Sentenza 12977/2022
Opposizione all’esecuzione ex art. 615 cpc – Provvedimento di chiusura della fase sommaria – Statuizione sulle spese della fase – Omissione – Rimedi
In tema di opposizione all’esecuzione ex art. 615, comma 2, c.p.c., qualora il giudice dell’esecuzione non liquidi le spese della fase sommaria con l’ordinanza con cui dispone la sospensione della procedura, la parte vittoriosa che abbia interesse alla loro liquidazione ha l’onere di instaurare il giudizio di merito prima della scadenza del termine di cui all’art. 616 c.p.c. o, in alternativa, di avanzare istanza di integrazione del provvedimento ai sensi dell’art. 289 c.p.c., anche allo scopo di garantire alle altre parti (previa eventuale rimessione in termini) la possibilità di contestare la liquidazione nella fase di merito dell’opposizione; ne deriva che, in caso di inerzia della parte vittoriosa, dette spese non sono più ripetibili, né altrimenti liquidabili.
Mancata o tardiva introduzione del giudizio di merito dopo la sospensione della procedura, con l’ordinanza di estinzione ex art. 624, comma 3, c.p.c. il giudice dell’esecuzione non può provvedere sulle spese della fase sommaria
In caso di mancata o tardiva introduzione del giudizio di merito dopo la sospensione della procedura, con l’ordinanza di estinzione ex art. 624, comma 3, c.p.c. il giudice dell’esecuzione non può provvedere sulle spese della fase sommaria dell’opposizione esecutiva, giacché le spese indicate in detta disposizione concernono il solo processo esecutivo – tra le quali, necessariamente, i compensi spettanti agli ausiliari del giudice – e non anche quelle dell’opposizione; ne deriva che la parte che ne sia stata erroneamente gravata può contestare tale statuizione proponendo reclamo al collegio ex art. 630, comma 3, c.p.c., in forza di quanto previsto dall’art. 624, comma 3, ultimo periodo, c.p.c.
Estinzione del processo
L’estinzione ex art. 624, comma 3, c.p.c. non ha lo scopo di evitare l’inutile protrarsi del processo esecutivo oltre ogni ragionevole durata, bensì un’evidente finalità deflattiva, connessa alla natura anticipatoria della sospensione: la parte soccombente nella fase sommaria può prestare acquiescenza “in prospettiva”, qualora le ragioni addotte dal giudice dell’esecuzione (o dal collegio in sede di reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c.) paiano convincenti o difficilmente ribaltabili nel giudizio di merito; inoltre, nel caso di disposta sospensione, l’esecutato opponente persegue immediatamente il subitaneo arresto della procedura, anticipandosi così gli effetti del verosimile esito vittorioso dell’opposizione.
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 26-4-2022, n. 12977 (CED Cassazione 2022)
Art. 615 cpc (Opposizione all’esecuzione) – Giurisprudenza
Art. 624 cpc (Sospensione per opposizione all’esecuzione) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
In seguito alla sospensione del titolo esecutivo disposta dal Tribunale di Castrovillari ex art. 615 c.p.c., comma 1, la debitrice esecutata (OMISSIS) a r.l. – in seno al procedimento per pignoramento presso terzi avviato da (OMISSIS) nei suoi confronti dinanzi al Tribunale di Foggia, iscritto al n. 2141/2017 R.G.E. – propose opposizione all’esecuzione ed agli atti esecutivi con ricorso del 25.7.2017, instando per la sospensione; il giudice dell’esecuzione sospese conseguentemente la procedura con ordinanza del 15.1.2018, dando atto dell’intervenuta sospensione dell’efficacia del titolo; su istanza della debitrice, che nella mancanza di cui infra aveva ravvisato un errore materiale, lo stesso giudice provvide ad integrare detta ordinanza, assegnando il termine per l’introduzione del giudizio di merito, dapprima non fissato. Nessuna delle parti provvide a tanto, sicchè la debitrice chiese ed ottenne declaratoria di estinzione ex art. 624 c.p.c., comma 3, disposta con ordinanza del 14.5.2018 (poi ulteriormente emendata da altro errore, qualificato come materiale con successivo provvedimento del 13.6.2018), con condanna del creditore opposto alla rifusione delle spese di procedura, essendo anche intervenuta nelle more la declaratoria di nullità del precetto opposto dinanzi al Tribunale di Castrovillari (precetto su cui si fondava l’avviata azione esecutiva). (OMISSIS) propose quindi reclamo ex art. 630 c.p.c., contestando la liquidazione delle spese; il Tribunale di Foggia accolse il reclamo con sentenza del 13.9.2018, modificando l’ordinanza estintiva nel senso che le spese dovessero restare a carico della parte che le ha anticipate, in applicazione del generale criterio di riparto di cui agli artt. 632 e 310 c.p.c., per il caso di estinzione della procedura. La Corte d’appello di Bari, adita dalla (OMISSIS), rigettò il gravame con sentenza del 5.4.2019; in particolare, il giudice d’appello ribadì che – ai fini dell’applicabilità del combinato disposto dell’art. 632 c.p.c., u.c. e art. 310 c.p.c., u.c. – le spese del processo esecutivo estinto non possono che essere quelle sostenute dal creditore procedente per l’avvio e il prosieguo della procedura ed eventualmente quelle sostenute dal debitore, ad eccezione delle spese di eventuali opposizioni esecutive, che sono regolate dal giudice del relativo giudizio, tanto più che, secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 15374/2011; Cass. n. 19638/2014), la deroga a detto principio presuppone l’accordo tra le parti per una diversa regolamentazione. La Corte barese negò, poi, la sussistenza di una perfetta equiparabilità tra l’accoglimento dell’opposizione all’esecuzione eventualmente proposta e quella del mancato avvio del giudizio di merito, una volta concessa la sospensione dell’esecuzione, giacchè nel primo caso viene in rilievo vera e propria attività di discernimento delle doglianze, nel secondo soltanto l’esigenza di escludere il protrarsi della pendenza del processo esecutivo, a prescindere dalle ragioni che possano giustificare l’attività delle parti. Di conseguenza – chiosò il secondo giudice – il debitore opponente che intenda ottenere il riconoscimento delle spese processuali dell’opposizione ha pieno interesse a coltivare il giudizio anche nel merito, in caso contrario non potendo che applicarsi le regola generale di cui all’art. 310 c.p.c., u.c..
Avverso detta sentenza, ricorre ora per cassazione (OMISSIS) a r.l., affidandosi a tre motivi, cui resiste con controricorso (OMISSIS). Entrambe le parti hanno depositato memoria. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 – Con il primo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 624, 632 e 310 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente, sulla premessa che l’ordinanza ex art. 624 c.p.c., comma 1, che decide sulla sospensione abbia natura cautelare e che equivalga ad una cautela disposta in corso di causa, rileva che le regole sul procedimento cautelare uniforme – in qualsivoglia ipotesi di istanza proposta lite pendente – non prevedono che il giudice debba provvedere anche sulle spese di fase, trovando esse debita regolamentazione in seno al provvedimento che definisce il giudizio; il che comporta che, nella situazione prevista dall’art. 624 c.p.c., comma 3, non possa che essere il giudice dell’esecuzione a disporre sulle spese stesse, allorquando dichiari l’estinzione del procedimento.
1.2 – Con il secondo motivo, in subordine, si denuncia la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, giacchè la statuizione sulle spese adottata dal Tribunale non avrebbe mai potuto reclamarsi ex art. 630 c.p.c., come invece fatto dal creditore opposto.
1.3 – Con il terzo motivo, infine, in ulteriore subordine, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 624, 632 e 310 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove la Corte d’appello ha erroneamente negato l’equiparabilità – ai fini che interessano – tra l’ipotesi dell’accoglimento dell’opposizione e quella della mancata riassunzione della causa di opposizione all’esecuzione, a cagione della presunta espressione della regola di cui all’art. 624 c.p.c., comma 3, dell’esigenza di evitare che il processo esecutivo giaccia, in forza della disposta sospensione, in stato di quiescenza. La ratio della disposizione, infatti, è quella di perseguire uno scopo deflattivo del processo di opposizione, non altro.
2.1 – Deve preliminarmente osservarsi che il controricorrente (OMISSIS), nella memoria ex art. 378 c.p.c., datata 15.11.2021, depositata telematicamente, ha dedotto che il Ministero dello Sviluppo Economico, con decreto del 25.2.2020, ha disposto lo scioglimento della società cooperativa odierna ricorrente, conseguentemente ponendola in liquidazione coatta amministrativa, ex art. 2545-terdecies c.c.; per l’effetto, lo stesso (OMISSIS), tra l’altro, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso perchè proposto da soggetto privo della capacità processuale ex art. 75 c.p.c. e L. Fall., art. 200.
L’eccezione è infondata. Infatti, è noto che il giudizio di cassazione ha struttura officiosa e una volta avviato, tendenzialmente, resta insensibile alle vicende che interessano le parti, compreso l’eventuale assoggettamento a procedura concorsuale; ciò è tanto vero che non trovano applicazione le disposizioni in tema di interruzione del processo (v. ex plurimis, Cass. n. 3630/2021). Nella specie, non v’è dubbio che il ricorso sia stato notificato ben prima dell’assoggettamento della società a liquidazione coatta (ossia, in data 27.9.2019), e quindi allorchè essa era ancora in bonis, con la conseguenza che il rapporto processuale è stato validamente instaurato.
D’altra parte, la pur dedotta transazione avvenuta tra lo stesso (OMISSIS) e gli organi della liquidazione non può esplicare alcun effetto nella specie, non essendosi tradotta in una corrispondente attività da parte della stessa ricorrente (ossia, nel deposito della rinuncia al ricorso ex art. 390 c.p.c.), che anzi – con la memoria ex art. 378 c.p.c. datata 2.12.2021, depositata via PEC – ha insistito per l’accoglimento del ricorso stesso.
Infine, riguardo a quanto evidenziato circa l’avvenuto inserimento dei procuratori della medesima ricorrente nello stato passivo della procedura concorsuale, anche per la remunerazione del presente contenzioso, valuteranno gli organi di quest’ultima se l’attività qui ulteriormente posta in essere si ponga o meno in contrasto con gli interessi della procedura stessa o addirittura in conflitto con eventuali direttive all’uopo impartite o con accordi intervenuti, per quanto eventualmente possa rilevare sotto il profilo deontologico.
2.2 – Prima di entrare in medias res, sempre in via preliminare, vale tuttavia le pena evidenziare che l’originario provvedimento sulla sospensione reso dal giudice dell’esecuzione foggiano ha finito per mutare connotazione, per effetto delle iniziative processuali adottate dell’odierna ricorrente, e segnatamente della prima richiesta di correzione a suo tempo avanzata.
Infatti, con l’ordinanza del 15.1.2018, il giudice dell’esecuzione aveva disposto la sospensione dell’esecuzione dopo aver preso atto che l’efficacia esecutiva del titolo azionato (verbale di conciliazione in sede sindacale) era stata sospesa dal Tribunale di Castrovillari, giudice dell’opposizione a precetto ex art. 615 c.p.c., comma 1. In sostanza, il giudice dell’esecuzione aveva trattato l’istanza di sospensione avanzata da (OMISSIS) come una ipotesi di sospensione “esterna”, ex art. 623 c.p.c., giacchè altro giudice aveva inciso sulle esecutività del titolo azionato. Opzione senz’altro corretta, perchè l’ipotesi di sospensione dell’esecutività del titolo ex art. 615 c.p.c., comma 1, rientra tra quelle disposte “dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo”, ai sensi dell’art. 623 c.p.c., ed integra, quindi, sospensione “esterna” (si veda, in proposito, Cass. n. 26285/2019); tale importante arresto – reso sul tema dei rapporti tra opposizione all’esecuzione “pre-esecutiva” e quella “endo-esecutiva”, ex art. 615 c.p.c., commi 1 e 2 – ha tra l’altro evidenziato che, allorchè il giudice della prima abbia sospeso la portata esecutiva del titolo azionato nella seconda, il debitore esecutato non deve proporre autonoma opposizione all’esecuzione, ma deve limitarsi ad allegare l’intervenuta sospensione “esterna”, affinchè il giudice dell’esecuzione ne prenda atto, ex art. 623 c.p.c., senza assegnare alcun termine per l’introduzione del giudizio di merito, del tutto superfluo; ciò (anche) sull’essenziale rilievo che la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo ha portata ben più ampia di quella adottata per “gravi motivi” dal giudice dell’esecuzione, l’una inibendo l’avvio o la prosecuzione di qualsiasi azione esecutiva fondata su detto titolo, l’altra soltanto il compimento di ulteriori atti di esecuzione all’interno di quel determinato procedimento, ex art. 626 c.p.c. (per brevità, si rinvia alla complessa motivazione di Cass. n. 26285/2019 quanto agli snodi di dettaglio). Considerazioni analoghe sono svolte anche dalla pressochè coeva Cass., Sez. Un., n. 19889/2019, laddove si afferma (in motivazione) che “la sospensione pre-esecutiva si atteggia quale causa di sospensione esterna per la singola esecuzione comunque intrapresa, da riconoscersi senza formalità dal giudice dell’esecuzione (ai sensi dell’art. 623 e non pure – a meno che non la disponga anche per altri motivi a lui solo sottoposti – dell’art. 624 c.p.c.)”.
Orbene, con l’adozione del provvedimento di correzione del 1.2.2018 (e, quindi, con l’erronea assegnazione del termine per l’introduzione del merito, ex art. 616 c.p.c.) il provvedimento di sospensione in origine adottato dal Tribunale foggiano ha invece assunto la connotazione tipica di cui all’art. 624 c.p.c., comma 1, e ciò definitivamente, non essendo stato oggetto di alcuna reazione processuale da parte del (OMISSIS). Detta connotazione risulta poi confermata dal provvedimento del 14.5.2018, con cui venne dichiarata l’estinzione del procedimento ai sensi dell’art. 624 c.p.c., comma 3, irrilevante essendo, nella prospettiva in esame, che detto provvedimento sia stato successivamente corretto con altro adottato in data 13.6.2018 (con cui venne ribaltato, sempre per presunto errore materiale e ad iniziativa della medesima (OMISSIS), il carico delle spese tra le parti). Pertanto, la vicenda che occupa, ab imis correttamente trattata dal giudice dell’esecuzione foggiano nell’egida dell’art. 623 c.p.c., ha finito col concernere indiscutibilmente – per effetto dell’infondata iniziativa di (OMISSIS) (dall’esposizione del ricorso non risulta che l’opposizione del 25.7.2017 fosse basata su motivi diversi da quelli proposti dinanzi al giudice silano) e della conseguente erronea correzione apportata – un’ipotesi di sospensione endo-esecutiva, con successiva estinzione tipica per mancata instaurazione del giudizio di merito, ai sensi dell’art. 624 c.p.c., comma 3.
La mancata tempestiva reazione da parte del creditore procedente al riguardo ha dunque dato la stura ad un giudizio sulla debenza di spese (quelle della fase sommaria dell’opposizione endo-esecutiva in favore dell’opponente) di cui occorre ancora qui discutere soltanto per effetto dell’inoppugnabilità del provvedimento che, come s’è visto, ha finito col rovesciare la natura della sospensione, da “esterna” ad “interna”.
3.1 – Ciò posto, il primo motivo è infondato, per quanto la motivazione della sentenza impugnata – laddove si sostiene che, qualora il debitore opponente abbia interesse ad ottenere la rifusione delle spese dell’opposizione all’esecuzione (comprese quelle della fase sommaria), egli è comunque tenuto ad instaurare il giudizio di merito ex art. 616 c.p.c., così rinunciando alla possibile estinzione del procedimento esecutivo ex art. 624 c.p.c., comma 3, per il caso di inerzia del creditore opposto – meriti di essere corretta e/o integrata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..
Anche al di là di quanto si dirà infra (v. par. 5.1) circa la ratio sottesa all’estinzione di cui all’art. 624 c.p.c., comma 3, costituisce orientamento di legittimità del tutto consolidato – benchè non preso in considerazione dalla Corte d’appello di Bari – quello secondo cui “Nella struttura delle opposizioni, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, artt. 617 e 619 c.p.c., emergente dalla riforma di cui alla L. 24 febbraio 2006, n. 52, il giudice dell’esecuzione, con il provvedimento che chiude la fase sommaria davanti a sè – sia che rigetti, sia che accolga l’istanza di sospensione o la richiesta di adozione di provvedimenti indilazionabili, fissando il termine per l’introduzione del giudizio di merito, o, quando previsto, quello per la riassunzione davanti al giudice competente -, deve provvedere sulle spese della fase sommaria, potendosi, peraltro, ridiscutere tale statuizione nell’ambito del giudizio di merito” (così, Cass. n. 22033/2011; conf., ex multis, Cass. n. 15082/2019).
Pertanto, erra la Corte barese nel ritenere che il debitore opponente sia in ogni caso tenuto ad introdurre il giudizio di merito, ex art. 616 c.p.c., al fine di ottenere la rifusione delle spese di lite, spettando invece al giudice dell’esecuzione provvedervi (ovviamente, solo quanto alla fase sommaria, che è ciò di cui qui si discute) col provvedimento con cui la sospensione “interna” venga concessa o negata. Altra questione è, invece, l’individuazione di quale rimedio abbia la parte vittoriosa nel caso in cui il giudice ometta di provvedere sulle spese della fase sommaria, ma di ciò si dirà infra (v., in particolare, par. 3.5), non prima di aver affrontato alcune questioni, logicamente preliminari, poste dal ricorso.
3.2 – Così emendata la motivazione della sentenza d’appello e ferma restando la condivisibilità di fondo della complessa motivazione della stessa Cass. n. 22033/2011 sul punto, va evidenziato che il ricorso non offre spunti utili a sostegno dell’anelato revirement.
La ricorrente, infatti, mostra essenzialmente di sposare, sul punto, la motivazione che la Corte d’appello di Napoli – in altro contenzioso – parrebbe aver adottato (il condizionale è d’obbligo) con sentenza del 25.5.2017, prendendo le distanze in modo argomentato dall’orientamento di legittimità sopra riportato. Ora – premesso che la giurisprudenza di merito (contrariamente a quanto fatto dalla ricorrente nell’invocare l’indicato arresto) deve essere citata in modo tale da conferire alla citazione stessa i canoni della precisione e della certezza, in assenza di banche dati “ufficiali” che univocamente consentano di rinvenire il precedente, per quanto d’interesse possa essere – l’opzione ermeneutica così propugnata non è in ogni caso condivisibile.
La tesi di fondo, infatti, muove da una pretesa corrispondenza biunivoca tra natura cautelare del provvedimento di sospensione ex art. 624 c.p.c., comma 1, e piana applicabilità delle norme del c.d. rito cautelare uniforme, ex artt. 669-bis c.p.c. e segg., alle relative controversie. Si sostiene, in particolare, che la struttura bifasica delle opposizioni esecutive non ne esclude il carattere unitario, con la conseguenza che la controversia è pendente già dal momento in cui il ricorso viene depositato dinanzi al giudice dell’esecuzione; conseguentemente, il provvedimento sulla sospensione ex art. 624 c.p.c., comma 1, deve intendersi comunque adottato in corso di causa, donde la non applicabilità – per di più in via di interpretazione analogica – delle disposizioni di cui agli artt. 669-septies e 669-octies c.p.c., che prevedono che il giudice debba provvedere alla liquidazione delle spese di lite nel solo caso di cautela richiesta ante causam, in ambito esecutivo dovendo anzi trovare spazio la contraria regola per cui detta liquidazione deve effettuarsi soltanto in seno al provvedimento di merito che definisce il giudizio.
Senonchè, come anche osservato da autorevole dottrina, la natura cautelare del provvedimento sulla sospensione consente senz’altro il rinvio alle norme sul procedimento cautelare uniforme, ma solo nel senso che esse possano trovare ingresso, nella fase sommaria delle opposizioni esecutive, nei limiti della compatibilità con la struttura e la funzione di queste ultime, in quanto le disposizioni di cui agli artt. 615 c.p.c. e segg., costituiscono ius speciale.
Ebbene, premesso che il procedimento di opposizione all’esecuzione c.d. endo-esecutiva è tendenzialmente unitario (Cass. n. 5608/2017), benchè a struttura necessariamente bifasica (Cass. n. 25170/2018), va anzitutto evidenziato che ai fini della cautela, nell’ambito del giudizio di opposizione all’esecuzione tout court, la dicotomia “ante causam – lite pendente” è mal posta, perchè – per evidenti ragioni positivo-strutturali – l’adozione di un provvedimento sulla sospensione non può che essere adottato in corso di causa (la questione può forse atteggiarsi in modo parzialmente differente quanto all’opposizione agli atti esecutivi ante executionem, ex art. 617 c.p.c., comma 1, ma tale differenza – per quanto non sposti comunque l’esito dell’indagine che si sta svolgendo – non rileva in questa sede).
Infatti, ove si tratti di opposizione all’esecuzione “pre-esecutiva”, ex art. 615 c.p.c., comma 1, per effetto della modifica apportata a detta disposizione dalla riforma del 2005 (Decreto Legge n. 35 del 2005, art. 2, comma 3-quater, conv. in L. n. 80 del 2005, come modificato dal Decreto Legge n. 115 del 2005, conv. in L. n. 168 del 2005), la sospensione di esecutività del titolo che, col precetto, si è minacciato di azionare in executivis non può che essere disposta dal giudice della causa già iniziata, non essendovi oramai spazio per la tutela cautelare innominata e residuale di cui all’art. 700 c.p.c. (v. amplius la già citata Cass. n. 26285/2019). L’adozione del provvedimento di sospensione si innesta di necessità, infatti, in un procedimento di cognizione avviato nelle forme ordinarie, che segue le relative regole, salvo quanto previsto dallo stesso art. 615 c.p.c., comma 1; d’altra parte, l’indubbia natura cautelare del provvedimento stesso giustifica la proponibilità del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., secondo quanto previsto dall’art. 624 c.p.c., comma 2, e a prescindere dalla sua collocazione sistematica (si veda al riguardo Cass., Sez. Un., n. 19889/2019). Ove invece si tratti sospensione ex art. 624 c.p.c., comma 1, l’adozione del provvedimento presuppone necessariamente la pendenza del giudizio di opposizione (ad esecuzione iniziata), determinata appunto dalla proposizione del ricorso dinanzi al giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2 o art. 619 c.p.c. (nel caso di opposizione di terzo all’esecuzione).
In altre parole, in subiecta materia, è scorretto interrogarsi sul se il provvedimento sulla sospensione sia reso ante causam o in corso di causa, perchè la risposta all’interrogativo è obbligata in tale ultimo senso: ciò a testimonianza della specialità dell’opposizione all’esecuzione, rispetto ad un “normale” giudizio di cognizione, il che già di per sè giustifica l’assoluta insostenibilità della soluzione propugnata dall’odierna ricorrente.
Focalizzando comunque l’attenzione sull’opposizione ad esecuzione iniziata, ex art. 615 c.p.c., comma 2, reputa pertanto la Corte doversi ribadire che, con l’adozione dell’ordinanza di cui all’art. 624 c.p.c., comma 1, il giudice dell’esecuzione deve provvedere sulle spese della relativa fase sommaria, perchè all’indubbia natura cautelare dell’ordinanza non può che aggiungersi la specialità del procedimento e l’attitudine al consolidamento degli effetti della stessa sospensione, in caso di mancata attivazione del giudizio di merito nel termine di cui all’art. 616 c.p.c., in virtù di quanto disposto dall’art. 624 c.p.c., comma 3 (su quest’ultimo aspetto, si rinvia per brevità all’ampia e condivisibile motivazione della citata Cass. n. 22033/2011, par. 4.4 in particolare).
3.3 – D’altra parte, non possono condividersi neppure gli ulteriori argomenti che la Corte napoletana parrebbe aver speso (v. supra) a sostegno della tesi sostenuta nel citato provvedimento.
Infatti, nell’ipotesi di rigetto dell’istanza di sospensione e della mancata introduzione del giudizio di merito da parte del debitore opponente, la liquidazione delle spese in favore del creditore opposto – per la fase sommaria dell’opposizione – giammai potrebbe effettuarsi ex novo in sede di distribuzione, ai sensi dell’art. 95 c.p.c., perchè detta liquidazione attiene alle spese proprie dell’esecuzione in senso stretto: a tacer d’altro, se dovesse seguirsi tale opzione, non sarebbe neppure necessaria la liquidazione delle spese da parte del giudice dell’opposizione in sede decisoria, il che ovviamente non è.
In realtà, l’art. 95 c.p.c., si riferisce esplicitamente alle spese sostenute dal creditore procedente e dai creditori intervenuti, ma ha come presupposto la fruttuosità dell’esecuzione (ex multis, Cass. n. 18638/2014 e Cass. n. 24571/2018) e la relativa liquidazione non ha alcuna attitudine al giudicato, essendo destinata a spiegare i suoi effetti nel solo ambito endo-esecutivo, in caso di incapienza restando le spese stesse irripetibili (Cass. n. 24571/2018, cit.). Si tratta, insomma, di quelle spese che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, art. 8, definisce “atti necessari al processo” (v. Cass. n. 12877/2016), nonchè dei compensi dei difensori dei creditori ammessi alla distribuzione (salva, appunto, l’incapienza), e non già delle spese inerenti alle opposizioni esecutive. D’altra parte, in relazione alle vicende che investono l’esecuzione – e che la rendono più o meno complessa a cagione dell’atteggiamento del debitore esecutato, che ad esempio proponga plurime istanze di riduzione o conversione (nei limiti di quanto oggi possibile, per quest’ultima, ai sensi del vigente art. 495 c.p.c.), o comunque adotti altre iniziative tese a rallentare o impedire in parte il normale corso del procedimento, pur senza assurgere a vere e proprie opposizioni – rientra nella discrezionalità del giudice dell’esecuzione procedere alla liquidazione dei compensi,optando in aumento o in diminuzione dai valori medi dello scaglione tariffario di riferimento (v. in particolare Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, art. 4 e succ. modd.); quanto precede non riguarda, però, le parentesi di cognizione del processo esecutivo, che seguono regole proprie. Ciò è confermato anche dal fatto che i provvedimenti decisori dell’opposizione, nella parte in cui dispongono sulle spese, hanno vera e propria natura di titolo esecutivo, ex art. 474 c.p.c. (ciò vale indubbiamente per i relativi capi delle sentenze o ordinanze rese all’esito del giudizio di merito, quand’anche di natura meramente dichiarativa (Cass. n. 10826/2020), ma è stato anche affermato per le ordinanze rese all’esito della fase sommaria (Cass. n. 20593/2015)), a differenza di quelle liquidate ai sensi dell’art. 95 c.p.c., che lo sono soltanto nella misura in cui la legge esplicitamente lo preveda (ad es., per i decreti di liquidazioni delle spettanze degli ausiliari, come si dirà tra breve).
Pertanto, le spese della fase sommaria dell’opposizione (come anche quelle definitive) devono certamente trovare idonea collocazione nel progetto di distribuzione ex art. 596 c.p.c., se del caso col rango privilegiato ex artt. 2755 o 2770 c.c., qualora effettuate anche nell’interesse comune dei creditori concorrenti (Cass. n. 3020/2020), ma in quanto rivenienti da provvedimenti adottati nei relativi procedimenti, non già ex novo in sede distributiva, quasi a rimedio o recupero di una mancata adozione nella pertinente sedes materiae.
3.4 – Nè può sostenersi, come ancora parrebbe doversi desumere dall’invocato arresto di merito, che le spese dell’opposizione (quand’anche limitatamente alla fase sommaria) devono liquidarsi con l’ordinanza che dichiara l’estinzione del procedimento, giacchè la disposizione di cui allo stesso art. 624 c.p.c., comma 3 (laddove si prevede che “(…) il giudice dell’esecuzione dichiara, anche d’ufficio, con ordinanza, l’estinzione del processo e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento, provvedendo anche sulle spese”) non concerne dette spese.
La disposizione sopra riportata, infatti, nel testo modificato dalla L. n. 69 del 2009, altro non è che la iterazione, nell’ambito specifico, della regola generale di cui all’art. 632 c.p.c., comma 1, secondo cui il giudice dell’esecuzione, allorchè dichiara l’estinzione, liquida le spese sostenute dalle parti. Sul punto, non v’è ragione di discostarsi dall’insegnamento di Cass. n. 19638/2014 (e, prim’ancora, da Cass. n. 15374/2011, come anche evidenziato dal giudice d’appello): salvo diverso accordo tra creditore e debitore (nella specie, pacificamente mancante), non può che applicarsi la regola per cui, in caso di estinzione, le spese restano a carico di chi le ha anticipate, in conformità al combinato disposto dell’art. 632 c.p.c., u.c. e art. 310 c.p.c., u.c., il che è quanto la Corte d’appello ha correttamente affermato. In proposito, va però precisato – anche a correzione ed integrazione della motivazione della qui gravata sentenza, ex art. 384 c.p.c., u.c., recando essa una qualche ambiguità riguardo al regime delle spese sostenute dal debitore (p. 6 della sentenza impugnata) – che la liquidazione effettuata dal giudice dell’esecuzione dauno è illegittima non già per aver questi applicato la regola della soccombenza ad un caso, invece, regolato dal detto combinato disposto (e, quindi, per aver posto a carico del creditore opposto le spese richieste dall’opponente per la fase sommaria dell’esecuzione, che quest’ultimo, stante l’estinzione del procedimento, avrebbe invece dovuto definitivamente sopportare, in virtù dell’art. 632 c.p.c., u.c. e art. 310 c.p.c., u.c.), bensì per aver liquidato con l’ordinanza ex art. 624 c.p.c., comma 3, spese diverse da quelle disciplinate da detta disposizione.
Ciò chiarito, va anche evidenziato che, seppur sia vero (come sostenuto dalla ricorrente) che il debitore, di regola, non sostiene spese che debbano essere liquidate dal giudice dell’esecuzione all’atto dell’estinzione, ciò non implica affatto che le spese di cui all’art. 624 c.p.c., comma 3, debbano identificarsi con quelle che gli spettano in caso di vittorioso esperimento dell’opposizione all’esecuzione, che come già visto vanno invece liquidate nella pertinente sede processuale; nè può dirsi che le spese prese in considerazione dalla superiore disposizione siano di incerta identificazione.
Infatti, occorre anzitutto provvedere alla liquidazione dei compensi spettanti agli ausiliari del giudice (esperto stimatore, custode, professionista delegato) su cui eventualmente non si sia ancora provveduto, con indicazione anche del soggetto obbligato al relativo pagamento (di regola, appunto, il creditore procedente, tenuto ad anticipare i relativi esborsi ex art. 95 c.p.c.). Non è un caso, del resto, che l’art. 632 c.p.c., comma 1 (di cui, come detto, la disposizione dell’art. 624 c.p.c., comma 3, costituisce iterazione, sul punto), sia stato introdotto proprio dalla L. n. 302 del 1998, istitutiva delle delega delle operazioni di vendita (dapprima, ai soli notai) in ambito esecutivo, ex art. 591-bis c.p.c., prevedendosi che, allorchè il giudice dichiari l’estinzione della procedura, debba anche disporre la liquidazione dei compensi del delegato: la generalizzazione della disposizione, dunque, esprime (anche) la necessità che il giudice, dichiarando l’estinzione del procedimento, liquidi le spettanze dei propri ausiliari, ove non l’abbia già fatto. Fermo restando che, in caso contrario, egli non perde comunque il potere di provvedere, pur dopo l’estinzione o la chiusura atipica del procedimento (si veda, di recente, Cass. n. 12434/2021, e la cospicua giurisprudenza ivi richiamata, in particolare al par. 1.2).
L’attività liquidatoria in questione, poi, può anche concernere le spese sostenute dai singoli creditori, dagli esborsi sostenuti per il compimento di singoli atti esecutivi ai compensi spettanti ai rispettivi difensori, per l’attività professionale svolta nel processo. Tuttavia, a differenza dei decreti di liquidazione in favore degli ausiliari, che costituiscono veri e propri titoli esecutivi ex art. 474 c.p.c., per espressa previsione normativa (così, ad es., per il professionista delegato prevede l’art. 179 disp. att. c.p.c.), in caso di estinzione la liquidazione delle spese in favore dei creditori ha una valenza sostanzialmente ricognitiva e, al più, valevole nei rapporti tra difensore e creditore rappresentato, non potendo essa fondare un autonomo titolo esecutivo in favore di alcuno, come già visto, sul piano generale, per l’art. 95 c.p.c., quanto alle spese da collocare nel progetto di distribuzione.
In definitiva, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non sussiste alcun indefettibile collegamento tra le spese di cui all’ordinanza ex art. 624 c.p.c., comma 3, e quelle della fase sommaria dell’opposizione all’esecuzione.
3.5 – Quanto precede conferma, quindi, la piena condivisibilità dell’indirizzo affermato dalla ripetuta Cass. n. 22033/2011, cui la Corte intende dare continuità.
Può dunque affermarsi, quale ulteriore corollario, che qualora il giudice dell’esecuzione non liquidi le spese della fase sommaria del processo di opposizione con l’ordinanza con cui provvede sulla sospensione, la tutela delle parti in relazione a tale omissione è assicurata dalla possibilità di instaurare il giudizio di merito, anche al fine di ottenere in tale sede la liquidazione omessa, con la conseguenza che, in difetto, tale chance risulta definitivamente perduta. In linea generale, non può peraltro escludersi che, in caso di omissione da parte del giudice, la parte interessata possa anche avanzare istanza di integrazione dell’ordinanza di cui all’art. 624 c.p.c., comma 1, ai sensi dell’art. 289 c.p.c., similmente a quanto avviene ai fini della concessione del termine di cui all’art. 616 c.p.c., pretermesso (quanto, cioè, ha fatto l’odierna ricorrente); tuttavia, detta istanza di integrazione deve comunque essere proposta prima della scadenza del termine per instaurare la fase di merito dell’opposizione, onde garantire comunque alle parti (previa eventuale loro rimessione in termini, ove occorra) la possibilità di chiedere la revisione della liquidazione provvisoria del giudice dell’esecuzione nell’ambito della fase di merito dell’opposizione (Cass. n.
22503/2011). Dopo che detto termine sia scaduto, infatti, la liquidazione delle spese in questione non è più possibile, perchè – non essendo stato introdotto il
giudizio di merito – la parentesi di cognizione è definitivamente estinta, ex art. 307 c.p.c., comma 3 (Cass. n. 12170/2016). A tal punto, quindi, le sole spese liquidabili dal giudice dell’esecuzione, con la pronuncia di estinzione del procedimento esecutivo, sono quelle di cui all’art. 624 c.p.c., comma 3, che non comprendono, come s’è visto, le spese della fase sommaria dell’opposizione (v. par. 3.4); pertanto, nel caso in cui il giudice erroneamente provveda sulle stesse, l’ordinanza è da considerare illegittima in parte qua, come già s’è detto (ibidem). Tornando al caso che occupa, in definitiva – al netto della singolare genesi che, nella specie, ha condotto alla trasformazione di una sospensione “esterna” in sospensione “interna” (v. par. 2.2) – l’odierna ricorrente, al fine di ottenere le spese della fase sommaria dell’opposizione (a quel punto, erroneamente pretermesse dal giudice dell’esecuzione), avrebbe dovuto assolvere l’onere di introdurre il giudizio di merito nel termine assegnato ex art. 616 c.p.c., o almeno chiedere l’integrazione dell’ordinanza di cui all’art. 624 c.p.c., comma 1, prima della scadenza dello stesso termine; non avendo a ciò provveduto, ne deriva che dette spese, non potendo essere liquidate con l’ordinanza di estinzione, nè altrimenti, restano ovviamente irripetibili: ed il relativo carico risulta immodificabile ad opera di qualunque ulteriore provvedimento del giudice dell’esecuzione o in sede di reazione avverso le sue determinazioni.
4.1 – Anche il secondo motivo, proposto in subordine, è infondato.
Il mezzo muove dall’affermazione di Cass. n. 23733/2017, secondo cui – fermo restando che le spese della fase sommaria dell’opposizione devono essere liquidate dal giudice dell’esecuzione con l’ordinanza ex art. 624 c.p.c., comma 1, e che esse sono riesaminabili nel giudizio di merito dell’opposizione stessa – qualora detta liquidazione sia disposta, per errore, in seno all’ordinanza di estinzione ex art. 624 c.p.c., comma 3, avverso la stessa non sarebbe ammissibile il reclamo ex art. 630 c.p.c., proponibile solo riguardo alla pronuncia di estinzione tout court e alla liquidazione delle spese del processo esecutivo estinto, non anche di quelle della fase sommaria dell’opposizione, che è giudizio diverso, benchè al primo collegato.
Una tale affermazione, che consiste in un mero obiter dictum, comunque non giova alla ricorrente: infatti, non mancano ulteriori pronunce in cui – in applicazione del principio secondo il quale i provvedimenti del giudice dell’esecuzione devono essere impugnati a seconda della loro natura e a prescindere dalla veste formale nel cui ambito il giudice stesso li abbia eventualmente inseriti – questa Corte ha talvolta affermato, sempre in obiter, che il reclamo ex art. 630 c.p.c., può investire soltanto il provvedimento che pronunci l’estinzione tipica e l’eventuale liquidazione delle spese in esso contenuta, ove esse riguardino quelle del processo esecutivo estinto, nei rapporti tra le parti dello stesso, diversamente opinandosi in relazione ad una liquidazione delle spese della fase sommaria dell’opposizione che in detto provvedimento sia erroneamente contenuta (v. Cass. n. 27614/2020; Cass. n. 12434/2021, cit.; Cass. n. 21874/2021, tutte in motivazione).
Peraltro, si rinvengono anche ulteriori pronunce che, più genericamente, affermano che avverso “l’ordinanza di estinzione, nella parte recante regolamento delle spese del processo estinto, (…) è esperibile il reclamo al collegio ex art. 630 c.p.c., u.c.” (Cass. n. 27031/2014).
In via dirimente, tuttavia, non occorre prendere posizione in favore dell’una o dell’altra opzione ermeneutica, nè farsi carico di una ricostruzione complessiva e di sistema, per la peculiarità della fattispecie che occupa, affatto diversa da tutte quelle che hanno originato le suddette decisioni.
Infatti, come può evincersi dalla mera lettura del provvedimento del 14.5.2018 (come emendato con provvedimento del 13.6.2018), riportato in ricorso, il giudice dell’esecuzione foggiano lo ha scientemente adottato ai sensi dell’art. 624 c.p.c., comma 3, pronunciando l’estinzione e liquidando le spese contenziose, ma trattandole come fossero spese “interne” al procedimento esecutivo. Nella sostanza, detto giudice ha dapprima errato nel non provvedere, al riguardo, in seno all’ordinanza con cui aveva disposto la sospensione; ed ha poi reiterato l’errore, tentando di recuperare l’omissione nell’inerzia della parte interessata (che, solo, avrebbe potuto attivarsi nel senso già visto nel par. 3.5, e non già instando per la liquidazione “a tempo scaduto”), liquidando le spese in questione secondo un regime dettato per altra tipologia di queste. Si tratta, insomma, di una erroneità che può dirsi “tutta interna” al provvedimento di estinzione adottato, sicchè del tutto correttamente il creditore opposto ha inteso porvi rimedio mediante il reclamo ex art. 630 c.p.c., come del resto previsto dallo stesso art. 624 c.p.c., comma 3, ult. Periodo.
5.1 – Il terzo motivo, proposto in via ancor più gradata, è inammissibile per difetto di specificità e decisività, una volta corretta, in relazione al primo mezzo di censura, la sentenza impugnata.
è ben vero, da un lato, che la Corte barese non ha correttamente individuato la ratio della fattispecie estintiva di cui all’art. 624 c.p.c., comma 3. Infatti, lo scopo dell’istituto – che, contrariamente a quanto pure assume (OMISSIS), si inquadra nel più ampio ambito dell’estinzione “tipica” per inattività delle parti ex art. 630 c.p.c. – non è certo quello di evitare l’inutile protrarsi del processo esecutivo oltre ogni ragionevole durata, a prescindere dalle ragioni che giustifichino l’inattività delle parti stesse, come ritenuto dal giudice d’appello, bensì, per un verso, quello di consentire alla parte soccombente nella fase sommaria di prestare acquiescenza “in prospettiva”, ove le ragioni addotte dal giudice dell’esecuzione (o dal Collegio, in sede di reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c.) paiano in qualunque modo convincenti o difficilmente ribaltabili nel prosieguo, così pure evitando il rischio del carico delle spese (anche) del giudizio di merito dell’opposizione; per altro verso, nel caso di disposta sospensione, quello di far perseguire immediatamente al debitore opponente “il bene della vita”, ossia il subitaneo arresto della procedura esecutiva a suo carico, anticipando gli effetti del verosimile esito vittorioso dell’opposizione. Si tratta quindi, di una chiara finalità deflattiva, connessa alla natura “anticipatoria” che secondo la dottrina maggioritaria e la stessa giurisprudenza (per tutte, la più volte citata Cass. n. 22033/2011, nonchè Cass. n. 7043/2017, in motivazione) la sospensione “interna” ex art. 624 c.p.c., comma 1, ha assunto per effetto delle modifiche di sistema apportate dalla L. n. 69 del 2009, che ha appunto modificato l’art. 624 c.p.c., comma 3, nonchè diverse disposizioni del c.d. procedimento cautelare uniforme.
Tuttavia, le errate considerazioni del giudice d’appello sono sostanzialmente innocue e non preludono ad ulteriori statuizioni in danno della ricorrente che non siano già ricomprese tra quelle già esaminate, con esito complessivamente non favorevole per (OMISSIS): sicchè quelle, pur doverosamente espunte dall’iter motivazionale, non rivestono alcuna decisività sul finale risultato della conformità a diritto della soluzione cui è pervenuta la Corte territoriale, sia pure per le ragioni qui esplicitate.
Nè, infine, può dirsi che le soluzioni adottate dal giudice d’appello – debitamente emendate ut supra – implichino una sostanziale mancata remunerazione del difensore dell’opponente, come anche alluderebbe la ricorrente, giacchè le spese del procedimento esecutivo e della fase sommaria dell’opposizione trovano la loro regolamentazione nei termini più volte evidenziati.
Insomma, il motivo in esame, più che proporre censure idonee ad ottenere lo spostamento dell’esito della lite (censure dotate, cioè, di decisività), finisce col risolversi in una dissertazione astratta sulle questioni già esaminate, sicchè assume la connotazione di un “non-motivo”, donde l’inammissibilità.
6.1 – In relazione alla vicenda processuale in esame, possono quindi affermarsi i seguenti principi di diritto:
– “In tema di opposizione all’esecuzione iniziata, ex art. 615 c.p.c., comma 2, qualora il giudice dell’esecuzione non liquidi le spese della fase sommaria con l’ordinanza con cui provvede sulla sospensione, costituisce onere della parte vittoriosa, che abbia interesse alla relativa liquidazione, instaurare lo stesso giudizio di merito, o in alternativa avanzare istanza di integrazione dell’ordinanza stessa, ai sensi dell’art. 289 c.p.c., prima della scadenza del termine di cui all’art. 616 c.p.c., anche allo scopo di garantire alle altre parti (previa eventuale loro rimessione in termini, ove occorra) la possibilità di contestare la liquidazione nell’ambito della fase di merito dell’opposizione; ne deriva che, in caso di inerzia della parte vittoriosa, dette spese non sono più ripetibili, nè altrimenti liquidabili”;
– “In tema di opposizione all’esecuzione iniziata, ex art. 615 c.p.c., comma 2, qualora l’ordinanza che dispone sulla sospensione ex art. 624 c.p.c., comma 1, non contenga statuizione sulle spese della fase sommaria e la parte vittoriosa non introduca il giudizio di merito nel termine di cui all’art. 616 c.p.c., nè chieda tempestivamente l’integrazione dell’ordinanza ex art. 289 c.p.c., il giudice dell’esecuzione non può provvedervi con la diversa ordinanza che pronuncia l’estinzione ai sensi dell’art. 624 c.p.c., comma 3, giacchè le spese indicate in detta disposizione concernono il solo procedimento esecutivo e non anche quelle dell’opposizione all’esecuzione; ne deriva che, in tal caso, la parte che ne sia stata erroneamente gravata può contestare detta statuizione proponendo reclamo al collegio ex art. 630 c.p.c., in forza di quanto previsto dallo stesso art. 624 c.p.c., comma 3, ult. periodo”.
7.1 – In definitiva, previa correzione della motivazione, ut supra, il ricorso è rigettato. Il complessivo dipanarsi del giudizio, che ha visto susseguirsi improprie iniziative della debitrice esecutata, plurimi errori del giudice dell’esecuzione, non pertinenti reazioni processuali del creditore procedente (fatta eccezione per la proposizione del reclamo ex art. 630 c.p.c.) e l’adozione di affermazioni talvolta errate o ambigue da parte dello stesso giudice d’appello, giustificano ampiamente la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.