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Cassazione Civile 12183/2023 – Esecuzione forzata – Titolo esecutivo giudiziale – Cassazione parziale – Estinzione del giudizio di rinvio per mancata riassunzione – Conseguenze – Nullità del precetto – Opposizione all’esecuzione ex art. 615 cpc

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Ordinanza 12183/2023

Esecuzione forzata – Titolo esecutivo giudiziale – Cassazione parziale – Estinzione del giudizio di rinvio per mancata riassunzione – Conseguenze – Nullità del precetto – Opposizione all’esecuzione ex art. 615 cpc

In tema di esecuzione forzata, ove il titolo esecutivo di formazione giudiziale sia stato oggetto di cassazione parziale, la mancata riassunzione del giudizio di rinvio comporta, ai sensi dell’art. 393 c.p.c., l’estinzione non solo di quest’ultimo ma dell’intero processo, con conseguente caducazione dello stesso titolo esecutivo giudiziale, ad eccezione di quelle statuizioni di esso già coperte dal giudicato, in quanto non impugnate o non cassate; ne deriva che è nullo sia il precetto intimato sulla base delle statuizioni direttamente formanti oggetto di cassazione parziale, che avrebbero dovuto essere “sub iudice” nel processo di rinvio, poi estinto, sia quello intimato sulla base delle statuizioni da esse dipendenti le quali, in forza dell’effetto espansivo “interno” di cui all’art. 336, comma 1, c.p.c., sono anch’esse travolte e caducate dalla cassazione parziale.

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 8-5-2023, n. 12183   (CED Cassazione 2023)

Art. 615 cpc (Opposizione all’esecuzione)

 

 

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) s.r.l. in liquidazione propose opposizione all’esecuzione preesecutiva

ex art. 615, comma 1, c.p.c., avverso il precetto notificatole dal
Consorzio (OMISSIS) in data 10.7.2017, con cui le si intimava il rilascio di
tre rustici industriali – già da essa opponente condotti in locazione –, nonché il
pagamento delle spese di lite di primo e di secondo grado, maturate nell’ambito
del giudizio inter partes, definito dalle sentenze del Tribunale di Agrigento del
17.12.2012 e della Corte d’appello di Palermo del 27.4.2015, di cui si minacciava
l’esecuzione. Con sentenza del 14.11.2018, l’adito Tribunale di Agrigento
dichiarò l’inefficacia del precetto limitatamente all’intimazione di rilascio degli
immobili (perché effettuata prima del termine di tre mesi previsto dal titolo
esecutivo), respingendo nel resto l’opposizione e compensando integralmente le
spese di lite. La (OMISSIS) propose gravame avverso la decisione dinanzi alla
Corte d’appello di Palermo, che con sentenza del 20.10/2.11.2020 lo rigettò.

Osservò in particolare il giudice d’appello che, nonostante il giudizio a quo si
fosse estinto, ex art. 393 c.p.c., non avendo le parti riassunto la causa nel
giudizio di rinvio a seguito di Cass. n. 7433/2017 (che aveva appunto
parzialmente cassato la sentenza della Corte d’appello di Palermo del
27.4.2015), s’era comunque formato il giudicato sulle parti della sentenza non
impugnate, o comunque non investite dall’ordinanza della S.C., che solo aveva
accolto il primo motivo di ricorso già proposto dalla stessa (OMISSIS),
rigettando il secondo e il terzo. Pertanto, ha proseguito la Corte territoriale, le
statuizioni relative alle spese giudiziali, per come liquidate nel giudizio a quo sia
in primo che in secondo grado, erano da ritenersi coperte dal giudicato, tanto
più che la società non le aveva specificamente impugnate col ricorso per
cassazione poi parzialmente accolto dalla citata Cass. n. 7433/2017.

Analogamente, doveva ritenersi formato il giudicato sulla dichiarata risoluzione
dei contratti di locazione per inadempimento della società conduttrice, giacché
con la pronuncia di legittimità era stato rigettato il terzo motivo del ricorso per
cassazione della stessa (OMISSIS), afferente a detta specifica questione; né
l’accoglimento del primo motivo – con cui era stata censurata la declaratoria di
inammissibilità della eccezione di compensazione sollevata dalla società, quanto
ai canoni dovuti, in forza dei controcrediti da essa vantati nei confronti della
locatrice – poteva in alcun modo incidere sulla dichiarata risoluzione dei
contratti, perché la (OMISSIS) aveva utilizzato detta eccezione al solo fine di
paralizzare il pagamento di quanto eventualmente dovuto, non anche per
contrastare la chiesta risoluzione della locazione.

Avverso tale sentenza ricorre ora per cassazione (OMISSIS) s.r.l. in
liquidazione, affidandosi a formali due motivi, illustrati da memoria, cui resiste
con controricorso il Consorzio (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo la ricorrente lamenta la “nullità della sentenza e del
procedimento per violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione
dell’art. 393 c.p.c.”. Rileva la ricorrente che, quando la sentenza impugnata
venga cassata per ragioni processuali, come nella specie, ove la causa non sia
tempestivamente riassunta dinanzi al giudice del rinvio, ex art. 393 c.p.c., si
estingue l’intero giudizio e restano travolte tutte le sentenze esitate nel giudizio
di merito, non restando spazio, né sul piano logico, né su quello processuale,
per la formazione di giudicati parziali. Pertanto, poiché la sentenza della Corte
d’appello di Palermo del 27.4.2015 era stata cassata proprio per motivi
processuali – essendosi erroneamente dichiarata l’inammissibilità dell’eccezione
di compensazione (per quanto atecnica), sollevata dalla società con la memoria
integrativa ex artt. 660 e 426 c.p.c. per escludere la propria morosità –
l’estinzione del giudizio a quo non poteva che logicamente travolgere tutte le
statuizioni, comprese quelle sulla risoluzione dei contratti (essendo rimasta sub
iudice proprio la questione circa la sussistenza o meno del proprio
inadempimento) e, a maggior ragione, quella sulle spese.

1.2 – Con il secondo motivo si lamenta la “nullità della sentenza e del
procedimento per violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione
dell’art. 336, commi 1° e 2°, c.p.c.”. La ricorrente deduce l’erroneità della
sentenza nella parte in cui ha negato essersi verificato l’effetto espansivo interno
ed esterno della avvenuta cassazione della sentenza della Corte d’appello di
Palermo del 27.4.2015, sia sui capi della sentenza dipendenti da quello annullato
(e quindi, ancora, su quelli inerenti alla risoluzione dei contratti di locazione e le
spese giudiziali di primo e di secondo grado), sia sul precetto opposto nella sua
totalità.

2.1 – I motivi possono esaminarsi congiuntamente, perché sostanzialmente
connessi. Essi sono fondati, nei termini di cui appresso.

Va preliminarmente rilevato che, sull’inefficacia del precetto opposto, per come
dichiarata dal Tribunale di Agrigento, perché notificato ante tempus, si è formato
il giudicato interno, sicché è certo che esso non possa essere utilizzato dal
Consorzio per il rilascio degli immobili già locati. Permane però l’interesse a
ricorrere della società, sia quanto alle spese del giudizio a quo, pure intimate,
sia perché la stessa ricorrente ha indubbio interesse alla declaratoria di
inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata (anche in relazione ad
una nuova eventuale intimazione per rilascio dei capannoni in questione) in base
alla sentenza della Corte d’appello di Palermo del 27.4.2015, evidentemente
spendibile, in caso contrario, con altro precetto.

2.2 – Ciò posto, costituisce principio ampiamente ricevuto, nella giurisprudenza
di questa Corte, quello secondo cui “La mancata riassunzione del giudizio di
rinvio determina, ai sensi dell’art. 393 cod. proc. civ., l’estinzione non solo di
quel giudizio ma dell’intero processo, con conseguente caducazione di tutte le
sentenze emesse nel corso dello stesso, eccettuate quelle già coperte
dal giudicato, in quanto non impugnate” (per tutte, Cass. n. 1680/2012).

Peraltro, è altrettanto ricevuto il principio per cui la cassazione della sentenza
impugnata in sede di legittimità, in forza dell’effetto espansivo “interno” di cui
all’art. 336, comma 1, c.p.c., travolge anche il capo sulle spese (si veda, per
tutte, Cass., Sez. Un., 10615/2003), quand’anche non oggetto di esplicita
impugnazione, trattandosi per definizione di capo di sentenza dipendente da
quello cassato. Da ciò discende, dunque, che a maggior ragione l’estinzione
dell’intero giudizio, conseguente alla mancata riassunzione in sede di rinvio, ex
art. 393 c.p.c., non può certo giustificare l’esecuzione forzata tendente al
recupero delle spese già liquidate con la sentenza ut supra cassata, difettando
per definizione il titolo esecutivo, ex art. 474 c.p.c.

2.3 – Tornando al caso che occupa, ritiene la Corte che la mancata riassunzione
del giudizio di rinvio, a seguito di Cass. n. 7433/2017, comporti necessariamente
gli effetti anelati dalla ricorrente, ma erroneamente negletti dal giudice del
merito.

Con l’ordinanza citata, infatti, questa Corte accolse il primo motivo del ricorso,
annullando la decisione d’appello perché aveva considerato la questione del
controcredito vantato dalla società – posta solo in seno alla memoria integrativa
ex art. 426 c.p.c. – come oggetto di domanda riconvenzionale, e quindi
inammissibile, anziché come mera eccezione riconvenzionale (e neppure
tecnicamente intesa, trattandosi in realtà di controcredito, in tesi, nascente dal
medesimo rapporto su cui si fondavano le pretese avversarie). Nel far ciò, la
citata ordinanza precisò che “emerge dall’esame del contenuto delle difese della
società ricorrente che questa non ha proposto alcuna domanda di condanna del
consorzio attore, limitandosi a chiedere di ‘compensare’ le pretese da questo
avanzate per il mancato pagamento dei canoni con i propri crediti risarcitori per
il dedotto inadempimento dello stesso agli obblighi gravanti a suo carico quale
locatore, e comunque (a prescindere dalla specifica qualificazione dell’eccezione
proposta) la detrazione dei relativi importi da quelli eventualmente accertati
come dovuti a titolo di canoni insoluti. Si tratta di difese che in realtà non
possono ritenersi integrare neanche una vera e propria eccezione di
compensazione in senso tecnico (…). In ogni caso, se anche le difese in questione
fossero state qualificabili come domande riconvenzionali, esse – per quanto
sopra osservato – avrebbero comunque dovute essere prese in esame quali
eccezioni, al limitato effetto di paralizzare eventualmente la domanda principale
di parte attrice”.

È pur vero che con la stessa ordinanza venne poi respinto il terzo motivo (con
cui (OMISSIS) aveva a suo tempo denunciato la “violazione, falsa
applicazione ed errata interpretazione dell’art. 1460 c.c. in combinato disposto
con l’art. 1584 c.c.”, da cui in tesi risultava affetta la sentenza della Corte
d’appello di Palermo del 27.4.2015, nella parte in cui si era dichiarata la
risoluzione del contratto di affitto), sicché è innegabile che effettivamente è
venuto a formarsi, in parte qua, un giudicato parziale, come anche sostenuto dal
Consorzio controricorrente.

Il giudice d’appello, però, non ha tenuto conto, all’evidenza, che una tale
statuizione di rigetto coesiste e va coordinata pur sempre con il contemporaneo
accoglimento del primo motivo del ricorso da parte di Cass. n. 7433/2017, che
invece imponeva al giudice del rinvio di tener conto dell’eccezione di
compensazione (benché atecnica) sollevata da (OMISSIS), la cui fondatezza
(minimamente valutata dalla stessa Corte territoriale) avrebbe addirittura potuto
anche escludere la sussistenza dell’inadempimento dell’affittuaria, su cui
evidentemente la pronuncia risolutoria trovava fondamento; ciò è inequivoco
nelle stesse parole della citata ordinanza di questa Corte, laddove si precisa che
detta eccezione venne proposta da (OMISSIS) “al limitato effetto di
paralizzare eventualmente la domanda principale di parte attrice”, passaggio
motivazionale erroneamente non valorizzato dalla stessa Corte isolana.

Pertanto, il giudicato formatosi a seguito del rigetto del terzo motivo del ricorso,
nel giudizio a quo, non implica affatto la definitività del capo decisorio circa la
risoluzione del contratto inter partes (e quindi, la fondatezza della domanda
proposta dal Consorzio (OMISSIS) per ottenere – previa appunto la risoluzione – il
rilascio dei beni), ma al più di quella parte della sentenza d’appello con cui si era
ritenuta infondata l’eccezione di inadempimento del locatore, sollevata dalla
conduttrice in relazione a ben determinate specifiche circostanze dalla stessa
addotte, ancora valorizzate con lo stesso terzo motivo di ricorso, poi appunto
respinto; in altre parole, risulta coperta dal giudicato la statuizione per cui non
sussisteva alcun inadempimento agli obblighi contrattuali da parte del Consorzio
(OMISSIS), tale da giustificare l’elisione dell’obbligo di corresponsione dei canoni da
parte della conduttrice, che pure aveva continuato a godere degli immobili. In
un eventuale nuovo giudizio tra le parti, dunque, solo l’infondatezza di tale
eccezione, per come sollevata da (OMISSIS), potrà dirsi coperta dal giudicato,
non altro.

In definitiva, a piena ragione la società ricorrente sostiene, specialmente col
primo mezzo, che il capo sulla risoluzione del contratto per inadempimento della
conduttrice fosse ancora sub iudice, nel giudizio di rinvio, sicché nessun giudicato
sulla pronuncia di rilascio può essersi formato sul capo della sentenza con cui –
in virtù di detta risoluzione – si condannava (OMISSIS) al rilascio dei
capannoni; il che comporta che non solo tale pronuncia della sentenza della
Corte d’appello isolana del 27.4.2015 non avrebbe comunque potuto
sopravvivere all’estinzione del giudizio ex art. 393 c.p.c., ma a ben vedere che
essa neppure avrebbe potuto eseguirsi in ogni caso, perché travolta dalla
ripetuta ordinanza n. 7433/2017, in forza dell’effetto espansivo “interno” di cui
all’art. 336, comma 1, c.p.c.

2.4 – Se così è, richiamando quanto già anticipato in via generale, risulta anche
conseguenziale ritenere che la cassazione della sentenza del 27.4.2015 abbia
finito col travolgere, necessariamente, anche il capo sulle spese (contrariamente
a quanto opinato dalla Corte palermitana), perché chiaramente dipendente dal
capo di sentenza oggetto di cassazione (si veda la già citata Cass., Sez. Un., n.
10615/2003): non occorre spendere troppi argomenti per rilevare che la
liquidazione delle spese giudiziali a carico di una delle parti del processo,
dipendendo dalla sua soccombenza, presuppone un determinato esito della lite,
sicché, venendone meno i presupposti (come nella specie, per quanto prima
detto), inevitabilmente ne viene meno il fondamento, ancora in virtù del disposto
dell’art. 336, comma 1, c.p.c.

Pertanto, anche per effetto dell’estinzione del giudizio a quo, per mancata
riassunzione ex art. 393 c.p.c., nessun giudicato ha avuto modo di formarsi, sul
punto, né tantomeno può sussistere un capo condannatorio suscettibile di essere
eseguito coattivamente.

3.1 – In definitiva, il ricorso principale è accolto; la sentenza impugnata è
dunque cassata in relazione e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la
causa può essere decisa nel merito, ex art. 384, comma 2, c.p.c., in definitivo
integrale accoglimento dell’originaria opposizione a precetto con la declaratoria
della nullità di quest’ultimo, anche nella parte in cui non è già stata dichiarata
nel corso del presente giudizio.

Ciò deriva non già dal preteso effetto espansivo “esterno” ex art. 336, comma
2, c.p.c., come pure sostenuto dalla ricorrente, ma perché, allorquando esso fu
notificato, il Consorzio (OMISSIS) non aveva diritto di procedere ad esecuzione forzata
in base al titolo azionato, né per il rilascio (a prescindere dalla violazione del
termine concesso dal giudice della cognizione), né per le spese di lite, giacché
l’azione minacciata non poteva dirsi fondata su titolo esecutivo, proprio per
effetto della intervenuta cassazione della sentenza della Corte d’appello
palermitana del 27.4.2015.

Si vuole cioè evidenziare che un possibile rilievo del disposto dell’art. 336,
comma 2, c.p.c., e quindi la refluenza della cassazione della detta sentenza
d’appello sul precetto opposto in questo giudizio, avrebbe potuto ipotizzarsi
allorché la pronuncia di Cass. n. 7433/2017 fosse intervenuta dopo la notifica
del precetto stesso: in quel caso, quindi, avrebbe potuto discutersi di effetto
espansivo “esterno” della citata ordinanza di questa Corte di legittimità. Al
contrario, questa venne pubblicata il 23.3.2017, e dunque ben prima della
notifica dello stesso precetto opposto, avvenuta il 6/10.7.2017: in tale data,
dunque, non solo non sussisteva un valido titolo esecutivo a sostegno dell’azione
(giacché le statuizioni condannatorie di cui il Consorzio (OMISSIS) aveva minacciato
l’esecuzione erano state già incise dalla pronuncia di legittimità che, come visto,
le aveva senz’altro poste nel nulla), ma a ben vedere lo stesso giudizio a quo
doveva considerarsi già estinto, essendo trascorsi più di tre mesi dalla
pubblicazione della ripetuta Cass. n. 7433/2017, e ciò ai sensi del combinato
disposto degli artt. 392 e 393 c.p.c. Pertanto, il precetto opposto è nullo perché
sconta non già un vizio derivato (come nella sostanza prospettato dalla
ricorrente, specie col secondo mezzo), ma un vizio che può dirsi genetico,
essendosi con esso minacciata, ab origine, un’esecuzione forzata non supportata
da valido titolo esecutivo.

Le spese dell’intero giudizio, liquidate come in dispositivo e spettando in ogni
caso automaticamente i rimborsi degli eventuali accessori documentati (quali il
contributo unificato), seguono la soccombenza.

P. Q. M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa in relazione e, decidendo nel merito, dichiara
la nullità del precetto opposto. Condanna il controricorrente alla rifusione delle
spese del giudizio, liquidate per compensi quanto al primo grado in € 5.535,00,
quanto al grado d’appello in € 6.491,00, e quanto al processo di legittimità in €
6.600,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in
misura del 15%, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno
14.2.2023.