Sentenza 13337/2000
Responsabilità del custode – Obbligo di segnalare il pericolo connesso all’uso della cosa – Uso improprio della cosa da parte del danneggiato
Il dovere del custode di segnalare il pericolo connesso all’uso della cosa si arresta di fronte ad un’ipotesi di utilizzazione impropria, la cui pericolosità sia talmente evidente ed immediatamente apprezzabile da chiunque, tale da renderla del tutto imprevedibile, sicché l’imprudenza del danneggiato che abbia riportato un danno a seguito di siffatta impropria utilizzazione integra il caso fortuito per gli effetti di cui all’art. 2051 cod. civ..
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 6-10-2000, n. 13337 (CED Cassazione 2000)
Art. 2051 cc (Danno cagionato da cosa in custodia) – Giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel 1990 Ro. Mi. richiese giudizialmente alla Ar. s.p.a. il risarcimento dei danni subiti per le lesioni riportate in data 8.8.1987 nell’isola di Vulcano, nell’albergo gestito dalla convenuta, affermando si essere stato colpito da alcuni massi distaccatisi dalla parete sovrastante la spiaggetta messa a disposizione dei clienti dall’esercizio alberghiero. La convenuta si costituì successivamente all’esperimento delle prove orali, contestando la prospettazione in fatto sulla quale si basava la domanda. Negò in particolare che l’incidente si fosse verificato in uno spazio comunque annesso all’albergo e con le modalità riferite dall’attore. Affermò che dal rapporto redatto sull’accaduto dai carabinieri (e successivamente acquisito) risultava che il fatto era accaduto per l’imprudente comportamento dello stesso danneggiato.
Con sentenza del 6.2.1995 l’adito tribunale di Pavia accolse la domanda e condannò la società Ar. al pagamento della somma di L. 93.783.101, oltre agli interessi ed alle spese del grado. La corte d’appello di Milano, decidendo con sentenza n. 3100 del 1997 sul gravame della convenuta cui aveva resistito l’attore, ha totalmente riformato la sentenza rigettando la domanda e condannando l’attore alle spese del doppio grado.
Ricorre per cassazione Ro. Mi. affidandosi a quattro motivi, cui resiste con controricorso la s.p.a. Ar.. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo è dedotta insufficiente o contraddittoria motivazione sui punti decisivi della controversia costituiti dalla valutazione dell’attendibilità dei testimoni escussi e dalla ricostruzione dell’evento.
Col secondo si assume che la sentenza sia affetta da analogo vizio in ordine “all’attribuzione di carattere certo ed indiscutibile alle circostanze riportate nel rapporto dei carabinieri, dagli stessi agenti espresse in senso solo probabilistico”.
Col terzo è denunciata omessa motivazione “in relazione alla mancata valutazione delle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società Ar. s.p.a. in sede di interrogatorio formale”.
Col quarto motivo la sentenza è censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. “per avere escluso la responsabilità della società Ar., custode dei luoghi, rilevando l’esistenza del caso fortuito”.
2. I primi tre motivi del ricorso – siccome tutti involgenti le valutazioni compiute dal giudice del merito – possono essere congiuntamente esaminati.
Le parti hanno dibattuto sul luogo dove si trovava l’attore allorché sono franati i massi che l’hanno travolto. Egli aveva sostenuto di trovarsi sulla spiaggia sottostante l’albergo, che aveva raggiunto tramite la scala realizzata dalla società che gestiva la struttura alberghiera. La convenuta ha affermato (ed il punto è stato definitivamente acclarato in tal senso) che non vi era alcuna spiaggia, ma solo una piattaforma in cemento ed ha negato che il Mi. fosse sulla piatta forma o lungo la scala quando è stato travolto dai massi, sostenendo che si era volontariamente recato in una zona diversa.
Il tribunale ha ritenuto che le risultanze della prova testimoniale contrastassero con quelle del rapporto dei carabinieri e delle allegate sommarie informazioni offerte dalla signora Maria Matossi L’Orsa, privilegiando le prime; la corte territoriale ha per converso escluso che contrasto vi fosse, ha ritenuto che le deposizioni dei testi fossero generiche in ordine al punto in cui era il Mi. quando accadde l’incidente, ha concluso che egli non si trovava sulla piattaforma ma in un punto della scogliera dove si era volontariamente recato ed ha rigettato la domanda.
Si verte in un tipico caso di valutazione di merito, avendo il giudice di secondo grado accertato che il fatto era diverso da quello ricostruito dal giudice di prime cure, sulla scorta di un diverso apprezzamento delle complessive risultanze processuali. Lo sviluppo del ragionamento svolto con la gravata sentenza è sostanzialmente connotato dai seguenti, salienti passaggi:
1) solo apparentemente le deposizioni dei testi (amici con i quali egli s’era recato in vacanza) confermavano la versione dei fatti esposta dall’attore in atto di citazione (che, cioè, egli si trovasse sulla piattaforma allorché fu travolto dai massi staccatisi dalla scoscesa parete rocciosa), in quanto essi s’erano riferiti ad una spiaggetta, che è concetto diverso da piattaforma, nella specie costituita dal manufatto realizzato dalla società convenuta ai piedi della scala di accesso al mare e la riva naturale del mare stesso (e va subito detto che l’affermazione è corretta, al di là dell’equivoca terminologia talvolta usata nelle informazioni pubblicitarie offerte dall’albergo);
2) i testi, riferendosi alla inesistente spiaggetta, potevano al più aver fatto riferimento alla riva del mare, e dunque ad un punto diverso dalla piattaforma;
3) come aveva appunto dichiarato ai carabinieri la signora Matossi, che si trovava sulla piattaforma quando udì un boato e vide i due ragazzi (l’attore ed una sua amica, escussa come teste) cadere in acqua (in luogo diverso dalla piattaforma):
4) dunque, le conclusioni del rapporto dei carabinieri (pur solo probabilisticamente prospettate) erano corrette, sicché doveva concludersi che il Mi. s’era incautamente avventurato sulla friabile scogliera ed era stato travolto da una frana da lui stesso provocata.
Di tale iter logico, niente affatto incoerente, la corte d’appello dà esaustivo conto, sicché sono palesemente infondati i primi due motivi di ricorso in ordine alla valutazione delle risultanze della prova testimoniale ed alla valenza probatoria del rapporto dei carabinieri. Che, poi, l’amministratore della società convenuta (Pasquale Donati) abbia, in sede di interrogatorio formale, affermato che la notizia dell’incidente gli fu data da una delle persone che si trovavano con l’attore (Dolores Pergolato) e non abbia mai nominato la signora Matossi, non è affatto incompatibile ne’ con la presenza di quest’ultima sulla piattaforma ne’ con la circostanza che anche la signora Matossi possa avere, dopo la Pergolato, informato il Donati (che il ricorrente non afferma essere stato interpellato su tale specifico punto in sede di interrogatorio formale).
Ne consegue l’infondatezza del terzo motivo di ricorso, posto che la deduzione che il ricorrente pretende di trarre dal mancato riferimento del Donati alla Matossi non è legata all’esito dell’interrogatorio formale da vincolo di stretta consequenzialità logica, sicché la omessa considerazione in sentenza delle risultanze di quel mezzo istruttorio non verte su un punto decisivo della controversia.
3.1. Infondato è anche il quarto motivo, col quale il
ricorrente sostiene che, pur ammettendo – (come ritenuto dalla corte di merito ed) in via di semplice ipotesi – che la caduta dei massi sia stata provocata dallo stesso attore che, abbandonata la scaletta da ultilizzarsi per la discesa alla piattaforma, si era avventurato sulle rocce, avrebbe cionondimeno dovuto essere dichiarata la responsabilità della società convenuta ex art. 2051 c.c. per non aver indicato la necessità di utilizzare esclusivamente la predetta discesa al mare, ovvero per non aver segnalato il pericolo derivante dalla friabilità delle rocce circostanti la scaletta. Nega, in particolare, che l’ipotizzato comportamento imprudente del danneggiato fosse imprevedibile ed inevitabile in mancanza di adeguate segnalazioni e che, dunque, integrasse il fortuito ai fini dell’esclusione della responsabilità del custode.
3.2. Pur risultando assorbito dalle considerazioni che seguono, va rilevato che solo in questa sede, e dunque inammissibilmente, il ricorrente evoca un profilo di responsabilità della società che gestiva l’albergo connesso alla mancata indicazione della necessità di utilizzare esclusivamente la scala per scendere al mare. Quanto alla omessa segnalazione del pericolo derivante dalla friabilità delle rocce circostanti la scaletta, va anzitutto posto in chiaro che la corte d’appello non ha affatto accertato – come presuppone il ricorrente – che il Mi. stesse scendendo verso il mare per una via diversa da quella tracciata dalla scala, ma solo che egli avesse compiuto “un’escursione più o meno limitata… all’esterno degli spazi delimitati dalle opere predisposte dalla convenuta per la discesa a mare dei suoi ospiti”, ritenendo che tanto integrasse “all’evidenza una palese violazione dei più elementari principi di prudenza”.
Ha considerato la corte di merito che l’avventurandosi sconsideratamente in un luogo a lui del tutto sconosciuto sotto il profilo morfologico e che l’imminente vicinanza del mare ben poteva far presumere come particolarmente insidioso in ragione del prevedibile effetto esercitato sulle rocce dal moto ondoso in occasione delle mareggiate invernali e dell’escursione termica, il Mi. pose in essere una condotta assolutamente inadeguata alle circostanze di tempo e di luogo e certamente idonea a causare l’evento lesivo per cui è causa”. Ed ha concluso nel senso che “siffatta violazione, oltretutto attuata all’esterno degli spazi delimitati dagli allestimenti predisposti a beneficio dei clienti dell’albergo, esclude ogni responsabilità della convenuta appellante”.
È insomma chiaro che, secondo la corte d’appello, l’imprudenza del Mi. fu macroscopica, come tale imprevedibile da parte della struttura alberghiera, e tale da esimerla da ogni responsabilità al riguardo pur in difetto di segnalazione di pericolosità delle zone adiacenti quelle esterne agli spazi delimitati dalle opere eseguite, in linea col principio secondo il quale il dovere del custode di segnalare il pericolo connesso all’uso della cosa si arresta di fronte ad un’ipotesi di utilizzazione impropria la cui pericolosità sia talmente evidente ed immediatamente apprezzabile da chiunque da renderla del tutto imprevedibile, sicché l’imprudenza del danneggiato che abbia riportato un danno a seguito di siffatta impropria utilizzazione integra il caso fortuito per gli effetti di cui all’art. 2051 c.c..
4. Il ricorso va conclusivamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in L. 273.500, oltre a L. 6.000.000 per onorari. Così deciso in Roma, il 6 giugno 2000.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2000