Ordinanza 1286/2023
Contratto di locazione – Obbligo di garantire la conformità edilizia del bene e la sua idoneità al fine pattuito – Presupposti
L’obbligo del locatore relativo al godimento dell’immobile quanto all’uso convenuto deriva da una garanzia negoziale che le parti devono istituire mediante una specifica pattuizione, non discendendo invece ex lege dal contratto locatizio di per sé; né conseguenze diverse discenderebbero dal diverso orientamento, largamente superato, secondo cui il locatore, quale diretta conseguenza di tale sua posizione nel rapporto contrattuale, ha l’obbligo di garantire la conformità edilizia del bene e la sua idoneità al fine pattuito, perché essa, comunque, esclude l’obbligo nel caso in cui il conduttore prima di stipulare fosse a conoscenza delle caratteristiche dell’immobile ostative al godimento e ciò nonostante abbia stipulato.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 17-1-2023, n. 1286
Art. 1578 cc (Vizi della cosa locata) – Giurisprudenza
Rilevato che:
(OMISSIS) ricorre per la cassazione della sentenza n. 1966-2019 emessa dalla Corte d’Appello di Napoli, resa pubblica in data 6 maggio 2019, formulando sei motivi;
resiste con controricorso (OMISSIS) S.p.a. in liquidazione;
la ricorrente rappresenta, nella descrizione del fatto, che:
a) il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 6089/2017, aveva dichiarato risolto il contratto di locazione intercorso con il (OMISSIS), avente ad oggetto un immobile sito in (OMISSIS), per grave inadempimento dell’obbligo di corrispondere il canone, aveva dichiarato cessata la materia del contendere in merito al rilascio dell’immobile, perchè esso era rientrato nella disponibilità della società locatrice, ed aveva rigettato le sue domande riconvenzionali, condannandola a pagare al (OMISSIS) la somma di Euro 77.125,00, al netto degli interessi, oltre alle spese di giudizio;
b) la Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, ha confermato la sentenza impugnata;
c) in particolare, la Corte territoriale:
i) ha ritenuto corretta la decisione di primo grado nella parte in
cui aveva considerato non rilevanti le cause addotte a giustificazione dell’inadempimento dell’obbligo di pagamento del canone, perchè il regolamento contrattuale poneva a carico della conduttrice il rischio relativo allo stato di fatto e di diritto dell’immobile; il contratto di locazione per cui è causa era stato stipulato, infatti, all’esito di un bando di gara nel quale era specificato che non era garantita la regolarità urbanistica del bene locato e che era onere degli interessati verificarla presso i competenti uffici comunali; con l’art. 6 del contratto stipulato all’esito del bando di gara il conduttore dava atto di avere verificato in proprio le caratteristiche dell’immobile e che esse erano adeguate a quanto tecnicamente necessario per svolgervi l’attività di pizzeria e di ristorazione nonchè al rilascio di tutte le autorizzazioni amministrative necessarie alla legittima utilizzazione del bene e si assumeva il rischio inerente lo stato urbanistico del medesimo, rinunciando al diritto di chiedere alcun risarcimento, indennizzo o altra spesa alla locatrice, ove non avesse ottenuto le autorizzazioni necessarie; all’art. 7, poi, la conduttrice dichiarava di assumersi, in aggiunta, anche il rischio di eventuali provvedimenti di natura repressiva emanati o emanandi dalle competenti autorità anche in relazione alla natura abusiva dell’immobile;
ii) ha escluso che il provvedimento di sequestro penale della struttura e la successiva ordinanza di demolizione delle opere abusive, non oggetto del condono n. 4069/86, giustificassero l’eccezione di inadempimento, avvalendosi della quale l’odierna ricorrente aveva sospeso unilateralmente il pagamento del canone;
iii) ha reputato non meritevole di accoglimento l’argomento secondo cui il vizio che aveva portato ai provvedimenti penali non fosse riconoscibile, sol perchè gli abusi erano stati accertati tramite l’acquisizione di documenti reperiti presso l’ufficio del commercio e non già attraverso quelli presenti presso l’ufficio tecnico del comune di (OMISSIS) nè presso gli enti preposti alla tutela paesaggistica, in quanto era pacifico che gli abusi erano anteriori alla data della locazione;
iv) ha affermato che già la planimetria allegata alla perizia commissionata al geometra (OMISSIS), all’atto della stipulazione del contratto, permetteva di rilevare la differenza tra la descrizione degli immobili presenti presso le autorità comunali e quella effettiva;
v) ha considerato irrilevante il fatto che gli abusi sul bene locato fossero successivi al condono ottenuto nel 1986, perchè il contratto non conteneva alcun riferimento al suddetto condono;
vi) ha escluso la natura vessatoria degli artt. 6 e 7 del contratto, perchè difettavano i presupposti di cui all’art. 1341 c.c.;
vii) ha negato la sussistenza di alcun profilo di scorrettezza nella condotta della locatrice, perchè essa sin dalla fase precontrattuale – bando di gara – aveva dichiarato di non garantire la non abusività dell’immobile;
viii) ha considerato valido il contratto di locazione, perchè il carattere abusivo dell’immobile non rendeva illecito il contratto e perchè non poteva trovare applicazione l’art. 40 della l. n. 47/85, relativa ai contratti ad effetti reali;
ix) ha rigettato le domande riconvenzionali risarcitorie e restitutorie, perchè presupponevano l’inadempimento del (OMISSIS) o l’antigiuridicità della sua condotta ex art. 2043 c.c.;
x) ha respinto il motivo di appello relativo alla regolazione delle spese;
xi) ha rigettato anche l’appello incidentale del (OMISSIS) che lamentava che la condanna al pagamento del canone avesse riguardato il periodo compreso tra il mese di febbraio 2012 e il 9 aprile 2013 e non anche i mesi successivi, perchè il termine del 9 aprile 2013 era quello in cui il possesso materiale e giuridico del bene era tornato alla locatrice, non potendosi considerare il sequestro penale un fatto impeditivo del reimpiego da parte del proprietario cagionato dalla conduttrice;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.;
il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte;
parte ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
1) con il primo motivo le ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione degli artt. 1353, 1362 e 1363 c.c. nonchè degli artt. 115, 116 e 342, comma 1, punto 1) c.p.c. (presupposizione e corretta valutazione delle prove)”;
2) con il secondo motivo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le ricorrenti lamentano “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione”;
i primi due motivi sono illustrati unitariamente, pertanto, verranno esaminati congiuntamente;
alla sentenza impugnata si rimprovera di:
a) non avere considerato che lo stato urbanistico-amministrativo del bene, da verificare espressamente presso l’ufficio tecnico comunale di (OMISSIS) e gli enti preposti alla tutela paesaggistica e/o paesistica, rapportato allo stato dei luoghi descritto analiticamente nella perizia commissionata al geometra (OMISSIS), allegata al contratto, aveva costituito un elemento imprescindibile del contratto che era valso anche a definire il rischio assunto; tant’è vero che nella premessa del contratto si faceva riferimento al fatto che (OMISSIS) aveva visionato l’immobile ed aveva verificato in proprio – avendo preventivamente preso atto presso l’UTC del Comune di (OMISSIS) e presso gli Enti preposti alla tutela paesaggistica e/o paesistica dello stato urbanistico del bene – che esso possedeva le caratteristiche adeguate e tecnicamente necessarie per lo svolgimento dell’attività che intendeva esercitarvi, che gli artt. 6 e 7 del contratto facevano, a loro volta, riferimento ai controlli effettuati presso l’ufficio tecnico comunale di (OMISSIS) e presso gli enti preposti alla tutela paesaggistica e paesistica lo stato urbanistico del bene; pertanto, i giudici di merito avrebbero erroneamente dato risalto al fatto che l’istanza di sanatoria non era stata menzionata nel contratto e non avrebbero considerato, invece, che lo stato dell’immobile accertato ed accertabile tramite la documentazione presente presso l’ufficio tecnico comunale e gli enti preposti alla tutela paesistica e paesaggistica costituiva una presupposizione, cioè una condizione implicita, assunta a fondamento dell’esistenza e dell’efficacia del contratto;
b) la Corte territoriale non avrebbe esaminato la perizia giurata che, raffrontando lo stato dei luoghi al momento della stipulazione del contratto di locazione e la documentazione reperita presso l’UTC di (OMISSIS), dava atto di uno scarto assolutamente trascurabile di differenza tra le superfici rilevate, affermando, del tutto genericamente, che dalla perizia del geometra (OMISSIS) emergeva uno stato di fatto conosciuto o conoscibile da parte sua; la motivazione della Corte territoriale sarebbe del tutto inconsistente, perchè non era in discussione la conoscenza dello stato di fatto del bene risultante dalla perizia, bensì la conoscibilità del fatto che l’istanza di sanatoria n. 4069/1986 era inidonea;
2.1) i motivi non sono meritevoli di accoglimento, perchè la società ricorrente non ha soddisfatto le prescrizioni di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c., quanto alla localizzazione del contratto, evocato alle pp. 8-9, all’ordinanza di demolizione del Comune di (OMISSIS), evocata alle pp. 10-11 ed indicata come doc. 9, ma senza precisare a quale sede tale numerazione si riferirebbe, soprattutto in questa sede di legittimità, quanto agli atti evocati a p. 11;
2.2) comunque, sono direttamente fattuali, nel senso di ricostruttori di valutazioni alternative sul piano del merito, allo scopo di ottenere una pronuncia di esito diverso quanto a ciò che rientrava nell’area dell’alea pattiziamente assunta;
non è stata infatti supportata argomentativamente la violazione delle norme sulla interpretazione del contratto dedotta con il primo motivo;
costituisce un principio dal quale non vi è motivo di discostarsi che la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Cass. 09/04/2021, n. 9461);
nel caso di specie, il giudice a quo, a p. 11, ha osservato che il contratto di locazione non era stato stipulato sul presupposto che l’immobile fosse stato oggetto di istanza di condono e, a p. 12, ha ritenuto che la conduttrice, con gli artt. 6 e 7 del contratto, avesse assunto su di sè “ogni rischio inerente lo stato urbanistico dei beni” nonchè “ogni rischio conseguente ad eventuali provvedimenti di natura repressiva emanati o che dovessero essere emanati dalle Autorità competenti in relazione agli immobili oggetto della locazione o a causa della natura di detti immobili”;
lo sforzo confutativo delle ricorrenti non raggiunge lo scopo perchè si limita a ipotizzare che lo stato dell’immobile come risultante dalla documentazione consultata presso l’ufficio tecnico comunale e gli enti preposti al rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche avesse costituito una presupposizione; a parte l’assertività di tale affermazione – e persino il dubbio che la questione fosse stata sottoposta in questi termini dinanzi al giudice di appello – essa appare anche stridente con il contenuto degli artt. 6 e 7 del contratto, i quali, ove la ipotesi delle ricorrenti fosse corretta, risulterebbero svuotati di significatività, giacchè priverebbero di contenuto il rischio con essi espressamente assunto dalla conduttrice;
il contratto di locazione naturalmente commutativo è stato ritenuto, nel caso di specie, arricchito di due pattuizioni – espresse negli artt. 6 e 7 – che hanno inciso sull’equilibrio delle prestazioni, giacchè hanno prefigurato il verificarsi di sopravvenienze – compresi eventuali provvedimenti repressivi – che rendevano unilateralmente – per la conduttrice – aleatorio sotto tale profilo il contratto quanto alla sua conformità alla normativa edilizia ed alla sua idoneità a svolgervi l’attività commerciale cui era destinato; tale ricostruzione della fattispecie si pone sostanzialmente in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, anche per i contratti cosiddetti commutativi, le parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, possono prefigurarsi la possibilità di sopravvenienze, che incidano o possano incidere sull’equilibrio delle prestazioni, ed assumerne, reciprocamente o unilateralmente, il rischio, in tal modo modificando lo schema tipico del contratto commutativo e rendendolo per tale aspetto aleatorio;
2.3) le censure di omesso esame – anche senza considerare il consolidato indirizzo giurisprudenziale in ordine alla preclusione di cui all’art. 348 ter ult. comma, c.p.c. (cfr., tra le più recenti decisioni massimate Cass. 25/02/2022, n. 6295) – si risolvono in una sollecitazione a controllare la motivazione quanto alla ricostruzione della quaestio facti e, dunque, si pongono al di fuori dell’evocato n. 5 dell’art. 360 c.p.c.;
3) con il terzo motivo le ricorrenti rimproverano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione degli artt. 1218, 1176, 1337, 1374, 1375, 1341, 1453, 1455, 1460, 1575, 1578 c.c. nonchè degli artt. 2697 c.c., 112, 115 e 116 c.p.c. (sul regolamento contrattuale: rispettive obbligazioni e sinallagma; vessatorietà delle previsioni di cui agli artt. 6 e 7 del contratto; in ogni caso, insussistenza della rinuncia a far valere l’inadempimento come eccezione)”;
4) con il quarto motivo le ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'”omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti”;
4.1) anche il terzo ed il quarto motivo sono accomunati nella trattazione, essendo stati già illustrati in modo unitario dalle ricorrenti;
4.2) sono inammissibili, perchè non soddisfano, per le ragioni già indicate, i requisiti di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c.;
4.3) vale comunque la pena di aggiungere, quanto alla censura di avere erroneamente interpretato il contratto di locazione e per questo avere condannato (OMISSIS) S.p.A. al pagamento dei canoni di locazione anche per il periodo successivo al sequestro penale, nonostante la società conduttrice avesse perduto il possesso del bene, mentre – secondo la tesi delle ricorrenti – avrebbe dovuto essere valutata l’incidenza dei reciproci inadempimenti delle parti sull’equilibrio sinallagmatico; in particolare, avrebbe dovuto essere considerata l’eccezione di inadempimento formulata rispetto all’obbligazione posta a carico del locatore di garantire il pacifico godimento del bene e avrebbe dovuto essere applicata la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’eccezione di inadempimento prescinde dalla responsabilità della controparte, potendo essere esercitata anche nel caso di mancato adempimento per causa non imputabile, ed avrebbe dovuto pretendere dalla società locatrice la prova di avere adempiuto all’obbligazione di cui all’art. 1575, n. 3, c.c., deve osservarsi che, ove le ricorrenti non fossero incorse nella violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c., ed il Collegio avesse potuto esaminarle, esse non sarebbero state accolte; la questione della locazione di un bene locato abusivo si pone, infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sul piano dell’analisi degli interessi disposti in tema di obblighi del locatore (Cass. 21/08/2020, n. 17557); specificamente la giurisprudenza di questa Corte ritiene che “in relazione ad immobili adibiti ad uso non abitativo convenzionalmente destinati ad una determinata attività il cui esercizio richieda specifici titoli autorizzativi dipendenti anche dalla situazione del bene sotto il profilo edilizio – e con particolare riguardo alla sua abitabilità e alla sua idoneità all’esercizio di un’attività commerciale – solo quando la mancanza di tali titoli autorizzativi dipenda da carenze intrinseche o da caratteristiche proprie del bene locato, sì da impedire in radice il rilascio degli atti amministrativi necessari e quindi da non consentire in nessun caso l’esercizio lecito dell’attività del conduttore conformemente all’uso pattuito, può configurarsi l’inadempimento del locatore, fatte salve le ipotesi in cui quest’ultimo abbia assunto l’obbligo specifico di ottenere i necessari titoli abilitativi o, di converso, sia conosciuta e consapevolmente accettata dal conduttore l’assoluta impossibilità di ottenerli” (Cass. 26/07/2016, n. 15377);
è consolidata, infatti, la giurisprudenza di questa Corte nel senso che “l’obbligo del locatore relativo al godimento dell’immobile quanto all’uso convenuto deriva da una garanzia negoziale che le parti devono istituire mediante una specifica pattuizione, non discendendo invece ex lege dal contratto locatizio di per sè”; nè conseguenze diverse per le odierni ricorrenti discenderebbero dal diverso orientamento, largamente superato, secondo cui il locatore, quale diretta conseguenza di tale sua posizione nel rapporto contrattuale, ha l’obbligo di garantire la conformità edilizia del bene e la sua idoneità al fine pattuito, perchè essa, comunque, esclude l’obbligo nel caso in cui il conduttore prima di stipulare fosse a conoscenza delle caratteristiche dell’immobile ostative al godimento e ciò nonostante abbia stipulato (Cass. 14/03/2018, n. 6123);
nella sostanza, la società locatrice non aveva assunto l’obbligo di garantire che l’immobile fosse conforme alla disciplina urbanistica, anzi, il rischio che non lo fosse e persino quello che intervenissero provvedimenti restrittivi al suo uso erano stati espressamente assunti dalla società (OMISSIS), sicchè la posizione di quest’ultima in ordine allo stato giuridico dell’immobile locato era quantomeno da porre sullo stesso piano di quella del conduttore pienamente consapevole dei vizi del bene; in questo senso, si è orientata la sentenza impugnata, come ben si evince dalle pp. 13 e 14, ove la volontà contrattuale delle parti è stata ritenuta quella di “porre a carico della conduttrice il rischio dell’inidoneità dell’obbligazione di pagamento del corrispettivo qualora ciò si fosse verificato perchè era a conoscenza della possibile inettitudine dell’oggetto della prestazione e ne aveva accettato il rischio economico”;
4.3) in ordine alla censura secondo cui l’impugnata sentenza avrebbe omesso di considerare la prova contraria del fatto che i provvedimenti repressivi erano intervenuti perchè l’istanza di sanatoria n. 4069/1986 era viziata ab origine, atteso che riguardava superfici solo parzialmente realizzate, e che ciò non era evincibile nè utilizzando l’ordinaria diligenza nè provvedendo ad approfonditi controlli presso l’ufficio tecnico comunale nè presso gli uffici preposti, deve tenersi conto del fatto che la Corte territoriale ha escluso che nel contratto si fosse in alcun modo fatto riferimento alla istanza di condono del 1986 ed ha negato rilievo al fatto che il provvedimento di sequestro penale fosse stato disposto sulla scorta di documenti reperiti presso l’ufficio commercio, perchè comunque gli abusi risalivano ad un periodo antecedente a quello della stipulazione del contratto di locazione con cui la conduttrice aveva assunto il rischio derivante dallo stato abusivo del bene locato;
4.4) le ricorrenti si dolgono anche che i giudici partenopei non abbiano considerato che aveva sospeso il pagamento del canone perchè era venuta completamente a mancare la controprestazione; la Corte d’Appello, però, si è espressa sulla permanenza dell’obbligo di pagare il canone di locazione, nonostante il sequestro dell’immobile, ed ha escluso la ricorrenza di alcun inadempimento a carico della locatrice (pp. 13-14 della sentenza);
4.5.) ancora viene lamentato che la Corte territoriale non sarebbe stata in grado di avvedersi che era stato assunto solo il rischio di provvedimenti repressivi determinati dalla comparazione tra lo stato dei luoghi del bene con la documentazione presso l’ufficio tecnico comunale e gli enti preposti alla tutela paesaggistica e paesistica, senza accettare rischi diversi ed ulteriori;
tale argomento in maniera apodittica pretende di restringere a favore delle ricorrenti il contenuto dell’alea assunta con il contratto, opponendo all’esito dell’attività interpretativa del giudice che risulta logica e motivata una propria diversa ricostruzione del contenuto dell’alea contrattuale assunta, senza dimostrare in che modo la sentenza impugnata avrebbe violato i canoni interpretativi della lex contractus (cfr. supra § 2.2);
4.6) stante la ritenuta irrilevanza dell’istanza di sanatoria, la censura che addebita alla sentenza impugnata di non avere attribuito rilievo al fatto che la locatrice aveva taciuto che l’istanza di sanatoria era viziata risulta non correlata alla ratio decidendi della sentenza impugnata;
4.7) lamentando la violazione delle norme sull’interpretazione del contratto, per non aver tenuto conto della presupposizione, non aver rilevato l’equilibrio sinallagmatico, avere omesso di valutare il contenuto dell’ordinanza di demolizione, le ricorrenti ripropongono confutazioni già giudicate immeritevoli di accoglimento supra § 2.12.2;
4.8) anche senza considerare che non risulta che sia stata sottoposta alla Corte territoriale la questione del comportamento inerte tenuto dal Centro Ittico dopo il sequestro penale, essa sarebbe assorbita dal fatto che la locatrice non aveva in alcun modo assunto l’obbligo di garantire la conformità urbanistica del bene nè quello di garantirne l’idoneità all’uso commerciale cui era destinato;
4.9) in ordine al profilo di censura che riguarda la decisione di non applicare l’art. 1341 c.c., va osservato che la predisposizione unilaterale del contenuto del contratto – quand’anche dimostrata e non meramente supposta – non basterebbe a determinare l’applicazione della disciplina di cui all’art. 1341 c.c.; deve escludersi, infatti, che, a prescindere da chi sia stato l’autore dello schema di lavoro e di quali siano poi le concrete scelte negoziali assunte dalle parti e lo specifico attivismo nell’attuazione delle stesse (Cass. 15/04/2015, n. 7605), la società ricorrente si sia trovata dinanzi all’alternativa di accettare o rifiutare nella loro interezza le condizioni predisposte dalla controparte (Cass. 06/02/2019, n. 347) – peraltro, già il bando che aveva preceduto la stipulazione del contratto escludeva che la locatrice garantisse la non abusività dell’immobile – nè, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, sono venute in rilievo condizioni generali di contratto, ossia quelle clausole che un soggetto, il predisponente, utilizza per regolare uniformemente i propri rapporti contrattuali; tanto basta ad escludere la ricorrenza delle ragioni che hanno indotto il legislatore, al fine di assicurare la contrattualità effettiva delle singole clausole vessatorie inserite in tali condizioni, a richiedere la specifica loro approvazione per iscritto (Cass. 19/07/2019, n. 19524); senza considerare che, trattandosi di locazione ad uso non abitativo, il conduttore non è nella posizione di parte “debole” rispetto al locatore: così Cass. 14/03/2018, n. 6123;
4.10) atteso che il sequestro penale rientrava nell’alea unilateralmente assunta con il contratto dalla società (OMISSIS), nessun errore potrebbe essere attribuito alla sentenza impugnata per averla condannata al pagamento del canone di locazione per tutto il tempo in cui l’immobile è stato, fino alla riconsegna, nella sua disponibilità;
5) con il quinto motivo le ricorrenti censurano la sentenza d’appello per “violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1226 nonchè degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. (corretta valutazione del comportamento della locatrice quale fonte risarcitoria rispetto al danno subito dalla sig.a (OMISSIS) in proprio)”;
6) con il sesto motivo è addotto l'”omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione”, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;
la sentenza impugnata avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria di (OMISSIS), limitandosi ad affermare che il suo coinvolgimento nelle indagini e nei provvedimenti dell’autorità requirente non risultava ricollegabile alla condotta del (OMISSIS) e che non era stata chiarita la ragione per la quale la locatrice avrebbe dovuto informarla dell’impossibilità di accoglimento della istanza di condono del 1986;
sussisterebbe anche una violazione di legge in relazione all’art. 2043 c.c., perchè (OMISSIS) sarebbe stata “coinvolta nel procedimento penale, nonostante fosse del tutto estranea agli abusi riscontrati dalle autorità, sulla scorta della insuscettibilità dell’istanza di sanatoria del 1986 ad essere accolta” ed un vizio di omesso esame di un fatto decisivo, costituito dal fatto che la proprietaria/locatrice del bene avrebbe dovuto conoscere lo stato anche urbanistico del bene ed avrebbe dovuto comunicarlo all’amministratrice della conduttrice che invece era stata coinvolta in un procedimento penale;
6.1) le censure sono immeritevoli di accoglimento;
non ricorre la violazione dell’art. 112 c.p.c., atteso che, come la stessa ricorrente riconosce, la sentenza impugnata ha confermato la decisione del Tribunale che aveva rigettato tutte le domande riconvenzionali, compresa quella avente ad oggetto il risarcimento richiesto da (OMISSIS), per il compenso all’avvocato penalista che l’aveva difesa nel processo penale in cui era rimasta coinvolta e per il danno morale ed all’immagine che ne erano derivati, non distinguendo quelle proposte dalla società (OMISSIS) da quelle avanzate in proprio da (OMISSIS), aggiungendo che il coinvolgimento di quest’ultima nelle indagini e nel processo penale non era in alcun modo riconducibile alla condotta del (OMISSIS), il quale non aveva nessuna ragione per informarla dell’impossibilità di accoglimento della istanza di condono e nessun chiarimento a tale ultimo riguardo era stato offerto dalla parte appellante; tanto esclude che la Corte territoriale sa incorsa nel vizio di cui all’art. 112 c.p.c.;
6.2) le restanti censure non si confrontano con la decisione impugnata, la quale ha escluso che fosse stata allegato alcun profilo di responsabilità contrattuale o extracontrattuale del (OMISSIS), giacchè parte appellante si era dilungata solo sul profilo del danno, e/o ripropongono argomenti che attengono al contenuto “aleatorio” del contratto, su cui cfr. supra;
7) ne consegue l’inammissibilità del ricorso;
8) le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
9) seguendo l’insegnamento di Cass., Sez. Un., 20/02/2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione in data 21/12/2022.