf. Sez. 3, Ordinanza n. 24953 del 06/11/2020, Rv.
659772 – 01; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 6174 del 14/03/2018, Rv.
648218 – 02);

la giurisprudenza di legittimità ha infatti avuto cura di sottolineare
come il mancato esame da parte del giudice di una questione
puramente processuale non è suscettibile di dar luogo a vizio di
omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di
mancato esame di domande od eccezioni di merito, potendo profilarsi,
invece, al riguardo, un vizio della decisione per violazione di norme
diverse dall’art. 112 cod. proc. civ. se, ed in quanto, si riveli erronea e
censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente
data da detto giudice alla problematica prospettata dalla parte (Sez. 3,
in breve, deve ritenersi inconfigurabile il vizio di omesso esame di
una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di
un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio),
quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state
esaminate e decise – sia pure con una pronuncia implicita della loro
irrilevanza o di infondatezza – in quanto superate e travolte, anche se
non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di altra
questione, il cui solo esame comporti e presupponga, come necessario
antecedente logico-giuridico, la detta irrilevanza o infondatezza (cfr.
Sez. 2, Sentenza n. 13649 del 24/06/2005, Rv. 582099 – 01; Sez. 1,
Sentenza n. 11844 del 19/05/2006, Rv. 589393 – 01; Sez. 1, Sentenza
n. 7406 del 28/03/2014, Rv. 630315 – 01);

nel caso di specie, l’implicita decisione costituente il necessario
antecedente logico-giuridico dell’accoglimento dell’appello del Nardi
dev’essere individuato nella (implicita) ritenuta mancanza della
proposizione di alcuna domanda nuova o (come esplicitamente
avvenuto nel caso di specie: cfr. pag. 7 della sentenza impugnata)
nell’implicito giudizio di irrilevanza della questione per avere il giudice
di primo grado pronunciato la risoluzione della locazione ai sensi
dell’art. 1453 c.c. per gravità dell’inadempimento della conduttrice, e
non già in applicazione della clausola risolutiva espressa convenuta tra
le parti;

è peraltro appena il caso di sottolineare come, secondo
l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, nel procedimento
per convalida di sfratto, l’opposizione dell’intimato ai sensi dell’art. 665
c.p.c. determina la conclusione del procedimento a carattere sommario
e l’instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento con rito
ordinario, nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse
alle rispettive posizioni, ivi compresa, per il locatore, la possibilità di
porre a fondamento della domanda una causa petendi diversa da quella
originariamente formulata e, per il conduttore, la possibilità di dedurre
nuove eccezioni e di spiegare domanda riconvenzionale (cfr. Sez. 3,
Ordinanza n. 17955 del 23/06/2021, Rv. 661747 – 01);

in forza di tale ultimo rilievo, il motivo in esame deve dunque
ritenersi inammissibile anche per aver dedotto una questione di
omessa pronuncia priva di decisività;

con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata
per violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., nonché
degli artt. 1362 e segg. c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per
avere la corte territoriale erroneamente ritenuto caratterizzato da
‘gravità’ (‘non scarsa importanza’) l’inadempimento contestato a carico
della conduttrice, sì da giustificare la risoluzione del contratto, in
contrasto con tutte le circostanze di fatto analiticamente richiamate in
ricorso, e per avere, sotto altro profilo, erroneamente interpretato i
contenuti del contratto di locazione dai quali era emersa l’insussistenza
di alcun termine rigoroso fissato dalle parti ai fini del pagamento dei
canoni di locazione dovuti, tale da non consentire un giudizio di
ragionevole tollerabilità dei ritardi nell’adempimento delle obbligazioni

gravanti sulla conduttrice;

il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come, attraverso la proposizione della censura
in esame, la società ricorrente pretenda inammissibilmente di rileggere
i fatti di causa (peraltro, neppure adeguatamente indicati e precisati,
nel rispetto dell’art. 366 n. 6 c.p.c.) al fine di individuare l’insussistenza
dei requisiti di non scarsa importanza (o di gravità) degli
inadempimenti contestati a carico della conduttrice;
allo stesso modo, la stessa ricorrente pretende di rileggere
l’interpretazione del contratto di locazione in esame, sostenendone una
lettura più favorevole ai propri interessi, rispetto a quella fatta propria
dei giudici del merito;

si tratta, con riguardo ad entrambe le prospettive, di proposte
critiche non consentite in sede di legittimità, trattandosi, in tutti e due
i casi, di una proposta di rilettura nel merito dei fatti di causa, come
tale non consentita in questa sede;

con particolare riguardo alla contestata interpretazione del
contratto in esame, varrà considerare come, secondo il consolidato
insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione degli
atti negoziali deve ritenersi indefettibilmente riservata al giudice di
merito ed è censurabile in sede di legittimità unicamente nei limiti
consentiti dal testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c., ovvero nei casi di
violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ai sensi e per gli
effetti di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c.;

in tale ultimo caso, peraltro, la violazione denunciata chiede
d’essere necessariamente dedotta con la specifica indicazione, nel
ricorso per cassazione, del modo in cui il ragionamento del giudice di
merito si sia discostato dai suddetti canoni, traducendosi altrimenti, la
ricostruzione del contenuto della volontà delle parti, in una mera
proposta reinterpretativa in dissenso rispetto all’interpretazione
censurata; operazione, come tale, inammissibile in sede di legittimità
(cfr. Sez. 3, Sentenza n. 17427 del 18/11/2003, Rv. 568253);

nel caso di specie, l’odierna società ricorrente si è limitata ad
affermare, in modo inammissibilmente apodittico, la violazione dei
canoni legali di ermeneutica negoziale richiamati in ricorso, orientando
l’argomentazione critica rivolta nei confronti dell’interpretazione della
corte territoriale, non già attraverso la prospettazione di un’obiettiva e
inaccettabile contrarietà, a tali canoni, della lettura fornita dal giudice
a quo, bensì attraverso l’indicazione degli aspetti della ritenuta non
condivisibilità della lettura interpretativa criticata, rispetto a quella
ritenuta preferibile, in tal modo travalicando i limiti propri del vizio della
violazione di legge (ex art. 360, n. 3, c.p.c.) attraverso la sollecitazione
della corte di legittimità alla rinnovazione di una non consentita
valutazione di merito;

con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata
per violazione e falsa applicazione dell’art. 92, co. 2, c.p.c. (in relazione
all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale
erroneamente omesso di procedere alla compensazione delle spese di
lite relative al grado di appello, dettando in tal modo una decisione
palesemente contraddittoria rispetto a quanto viceversa ritenuto, dalla
stessa corte d’appello, attraverso il rigetto del corrispondente motivo
dell’appello incidentale proposto dalla controparte con riguardo
all’avvenuta compensazione delle spese del primo grado del giudizio;
il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come, in relazione alla censura in esame, debba
trovare applicazione il consolidato insegnamento della giurisprudenza
di questa Corte, ai sensi del quale in tema di spese processuali, la
facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere
discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione
con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con
la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se
adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione,
non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della
mancanza di motivazione (cfr., per tutte, Sez. U, Sentenza n. 14989
del 15/07/2005, Rv. 582306 – 01);

sulla base di tali premesse, dev’essere definitivamente dato atto
dell’inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna della
società ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle
spese del presente giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui
al dispositivo;

dev’essere infine attestata la sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il
ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n.
115/2002;

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al
rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente
giudizio, liquidate in complessivi euro 4.100,00, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00,
e agli accessori come per legge.

Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma
del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione
Civile della Corte Suprema di Cassazione del 30/3/2023.