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Cassazione Civile 13203/2023 – Azione di indebito arricchimento – Declaratoria di inesistenza del contratto – Carattere ostativo all’esercizio dell’azione contrattuale

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Sentenza 13203/2023

Azione di indebito arricchimento – Declaratoria di inesistenza del contratto – Carattere ostativo all’esercizio dell’azione contrattuale

In tema di azione di indebito arricchimento, la sentenza che dichiara l’inesistenza del contratto esclude (in negativo) che l’avente diritto possa nuovamente esercitare l’azione contrattuale e accerta (in positivo) la sussistenza dell’indefettibile presupposto della sussidiarietà (e, cioè, l’indisponibilità di un rimedio alternativo a quello contrattuale), atteso che – a differenza di quanto accade in caso di rigetto della domanda per nullità del titolo contrattuale, preclusivo dell’azione ex art. 2041 c.c. – la domanda di indebito arricchimento non si configura come uno strumento volto ad aggirare l’operatività di norme imperative, bensì come l’unico mezzo idoneo a far valere il diritto all’indennizzo per il pregiudizio subito.

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 15-5-2023, n. 13203   (CED Cassazione 2023)

Art. 2041 cc (Azione generale di arricchimento)

 

 

ANTEFATTO

1. Negli anni Novanta del secolo scorso, (OMISSIS)
(alla quale sono poi succeduti gli eredi (OMISSIS),
(OMISSIS) e (OMISSIS)) concedeva alla società (OMISSIS) s.r.l. il
godimento dell’azienda denominata “(OMISSIS)”, sita in
Sarzana, di sua proprietà.

2. Nel mese di giugno 1997 il contratto di affitto veniva risolto
ed alla società (OMISSIS) s.r.l. subentrava (OMISSIS).

Con ordinanza 30 aprile 1998 il Sindaco del Comune di Sarzana,
a seguito del crollo di una parte della copertura, dichiarava inagibile
l’immobile. Con scrittura privata 20 giugno 1998 le parti dichiaravano
l’intervenuto scioglimento di ogni pregresso rapporto avente ad
oggetto il godimento dell’azienda. Venivano effettuati
successivamente gli interventi di ripristino: alcuni ad opera dei
locatori ed altri dal (OMISSIS) (che, in particolare, realizzava le finiture e
dotava l’immobile delle attrezzature necessarie per l’esercizio della
discoteca). Terminati i lavori di ripristino, la proprietà concedeva
nuovamente l’azienda in affitto al (OMISSIS) con scrittura privata
autenticata 5-13 novembre 1998 per un canone annuo di 108 milioni
delle vecchie lire.

3. La proprietà conveniva in giudizio davanti al tribunale di La
Spezia il (OMISSIS), lamentando il mancato pagamento dei canoni e
chiedendo la risoluzione del contratto di affitto per grave
inadempimento.

Il (OMISSIS) si costituiva chiedendo in via principale il rigetto della
domanda avversaria (essendo intervenuto accordo che gli avrebbe
consentito di decurtare dal canone le spese sostenute, prima della
stipulazione del contratto, per il riavvio dell’azienda concessa in
affitto); e in via riconvenzionale chiedeva l’accertamento del diritto al
rimborso delle spese e la compensazione dei relativi importi con quelli
relativi ai canoni insoluti. Nel corso del processo di primo grado, in
relazione alla medesima vicenda fattuale, formulava anche domanda
di arricchimento senza causa.

Il Tribunale di La Spezia con sentenza n. 380/2001, in
accoglimento della domanda proposta dalla proprietà, pronunciava la
risoluzione del rapporto per grave inadempimento, condannando il
(OMISSIS) al pagamento della somma di 306 milioni delle vecchie lire, a
titolo di canoni insoluti; mentre dichiarava inammissibile per tardività
la domanda riconvenzionale del (OMISSIS)

Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva
impugnazione il (OMISSIS), che chiedeva che la proprietà fosse tenuta a
corrispondergli l’indennizzo per “aver personalmente sostenuto spese
necessarie a rendere operativa l’azienda anteriormente all’1.11.1998,
risalendo la stipulazione del contratto di affitto dedotto in giudizio al
novembre 1998”.

I locatori si costituivano anche nel giudizio di appello chiedendo
la conferma della sentenza di primo grado.

La Corte di Appello di Genova con sentenza n. 959/2002
confermava sostanzialmente la sentenza di primo grado, in quanto
confermava la condanna del (OMISSIS) al pagamento dei canoni insoluti
(pur riducendone l’importo a 288 milioni delle vecchie lire, pari ad
euro 148.739,56); confermava il rigetto della domanda
riconvenzionale del (OMISSIS). Quanto alla domanda riconvenzionale del
(OMISSIS), la Corte territoriale escludeva espressamente che l’originaria
domanda proposta dal (OMISSIS) conteneva anche una diversa domanda di
arricchimento senza causa e dichiarava inammissibile, in quanto
nuova, la domanda di arricchimento senza causa, proposta per la
prima volta nel giudizio di appello.

FATTI DI CAUSA

4.Il (OMISSIS) e la società (OMISSIS) s.r.l. riproponevano la domanda
di arricchimento senza causa in un nuovo giudizio ed all’uopo
convenivano davanti al Tribunale di La Spezia (OMISSIS),
(OMISSIS) e (OMISSIS), chiedendo la condanna dei convenuti
al pagamento di un indennizzo, a titolo di ingiustificato arricchimento,
per i lavori effettuati dal (OMISSIS), sul complesso aziendale, prima della
stipula del contratto di affitto 5-13 novembre 1998.

Ad esito di una articolata istruttoria, il Tribunale di La Spezia
con sentenza n. 3922014 condannava i convenuti, in solido tra loro, a
corrispondere al (OMISSIS), a titolo di indennizzo per ingiustificato
arricchimento, l’importo complessivo di 122.335, 64 euro, già
rivalutato e comprensivo degli interessi maturati alla data della
decisione.

5. Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponevano
impugnazione (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

Il (OMISSIS) si costituiva nel giudizio di appello, chiedendo la
conferma della sentenza di primo grado.

La Corte di appello di Genova, con sentenza n. 1663/2018, in
accoglimento dell’appello proposto dai locatori e in parziale riforma
della sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta dal
(OMISSIS), che condannava, in solido con la società (OMISSIS) srl, al
rimborso delle spese di lite.

6.Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto
ricorso il (OMISSIS).

Hanno resistito con un unico controricorso i locatori

Il Procuratore Generale ha presentato note chiedendo il rigetto
del ricorso.

Il Difensore di parte ricorrente ha depositato memoria, con la
quale ha insistito nell’accoglimento del ricorso, contro-deducendo alle
argomentazioni esposte dal Procuratore Generale nelle sue
conclusioni e facendo anche presente che proprio questa Sezione con
la recentissima ordinanza interlocutoria n. 5222 dello scorso 10
febbraio ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l’assegnazione
alle Sezioni Unite della questione relativa alla sussidiarietà dell’azione
di ingiustificato arricchimento, sia pure per un profilo diverso da
quello che viene in esame nella fattispecie oggetto del presente
giudizio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Il ricorso del (OMISSIS) è affidato a tre motivi, la cui illustrazione è
preceduta da una premessa.
In via preliminare, invero, il ricorrente deduce che la corte
territoriale, a fondamento della dichiarazione di inammissibilità della
domanda di arricchimento senza causa, ha posto due concorrenti
autonome ragioni:
-da un lato, l’esistenza di un precedente giudicato formatosi nel
giudizio conclusosi con sentenza n. 959/2002 della Corte di Appello di
Genova: in quel giudizio la domanda di rimborso avente fondamento
contrattuale era stata rigettata (per mancata prova dell’esistenza di
un accordo negoziale tra le parti, avente ad oggetto la realizzazione
delle opere di ripristino e le modalità del rimborso), mentre la
domanda di arricchimento senza causa era stata dichiarata
inammissibile per tardività;

-dall’altro, il generale principio di sussidiarietà dell’azione di
arricchimento senza causa che, secondo la prospettazione della corte
territoriale, a prescindere dal giudicato, avrebbe comunque
determinato l’inammissibilità/improponibilità dell’azione di
arricchimento senza causa (essendo stata rigettata nel merito, in
relazione alla medesima vicenda sostanziale, la domanda alternativa
fondata su un titolo contrattuale, pur dichiarato inesistente).

Ciò posto, il ricorrente articola i tre motivi di seguito indicati.

1.1. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza
impugnata per violazione e/o falsa applicazione del combinato
disposto di cui agli artt. 2909 e 2041 c.c. (in relazione all’art. 360
primo comma nn. 3 e 4 c.p.c.) nella parte in cui la corte territoriale
ha erroneamente ritenuto preclusa la riproposizione dell’azione di
arricchimento senza causa per effetto di un precedente giudicato,
formatosi nel primo processo (nel quale era stata respinta nel merito
una diversa domanda fondata su un titolo contrattuale mentre la
domanda sussidiaria di arricchimento ingiustificato era stata
dichiarata inammissibile per tardività, con pronuncia che, essendo di
rito, era priva di effetti di giudicato sostanziale).

Sottolinea che nel primo processo: a) la domanda di rimborso
proposta su base contrattuale è stata respinta non essendo stato
ritenuto provato l’accordo dedotto; b) la domanda di arricchimento
senza causa, formulata tardivamente, era stata dichiarata
inammissibile per tardività; c) detta inammissibilità per tardività era
stata dichiarata con sentenza di mero rito.

1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e
falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c. nella parte in cui la
corte territoriale ha erroneamente dichiarato improponibile l’azione di
arricchimento senza causa, in presenza di un precedente giudicato
(che, al contrario, avendo ritenuto non configurabile in capo al (OMISSIS)
un rimedio alternativo di natura contrattuale non era in grado di
precludere l’esercizio dell’azione di arricchimento senza causa,
rendendola improponibile ex art. 2042 c.c.).

Sottolinea che la corte territoriale ha commesso l’errore di
ritenere che il rigetto della domanda contrattuale per difetto di prova
determina l’improponibilità, anche in separata sede, dell’azione di
arricchimento, mentre, in tesi difensiva, occorre distinguere caso per
caso, ragion per cui la preclusione va negata tutte le volte in cui la
mancata prova riguardi la stessa esistenza del titolo contrattuale,
posto a fondamento dell’azione esercitata nel primo processo.

Con la conseguenza che nel caso di specie avrebbe essere
dovuta dichiarare proponibile la domanda di arricchimento senza
causa, in quanto: a) la domanda di rimborso, fondata sul titolo
contrattuale, era stata respinta nel primo processo per non essere
stato provato un “accordo tra le parti al fine della decurtazione del
canone di affitto, ovvero un preventivo consenso alla realizzazione di
tali opere(ed in quali termini) da parte dei proprietari”; b) il rigetto
della suddetta domanda non era compatibile con l’affermazione della
configurabilità in astratto di un rimedio contrattuale a sua
disposizione, ma era ed è compatibile con la proposizione nel secondo
processo della domanda di arricchimento senza causa.

1.3. Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente censura la
sentenza impugnata per violazione del combinato disposto di cui agli
artt. 2909 e 1362 e 1363 c.c., nonché degli artt. 2041 d 2042 c.c.
nella parte in cui ha erroneamente interpretato il giudicato reso nel
primo processo ed ha conseguentemente applicato il disposto degli
artt. 2041 e 2042 ad una fattispecie concreta, alla quale, viceversa,
non avrebbe potuto applicarsi il principio della c.d. sussidiarietà
dell’azione di arricchimento senza causa.

Osserva che nel primo giudizio si accertò che alcuni interventi di
ripristino furono da lui realizzati spontaneamente, prima della
stipulazione del contratto di affitto, a prescindere da qualsiasi obbligo
o facoltà derivanti da uno specifico contratto intercorso con i locatori,
che dei suddetti interventi furono i beneficiari: dunque, in quel
processo, restò privo di prova l’accordo in forza del quale lui avrebbe
avuto diritto di procedere alla decurtazione del canone di affitto.

Con la conseguenza che il principio di sussidiarietà dell’azione di
arricchimento senza causa, di cui al combinato disposto degli artt.
2041 e 2042 c.c. sarebbe stato applicato ad una fattispecie concreta,
alla quale comunque, a prescindere dalla concezione ermeneutica
accolta, detto principio non avrebbe potuto essere applicato.

2. Ai fini della decisione, occorre preliminarmente procedere ad
un corretto inquadramento della fattispecie oggetto del presente
giudizio di legittimità.

Orbene, nel caso di specie, come sopra rilevato, tra le parti del
presente giudizio, si è svolto un primo processo, nel quale

(OMISSIS), nonché Giuseppe e (OMISSIS) avevano convenuto in
giudizio (OMISSIS) per ottenere la risoluzione di un contratto di affitto
di azienda a causa del mancato pagamento del canone.

Orbene, per quanto qui interessa, in detto primo processo di
merito, il (OMISSIS) si era costituito e, in via riconvenzionale, aveva
proposto fin da subito domanda di rimborso delle spese sostenute per
il riavvio dell’azienda (fondando la relativa azione sull’esistenza di un
accordo per la “decurtazione” delle spese anticipate dalla misura del
canone dovuto, sino a concorrenza dei relativi importi); e, nel corso
del processo, aveva proposto, altresì, in via subordinata, domanda di
ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.

Ad esito di tale primo giudizio di merito:

– era risultato pacifico tra le parti l’inesistenza di un titolo
contrattuale (cfr. sentenza di primo grado, p. 3 ss), e cioè che le
opere di ripristino erano state realizzate dal (OMISSIS) prima della
stipulazione del contratto di affitto, a prescindere da qualsiasi obbligo
o facoltà derivanti a uno specifico contratto intercorso con i locatori;

– era stata rigettata l’azione contrattuale (formulata, si
ribadisce, in via riconvenzionale principale), in quanto era stato
ritenuto non provata l’esistenza del menzionato accordo per la
decurtazione delle spese ed

– era stata dichiarata nuova (e, quindi, inammissibile) l’azione
d’ingiustificato arricchimento (proposta dal (OMISSIS), si ribadisce, in via
subordinata).

A questo punto, il (OMISSIS) ha introdotto un secondo giudizio di
merito, formulando quella stessa domanda di ingiustificato
arricchimento ex art. 2041 c.c. che, nel primo processo, era stata
rigettata in rito.

La domanda del (OMISSIS) è stata accolta, in primo grado, dal
Tribunale della Spezia.

Al contrario, la corte territoriale, dopo una stringata
ricostruzione sullo svolgimento del processo e dopo il rigetto
dell’eccezione di inammissibilità dell’appello (p. 2), in parziale
accoglimento dell’impugnazione proposta, ha rigettato la domanda
del (OMISSIS) (pp. 3-4) ed ha aggiunto (p.4) che <<se detta domanda
fosse stata ammissibile in quanto tempestivamente introdotta in
primo grado, in via subordinata rispetto alla domanda principale,
fondata su titolo contrattuale, sarebbe stata rigettata>> in
applicazione dei principi di diritto affermati da questa corte in tema di
sussidiarietà dell’azione di arricchimento senza causa; e che <<il
rigetto della domanda contrattuale per difetto di prova determina
l’improponibilità anche in separata sede dell’azione di arricchimento
senza causa in relazione ai medesimi fatti>>.

3. Tanto premesso e precisato, il ricorso è fondato.

3.1. Fondato è il primo motivo.

Invero, costituisce jus receptum nella giurisprudenza di questa
Corte il principio per cui la sentenza di rito non produce effetti di
giudicato sostanziale e non impedisce la riproposizione della
domanda, già respinta per motivi processuali, in un nuovo processo
tra le parti.

Di tale principio di diritto non ha fatto buon governo la corte
territoriale nella parte in cui ha ritenuto che la riproposizione, nel
presente giudizio, della domanda di arricchimento senza causa contro
i precedenti locatori, per ottenere il rimborso delle spese sostenute
prima della stipulazione del contratto di affitto fosse preclusa dal
giudicato sostanziale formatosi nel primo processo.

Invero, in detto primo processo, sulla fattispecie
dell’arricchimento senza causa, non si era formato alcun giudicato
sostanziale, in quanto la domanda era stata dichiarata inammissibilità
dal giudice di primo grado e tale declaratoria costituiva una mera
pronuncia di merito, che non preclude la riproposizione della stessa
(e, quindi, l’esame nel merito) in un successivo processo.

3.2. Fondati sono anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso,
che vengono qui trattati unitariamente, in quanto sottendono
entrambi la natura sussidiaria dell’azione di ingiustificato
arricchimento (affermata dall’art. 2042 c.c., in base al quale detta
azione <<non è proponibile quando il danneggiato può esercitare
un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito>>).

A) Preliminarmente si dà atto che questa stessa Sezione, con
recente ordinanza n. 5222 dello scorso 10 febbraio, ha rimesso gli atti
al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite della
questione relativa alla sussidiarietà dell’azione di ingiustificato
arricchimento.

Ad analoga conclusione ora la Corte non perviene in
considerazione della diversità delle questioni sottese: nel giudizio di
legittimità, nel quale è intervenuta la rimessione degli atti, la
questione in esame era se è esperibile l’azione di ingiustificato
arricchimento anche quando l’avente diritto ha a sua disposizione
un’azione basata su una clausola generale (quale quella della buona
fede); mentre nel presente giudizio è controversa l’esperibilità della
suddetta azione quando, precedentemente, sia stata proposta una
domanda fondata su un titolo contrattuale, ma detta domanda sia
stata respinta nel merito, per assenza del contratto posto a
fondamento della domanda stessa.

B) Ciò posto, il Collegio, per dare una risposta alla questione
oggetto del presente giudizio, richiamata la rassegna
giurisprudenziale operata nella suddetta ordinanza di rimessione,
rileva che la ratio della natura sussidiaria dell’azione in esame riposta
(in via alternativa, ma talvolta anche congiuntamente): a)
nell’esigenza di evitare che, attraverso il cumulo delle azioni, possano
aversi duplicazioni di tutela; b) nella necessità di evitare che l’avente
diritto, mediante l’esercizio dell’azione di ingiustificato arricchimento,
possa sottrarsi alle conseguenze del rigetto della diversa azione
contrattuale che l’ordinamento gli concede a tutela del diritto; c) nella
esigenza di evitare che colui che ha fondato il suo diritto su un
contratto, che è risultato nullo (per contrarietà a norme imperative o
di ordine pubblico), possa comunque coltivare la sua pretesa sia pure
attraverso altro titolo.

Orbene, nel caso di specie, non ricorre nessuna delle suddette
tre ratio: non la prima, in quanto nel primo processo l’azione
contrattuale era stata respinta nel merito; non la seconda, in quanto
detto rigetto era stato giustificato dalla ritenuta inesistenza del titolo
contrattuale; non la terza, in quanto nel caso di specie il (OMISSIS) ha
chiesto il rimborso delle spese sostenute per il riavvio dell’azienda
prima della stipulazione del contratto di affitto e tale sua pretesa non
è preclusa da nessuna norma imperativa o di ordine pubblico.

Pertanto, se è vero che l’esercizio dell’azione ex art. 2041 c.c. è
in grado di produrre un aggiramento della decisione di rigetto
dell’azione contrattuale è altrettanto vero che ciò non accade sempre
e comunque.

Al riguardo, invero, occorre distinguere i casi nei quali, come
quello in esame, l’azione contrattuale è stata rigettata per inesistenza
del titolo contrattuale posto a fondamento dalla domanda, da tutti gli
altri casi, nei quali l’azione contrattuale è stata respinta per qualsiasi
altra ragione (di rito o di merito, ma comunque diversa
dall’inesistenza del titolo): nei primi colui che ha agito in giudizio non
poteva proporre una azione di ingiustificato arricchimento, in quanto
per l’appunto, per far valere la sua pretesa, disponeva di una azione
contrattuale (che, tuttavia, è stata poi respinta per ragioni di rito o di
merito, ma comunque non per inesistenza del titolo); al contrario, nei
casi in cui l’azione contrattuale è stata rigettata per inesistenza del
titolo, sarebbe contraddittorio sostenere che la proposizione di una
azione, che presuppone la non esistenza di un contratto, possa essere
impedita da una pronuncia che abbia per l’appunto dichiarato la non
esistenza di un contratto; d’altronde, se al rigetto del rimedio
contrattuale, determinato dall’inesistenza del titolo, potesse
conseguire l’improponibilità del rimedio sussidiario, costituito
dall’azione di arricchimento, l’avente diritto sarebbe privato di
qualsiasi strumento processuale per ottenere il rimborso del
pregiudizio subito.

In definitiva, la presente controversia, dando continuità ad un
orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (Cas.
N. 15496 del 2018, n. 11489 del 2011 e 6537 del 1984) viene decisa
sulla base del seguente principio di diritto:

<<La sentenza, che abbia dichiarato l’inesistenza del contratto,
se in negativo esclude che l’avente diritto possa nuovamente
esercitare l’azione contrattuale, in positivo accerta la sussistenza del
presupposto della sussidiarietà (cioè dell’indisponibilità di un rimedio
alternativo a quello contrattuale), che deve ricorrere per l’esperibilità
dell’azione di ingiustificato arricchimento: in tal caso, l’azione ex art.
2041 è proponibile proprio in quanto il danneggiato, non esistendo il
contratto, ha a disposizione soltanto detta azione per far valere il suo
diritto all’indennizzo per il pregiudizio subito>>.

Tale principio non è contraddetto dalle pronunce (quale quella
di Cass. n. 14120 del 2020 o di Cass. n. 8683 del 2019) nella quali
questa Corte, nelle fattispecie di volta in volta in esame, ha statuito
che il rigetto della domanda contrattuale, per nullità del relativo
titolo, non consentiva di agire con l’azione di ingiustificato
arricchimento ex art. 2041 c.c. Ciò proprio perché nelle fattispecie
sottese a dette richiamate pronunce veniva in rilievo l’esigenza di
evitare la frode alla legge e comunque l’aggiramento di norme
indisponibili, poste a tutela di interessi generali, mentre nel caso di
specie, nel quale l’azione contrattuale è stata rigettata (non per
nullità, ma) per inesistenza del titolo contrattuale, per come sopra
rilevato, detta esigenza non ricorre neppure astrattamente: nel caso
di specie, l’azione ex art. 2041, ben lungi dal configurarsi come
strumento per aggirare l’operatività di norme imperative, si configura
anzi come unico strumento, a disposizione dell’odierno ricorrente, per
eliminare il pregiudizio, che asserisce di aver subito.

Anche di tale principio di diritto non ha fatto buon governo la
corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto che, sempre e
comunque, il rigetto della domanda contrattuale per difetto di prova
determini l’improponibilità, anche in separata sede, dell’azione di
arricchimento. Tanto più che nel caso di specie, nel primo processo di
merito, si era già formato il giudicato sull’inesistenza del titolo ad
esito della pronuncia del giudice di primo grado (che, su detto punto,
non risulta essere stata impugnata in appello)

3. Per le ragioni che precedono, cassata la sentenza impugnata,
la causa va rinviata alla Corte di Appello di Genova, in diversa
Sezione e comunque in diversa composizione, perché proceda
all’esame nel merito della domanda, erroneamente non scrutinata.

Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le
spese del presente giudizio di cassazione.

Stante l’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti
processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, ai sensi
dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel
testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012,
n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in
misura pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie tutti i motivi di ricorso, e, per l’effetto:

– cassa la sentenza impugnata e

– rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di
legittimità, alla Corte di Appello di Genova, in diversa Sezione e
comunque in diversa composizione, perché proceda allo scrutinio nel
merito della domanda ex art. 2041 proposta dal (OMISSIS).

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2023, nella camera di consiglio
della Terza Sezione Civile.