Ordinanza 12329/2022
Imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG) – Capitali dati a mutuo – Mancata percezione degli interessi attivi – Onere della prova
In tema d’imposta sul reddito delle persone giuridiche, la dimostrazione della mancata percezione degli interessi attivi sulle somme date a mutuo incombe sul contribuente, sia per il carattere normalmente oneroso del contratto di mutuo, quale previsto dall’art. 1815 c.c., sia in quanto l’art. 43 del d.P.R. n. 597 del 1973 prevede che i capitali dati a mutuo, salvo prova contraria, producono interessi al tasso legale, se non convenuti o pattuiti in misura inferiore, norma che trova applicazione anche per le società commerciali in base al rinvio generale dell’art. 5 del d.P.R. n. 598 del 1973, con cui le presunzioni del suddetto art. 43 sono state estese ai contribuenti soggetti ad Irpeg.
Cassazione Civile, Sezione Tributaria, Ordinanza 14-4-2022, n. 12329 (CED Cassazione 2022)
Art. 1815 cc (Interessi) – Giurisprudenza
Art. 2697 cc (Onere della Prova) – Giurisprudenza
RILEVATO CHE:
1. la controversia riguarda l’impugnazione, da parte della (OMISSIS) Srl e dei soci (OMISSIS) e (OMISSIS), degli avvisi di accertamento (conseguenti alla verifica svolta dalla Guardia di finanza in relazione ai periodi d’imposta dal 2006 al 2011) che, quanto al 2008, recuperavano a tassazione IRES, IRAP, IVA, nei confronti della società, e IRPEF, nei confronti dei soci, maggiore redditi non dichiarati, accertati con metodo analitico induttivo;
2. la Commissione tributaria provinciale di Treviso, riuniti i ricorsi della società e dei soci, li accolse, con sentenza (n. 357/08/2014) confermata dalla Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) del Veneto, che ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle entrate con i seguenti argomenti: (i) con riferimento al primo rilievo, concernente le anomale risultanze del “conto cassa”, gli avvisi di accertamento, che hanno il loro fulcro nella rettifica dei dati contabili relativi al 2005 (in particolare “il conto cassa”), sono illegittimi in quanto l’autorizzazione alla verifica fiscale era circoscritta agli anni 2006-2011; (ii) la parte contribuente ha assolto all’onere della prova richiesto dall’Amministrazione finanziaria, e le dichiarazioni rese (nel corso della verifica) da (OMISSIS) e dalla collaboratrice “sig.ra (OMISSIS)” alla Guardia di finanza forniscono elementi per negare che le movimentazioni di cassa fossero operazioni “meramente cartolari”, e descrivono (in coerenza con una prassi diffusa nel mondo delle imprese) un procedimento di monetizzazione di fondi e di trasferimenti da un conto corrente all’altro, finalizzato a ripianare degli scoperti bancari; (iii) con riferimento al secondo rilievo, concernente l’illegittima erogazione di prestiti di denaro a titolo gratuito dalla società al socio (OMISSIS), la contribuente ha superato la presunzione di onerosità dei prestiti sulla base di documentazione (“bilanci aziendali e altri documenti”) idonea a dimostrare che, in cambio dell’utilizzo gratuito da parte della società di immobili di proprietà del socio, quest’ultimo riceveva prestiti non remunerati, e ciò era sufficiente a smentire la tesi erariale dell’esistenza di “interessi attivi” non dichiarati;
3. l’Agenzia ha proposto ricorso con sei motivi per la cassazione della sentenza d’appello e la società ed i soci hanno resistito con controricorso;
4. in data 30/04/2021, (OMISSIS) ha presentato istanza di declaratoria di cessazione della materia del contendere, sul presupposto di avere aderito alla definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti, ai sensi del Decreto Legge 23 ottobre 2018, n. 119, artt. 6 e 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136. L’elenco dei documenti allegato all’istanza non risultava notificato all’Avvocatura generale dello Stato, che rappresenta e difende la ricorrente Agenzia delle entrate nel giudizio di legittimità. Pertanto, in applicazione dei principi di diritto desumibili in tesi generale da Cass. Sez. U., 23/09/2014, n. 19980, questa Corte, in diversa composizione, ha assegnato alla contribuente un termine per la notificazione dell’elenco dei nuovi documenti all’Avvocatura erariale e per il deposito di documentazione idonea a dimostrare i pagamenti connessi alla domanda di definizione agevolata;
5. la contribuente ha depositato l’elenco degli atti (domanda di definizione agevolata delle liti pendenti relativa al 2008, con quietanza di pagamento Modello 24 delle rate scadute) notificato a mezzo PEC al patrono erariale.
CONSIDERATO CHE:
a. con riferimento alla posizione di (OMISSIS), posto che non risulta intervenuto diniego della definizione, ai sensi del comma 13 dell’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018, il processo va dichiarato estinto; alla stregua di quanto previsto dall’ultimo periodo del comma 13, (che disciplina l’analoga ipotesi in cui il processo è dichiarato estinto con decreto del Presidente), le spese del processo estinto restano a carico della parte che le ha anticipate. Il principio secondo cui le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate nasce in via generale dall’art., 46, comma 3, d.lgs. n. 546 del 1992. La
declaratoria di estinzione del giudizio esclude l’applicabilità dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, relativo all’obbligo della parte impugnante non vittoriosa di versare una somma pari al contributo unificato già versato all’atto della proposizione dell’impugnazione (negli stessi termini, Cass. 08/07/2021, n. 19419, nonchè: Cass. 12/10/2018, n. 25485, in tema di definizione agevolata Decreto Legge n. 50 del 2017, ex art. 11, conv. con mod. dalla L. n. 96 del 2017; Cass. 10/10/2019, n. 25529, in tema di definizione agevolata Decreto Legge n. 193 del 2016, ex art. 6, conv. con mod. dalla L. n. 225 del 2016);
1. quanto alla società e al socio (OMISSIS), il primo motivo di ricorso [«1) Violazione e falsa applicazione art. 42, 43 DPR 600/73, 52, 56, 57 DPR 633/72 in combinato disposto, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.»], censura l’errore di diritto della sentenza impugnata, che ha ritenuto violati i limiti temporali dell’attività ispettiva, senza considerare che, incontestato che l’accertamento era circoscritto agli anni 2006-2011, per il principio di continuità dei valori di bilancio, l’organo di controllo ben poteva verificare l’esattezza del saldo (iniziale) del conto cassa al 1/01/2006, e per compiere tale operazione aveva altresì la facoltà di verificare l’esattezza del saldo (finale) di quel conto al 31/12/2005, prendendo visione della contabilità del 2005; dopodichè, rettificato (a causa di certe anomale iscrizioni) il saldo finale al 31/12/2005, l’accertamento non aveva interessato il 2005 (per il quale non era stato emesso alcun atto impositivo), bensì i periodi d’imposta a partire dal 2006;
2. il secondo motivo [«2) Nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione e falsa applicazione) art. 36 d.lgs. 546/92, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.»], censura la motivazione apparente della sentenza impugnata, che non spiega la ragione per cui sono state ritenute reali alcune movimentazioni assai sospette del conto cassa, relative al 2005, soprattutto considerato che persino la socia (OMISSIS), nelle dichiarazioni rese (tramite e-mail) durante l’indagine fiscale, aveva riconosciuto che le operazioni sul conto cassa erano state fatte soltanto a fini fiscali, che non vi era stato “alcun introito monetario effettivo” e, infine, che alcune di esse “non (erano) altro che giroconti” per i quali non era stata esibita la documentazione di riscontro;
3. il terzo motivo [«3) Nullità della sentenza per inosservanza (violazione e falsa applicazione) art. 36 d.lgs. 546/92, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.»], con riferimento al secondo rilievo (ripresa a tassazione degli interessi sulle ingenti somme che la società ha concesso a titolo di mutuo al socio (OMISSIS)), denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente, laddove si afferma che la presunzione di onerosità del mutuo è stata vinta dalla prova emergente dal bilancio della società mutuante;
4. il quarto motivo [«4) Violazione e falsa applicazione art. 1815 c.c., 45 dpr 917/86 e 2697 2427 e 2728 c.c., in combinato disposto in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.»], censura l’errore di diritto della sentenza impugnata che prima afferma che le somme sono state date a mutuo, salvo poi negare che sia stata provata l’onerosità del mutuo, senza considerare che è la legge che pone la presunzione di onerosità del mutuo. Sotto altro profilo, l’Agenzia ascrive alla C.T.R. di avere evinto la gratuità del prestito di somme dalle risultanze di bilancio, non avvedendosi che tale documento contabile non fa prova contro il fisco in quanto è una dichiarazione dell’imprenditore a sè favorevole;
5. il quinto motivo [«5) Violazione e falsa applicazione art. 9 e 45 DPR 917/86 e 1815 c.c. e dei principi generali in materia di contratti sinallagmatici in combinato disposto, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.»], censura la sentenza impugnata che, quando afferma che vi era stato uno scambio di utilità tra società e socio, trascura che, in forza delle disposizioni appena richiamate, tali utilità non possono che consistere negli interessi, da quantificare secondo il valore normale (art. 9 t.u.i.r.), che costituiscono redditi di capitale, fiscalmente rilevanti;
6. il sesto motivo [«6) Nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione e falsa applicazione) dell’art. 36 d.lgs. 546/92, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.»], censura la sentenza impugnata che, nel dare atto che altra sezione della medesima Commissione regionale (con sentenza n. 204/18/15) ha annullato analoghi avvisi di accertamento, riguardanti altra annualità, omette di verificare il passaggio in giudicato della decisione sezionale, e, comunque, non illustra le ragioni che ne costituiscono il fondamento;
7. il primo motivo è inammissibile;
la C.T.R., muovendo dal presupposto (non contestato) che l’autorizzazione all’attività accertatrice era circoscritta alle annualità dal 2006 al 2011, senza includere il periodo d’imposta 2005, ha negato che, ai fini della verifica circa la veridicità o meno del saldo del conto cassa al 1/01/2006, l’organo di controllo potesse utilizzare (cfr. pag. 7 della sentenza) “documentazione fiscale afferente alla contabilità dell’anno 2005”. Una simile statuizione non considera che, per il principio di continuità dei valori di bilancio, il controllo sui dati del saldo del conto cassa al 1/01/2006 non poteva prescindere dalla verifica del saldo del conto cassa al 31/12/2005, la quale, nella prospettiva bilancistica, rappresenta l’altra faccia della stessa medaglia. Detto questo, tuttavia, la censura, fondata in tesi, non può condurre alla cassazione della sentenza impugnata a causa della reiezione dei successivi motivi di ricorso, per le ragioni appresso illustrate;
8. il secondo e il terzo motivo, suscettibili di esame congiunto perchè pongono la stessa questione di diritto, non sono fondati;
per giurisprudenza pacifica (Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476, la quale cita, in motivazione, Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Sez. U. 18/04/2018, n. 9558; Sez. U. 31/12/2018, n. 33679) “nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione.”. Nel caso all’esame, al contrario di ciò che sostiene l’ufficio, una motivazione esiste in quanto la C.T.R., per un verso, con riferimento al secondo motivo, ha ritenuto convincenti le dichiarazioni di Ingrid (OMISSIS) e dell’impiegata (OMISSIS), secondo cui quelli operati sul conto cassa erano veri e propri giroconti e non mere movimentazioni, ed erano finalizzati a ripianare gli scoperti bancari; per altro verso, con riferimento al terzo motivo, ha esplicitamente desunto la non onerosità dei prestiti erogati dalla società al socio dalla contabilità dell’ente collettivo;
9. il quarto motivo, nella sua complessa formulazione, e il quinto motivo, suscettibili di esame congiunto perchè pongono la stessa questione di diritto, non sono fondati;
Cass. 07/10/2015, n. 20035, cui va dato seguito, ha chiarito che “In tema d’imposta sul reddito delle persone giuridiche, la dimostrazione della mancata percezione degli interessi attivi sulle somme date a mutuo incombe sul contribuente, sia per il carattere normalmente oneroso del contratto di mutuo, quale previsto dall’art. 1815 c.c., sia in quanto il Decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1973, art. 43, prevede che i capitali dati a mutuo, salvo prova contraria, producono interessi al tasso legale, se non convenuti o pattuiti in misura inferiore, norma che trova applicazione anche per le società commerciali in base al rinvio generale del Decreto del Presidente della Repubblica n. 598 del 1973, art. 5, con cui le presunzioni del suddetto art. 43, sono state estese ai contribuenti soggetti ad Irpeg.”; (Cass. 07/10/2015, n. 20035). Ebbene, nella specie, il giudice tributario d’appello, senza discostarsi da questo principio di diritto, con un accertamento di fatto, non attinto da specifica censura, ha stabilito che la società non ha percepito interessi (attivi) sulle somme concesse a mutuo al socio, e da ciò ha correttamente tratto l’irrilevanza fiscale del prestito (gratuito);
10. il sesto motivo è inammissibile;
questa Corte (Cass. 05/06/2007, n. 13068; conf. ex aliis Cass. 23/10/2019, n. 27102) ha enunciato il principio che è inammissibile, in sede di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam e, pertanto, non costituente una ratio decidendi della medesima.
Invero, un’affermazione siffatta contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse. Venendo adesso all’esame del motivo di ricorso, è evidente dal tenore testuale della “presa d’atto”, da parte della C.T.R., dell’esistenza dell’annullamento, ad opera di un’altra sezione della medesima Commissione regionale, di analoghi avvisi d’accertamento riguardanti “altra annualità”, che una simile asserzione non è una ratio decidendi della sentenza, il cui fulcro è stato illustrato in precedenza (cfr. p. 2. del “Rilevato che”);
11. in conclusione, il ricorso deve essere rigettato;
12. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
13. rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass. 29/01/2016, n. 1778);
P.Q.M.
in relazione a (OMISSIS), dichiara l’estinzione del giudizio, ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018; in relazione alla (OMISSIS) Srl e a (OMISSIS), rigetta il ricorso, e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00, a titolo di compenso, Euro 200,00, per esborsi, oltre al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 06 aprile 2022