Ordinanza 13024/2022
Condominio – Tabelle millesimali e criteri di ripartizione – Motivo di ricorso per cassazione cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cpc
L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti avente carattere decisivo, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente il contenuto delle tabelle millesimali e i criteri di riparto delle spese condominiali, che non costituiscono “fatto storico”, ma questioni ed argomentazioni difensive.
Cassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza 26-4-2022, n. 13024 (CED Cassazione 2022)
Art. 1123 cc (Ripartizione delle spese) – Giurisprudenza
Art. 360 cpc (Ricorso per cassazione) – Giurisprudenza
Ritenuto che:
– (OMISSIS) e (OMISSIS), con atto di citazione notificato in data 18 settembre 2004, proponevano opposizione avverso il Decreto Ingiuntivo n. 334 del 2004, chiesto ed ottenuto dal CONDOMINIO (OMISSIS) ed emesso dal Tribunale di Macerata – Sezione distaccata di Civitanova Marche per oneri condominiali pari ad Euro 3.171,21, chiedendo la revoca del provvedimento monitorio deducendo che la ripartizione delle spese condominiali era fondata su tabelle millesimali da ritenersi inesistenti perchè non approvate all’unanimità dell’assemblea dei condomini, come prescritto dalla legge;
– instaurato il contraddittorio, costituito l’opposto Condominio il quale affermava che il credito era fondato su tabelle millesimali in uso da oltre dieci anni, approvate all’unanimità dall’assemblea del 20.03.1993, cui avevano preso parte anche gli opponenti, il giudice adito, con sentenza n. 214 del 2008, accoglieva la domanda attorea e per l’effetto revocava il decreto;
– sul gravame interposto dal CONDOMINIO, la Corte di appello di Ancona, nella resistenza degli appellati, in accoglimento dell’impugnazione, riformava la sentenza impugnata e per l’effetto confermava il decreto ingiuntivo n. 334/2004, con compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
A sostegno della decisione la Corte d’appello, accertata la legittimazione dell’Amministratore a proporre impugnazione, riteneva – andando di contrario avviso rispetto al giudice di prime cure – la natura non contrattuale delle tabelle approvate dall’assemblea condominiale del 1973 (“in quanto il capoverso dell’art. 1 del regolamento cui erano allegate è da intendersi nel senso che l’adottando regolamento avrebbe fatto parte sostanziale dei contratti di compravendita e di locazione futuri, ma non che le tabelle fossero state predisposte dal costruttore…, nè che la Delib. di approvazione fosse avvenuta all’unanimità di tutti i partecipanti al Condominio”), per cui doveva ritenersi che la modificazione delle stesse da parte della Delib. del 1993 era legittima, anche se avvenuta con la maggioranza degli intervenuti in assemblea, rappresentanti oltre la metà del valore complessivo. Da ciò discendeva la validità ed efficacia anche delle delibere successive adottate sulla base delle tabelle legittimamente modificate, orientamento peraltro affermato, di recente, dalla giurisprudenza di legittimità anche per le tabelle millesimali c.d. contrattuali, validamente modificabili ove assunte a maggioranza qualificata.
Aggiungeva che doveva ritenersi correttamente inviata ai coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS) la convocazione dell’assemblea per il giorno 20.03.1993, comunicata alla (OMISSIS), la quale vi aveva anche preso parte, non essendo i coniugi al momento ancora legalmente separati, con la conseguenza che la mancata impugnazione della deliberazione del 20.03.1993 dal (OMISSIS) nel termine di legge costituiva consolidamento della stessa;
– per la cassazione del provvedimento della Corte d’appello di Palermo ricorrono i (OMISSIS) – (OMISSIS) sulla base di un unico motivo, depositato in prossimità dell’adunanza camerale, in particolare in data 27.09.2021, atto di costituzione nuovo procuratore con elezione domicilio;
– il Condominio (OMISSIS) è rimasto intimato.
Atteso che:
– va preliminarmente dichiarata la nullità dell’atto denominato “atto di costituzione di nuovo procuratore” per (OMISSIS) e (OMISSIS), depositato e sottoscritto dall’avv.to (OMISSIS). Nel giudizio di cassazione, infatti, la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, poichè l’art. 83 c.p.c., comma 3, nell’elencare gli atti in margine o in calce ai quali può essere apposta la procura speciale, indica, con riferimento al giudizio di cassazione, soltanto quelli suindicati. Pertanto, se la procura non è rilasciata in occasione di tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal comma 2 del citato art., cioè con un atto pubblico o una scrittura privata autenticata che facciano riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata (Cass. n. 23816 del 2010). V’è solo da aggiungere che al presente giudizio non si applica la norma inserita nell’art. 83 c.p.c., dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 9, lettera (a), che consente il rilascio della procura anche a margine di atti diversi da quelli sopra indicati. Infatti, per espressa previsione della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1, “le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”, avvenuta il 4 luglio 2009. Essendo il presente giudizio iniziato in primo grado nel 2004, ad esso non può applicarsi la nuova disposizione, come già ritenuto da questa Corte con le decisioni pronunciate – ex aliis – da Cass. n. 20692 del 2018; Cass. n. 12831 del 2014; Cass. n. 7241 del 2010. Ne consegue che di detto atto non deve tenersi conto;
– passando al merito del ricorso, con l’unico motivo i ricorrenti lamentano insufficiente e contraddittoria motivazione sulla valutazione da parte del giudice del gravame circa l’origine delle tabelle millesimali adottate dal Condominio nel 1973. Ad avviso dei ricorrenti la Corte distrettuale non avrebbe nel definire le tabelle “deliberative” tenuto conto del doc. n. 8 “Regolamento”, con annesse tabelle, laddove all’art. 10, II cpv. è stabilito che l’impresa costruttrice provvederà a nominare un amministratore provvisorio che avrà il compito di avviare l’esercizio provvedendo alla riscossione delle somme necessarie per fronteggiare le prime spese; aggiungono che al quarto capoverso era previsto che non appena l’assemblea dei condomini avesse raggiunto il numero legale per la sua valida costituzione, avrebbe provveduto alla ratifica della nomina dell’amministratore, con la conseguenza che già le tabelle approvate nel 1973 dovevano ritenersi invalide.
La censura è inammissibile giacchè con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, il vizio di motivazione attiene ad un vizio specifico, denunciabile per cassazione solo ove relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, e quindi ad una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico, ad un dato materiale la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), da denunciare nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.
Orbene il contenuto delle tabelle millesimali ed i criteri di ripartizione delle spese condominiali non costituiscono “fatti” di cui sia stato omesso l’esame da parte della Corte di appello di Ancona, ma “questioni”, “argomentazioni difensive”, peraltro prese in considerazione dai giudici del merito, e semmai non decise nel senso auspicato dai ricorrenti.
Infatti la Corte di appello ha ritenuto che mancando la prova della natura contrattuale delle tabelle approvate dall’assemblea del 1973, non essendo state predisposte dal costruttore ed accettate da ciascun condomino, come si evinceva dal fatto che non risultavano allegate ai rispettivi atti di acquisto, era sufficiente l’approvazione della tabelle con la maggioranza di cui all’art. 1136 c.c., comma 2, avendo peraltro escluso la nullità della Delib. del 1993, alla luce della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 18477 del 2010, anche ove considerate le tabelle millesimali di natura contrattuale, per essere stata la modifica delle stesse assunta a maggioranza qualificata.
La decisione è conforme, dunque, all’insegnamento di Cass., Sez. Un., 9 agosto 2010 n. 18477, nella quale è chiarito che l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non deve essere deliberato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 c.c., comma 2. La sufficienza del consenso maggioritario per l’approvazione delle tabelle millesimali discende dal fatto che essa è meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge, e quindi dell’esattezza delle operazioni tecniche di calcolo della proporzione tra la spesa ed il valore della quota o la misura dell’uso. Rivela, invece, la natura contrattuale, e perciò impone il consenso unanime, la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella “diversa convenzione”, di cui all’art. 1123 c.c., comma 1. La sostanza di una tale “diversa convenzione” è, pertanto, quella di una dichiarazione negoziale, espressione di autonomia privata, con cui i condominii programmano che la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio sia determinata in modo difforme da quanto previsto nell’art. 1118 c.c. e art. 68 disp. att. c.c. (cfr. Cass. n. 7300 del 2010 e Cass. n. 27159 del 2018).
La sentenza impugnata ha poi nella sostanza escluso, con apprezzamento di fatto spettante ai giudici del merito, che la tabella approvata dall’assemblea del 1993 avesse inteso derogare ai criteri legali di cui all’art. 1123 c.c., con ciò riconoscendo alla stessa funzione soltanto accertativa e valutativa delle quote condominiali, e tale accertamento, peraltro nella specie neanche richiesto, non può essere sovvertito dai ricorrenti invocando nel giudizio di legittimità nuovi accertamenti di fatto in ordine ai valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi, in maniera da svelare l’erroneità dei calcoli inerenti alle spese dei beni e servizi comuni.
La doglianza, quindi, non essendo riconducibile al paradigma normativo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per essere irritualmente formulata, va dichiarata inammissibile (Cass. n. 21152 del 2014 e Cass. n. 14802 del 2017).
In questi termini l’intero ricorso va dichiarato inammissibile.
Nessuna pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità in difetto di difese da parte del Condominio rimasto intimato.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1- quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte di Cassazione, il 12 ottobre 2021.