Ordinanza 12483/2022
Appalto – Diritto di ritenzione – Norma eccezionale – Applicabilità in via analogica alle opere eseguite dall’appaltatore sul suolo del committente
Il diritto di ritenzione di cui all’art. 1152 c.c., è un mezzo di autotutela di natura eccezionale, ed in quanto tale non è applicabile in via analogica a casi che non siano contemplati dalla legge e non può essere esercitato dall’appaltatore rispetto alle opere da lui costruite sul suolo del committente.
Appalto – Diritto di ritenzione – Rescissione ad opera del committente – Diritto di ritenzione del cantiere
Quando il vincolo contrattuale tra committente ed appaltatore è venuto meno per effetto della rescissione ad opera del committente (nella specie, ex art. 340 l. n. 2248 del 1865, applicabile “ratione temporis”, ad opera dell’ente pubblico) al diritto di credito dell’appaltatore non corrisponde un diritto di ritenzione del cantiere, essendo l’obbligo della riconsegna dello stesso configurabile non come una prestazione in relazione sinallagmatica con l’obbligo del committente al pagamento del corrispettivo, ma solo come un effetto del venir meno del rapporto contrattuale tra le parti.
Cassazione Civile, Sezione 1, Ordinanza 19-4-2022, n. 12483 (CED cassazione 2022)
FATTI DI CAUSA
Lo IACP conveniva in giudizio la Società (OMISSIS), facente parte del RTI costituito con altre imprese, cui aveva conferito l’appalto per la “realizzazione di 210 alloggi e n. 8 botteghe in località (OMISSIS)”, e ne chiedeva la condanna al risarcimento del danno per la ritardata consegna del cantiere, a seguito della rescissione del contratto, stipulato l’11 luglio 1990, con Delib. 21 novembre 1995.
La Costruzioni Generali replicava che il rifiuto di riconsegnare il cantiere era giustificato dal fatto che lo IACP non aveva consentito alla verifica delle lavorazioni eseguite.
Il Tribunale condannava le imprese convenute al risarcimento del danno per il ritardo nella consegna del cantiere, avvenuta il (OMISSIS), in coincidenza con l’ultimazione delle verifiche svolte dal consulente tecnico d’ufficio nel giudizio cautelare.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 26 ottobre 2016, rigettando il gravame della Costruzioni Generali, ha ritenuto infondata la tesi difensiva a sostegno della legittimità della ritenzione del cantiere, ex art. 1460 c.c., quale reazione all’inadempimento di IACP all’obbligo di procedere alla verifica in contraddittorio delle opere eseguite e allibrate, tesi argomentata con l’argomento che, in sede cautelare, la consegna era stata subordinata all’accertamento dell’avanzamento dei lavori da parte di un esperto; ha ritenuto infondate le tesi relative all’indebito espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio esplorativa per l’accertamento di un danno non provato e all’acquisizione di produzione documentale tardiva da parte del consulente tecnico.
Avverso questa sentenza la Generali Costruzioni propone ricorso per cassazione, resistito dall’IACP.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1152 e 1460 c.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto che il diritto di ritenzione non sia esercitabile dall’appaltatore, contrariamente a quanto affermato in un precedente di legittimità (Cass. n. 8906 del 2013), a fronte del rifiuto del committente di corrispondere il corrispettivo dei lavori eseguiti, quale espressione dei principi generali che regolano i contratti a prestazioni corrispettive.
Il motivo è infondato.
E’ giurisprudenza consolidata che il diritto di ritenzione sancito dall’art. 1152 c.c., che è un mezzo di autotutela di natura eccezionale, non è applicabile in via analogica a casi che non siano contemplati dalla legge e non può quindi essere esercitato dall’appaltatore rispetto alle opere da lui costruite su suolo del committente (v. Cass. n. 51 del 1975, n. 5828 del 1984, n. 5346 del 1999, n. 12232 del 2002). Il precedente citato dalla ricorrente riguarda una fattispecie parzialmente diversa, nella quale il rapporto contrattuale sinallagmatico tra le parti era ancora in corso, mentre in quella in esame il rapporto è esaurito, a seguito di rescissione del contratto deliberata dall’ente pubblico.
La Corte territoriale ha osservato che l’exceptio inadimplenti non est adimplendum, ex art. 1460 c.c., “non può essere svolta per paralizzare la richiesta restitutoria conseguente al venir meno del vincolo contrattuale per effetto della rescissione, L. 2248 del 1865, ex art. 340, poichè tale restituzione non trova la sua giustificazione in una controprestazione, ma è l’effetto del venir meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite dalle parti”. Quest’affermazione è conforme a diritto. Al diritto di credito dell’appaltatore, infatti, non corrisponde un diritto di ritenzione del cantiere, essendo l’obbligo di riconsegna dello stesso configurabile non come una prestazione in relazione sinallagmatica con l’obbligo del committente di pagamento del corrispettivo, ma soltanto come un effetto del venir meno del rapporto contrattuale tra le parti (cfr., in generale, Cass. n. 6197 del 2008, n. 16304 del 2009).
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., per non avere considerato che la consegna del cantiere era sottoposta alla condizione che avvenisse alla presenza del consulente tecnico d’ufficio, come stabilito dal giudice nella fase cautelare, secondo il quale l’impresa avrebbe potuto subire un danno riconsegnando il cantiere senza la descrizione delle opere.
Il motivo è infondato, non ravvisandosi alcun giudicato, opponibile al committente IACP, nel provvedimento cautelare che, ai fini della descrizione delle opere eseguite, disponeva la consegna del cantiere alla presenza del consulente tecnico d’ufficio, provvedimento interpretato dalla Corte territoriale nel senso che esso non produceva l’effetto di attribuire un crisma di legalità alla condotta dell’appaltatore già in mora.
Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., per avere addebitato all’impresa il ritardo nella consegna del cantiere, dal (OMISSIS) al (OMISSIS), senza tener conto che questo tempo era imputabile al consulente d’ufficio, cui il giudice cautelare aveva demandato il compito di vigilare sulla consegna, in esecuzione dell’ordinanza cautelare del giudice.
Il motivo è inammissibile, sollecitando una revisione di incensurabili apprezzamenti di fatto svolti dai giudici di merito.
Il quarto motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 61 c.p.c. e art. 2967 c.c., per avere espletato una consulenza tecnica d’ufficio esplorativa, con l’effetto di esonerare la parte dal fornire la prova del danno da accertare, è inammissibile per difetto di specificità e perchè impropriamente diretto a sollecitare un nuovo giudizio sul merito.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 157, 183, 184, 187 e 194 c.p.c. e art. 2697 c.c., a proposito dell’utilizzo da parte del consulente tecnico d’ufficio di documenti prodotti tardivamente in giudizio dall’IACP, in violazione del termine previsto a pena di decadenza.
Il motivo è inammissibile, non svolgendo specifiche censure all’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, circa la genericità del relativo motivo di appello, nel quale non erano indicati quali fossero i documenti ritualmente prodotti e utilizzati dal consulente, ciò precludendo a questa Corte di valutare la decisività del mezzo.
Il sesto motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., per avere operato una liquidazione equitativa del danno risarcibile in mancanza della impossibilità o estrema difficoltà di determinazione dello stesso, è inammissibile, essendo anche in tal caso diretto a sollecitare una impropria rivisitazione di apprezzamenti di fatto. L’argomento che fa leva sulla mancata indicazione delle ragioni che avevano impedito a IACP di indire una nuova gara di appalto non è neppure coerente con la censura proposta, attenendo alla diversa questione (incensurabile in questa sede) della esistenza del danno in concreto, anzichè a quella della quantificazione del danno risarcibile.
Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 10200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del dPR n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Roma, 18 febbraio 2022