Ordinanza 12470/2023
Esecuzione forzata – Ricerca telematica dei beni da pignorare ex art. 492-bis cpc – Comunicazione dell’Agenzia delle entrate sull’esistenza di rapporti finanziari nell’anagrafe tributaria – Prova presuntiva di crediti del debitore nei confronti dell’intermediario – Esclusione
In tema di ricerca telematica dei beni da pignorare ex art. 492-bis c.p.c., la comunicazione dell’Agenzia delle entrate sull’esistenza di rapporti censiti nell’archivio dei rapporti finanziari non costituisce prova presuntiva della sussistenza di crediti del debitore nei confronti dell’intermediario, in quanto – essendo inserite nell’apposita sezione della banca dati dell’anagrafe tributaria eterogenee notizie relative ai flussi di denaro veicolati dai contribuenti attraverso il circuito bancario e, più in generale, finanziario – la predetta comunicazione non specifica se il rapporto intrattenuto dal soggetto a cui l’interrogazione si riferisce è attivo o passivo.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 9-5-2023, n. 12470 (CED Cassazione 2023)
FATTI DI CAUSA
1. Gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), creditori di
(OMISSIS) ed (OMISSIS), promuovevano, innanzi al
Tribunale di Taranto, una procedura espropriativa dei crediti vantati da
questi ultimi nei confronti di (OMISSIS) S.p.A., società che – in esito
alla ricerca ex art. 492-bis cod. proc. civ. e alle risultanze dell’anagrafe
tributaria comunicate dall’Agenzia delle Entrate agli odierni ricorrenti –
risultava intrattenere «rapporti finanziari» con entrambi gli esecutati.
2. La società terza pignorata trasmetteva dichiarazione negativa,
mai recapitata ai creditori a causa di un errore nell’indirizzo di p.e.c., e
non compariva all’udienza dell’11/1/2017, né a quella successiva del
15/3/2017, alla quale era stata ritualmente convocata per rendere la
dichiarazione ex art. 547 cod. proc. civ.
3. Con ordinanza del 22/4/2017, il giudice dell’esecuzione –
ritenendo incontestato, a norma dell’art. 548, comma 1, cod. proc. civ.,
il credito di Euro 41.457,50 vantato dagli esecutati nei confronti di
(OMISSIS) – lo assegnava ai procedenti.
4. Avverso la predetta ordinanza la (OMISSIS) proponeva
tempestiva opposizione ex art. 617 cod. proc. civ.; nel giudizio di merito
introdotto ex art. 618 cod. proc. civ., il Tribunale di Taranto, con la
sentenza n. 1995 del 5/11/2020, accoglieva l’opposizione e annullava
l’ordinanza di assegnazione del suddetto credito, mentre dichiarava
inammissibile la domanda di accertamento negativo del suddetto credito
avanzata dalla medesima società.
5. Per quanto qui ancora rileva, il Tribunale affermava che il
pignoramento di crediti presso terzi è valido anche in caso di generica
indicazione delle somme dovute all’esecutato e che, tuttavia, una
maggiore specificazione è richiesta affinché possa operare il
meccanismo della non contestazione previsto dall’art. 548 cod. proc.
civ.; nella fattispecie esaminata, «i pignoramenti introduttivi delle due
procedure riunite promosse contro la (OMISSIS) ed il (OMISSIS) non
contenevano una sufficiente indicazione dei crediti pignorati … [che]
venivano identificati quali “rapporti finanziari” intrattenuti dai debitori
coi i terzi, non consentendo nemmeno di individuare un sia pur minimo
elemento di specificazione del titolo da cui avrebbe tratto origine il
credito pignorato»; lo stesso giudice riteneva ammissibile la
proposizione dell’opposizione ex art. 617 cod. proc. civ. avverso
l’ordinanza di assegnazione (erroneamente emessa nonostante la
mancanza dei presupposti della non contestazione), dovendosi
escludere che l’unico strumento di tutela a disposizione del terzo
pignorato sia quello previsto dall’art. 548, comma 2, cod. proc. civ., coi
limiti previsti da tale disposizione.
6. Avverso tale decisione (OMISSIS) e (OMISSIS)
proponevano ricorso per cassazione, basato su tre motivi; resisteva con
controricorso la (OMISSIS) S.p.A., mentre non svolgevano difese in
questo giudizio gli intimati (OMISSIS), (OMISSIS) e il
Condominio di via (OMISSIS) 46 in Taranto. Le parti depositavano memorie
ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
7. All’esito della camera di consiglio del 7 marzo 2023, il Collegio si
riservava il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni, a
norma dell’art. 380-bis.1, comma 2, cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente si rileva che può prescindersi dalla verifica della
ritualità delle notifiche agli intimati in base ai principî affermati da Cass.,
Sez. U, Ordinanza n. 6826 del 22/03/2010 (e successive conformi).
2. Col primo motivo, formulato con richiamo all’art. 360, comma 1,
n. 5, cod. proc. civ., i ricorrenti denunciano la nullità della sentenza per
omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione tra
le parti, per avere il Tribunale mancato di considerare le note trasmesse
dall’Agenzia delle Entrate che – dando atto della pendenza di rapporti
finanziari, risultanti dall’anagrafe tributaria, con gli esecutati –
costituivano sufficiente specificazione del credito pignorato, dato che la
(OMISSIS), soggetto iscritto all’albo ex art. 106 T.U.B., aveva
comunicato all’Agenzia i nominativi di (OMISSIS) e (OMISSIS) in quanto titolari
di contratti di investimento. Sostenevano i ricorrenti che,
contrariamente a quanto dedotto dalla (OMISSIS), non vi è obbligo
legislativo, per gli intermediari finanziari, di «comunicare al Fisco i nomi
di coloro che risultano essere semplici debitori … [mentre] sono
certamente obbligati a comunicare al Fisco i nomi di coloro con i quali
intrattengono rapporti nascenti da negozi di investimento con gli stessi
stipulati».
3. Col secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1,
n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt.
2697 cod. civ., 132 cod. proc. civ. e 111 Cost., per avere il giudice del
merito, peraltro senza motivazione, posto a carico dei creditori
procedenti l’onere di chiedere, a norma dell’art. 549 cod. proc. civ.,
l’accertamento endoesecutivo dell’obbligo del terzo, sebbene gli stessi
avessero già assolto l’onere probatorio a loro carico mediante la
produzione delle già menzionate comunicazioni dell’Agenzia delle
Entrate.
4. Col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3
e 4, cod. proc. civ., si deduce la nullità della sentenza per violazione
degli artt. 543, 548, 549 cod. proc. civ. e 112 prel., per avere il
Tribunale reputato ammissibile l’opposizione ex art. 617 cod. proc. civ.
avverso l’ordinanza di assegnazione, oltre i limiti dell’art. 548, comma
2, cod. proc. civ., senza considerare la ratio delle modifiche normative
intese ad accelerare il processo esecutivo attraverso il meccanismo della
non contestazione; inoltre, si deduce che sarebbe spettato a
(OMISSIS), responsabile dell’omessa dichiarazione ex art. 547 cod.
proc. civ., introdurre il procedimento di accertamento endoesecutivo
dell’obbligo del terzo, contestando l’avversaria allegazione del credito e
dimostrando la sua insussistenza.
5. Le censure – che possono essere congiuntamente esaminate
perché tra loro connesse – sono infondate.
6. Come già statuito da questa Corte, nella procedura espropriativa
ex artt. 543 ss. cod. proc. civ., il terzo pignorato può impugnare
l’ordinanza di assegnazione del credito con l’opposizione agli atti
esecutivi non solo nell’ipotesi di cui all’art. 548, comma 2, cod. proc.
civ. (cioè, se prova di non aver avuto tempestiva conoscenza del
processo esecutivo per irregolarità della notificazione o per caso fortuito
o forza maggiore), ma anche per far valere vizi propri del
provvedimento, come nel caso in cui l’atto sia illegittimo per avere il
giudice, in mancanza della dichiarazione ex art. 547 c.p.c.,
erroneamente applicato il meccanismo della ficta confessio, anziché dar
corso al procedimento di accertamento endoesecutivo ex art. 549 cod.
proc. civ. (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 16234 del 19/05/2022, Rv.
665105-01).
7. Ai fini dell’operatività del meccanismo di “non contestazione”
previsto dall’art. 548 cod. proc. civ., infatti, non è sufficiente che il terzo
ometta di rendere la dichiarazione nonostante la sua convocazione ad
un’apposita udienza successiva alla prima, ma occorre anche che
l’allegazione del creditore (nell’atto di pignoramento) consenta
l’identificazione del credito pignorato; solo ricorrendo tali presupposti il
credito va inteso come non contestato e il giudice dell’esecuzione deve
procedere alla sua assegnazione, con provvedimento suscettibile di
impugnazione (mediante opposizione ex art. 617 cod. proc. civ.) da
parte del terzo pignorato soltanto se sussistano le circostanze previste
dal secondo comma del citato art. 548 (le quali costituiscono
presupposto indefettibile per l’ammissibilità dell’opposizione stessa
avverso l’ordinanza ex art. 553 cod. proc. civ.; Cass., Sez. 3, Ordinanza
n. 30090 del 26/10/2021, non massimata).
8. Tuttavia, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata,
la menzionata disposizione non può essere intesa come una limitazione
alla proponibilità dell’opposizione per vizi propri del provvedimento
giudiziale, non dipendenti, cioè, dalla mera applicazione del meccanismo
di “non contestazione” e, dunque, non concernenti il credito «non
contestato ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul
provvedimento di assegnazione»; conformemente a quanto statuito da
altre pronunce di legittimità, «non ravvisandosi i presupposti per ridurre
eccessivamente ed immotivatamente gli spazi di tutela per il terzo
pignorato … al terzo pignorato che non ha reso la dichiarazione di
quantità deve ritenersi tuttora assicurata la possibilità di proporre
l’opposizione anche nelle forme ordinarie, a prescindere dai presupposti
di ammissibilità indicati nell’art. 548, ultimo comma, c.p.c., laddove egli
intenda far valere vizi propri del provvedimento di assegnazione, al di
fuori delle situazioni che possa-no aver dato luogo ad una incolpevole
omissione della dichiarazione di quantità» (così Cass., Sez. 3, Ordinanza
n. 30090 del 26/10/2021, richiamata anche da Cass., Sez. 3, Ordinanza
n. 16234 del 19/05/2022).
9. Pertanto, qualora il terzo non renda alcuna dichiarazione
(nonostante la sua convocazione ad un’apposita udienza successiva alla
prima), ma l’allegazione del creditore non consenta l’identificazione del
credito pignorato, in forza dell’art. 549 cod. proc. civ. il giudice
dell’esecuzione non può procedere all’assegnazione, ma – su istanza
della parte interessata e nel contraddittorio tra le parti e con il terzo
(Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23123 del 25/07/2022, Rv. 665425-02 e
Rv. 665425-03) – deve procedere ad un accertamento endoesecutivo,
il cui provvedimento conclusivo è suscettibile di impugnazione ex art.
617, comma 2, cod. proc. civ..
10. Nel caso in esame, il Tribunale ha inequivocabilmente
affermato che, col ricorso ex art. 617, comma 2, cod. proc. civ.
(espressamente dichiarato tempestivo), la (OMISSIS) aveva dedotto
l’illegittimità dell’ordinanza ex art. 548 cod. proc. civ., in quanto emessa
in carenza di uno dei suoi presupposti, perché il credito pignorato era
stato solo genericamente indicato dai creditori procedenti, il che è
consentito dall’art. 543 cod. proc. civ. (tra le altre, Cass., Sez. 3,
Sentenza n. 6518 del 20/03/2014, Rv. 630204-01), ma in maniera
inidonea a consentirne l’esatta identificazione, con conseguente
inoperatività del meccanismo della ficta confessio.
11. Risulta pertanto evidente l’infondatezza delle censure svolte
col terzo motivo, il quale si incentra sull’omessa dichiarazione ex art.
547 cod. proc. civ. (dalla quale soltanto dovrebbe, in tesi, trarsi la “non
contestazione”), ma non considera che tale condotta del terzo,
quand’anche colpevole (come sostenuto nel ricorso), non è di per sé
sufficiente a giustificare l’emissione dell’ordinanza di assegnazione
qualora l’indicazione del credito non sia specifica.
12. Per superare tale carenza, i ricorrenti, da un lato, offrono
una ricostruzione del combinato disposto degli artt. 548 e 549 cod. proc.
civ. che è già stata respinta dalla giurisprudenza di legittimità (sia per
quanto riguarda l’ammissibilità dell’opposizione ex art. 617 cod. proc.
civ., sia per ciò che concerne l’iniziativa della parte – e non del terzo –
per l’introduzione dell’accertamento endoesecutivo) e, dall’altro, coi
primi due motivi tentano di affermare che il credito pignorato era stato
sufficientemente (e non genericamente) individuato attraverso il
richiamo delle risultanze dell’anagrafe tributaria e, in particolare,
dell’archivio dei rapporti finanziari (asseritamente ignorate da parte del
giudice), rispetto alle quali sarebbe spettato a (OMISSIS) dare prova
contraria in un accertamento incidentale promosso dallo stesso terzo
pignorato.
13. Le argomentazioni svolte per sostenere quest’ultima difesa
sono manifestamente infondate.
14. In mancanza dei presupposti dell’art. 548 cod. proc. civ., è
indispensabile – per l’esame delle prove del credito pignorato – l’avvio
del subprocedimento ex art. 549 cod. proc. civ., del quale è condizione
di procedibilità l’istanza della parte interessata e, cioè, del creditore
(Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23123 del 25/07/2022, Rv. 665425-02); in
difetto di tale accertamento endoesecutivo è incomprensibile ed
insostenibile la deduzione relativa alla pretesa violazione dell’art. 2697
cod. civ. e all’inversione dell’onere della prova, asseritamente da
addossare al terzo; senza contare, comunque, che nel subprocedimento
di accertamento endoesecutivo dell’obbligo del terzo pignorato (che
nella fattispecie non si è svolto) compete comunque al creditore l’onere
di allegare e dimostrare la sussistenza del credito pignorato (Cass., Sez.
3, Sentenza n. 23123 del 25/07/2022).
15. Quanto alla specificità dell’indicazione dei crediti negli atti di
pignoramento, il giudice di merito ha rilevato che gli stessi «venivano
identificati quali “rapporti finanziari” intrattenuti dai debitori coi i terzi,
non consentendo nemmeno di individuare un sia pur minimo elemento
di specificazione del titolo da cui avrebbe tratto origine il credito pignorato».
16. Oltre a constatare che la locuzione «rapporti finanziari», non
accompagnata da altre precisazioni, è obiettivamente generica, si osserva che la mancata specificazione nel pignoramento non può essere
ovviata mediante una successiva integrazione, a meno che ciò non avvenga nell’ambito del subprocedimento ex art. 549 cod. proc. civ.
17. Ad ogni buon conto, le comunicazioni dell’Agenzia delle Entrate ex artt. 492-bis cod. proc. civ. e 155-quinquies disp. att. cod. proc.
civ. sulla sussistenza di «rapporti finanziari» risultanti dall’anagrafe tributaria non valgono affatto a dare dimostrazione dell’esistenza di negozi
di investimento in cui l’intermediario è debitore.
Nell’archivio dei rapporti finanziari, apposita sezione della banca-dati
dell’anagrafe tributaria istituita dall’art. 7, comma 6, D.P.R. 29/9/1973,
n. 605 (modificato dall’art. 37, comma 4, L. 4/8/2006, n. 248, di conversione del D.L. 4/7/2006, n. 233), sono archiviate tutte le notizie relative ai flussi di denaro veicolati dai contribuenti attraverso il circuito
bancario e, più in generale, finanziario.
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, «Le banche, la società Poste italiane Spa, gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, le società
di gestione del risparmio, nonché ogni altro operatore finanziario, fatto
salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 6 per i soggetti
non residenti, sono tenuti a rilevare e a tenere in evidenza i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di ogni soggetto che intrattenga con
loro qualsiasi rapporto o effettui, per conto proprio ovvero per conto o
a nome di terzi, qualsiasi operazione di natura finanziaria ad esclusione
di quelle effettuate tramite bollettino di conto corrente postale per un
importo unitario inferiore a 1.500 euro; l’esistenza dei rapporti e l’esistenza di qualsiasi operazione di cui al precedente periodo, compiuta al
di fuori di un rapporto continuativo, nonché la natura degli stessi sono
comunicate all’anagrafe tributaria, ed archiviate in apposita sezione, con
l’indicazione dei dati anagrafici dei titolari e dei soggetti che intrattengono con gli operatori finanziari qualsiasi rapporto o effettuano operazioni al di fuori di un rapporto continuativo per conto proprio ovvero per
conto o a nome di terzi, compreso il codice fiscale».
L’obbligo di comunicazione, perciò, non riguarda soltanto i rapporti
in cui il soggetto che dà l’informazione all’Agenzia è il debitore, ma sono
censiti nell’archivio i più disparati rapporti (conto corrente, conto deposito titoli e/o obbligazioni, conto deposito a risparmio libero/vincolato,
rapporto fiduciario ai sensi della L. 23/11/1939, n. 1966, gestione collettiva del risparmio, gestione patrimoniale, certificati di deposito e
buoni fruttiferi, portafoglio, conto terzi individuale/globale, dopo incasso, cessione indisponibile, cassette di sicurezza, depositi chiusi, contratti derivati, carte di credito/debito, garanzie, crediti, finanziamenti,
fondi pensione, patto compensativo, finanziamento in pool, partecipazione, prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione, acquisto
vendita di oro e metalli preziosi), non necessariamente riguardanti un
credito del cliente dell’intermediario.
18. In definitiva, l’inserimento nella banca dati, se non altro con
la dizione evidenziata nella fattispecie, non dà affatto conto della natura
attiva o passiva del rapporto di cui è titolare il soggetto a cui l’interrogazione della banca dati stessa si riferisce: con la conseguenza che si
ha sì la notizia di un rapporto finanziario, ma non anche della determinante circostanza se in questo quel soggetto sia debitore o creditore.
19. In conclusione, il ricorso va respinto e al rigetto consegue la
condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese, liquidate secondo i parametri normativi e nella misura indicata nel dispositivo, in favore della controricorrente.
20. Infine, si deve dichiarare la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R.
30/5/2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, Legge
24/12/2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma
dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
p. q. m.
la Corte
rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti, in solido tra loro, a rifondere alla
controricorrente le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 5.500,00
per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei
ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso
articolo 13, qualora dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione
Civile, in data 7 marzo 2023.