Ordinanza 13504/2021
Indebito oggettivo – Domanda di restituzione fondata sulla risoluzione per inadempimento
La decisione che accolga la domanda di restituzione fondata sulla risoluzione del contratto per inadempimento, quale conseguenza del rilievo d’ufficio dell’avvenuta risoluzione consensuale, non viola il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, atteso che il venir meno del titolo, quale che ne sia la causa, rende indebita la prestazione effettuata in base ad esso e, una volta che ne sia stata chiesta la restituzione, non rileva la ragione per cui il pagamento è divenuto indebito, potendo identico effetto restitutorio seguire all’accertamento d’ufficio di altra causa di risoluzione.
Cassazione Civile, Sezione 6-3, Ordinanza 18-5-2021, n. 13504 (CED Cassazione 2021)
Art. 2033 cc (Indebito oggettivo) – Giurisprudenza
RITENUTO CHE:
1. (OMISSIS) ha stipulato nel 2009 un contratto preliminare con la società di costruzioni ” (OMISSIS) srl”, avente ad oggetto la compravendita di un immobile, nel quale era inserito un patto di opzione, che concedeva alla promissaria acquirente il termine di 60 giorni per decidere se stipulare o meno il definitivo e, trascorso il quale senza manifestazione di volontà della promissaria, il promittente era libero di alienare ad altri.
La promissaria ha versato un totale di 136 mila euro, di cui 5 mila per caparra e 131 mila per acconto corrispettivo.
Con distinto accordo, la promissaria ha richiesto l’esecuzione di opere non previste nel preliminare, ed effettuate dal costruttore promittente per un ammontare di 45 mila euro.
La promissaria non ha esercitato l’opzione nei 60 giorni, ossia non ha manifestato alcuna volontà, ma solo dopo un anno ha convenuto la (OMISSIS) davanti al notaio per la stipula del definitivo.
Il promittente, che, a causa del mancato esercizio dell’opzione, aveva ritenuto risolto il contratto, per come pattuito, aveva però nel frattempo alienato l’immobile a terzi, per un prezzo inferiore di 10 mila Euro a quello promesso dalla (OMISSIS).
Il promittente, dunque, ritenuto risolto per mutuo consenso il contratto, ha restituito alla (OMISSIS) solo una parte di quanto da quest’ultima versato, trattenendo per sè i 45 mila Euro spesi per le opere aggiuntive nonchè i 10 mila Euro costituenti il minor guadagno nella rivendita a terzi, cui, per l’appunto, l’immobile era stato ceduto ad un prezzo di quella somma inferiore.
2.- La (OMISSIS) ha agito in giudizio asserendo la natura non essenziale del termine di 60 giorni per l’esercizio della opzione, e dunque chiedendo che si accertasse che il contratto preliminare non si era consensualmente risolto, ma semmai doveva dirsi tale per inadempimento della promittente venditrice.
Il Tribunale ha rigettato la domanda dopo aver ritenuto che le parti avevano previsto un patto di opzione in base al quale il mancato esercizio da parte del promissario acquirente della facoltà di concludere o meno il contratto definitivo, comportava la risoluzione del contratto preliminare, con facoltà del promittente alienante di vendere ad altri. Riteneva il Tribunale che, mentre si giustificava il diritto della (OMISSIS) di trattenere i 45 mila Euro a titolo di opere extra-contratto, non si giustificava quello di trattenere 10 mila Euro da perdita per il minor prezzo della vendita effettuata a terzi.
La (OMISSIS) ha proposto appello, che ha trovato parziale accoglimento.
Infatti, la Corte di Appello di Venezia, pur confermando che il contratto si è risolto per mutuo dissenso, ha però condannato (OMISSIS) a restituire alla promissaria acquirente, oltre che i 10 mila euro, di cui già il Tribunale aveva disposto la restituzione, anche i 45 mila Euro che la promissaria aveva versato per le opere realizzate in più rispetto al contratto preliminare.
3.- La (OMISSIS) srl propone due motivi di ricorso avverso tale decisione, mentre la (OMISSIS) si oppone al ricorso con proprio controricorso.
CONSIDERATO CHE:
4.- La ricorrente propone due motivi, che sono presentati l’uno come subordinato all’altro, ma che in realtà attengono alla medesima questione e possono dunque esaminarsi insieme.
Con il primo motivo si lamenta violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e si sostiene che la Corte di Appello ha deciso ultra petita nel disporre la restituzione dei 55 mila euro, in quanto parte appellante aveva, si, chiesto tale restituzione, ma a titolo di risoluzione per inadempimento, in quanto aveva agito, e poi appellato, assumendo che il promittente alienante non aveva adempiuto al preliminare ed aveva venduto a terzi, mentre la Corte ha pronunciato la restituzione in base a titolo diverso, ossia alla risoluzione consensuale.
In sostanza, la violazione è nel fatto di avere pronunciato restituzione sulla base di un titolo diverso da quello invocato dalla parte.
Il secondo motivo è pressochè identico, posto che denuncia il medesimo vizio, ossia violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., non in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, come nel primo motivo, ma con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Dunque, i due motivi possono esaminarsi insieme, e sono infondati.
La tesi della ricorrente è che, avendo l’appellante domandato restituzione come conseguenza della risoluzione per inadempimento, non poteva pronunciarsi restituzione come conseguenza della risoluzione consensuale.
Questa tesi è infondata per due ragioni.
Intanto, non viola il principio della corrispondenza tra chiesto e giudicato la decisione che accolga la domanda di restituzione quale conseguenza del rilievo d’ufficio della avvenuta risoluzione consensuale, quando la restituzione sia stata chiesta invece quale conseguenza della risoluzione per inadempimento (Cass. 715/2018 in un caso in cui, chiesta la restituzione per risoluzione da inadempimento, essa era stata disposta quale conseguenza della nullità rilevata d’ufficio).
Infatti, il venir meno del titolo, quale che ne sia la causa (risoluzione, annullamento ecc.), rende indebita la prestazione effettuata in base ad esso ed, una volta che ne sia stata chiesta la restituzione, non rileva la ragione per la quale quel pagamento è diventato indebito, potendo l’effetto restitutorio seguire all’accertamento d’ufficio di altra causa risoluzione. Ciò si spiega considerando che l’effetto restitutorio identico, quale che sia la causa che ha comportato la caducazione del titolo; altra è infatti la diversità di cause che possono produrre la caducazione del titolo, e che sono necessarie a specificare la domanda ed a differenziarla (risoluzione per inadempimento o per mutuo consenso, ecc.), altra è la causa dell’effetto restitutorio che è nella caducazione stessa del titolo, che consiste in un effetto identico quale che sia la causa (non cambia l’effetto della risoluzione se la causa è l’inadempimento anzichè il mutuo consenso) in base al quale il pagamento era stato effettuato, con la conseguenza che la pronuncia che ordina la restituzione ha come ragione la caducazione del titolo, ossia un fatto che produce identici effetti quale che ne sia la sua ragione; la restituzione, sempre che vi sia domanda, è pronunciata per via della mera caducazione del titolo che aveva sorretto il pagamento.
Il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 5600,00 euro, oltre 200 00 Euro di spese generali. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Roma 2 marzo 2021