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Cassazione Civile 13244/2023 – Ordinanza di rilascio di immobile – Successivo accertamento dell’inesistenza del diritto al rilascio – Domanda di risarcimento danni ex art. 96 cpc

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Ordinanza 13244/2023

Ordinanza di rilascio di immobile – Successivo accertamento dell’inesistenza del diritto al rilascio – Domanda di risarcimento danni ex art. 96, comma 2, cpc – Proposizione nel medesimo giudizio – Improponibilità in giudizio autonomo

La domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’esecuzione forzata dell’ordinanza di rilascio dell’immobile, emessa nel procedimento sommario di convalida di sfratto e successivamente travolta, nel giudizio di merito, dall’accertamento di inesistenza del diritto di procedere al rilascio, rientrando nella previsione dell’art. 96, comma 2, c.p.c., va proposta nel medesimo giudizio in cui il titolo esecutivo si è formato e non in uno autonomo e separato, salvo che sussista un’impossibilità di fatto, ricorrente qualora la vittima, al momento del compimento della temeraria iniziativa processuale, non aveva patito alcun danno né poteva ragionevolmente prevedere di subirne in seguito, ovvero un’impossibilità di diritto, qualora sussistano preclusioni di carattere processuale.

Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 15-5-2023, n. 13244   (CED Cassazione 2023)

Art. 96 cpc (Responsabilità aggravata)

 

 

Rilevato che:

1. Con ricorso ex art. 447-bis cod. proc. civ. Michelina
D’Alessandro, conduttrice dell’immobile ad uso commerciale di
proprietà di Anna, Angelamaria, Laura e Adriana D’Angelo, conveniva
in giudizio le locatrici per sentirle condannare al risarcimento dei
danni, quantificati in euro 210.000,00, a causa della anticipata
illegittima cessazione del rapporto di locazione dovuta al rilascio
forzoso dell’immobile, alla quale era stata costretta in forza della
ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 cod. proc. civ., ottenuta
dalle locatrici nel procedimento sommario di convalida di sfratto per
morosità e successivamente travolta dalla sentenza che aveva
definito il giudizio di merito ex art. 667 cod. proc. civ., che,
accogliendo le eccezioni sollevate dalla convenuta, aveva rigettato la
domanda di risoluzione per inadempimento della conduttrice.
In punto di fatto la ricorrente esponeva che: le locatrici le
avevano intimato sfratto per morosità con contestuale citazione per la
convalida, lamentando il mancato pagamento della somma di euro
3.834,17, dovuta a titolo di aggiornamenti Istat del canone di
locazione; si era costituita in giudizio opponendosi alla convalida di
sfratto e il giudice, con ordinanza del 24 marzo 2003, aveva concesso
ordinanza provvisoria di rilascio ai sensi dell’art. 665 cod. proc. civ.,
rinviando per la discussione, previo mutamento del rito; in data 14
gennaio 2014 le locatrici, in forza dell’ordinanza provvisoria, le
avevano notificato atto di precetto per il rilascio dell’immobile, al
quale si era invano opposta con ricorso ex art. 700 cod. proc. civ.,
rigettato dal Tribunale; l’ordinanza di rilascio era stata portata ad
esecuzione nell’anno 2004, per cui era stata costretta al rilascio
dell’immobile locato, senza ottenere l’indennità di avviamento; il
giudizio di merito era stato tuttavia definito con sentenza n. 367 del
2008 di rigetto della domanda di risoluzione contrattuale per
inadempimento della conduttrice.

Il Tribunale, con sentenza n. 1050/2016, qualificando la domanda
come di responsabilità extracontrattuale e ritenendo fondata
l’eccezione di prescrizione quinquennale, la rigettava.

2. La sentenza è stata impugnata da Michelina D’Alessandro
dinanzi alla Corte d’appello di Napoli che, in riforma della sentenza di
primo grado, ha dichiarato improponibile la domanda originariamente
proposta dalla conduttrice.

I giudici di secondo grado, ricondotta la domanda proposta nello
schema tipico dell’art. 96 cod. proc. civ., in quanto l’appellante si
doleva che fosse stato attivato il procedimento di sfratto in assenza
dei presupposti, ha ritenuto che essa avrebbe dovuto essere
introdotta dinanzi al giudice investito della decisione del merito della
causa, e non in un autonomo giudizio, potendo tale regola subire una
eccezione nella sola ipotesi in cui la proposizione non fosse stata
preclusa per l’evoluzione propria dello specifico processo da cui detta
responsabilità era scaturita. Hanno inoltre osservato che non si
poneva una questione di competenza, ma piuttosto una questione di
proponibilità della domanda, rilevabile d’ufficio anche da parte del
giudice d’appello, cosicché l’eccezione di improponibilità sollevata
dalle appellate era ammissibile.

3. Ricorre per la cassazione della suddetta decisione Michelina
D’Alessandro, sulla base di tre motivi.

D’Angelo resistono con controricorso.

4. La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi
dell’art. 380-bis.1. cod. proc civ.

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1. cod. proc.
civ.

Considerato che:

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia ‹‹error in
iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c. nonché
dei principi in materia di responsabilità processuale aggravata in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.››, per avere
la Corte di merito erroneamente ricondotto la domanda risarcitoria
proposta nei confronti delle locatrici nello schema di cui all’art. 96
cod. proc. civ.

Sostiene che, diversamente da quanto affermato dai giudici di
appello, non aveva dedotto a fondamento della domanda risarcitoria
la responsabilità processuale aggravata, ma la responsabilità delle
locatrici per la definitiva cessazione dell’attività commerciale
esercitata nell’immobile locato che aveva dovuto restituire in forza
dell’ordinanza ex art. 665 cod. proc. civ. e la cui detenzione, invece,
aveva diritto a riavere ai fini della prosecuzione del rapporto di
locazione. Precisa, al riguardo, che la domanda risarcitoria proposta
poggiava sul mancato godimento del bene immobile locato, che aveva
dovuto rilasciare anticipatamente, e che aveva pure richiesto il
pagamento dell’indennità di avviamento commerciale che non le era
stata corrisposta all’atto del rilascio dell’immobile; dette domande
non erano riconducibili all’art. 96 cod. proc. civ. e ben potevano
essere proposte sia nell’ambito del giudizio di merito conseguente
all’opposizione alla convalida di sfratto o, in via riconvenzionale, con
memoria da depositare nei termini di cui all’art. 416 cod. proc. civ.,
sia in via autonoma in un separato ed autonomo giudizio. Soggiunge
che, in ogni caso, anche a voler configurare la responsabilità delle
locatrici come extracontrattuale, il termine di prescrizione
quinquennale, decorrente dalla data di rilascio dell’immobile,
avvenuta in data 28 aprile 2004, doveva ritenersi interrotto per
effetto della lettera del 6 marzo 2009, con cui aveva diffidato le
locatrici a restituire l’immobile onde consentire la naturale
prosecuzione del rapporto di locazione.

2. Con il secondo motivo si deduce ‹‹error in procedendo – Nullità
della sentenza impugnata per omessa pronuncia – Violazione dell’art.
112 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.›› e, con
il terzo motivo, ‹‹omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio
che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, primo
comma, n. 5, cod. proc. civ.››. La ricorrente lamenta che la Corte
d’appello non si è pronunciata sulla domanda di condanna delle
locatrici al pagamento dell’avviamento commerciale, formulata in
primo grado e riproposta in appello, così incorrendo nel vizio di
omessa pronuncia o comunque nell’omesso esame di un punto
decisivo del giudizio, che faceva parte del thema decidendum.

3. Il primo motivo è infondato.

Nel giudizio introduttivo del primo grado di giudizio l’odierna
ricorrente ha rassegnato le seguenti conclusioni: ‹‹Accertare e
dichiarare che le convenute sig.re D’Angelo Anna, Angela Maria,
Laura e Adriana sono responsabili della anticipata risoluzione del
rapporto di locazione commerciale già corrente con la sig.ra
D’Alessandro Michelina giusto contratto del 1969 nonché della
ingiusta cessazione dell’attività commerciale esercitata da
quest’ultima nei locali siti in Maddaloni alla via Ponte Carolino n. 1
(stante l’insussistenza della pretesa morosità giusto quanto affermato
con sentenza n. 367/2008 del Tribunale di Marcianise e, quindi,
l’insussistenza dei presupposti di legge posti a fondamento
dell’intimato sfratto per morosità e della stessa esecuzione
dell’ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 c.p.c. da ritenersi
travolta dalla sentenza definitiva) e, per l’effetto, condannare le
convenute sig.re germane D’Angelo Anna, Angela Maria, Laura e
Adriana, in solido fra loro, al risarcimento dei danni patiti dall’odierna
ricorrente, a causa dell’anticipata risoluzione del rapporto e della
conseguente cessazione dell’attività quantificati in non meno di euro
210.000,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dì del dovuto
all’effettivo soddisfo nonché al risarcimento del maggior danno ex art.
1224 codice civile o quella diversa maggiore o minore somma che
risulterà in corso di causa anche a mezzo CTU che sin d’ora si richiede
ovvero, ancora, in quella che l’Ill.mo G.U. adito riterrà di liquidare
anche in via equitativa e di giustizia. Con refusione di spese, diritti ed
onorari di causa con attribuzione al procuratore antistatario››.

Le medesime conclusioni sono state reiterate dalla ricorrente nel
giudizio di appello.

Dal tenore della domanda formulata si evince chiaramente che la
domanda di risarcimento dei danni poggia sul presupposto che, in
esito alla esecuzione forzata del provvedimento provvisorio di rilascio
ex art. 665 cod. proc. civ., successivamente travolto dalla sentenza n.
367/2008 emessa all’esito del giudizio di merito – che ha respinto la
domanda, avanzata dalle locatrici, di risoluzione del contratto di
locazione per inadempimento del conduttore – sia conseguito un
danno da mancato godimento dell’immobile e la cessazione
dell’attività commerciale nello stesso esercitata.

L’azione in tali termini proposta, come correttamente rilevato dal
giudice d’appello, deve essere ricondotta nel paradigma dell’art. 96,
secondo comma, cod. proc. civ., in quanto il danno di cui si duole la
ricorrente è diretta conseguenza dell’eseguito forzato provvedimento
di rilascio illegittimo del bene oggetto di locazione.

A tale approdo si perviene sulla base delle seguenti
considerazioni.

L’ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 cod. proc. civ.
contiene un ordine di rilascio dell’immobile locato rivolto al
conduttore, dotato di efficacia esecutiva, e costituisce titolo esecutivo,
tanto che contiene la data dell’esecuzione ex art. 56 l. n. 392 del
1978; ha, inoltre, natura di provvedimento decisorio, dato che, in
caso di accoglimento dell’istanza del locatore, essa incide sulla
posizione del conduttore, il quale è tenuto al rilascio dell’immobile,
mentre, in ipotesi di rigetto, il permanere del conduttore
inadempiente nella detenzione dell’immobile arreca, nelle more del
giudizio di merito, un danno al locatore. Costituendo una condanna
con riserva delle eccezioni, poiché il giudice dispone il rilascio
riservandosi di valutare, in un secondo momento, le eccezioni
formulate dal conduttore, essa integra una ipotesi di tutela
anticipatoria e sommaria, basata su una cognizione parziale ed
incompleta, i cui effetti, afferenti alla cessazione o risoluzione della
locazione e, conseguentemente, all’attribuzione del diritto al rilascio
dell’immobile, attuabile in via esecutiva, permangono fino a quando,
ove non vengano definitivamente confermati, siano messi nel nulla
dalla sentenza di merito che conclude l’ordinario giudizio di
cognizione. Infatti, nel caso in cui la domanda di risoluzione svolta dal
locatore venga respinta all’esito del giudizio conseguente al
mutamento del rito, l’ordinanza eventualmente emessa ai sensi
dell’art. 665 cod. proc. civ. viene ad essere travolta dagli effetti della
sentenza di rigetto, la quale regolerà definitivamente il rapporto
controverso conformemente alle sue statuizioni (Cass., sez. 3,
16/01/2005, n. 10185).

Tenute presenti le caratteristiche e la natura dell’ordinanza ex art.
665 cod. proc. civ., risulta evidente che la domanda di risarcimento
dei danni sofferti in conseguenza dell’avvenuta esecuzione forzata
della ordinanza di rilascio dell’immobile, pronunciata nella fase
sommaria del giudizio di convalida di sfratto e successivamente
travolta, nel giudizio di merito, dall’accertamento di inesistenza del
diritto di procedere al rilascio, ricade nella previsione del secondo
comma dell’art. 96 cod. proc. civ., laddove è previsto che ‹‹il giudice
che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un
provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta
ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su
istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni
l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale
prudenza››.

La domanda di risarcimento dei danni, in tale ipotesi, non può che
essere fatta valere nell’ambito del medesimo giudizio nel quale il
titolo esecutivo si è formato, ossia dinanzi al giudice del giudizio di
merito e non può, invece, essere esperita in un autonomo e separato
giudizio.

Tale conclusione è avvalorata dalla sentenza delle Sezioni Unite
n. 25478 del 2021 che, ponendosi la questione dell’individuazione del
giudice competente ad emettere la pronuncia di cui all’art. 96,
secondo comma, cod. proc. civ., in caso di sopravvenuta caducazione
del titolo esecutivo giudiziale, ha enunciato il principio secondo cui
«L’istanza con la quale si chieda il risarcimento dei danni, ai sensi
dell’art. 96, secondo comma, cod. proc. civ., per aver intrapreso o
compiuto l’esecuzione forzata senza la normale prudenza, in forza di
un titolo esecutivo di formazione giudiziale non definitivo,
successivamente caducato, deve essere proposta, di regola, in sede
di cognizione, ossia nel giudizio in cui si è formato o deve divenire
definitivo il titolo esecutivo, ove quel giudizio sia ancora pendente e
non vi siano preclusioni di natura processuale. Ricorrendo, invece,
quest’ultima ipotesi, la domanda andrà posta al giudice
dell’opposizione all’esecuzione; e, solamente quando sussista
un’ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto alla proposizione della
domanda anche in sede di opposizione all’esecuzione, potrà esserne
consentita la proposizione in un giudizio autonomo».

Le Sezioni Unite hanno, peraltro, chiarito che, qualora la domanda
risarcitoria non possa essere proposta né davanti al giudice della
cognizione né davanti a quello dell’opposizione all’esecuzione, perché
sussiste un’impossibilità di fatto o un’impossibilità di diritto (la prima
quando la vittima, al momento del compimento della temeraria
iniziativa processuale, non aveva patito alcun danno e non poteva
ragionevolmente prevedere di subirne in seguito; la seconda, invece,
quando, vi siano preclusioni di carattere processuale alla proposizione
della relativa domanda), in questi casi – e soltanto in questi – il
danneggiato non avrà altra strada che quella di proporre la domanda
risarcitoria in un giudizio autonomo; precisando altresì che ‹‹siffatta
possibilità non è frutto di una libera scelta della parte, bensì
dell’impossibilità di percorrere le strade in precedenza delineate››,
trattandosi ‹‹di una sorta di estrema e residua eventualità che non
può essere sempre esclusa e che costituisce uno strumento di tutela
del danneggiato e di coerenza interna del sistema››.

Esclusa, dunque, alla stregua dei superiori principi, la possibilità,
nel caso in esame, di azionare la domanda di risarcimento in un
autonomo giudizio, deve pure precisarsi che la regola prevista dal
secondo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., non è una regola sulla
competenza, ma piuttosto sulla proponibilità dell’istanza volta ad
ottenere il riconoscimento della responsabilità (Cass., sez. 3,
18/04/2007, n. 9297).

Nella sentenza da ultimo richiamata, infatti, si puntualizza che:
‹‹nell’affidare al giudice avanti al quale si è “agito o resistito” (comma
1) ed a quello che ha compiuto l’accertamento “l’inesistenza del
diritto” (comma 2) il compito di essere investito dell’istanza, la legge
non sancisce una regola di competenza, cioè non si preoccupa di
indicare avanti a quale giudice si può esercitare un’azione di cui
l’istanza è espressione, ma disciplina un fenomeno che si colloca
all’interno di un processo già pendente e che si esprime nell’esercizio
da parte del litigante di un potere all’interno di esso – quello di
formulazione di un’istanza (e non della proposizione di un’azione) – il
cui esercizio impone al giudice di provvedere sull’oggetto della
richiesta, la quale, dunque, è strettamente collegata e connessa
all’agire od al resistere in giudizio.

Ne discende che il potere di rivolgere l’istanza, essendo previsto come
potere endoprocessuale collegato e connesso all’azione od alla
resistenza in giudizio, se un processo in cui l’azione o la resistenza
riguardo alla pretesa sostanziale vi è stata, non può essere
considerato (salvo il caso eccezionale che il suo esercizio sia rimasto
precluso in quel processo da ragioni attinenti alla stessa sua struttura
e non dipendenti dalla inerzia della parte: per questa affermazione si
veda Cass. n. 1861 del 2000) come potere successivamente
esercitabile al di fuori del processo e, quindi, in via consequenziale
suscettibile di essere esercitato avanti ad altro giudice, cioè in via di
azione autonoma. Quando lo fosse, allora, appare evidente che non
ricorrerebbe una situazione di esercizio di un’azione davanti ad un
giudice diverso da quello che sarebbe competente, bensì, a monte,
l’esercizio di un’azione per un diritto non previsto dall’ordinamento, il
quale appunto prevede il diritto di vedersi liquidare il danno da
responsabilità aggravata (nelle due ipotesi previste dai due commi
dell’art. 96) soltanto come espressione del diritto di azione (inteso
come diritto di agire e di resistere in giudizio) esercitato in un
processo a tutela della situazione giuridica soggettiva principale che
vi sia dedotta e, quindi, come diritto che di tale situazione è
amminicolo e che, conseguentemente, lo è anche dell’azione con cui
essa è fatta valere in via attiva o passiva.

Che non si tratti di fenomeno riconducibile alla competenza (intesa
come distribuzione orizzontale o verticale o, se si vuole, anche
funzionale) degli affari tra i vari giudici è del resto dimostrato dal
rilievo che, quando l’istanza ai sensi dell’art. 96 c.p.c. rivolta ad un
giudice diverso da quello che ha già
deciso sul processo al quale la responsabilità aggravata si riferisce, il
rilievo della “incompetenza” non potrebbe comportare la conseguenza
normale che comporta il rilievo della incompetenza, cioè la rimessione
delle parti al giudice competente: infatti, il giudice adito dovrebbe
rilevare che si è fatto valere un diritto insussistente, perché
configurabile solo come “diritto” esercitabile in quel processo››.

Ponendosi, dunque, una questione di proponibilità della domanda,
del tutto correttamente, la Corte d’appello ha ritenuto che l’eccezione
d’improponibilità della domanda di risarcimento dei danni, sollevata
dalle locatrici solo in grado di appello, non fosse tardiva, ma anzi
ammissibile, ben potendo la questione di diritto essere rilevata
d’ufficio anche da parte del giudice d’appello, in assenza di una
decisione, sul punto, del giudice di primo grado.

La censura rivolta alla sentenza con il mezzo in esame deve,
quindi, essere rigettata, considerato che, risultando corretta la
qualificazione dell’azione effettuata dalla Corte territoriale, deve
anche negarsi che essa sia incorsa nel vizio di omessa pronuncia sulla
domanda risarcitoria per mancato godimento dell’immobile locato.

Quanto, poi, al prospettato diritto, vantato dalla ricorrente, di
riprendere, sino alla naturale scadenza del contratto, il godimento
dell’immobile anticipatamente rilasciato, è sufficiente rilevare che tale
domanda non risulta essere stata ritualmente proposta con l’atto
introduttivo del giudizio di primo grado, cosicché essa costituisce
domanda nuova, come tale inammissibile.

4. Merita, invece, accoglimento il secondo motivo di ricorso, con
assorbimento del terzo motivo.

La Corte territoriale, pur rilevando a pag. 2 della sentenza che
l’odierna ricorrente, con il ricorso ex art. 447-bis cod. proc. civ., ha
lamentato che ‹‹dall’avvenuta esecuzione del provvedimento e
rilascio dell’immobile ella aveva subito ingentissimi danni avendo
dovuto chiudere la sua attività commerciale e non aveva ricevuto
l’indennità di avviamento commerciale››, ha omesso di pronunciarsi
sulla domanda di pagamento dell’indennità di avviamento
commerciale, sebbene reiterata anche in grado di appello, come
emerge dallo stralcio dell’atto di appello riprodotto alle pagine 26 e 27
del ricorso per cassazione, in tal modo incorrendo nel denunciato vizio
di cui all’art. 112 cod. proc. civ.

Varrà, al riguardo, evidenziare che tale domanda non è
riconducibile al danno conseguente alla esecuzione dell’ordinanza di
rilascio, ma costituisce domanda autonoma ed ulteriore che scaturisce
dalla mancata prosecuzione del rapporto contrattuale, dovendosi
considerare che, in conseguenza del rigetto della domanda di
risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della
conduttrice, proposta dalle locatrici, la conduttrice avrebbe avuto
diritto a continuare a detenere l’immobile sino alla scadenza
convenzionale del rapporto.

5. In conclusione, rigettato il primo motivo di ricorso, va accolto il
secondo motivo, assorbito il terzo, con conseguente cassazione della
sentenza e rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, in
diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del
giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo motivo
di ricorso e dichiara assorbito il terzo motivo; cassa la sentenza
impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli,
comunque in diversa composizione, anche per la liquidazione delle
spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione
Civile il 16 marzo 2023