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Cassazione Civile 12836/2023 – Locazione immobiliare ad uso non abitativo – Patto occulto di maggiorazione del canone – Nullità insanabile

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Ordinanza 12836/2023

Locazione immobiliare ad uso non abitativo – Patto occulto di maggiorazione del canone – Nullità insanabile

Nei contratti di locazione ad uso non abitativo, il patto con il quale le parti concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato è nullo, anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale del rapporto; tale nullità “vitiatur sed non vitiat”, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, e ciò a prescindere dall’avvenuta registrazione.

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 11-5-2023, n. 12836   (CED Cassazione 2023)

 

 

Ritenuto in fatto

– che (OMISSIS) ricorre, sulla base di sei motivi, per la
cassazione della sentenza n. 1793/21, del 19 ottobre 2021, della
Corte di Appello di Bari, che – respingendone il gravame esperito
avverso la sentenza n. 622/19, dell’8 marzo 2019, del Tribunale
di Trani – ha dichiarato risolto, per inadempimento di essa (OMISSIS),
il contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo concluso
con (OMISSIS);

– che, in punto di fatto, l’odierna ricorrente riferisce di essere
stata convenuta in giudizio dalla (OMISSIS), la quale – dopo aver
conseguito ordinanza provvisoria di rilascio dell’immobile locato,
nonché decreto ingiuntivo per il pagamento di canoni locatizi non
corrisposti – chiedeva risolversi, per inadempimento della
conduttrice, il contratto di locazione ad uso commerciale corrente
“inter partes” (e debitamente registrato);

– che il giudice di prime cure provvedeva in tal senso, sebbene
la conduttrice sostenesse di vantare un maggior (contro)credito
restitutorio, in ragione del pagamento di somme superiori al
canone risultante dal contratto – per vero, due contratti,
succedutisi tra le parti senza soluzione di continuità – oggetto di
registrazione;

– che il gravame proposto dalla convenuta soccombente
veniva rigettato dal giudice di appello;

– che esso, nel pervenire a tale esito, ha confermato il rigetto
della domanda volta a far accertare – a norma dell’art. 79 della
legge 27 luglio 1978, n. 392 – la nullità del patto con cui era stato
previsto un canone maggiore, rispetto a quello risultante dal testo
del contratto (o meglio, contratti), oggetto di registrazione;

– che a tale esito il giudice di seconde cure è pervenuto sul
rilievo che, sebbene tra le parti fosse intervenuta una (separata)
scrittura del 7 maggio 1998 che – sotto l’apparenza di prevedere
l’imputazione di tali maggiore somme corrisposte dalla
conduttrice all’anticipazione di spese sostenute dal marito della
locatrice per la ristrutturazione della “res locata”, onde renderla
idonea all’uso convenuto in contratto – risultava “effettivamente”
tesa “a mascherare il pagamento di un canone maggiore rispetto
a quello contrattualmente pattuito”, siffatta circostanza non
avesse determinato alcuna nullità, trattandosi di evenienza
“confinata nell’ambito dell’evasione fiscale”;

– che avverso la sentenza della Corte barese ricorre per
cassazione la (OMISSIS), sulla base – come detto – di sei motivi;

– che il primo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma
1, n. 4), cod. proc. civ. – nullità della sentenza ex artt. 132,
comma 2, n. 4), e 156, comma 2, cod. proc. civ. per vizio della
motivazione;

– che si assume, infatti, come la parte motiva della sentenza
sia affetta dal vizio di “irriducibile contraddittorietà” e di “illogicità
manifesta”, giacché essa – dopo aver dato atto che
“effettivamente” la scrittura suddetta “tende a mascherare il
pagamento di un canone maggiore di quello contrattualmente
pattuito” – afferma che “diversamente da quanto deduce
l’appellante il versamento del canone non è nullo ai sensi dell’art.
79, comma 1, della legge 392 del 1978, in quanto dal complessivo
contegno delle parti risulta che esso corrispondeva effettivamente
alla pattuizione” intercorsa tra le parti;

– che il secondo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 1423 cod. civ. e 53 Cost., censurando la sentenza
impugnata per aver confinato sul piano dell’evasione fiscale (o, al
più, dei vizi del consenso) la rilevanza del patto di maggiorazione
del canone, la nullità del quale è stata, invece, affermata dalle
Sezioni Unite di questa Corte;

– che il terzo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma
1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e/o falsa applicazione dell’art.
113, comma 1, cod. proc. civ., oltre che degli artt. 2697 e 1988
cod. civ.;

– che si censura la sentenza impugnata in quanto la Corte
barese – avendo affermato che essa (OMISSIS) aveva fornito la prova
della mancata ristrutturazione dell’immobile locato, all’atto
dell’immissione nel possesso dello stesso – avrebbe dovuto
ritenere provata l’insussistenza del rapporto sostanziale
sottostante alla scrittura del 7 maggio 1998, dal giudice di appello
interpretata, invece, come ricognizione di debito da parte della
conduttrice;

– che il quarto motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma
1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e/o falsa applicazione dell’art.
115 cod. proc. civ.;

– che, in questo caso, si contesta alla sentenza impugnata per
aver posto a fondamento della decisione un “fatto” mai dedotto
e/o allegato da alcuna delle parti, ovvero l’esistenza di una
“pattuizione verbale” (ritenuta, nelle specie, valida, atteso che
l’art. 4, comma 1, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, non si
applica alle locazioni ad uso diverso da quello abitativo) per
concordare il pagamento di una somma maggiore rispetto a quella
contrattualmente stabilita;

– che il quinto motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma
1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e/o falsa applicazione dell’art.
79, comma 1, della legge 392 del 1978 e dell’art. 1343 cod. civ.;
– che si insiste nel sottolineare come questa Corte abbia
ribadito che la sanzione della nullità ex art. 79 della legge n. 392
del 1978 è destinata a colpire il patto di maggiorazione del canone
anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non
soltanto funzionale, del rapporto;

– che il sesto motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma
1, n. 4), cod. proc. civ. – “nullità della sentenza ex art. 161 cod.
proc. civ. per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.”, lamentando
omessa pronuncia sulla domanda di restituzione del deposito
cauzionale, già proposta in primo grado e reiterata in appello;

– che è rimasta solo intimata la (OMISSIS);

– che il collegio ha raccomandato la stesura dell’ordinanza in
forma semplificata.
Considerato in diritto

– che il ricorso va accolto, nei limiti di seguito indicati;

– che il primo motivo non è fondato;

– che la motivazione con cui la Corte territoriale ha escluso la
nullità del patto di maggiorazione del canone, sul rilievo che esso
rileverebbe solo sul piano fiscale, o al più dei vizi del consenso,
sebbene risulti – come meglio si dirà di seguito – errata in diritto,
risulta del tutto comprensibile, come conferma il fatto che essa è
censurata, con i successivi motivi di ricorso, denunciando (anche)
“errores in iudicando”;

– che, sul punto, va rammentato che, ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 5), cod. proc. civ. – nel testo “novellato” dall’art. 54,
comma 1, lett. b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83,
convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134
(applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato
di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva della
sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un.,
sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonché, “ex multis”,
Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01;
Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass.
Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01);

– che il difetto di motivazione è, dunque, ipotizzabile solo nel
caso in cui la parte motiva della sentenza risulti “meramente
apparente”, evenienza configurabile, oltre che nell’ipotesi di
“carenza grafica” della stessa, quando essa, “benché
graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il
fondamento della decisione, perché recante argomentazioni
obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito
dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass.
Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01,
nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n.
13977, Rv. 654145-01), o perché affetta da “irriducibile
contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n.
23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018,
n. 22598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da “affermazioni
inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018,
n. 16111, Rv. 649628-01), mentre “resta irrilevante il semplice
difetto di «sufficienza» della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13
agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01);

– che, come detto, la Corte barese ha reso, tuttavia, percepibili
le ragioni per cui ha escluso la nullità del patto di maggiorazione
del canone, donde l’infondatezza del motivo che denuncia
l’esistenza del vizio di motivazione apparente;

– che i motivi secondo e quinto – da scrutinare
congiuntamente, data la loro connessione – sono, invece, fondati;
– che, difatti, è “nullo il patto con il quale le parti di un
contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino
occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullità
«vitiatur sed non vitiat», con la conseguenza che il solo patto di
maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a
prescindere dall’avvenuta registrazione” (Cass. Sez. Un., sent. 9
ottobre 2017, n. 23601, Rv. 645468-02), essendosi pure
precisato che “in tale contesto ricostruttivo l’art. 79 legge n. 392
del 1978 assume rilievo di norma speculare a quella di cui all’art.
13, comma 1, legge n. 431 del 1998, previa analoga revisione
dell’esegesi tradizionale (secondo cui la sanzione di nullità in essa
prevista ha riguardo alle sole vicende funzionali del rapporto,
colpendo, pertanto, le sole maggiorazioni del canone previste in
itinere e diverse da quelle consentite ex lege, e non anche quelle
convenute al momento della conclusione dell’accordo) nel senso
che il patto di maggiorazione del canone è nullo anche se la sua
previsione attiene al momento genetico, e non soltanto
funzionale, del rapporto” (Cass. Sez. 3, sent. 2 marzo 2018, n.
4922, Rv. 647362-01);

– che i motivi terzo e quarto restano, invece, assorbiti
dall’accoglimento dei motivi secondo e quinto;

– che, infine, anche il sesto motivo di ricorso è fondato, atteso
che la Corte barese risulta non essersi pronunciata sulla domanda,
già proposta in primo grado e reiterata in appello, di restituzione
del deposito cauzionale;

– che, in conclusione, meritano accoglimento i motivo
secondo, quinto e sesto, sicché la sentenza impugnata va cassata
in relazione, con rinvio alla Corte di Appello di Bari, in diversa
composizione, per la decisione nel merito, oltre che sulle spese
processuali, ivi comprese quelle del presente giudizio di
legittimità.

PQM

La Corte accoglie il secondo, il quinto e il sesto motivo di
ricorso, rigettando il primo e dichiarando assorbiti il terzo e il
quarto, e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata, con rinvio
alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione, per la
decisione nel merito, oltre che sulle spese processuali, ivi
comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della
Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 25 gennaio 2023.