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Cassazione Civile 13189/2023 – Inammissibilità dell’appello pronunciata in ragione del difetto di specificità dell’impugnazione ai sensi dell’art. 342 cpc

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Ordinanza 13189/2023

Inammissibilità dell’appello pronunciata in ragione del difetto di specificità dell’impugnazione ai sensi dell’art. 342 cpc

L’inammissibilità dell’appello pronunciata in ragione del difetto di specificità dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., e non sulla base dei presupposti di cui all’art. 348-bis c.p.c. (ossia, in considerazione dell’insussistenza di alcuna ragionevole probabilità di accoglimento dell’impugnazione) non è soggetta ai termini di preclusione imposti dall’art. 348-ter c.p.c., e, pertanto, può essere emessa anche dopo l’udienza di cui all’art. 350 c.p.c..

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 15-5-2023, n. 13189   (CED Cassazione 2023)

 

 

Rilevato che

con sentenza resa in data 22/11/2018, la Corte d’appello di
Palermo ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da
(OMISSIS) avverso la decisione con la quale il giudice di primo
grado ha condannato la (OMISSIS) al rilascio, in favore di (OMISSIS),
dell’immobile di proprietà di quest’ultimo detenuto sine titulo dalla
(OMISSIS), oltre al risarcimento del danno;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha
evidenziato l’assoluto difetto di specificità dell’appello proposto dalla
(OMISSIS) in relazione all’art. 342 c.p.c., non avendo l’appellante
adeguatamente specificato i pretesi errori contestati a carico della
sentenza impugnata e le ragioni della critica avanzata, limitandosi alla
mera riproposizione delle medesime argomentazioni già sottoposte
all’esame del primo giudice senza alcuna adeguata confutazione della
decisione contestata;

avverso la sentenza d’appello, (OMISSIS) propone
ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi d’impugnazione;
(OMISSIS) non ha svolto difese in questa sede;

(OMISSIS) ha depositato memoria;

considerato che,

con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata
per illogica contraddittorietà tra le motivazioni dettate a fondamento
dell’ordinanza del 14/10/2016 della medesima Corte d’appello di
Palermo (con la quale quest’ultima aveva sospeso l’esecutività della
sentenza di primo grado) e della sentenza impugnata in questa sede
(in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale
inopinatamente contraddetto (affermando il difetto di specificità
dell’appello proposto avverso la sentenza di primo grado) quanto
viceversa affermato nel ridetto provvedimento di sospensione, con
particolare riguardo al ritenuto carattere ‘non privo di ragionevolezza’
dei motivi di appello proposti;

il motivo è infondato;

osserva il Collegio come l’odierna ricorrente pretenda di far valere
un preteso vizio di contraddittorietà e di illogicità della motivazione
della sentenza impugnata (evidentemente interpretabile nella
prospettiva di cui all’art. 132 n. 4 c.p.c.) senza tuttavia correlarne il
riscontro in rapporto ad elementi desumibili dal medesimo testo del
provvedimento impugnato, avendo evocato il parametro di logicità
della motivazione ai contenuti di un provvedimento ad essa estraneo
(ossia dell’ordinanza cautelare di sospensione della sentenza di primo
grado), di per sé inidoneo a costituire un paradigma sufficiente ai fini
della valutazione della logicità del discorso giustificativo dettato nella
sentenza impugnata;

varrà, al riguardo, ribadire come, secondo il consolidato
insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, il vizio di
motivazione rilevante ai fini dell’art. 132 n. 4 c.p.c. deve
necessariamente emergere dallo stesso testo della sentenza
impugnata in misura tale da disarticolarne l’iter logico-giuridico che lo
sostiene, non potendo essere argomentato attraverso il confronto del
testo impugnato con un parametro testuale allo stesso del tutto
estraneo;

a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5,
cod. proc. civ. (disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83,
conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134), infatti, il residuo spazio di
censurabilità della motivazione in sede di legittimità dev’essere
interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle
preleggi, come riduzione al suo ‘minimo costituzionale’, con la
conseguenza che deve ritenersi denunciabile in cassazione la sola
anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della
motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza
impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali
(cfr., ex plurimis, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 (Rv.
629830 – 01);

ferma tale premessa, converrà sottolineare come la valutazione
operata dal giudice del provvedimento cautelare, in quanto espressione
di giurisdizione mediante cognizione sommaria (quale quella esercitata
in sede di sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado),
non può ritenersi in alcun modo tale da pregiudicare la successiva
decisione definitiva nel merito del giudice che l’ha resa, trattandosi, in
tale ultimo caso, dell’esercizio della giurisdizione ordinaria secondo le
regole proprie della cognizione piena;

con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata
per erronea e falsa applicazione degli artt. 342 e 348-bis c.p.c. (in
relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c. e all’art. 360-bis, co. 1, c.p.c.),
per essersi la corte territoriale pronunciata sull’inammissibilità dell’atto
d’appello oltre i termini processuali imposti dall’art. 348-ter c.p.c.,
ossia dopo l’adozione dell’ordinanza cautelare di sospensione della
decisione di primo grado, incorrendo, anche per tale via, nell’evidente
contraddittorietà tra la motivazione del precedente provvedimento di
sospensione cautelare e la successiva sentenza di inammissibilità
dell’appello;

il motivo è infondato;

osserva il Collegio come, al fine di supportare la prospettata
‘tardività processuale’ dell’ordinanza di inammissibilità pronunciata dal
giudice a quo, l’odierna ricorrente muova dal disposto di cui all’art.
348-ter c.p.c., ai sensi del quale l’inammissibilità dell’appello dichiarata
ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c. dev’essere pronunciata “all’udienza di
cui all’articolo 350 […] prima di procedere alla trattazione, sentite le
parti”;

nel caso di specie, al contrario, il giudice a quo ha dichiarato
l’inammissibilità dell’appello proposto dalla (OMISSIS), non già sulla base
dei presupposti di cui all’art. 348-bis c.p.c. (ossia, in considerazione
dell’insussistenza di alcuna ragionevole probabilità di accoglimento
dell’impugnazione), bensì ai sensi dell’art. 342 c.p.c., e dunque in
ragione del difetto di specificità dell’impugnazione proposta: decisione,
quest’ultima, che, in tal senso argomentata, sfugge ai rigorosi termini
di preclusione specificamente invocati con la censura in esame;
con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata
per violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 348-bis c.p.c.,
nonché per palese contraddittorietà, arbitrarietà e tardività della
decisione di inammissibilità dell’appello (in relazione all’art. 360 nn. 3
e 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto privo
di specificità il contenuto dei motivi di appello avanzati avverso la
decisione di primo grado, in contrasto con le specifiche richieste e le
puntuali spiegazioni contenute nel gravame dichiarato inammissibile e
partitamente richiamate in ricorso;

con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata
per violazione e falsa applicazione dei principi informatori del processo
d’appello quale revisio prioris instantiae (in relazione all’art. 360 nn. 3
e 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto privo
di adeguata specificità l’atto d’appello proposto avverso la sentenza di
primo grado, in contrasto con quanto espressamente emerso dagli atti
del processo d’appello, con particolare riguardo ai contenuti della
comparsa conclusionale ivi depositata analiticamente riportati in
ricorso;

entrambi i motivi– congiuntamente esaminabili per ragioni di
connessione – sono inammissibili;
osserva il Collegio come, sulla base del principio di necessaria e
completa allegazione del ricorso per cassazione ex art. 366 n. 6 c.p.c.
(valido oltre che per il vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5 anche
per quelli previsti dai nn. 3 e 4 della stessa disposizione normativa), il
ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di
diritto, non può limitarsi a specificare soltanto la singola norma di cui,
appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi
fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta
violazione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 9076 del 19/04/2006, Rv. 588498);

siffatto onere sussiste anche allorquando il ricorrente affermi che
una data circostanza debba reputarsi comprovata dall’esame degli atti
processuali, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente
medesimo è tenuto ad allegare al ricorso gli atti del processo idonei ad
attestare, in relazione al rivendicato diritto, la sussistenza delle
circostanze affermate, non potendo limitarsi alla parziale e arbitraria
riproduzione di singoli periodi estrapolati dagli atti processuali propri o
della controparte;

è appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto
l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa
Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le
quali, dopo aver affermato che la prescrizione dell’art. 366, n. 6, c.p.c.,
è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum,
attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a
fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti
dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde
non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e
documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede
la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del
31/10/2007, Rv. 600075), hanno poi ulteriormente chiarito che il
rispetto della citata disposizione del codice di rito esige che sia
specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il
documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto,
dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena
d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369,
comma 2, n. 4 (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008 (Rv.
605631); con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia
stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere
della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione
di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui
il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del
25/03/2010, Rv. 612109, e, con particolare riguardo al tema
dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del
03/11/2011, Rv. 619317);

rimane in ogni caso pur sempre fermo che il principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma
1, n. 6), c.p.c. – quale corollario del requisito di specificità dei motivi –
anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri
c. Italia del 28 ottobre 2021 – non sia interpretato in modo
eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del
diritto in contesa, non potendo tradursi in un ineluttabile onere di
integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del
ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il
contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia
specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di
merito (v. Sez. U, Ordinanza n. 8950 del 18/03/2022 (Rv. 664409 –
01);

con particolare riguardo all’ipotesi della deduzione della questione
dell’inammissibilità dell’appello, a norma dell’art. 342 c.p.c. (integrante
error in procedendo, tale da legittimare l’esercizio, ad opera del giudice
di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di
merito), varrà considerare come la stessa presupponga pur sempre
l’ammissibilità del motivo di censura, avuto riguardo al principio di
specificità di cui all’art. 366, comma 1, n. 4 e n, 6, c.p.c., che deve
essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del
28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di
sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti
e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il
fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e
garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta
amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione
nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo
giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (cfr. Sez.
L, Ordinanza n. 3612 del 04/02/2022, Rv. 663837 – 01; Sez. 1,
Ordinanza n. 24048 del 06/09/2021, Rv. 662388 – 01);

nella violazione di tali principi deve ritenersi incorsa la ricorrente
con i motivi d’impugnazione in esame, atteso che la stessa, nel dolersi
che la corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto privo di
specificità il contenuto dei motivi di appello avanzati avverso la
decisione di primo grado, ha tuttavia omesso di fornire alcuna idonea
e completa indicazione circa gli atti e i documenti (e il relativo
contenuto) comprovanti il ricorso effettivo di detto errore, con ciò
precludendo a questa Corte la possibilità di apprezzare la concludenza
delle censure formulate al fine di giudicare la fondatezza del motivo
d’impugnazione proposto;

in particolare, la ricorrente ha del tutto trascurato (non solo di
localizzare adeguatamente l’atto d’appello all’interno dell’esposizione
dei motivi, ma anche) di allegare al ricorso i contenuti dell’atto
d’appello o i relativi punti in ipotesi idonei ad attestare l’erroneità della
decisione impugnata (ossia l’individuazione dei punti della decisione di
primo grado investiti dal gravame, le ragioni degli errori contestati e i
fondamenti argomentativi posti a supporto delle censure avanzate),
viceversa limitandosi a riportare le sole intestazioni dei motivi d’appello
(richiamate nel terzo motivo) inidonee a consentire la deduzione di
alcuna argomentazione sufficientemente articolata sul piano critico,
nonché i contenuti della comparsa conclusionale in appello (richiamati
nel quarto motivo) che, in quanto tali, non sarebbero in ogni caso valsi
a sanare i vizi dell’originario atto d’appello;

con il quinto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata
per omesso esame di fatti decisivi controversi, nonché per violazione e
falsa applicazione dell’art. 2712 c.p.c. (in relazione all’art. 360 nn. 3 e
5 c.p.c.), per avere la corte territoriale del tutto trascurato di procedere
all’esame dell’audio-video depositato in giudizio dall’odierna ricorrente
avente ad oggetto l’incontro tenutosi tra le parti dell’odierno giudizio
dai quali era emersa l’effettiva natura contrattuale del relativo
rapporto, e per non averne tratto le logiche conseguenze sul piano
istruttorio a fondamento delle argomentazioni sostenute in giudizio
dalla (OMISSIS);

il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come, attraverso la proposizione del motivo in
esame, la ricorrente si dolga dell’omessa considerazione di uno
specifico documento istruttorio: un’omessa considerazione imputata,
tanto al giudice di primo grado, quanto al giudice d’appello;

ciò posto, è agevole riscontrare la radicale carenza di interesse
della ricorrente alla proposizione di tale doglianza, avendo il giudice a
quo specificamente escluso la possibilità di pervenire a un giudizio nel
merito della pretesa azionata dalla (OMISSIS) in ragione
dell’inammissibilità del relativo appello, in quanto privo di specificità:
l’odierno ricorso per cassazione, pertanto, al fine di aprire lo spazio per
l’eventuale articolazione di argomentazioni nel merito, avrebbe
preliminarmente dovuto censurare, e dunque rimuovere, la decisione
di inammissibilità dell’appello;

le considerazioni esposte in questa censura, nella misura in cui si
disinteressano del tutto del punto controverso, profondendosi
nell’esame della (pretesa) erronea mancata considerazione di un
mezzo istruttorio (e dunque di un’attività che atterrebbe alla
valutazione del merito della causa), appaiono dunque del tutto
irrilevanti ai fini della decisione, non avendo la ricorrente neppure
argomentato, in tesi, l’eventuale avvenuto richiamo di tale mezzo
istruttorio come ipotetico strumento di verifica dell’eventuale specificità
dell’appello;

sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza
delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
non vi è luogo per l’adozione di alcuna statuizione, in relazione alla
regolazione delle spese del presente giudizio, non avendo l’intimato
svolto difese questa sede;

dev’essere infine attestata la sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il
ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n.
115/2002;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma
del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione
Civile della Corte Suprema di Cassazione del 30/3/2023.