Ordinanza 13519/2022
Efficacia probatoria delle riproduzioni fotografiche – Disconoscimento delle fotografie
In tema di efficacia probatoria delle riproduzioni fotografiche, il disconoscimento delle fotografie non produce gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall’art. 215, secondo comma, c.p.c., perché mentre questo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l’utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 29-4-2022, n. 13519 (CED Cassazione 2022)
Art. 215 cpc (Riconoscimento tacito scrittura privata) – Giurisprudenza
Art. 2712 cc (Riproduzioni meccaniche) – Giurisprudenza
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FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) e (OMISSIS) citavano in giudizio (OMISSIS) S.r.L., in persona del suo rappresentante legale p.t., (OMISSIS), e (OMISSIS), in proprio, per sentirli condannare, secondo i rispettivi titoli di responsabilità, al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, derivanti dal furto perpetrato da ignoti nella notte tra il (OMISSIS), utilizzando i ponteggi installati dalla (OMISSIS) S.r.L. nel corso dei lavori di ristrutturazione di un immobile di proprietà di quest’ultima. Deducevano altresì che la (OMISSIS) S.r.L. aveva violato l’obbligo contrattualmente assunto di provvedere alla stipulazione di un contratto di assicurazione all risk preordinato alla copertura di ogni danno a terzi verificatosi durante la realizzazione delle opere di ristrutturazione.
Il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 434/2012, condannava la (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido, a risarcire i danni subiti dalle attrici, mediante il pagamento dell’importo di Euro 35.000,00, dopo aver ravvisato che anche le istanti avevano tenuto un comportamento contrario a quello dell’uomo medio e alla diligenza del buon padre di famiglia, perchè avevano lasciato nella villa disabitata, risultata priva di impianto di antifurto e/o di porte o finestre blindate o di inferriate e cancelli di sicurezza, beni di ingente valore e che nel contratto preliminare di vendita alla (OMISSIS) l’obbligo assicurativo imposto alla promissaria acquirente non era stato esteso- nè ne era stata pretesa la estensione – alla copertura dei danni derivanti da furto e da atti dolosi di terzi.
La decisione veniva impugnata dalla società (OMISSIS) e da (OMISSIS), dinanzi alla Corte d’Appello di Firenze, la quale, a seguito di riassunzione del giudizio – dopo l’interruzione per morte di (OMISSIS) e di (OMISSIS) – da parte di (OMISSIS) e di (OMISSIS), eredi di (OMISSIS), e, la prima, anche rappresentante legale della (OMISSIS) S.r.L., con la sentenza n. 2210-2019, oggetto dell’odierno ricorso, rigettava l’appello e confermava la pronuncia di prime cure.
La decisione, in particolare, riteneva dimostrato che il furto di arredi e pezzi di antiquariato di grosse dimensioni era stato agevolato dalla apposizione dei ponteggi e dalla rimozione dei cancelli all’ingresso del piazzale antistante la villa in cui era avvenuto il furto, senza l’adozione, da parte della (OMISSIS) di alcuna cautela. La (OMISSIS) S.r.L. e il suo rappresentante del cantiere, venivano, quindi ritenuti in solido responsabili, ex art. 2043 c.c., dei danni subiti dalle appellate.
(OMISSIS), (OMISSIS) e la società (OMISSIS) ricorrono per la cassazione di detta pronuncia, formulando tre motivi.
Resiste con controricorso (OMISSIS).
La causa è stata trattata in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.
Il Pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo le ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod.proc.civ., per omessa pronuncia sul primo motivo di appello inerente la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod.civ., con cui, più precisamente, veniva lamentato che le asserite danneggiate non avessero fornito alcuna prova dei fatti addotti a fondamento della domanda.
In primo luogo, si rileva che le ricorrenti non hanno soddisfatto le prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, perchè si sono limitate ad elencare gli atti processuali menzionati nel motivo di ricorso, allegandoli a quest’ultimo, attribuendo a questa Corte il compito di reperirli autonomamente.
Tale modalità di soddisfacimento delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 non è in sintonia con l’orientamento consolidato di questa Corte, la quale ritiene che affinchè possa utilmente dedursi un vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente e inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronuncia si sia resa necessaria e ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificare, in primis, la ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere a una loro autonoma ricerca, ma solo a una verifica degli stessi (cfr., tra le decisioni massimate più recenti, Cass. 14/10/2021, n. 28072).
A tanto si deve aggiungere un ulteriore rilievo di inammissibilità: invero, poichè per dedurre che il giudice di appello abbia omesso di esaminare e decidere su un motivo di appello si deve identificare tale motivo, una volta che si consideri che ogni motivo di appello si deve necessariamente relazionare alla motivazione della sentenza di primo grado impugnata, concretandosi in una critica ad essa, la censura delle ricorrenti avrebbe dovuto correlarsi – pena l’assoluta genericità del motivo – al contenuto della sentenza di prime cure nella parte oggetto di critica. Il difetto di conoscenza del contenuto della statuizione di primo grado impugnata risulta, poi, irreparabile, se si considera che l’onere di pronuncia della Corte territoriale si correlava a sua volta necessariamente al modo in cui i motivi di appello si rapportavano alla sentenza di primo grado.
In secondo luogo, nel caso di specie, la indicazione specifica del contenuto del motivo di appello si rendeva ancora più necessaria, in considerazione: a) del fatto che la Corte d’Appello, dopo aver sintetizzato il contenuto dei motivi di impugnazione – il primo, con cui era stato dedotto che le attrici non avevano fornito alcuna prova dei fatti addotti a fondamento della domanda sia in punto di an sia di quantum e che avevano cambiato versione dei fatti in corso di causa, allegando inizialmente che il furto era stato realizzato con l’utilizzo dei ponteggi e successivamente che i ladri si erano giovati della demolizione del pilastro in cemento dei cancelli pedonale e carrabile all’ingresso della villa, il secondo, che denunciava il diritto di rimuovere il cancello e comunque il fatto che non erano state diminuite le protezioni della villa, perchè il cancello era stato sostituito da una recinzione metallica della medesima altezza munita di lucchetti, il terzo che faceva riferimento al disconoscimento delle fotografie poste a fondamento dei fatti di causa, l’ultimo con cui veniva censurata la mancanza di motivazione in ordine alla corresponsabilità in proprio di (OMISSIS) – li ha esaminati sì congiuntamente, ma, contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti, si è pronunciata anche sul motivo di appello inerente al mancato assolvimento dell’onere della prova da parte delle danneggiate, con la seguente motivazione: “considerato che risultano provati tanto la rimozione del cancello principale che l’apposizione di ponteggi, elementi di per sè idonei ad agevolare le condotti criminose e dunque fonti della responsabilità extracontrattuale invocata”; 2) del fatto che la controversia risulta incentrata – sin dal primo grado per la parte riferita- sulle modalità di commissione del furto e non già sul furto come fatto storico; 3) del fatto che dalla sentenza impugnata, specificamente dalle pp. 2 4, si evince che gli odierni ricorrenti avevano chiesto l’ammissione di prova per testi allo scopo di provare, tra l’altro, che, in data (OMISSIS), all’aperura del cantiere avevano constato che la catena del cancello di accesso era stata tagliata, che la finestra a piano terra era forzata ed aperta, che la porta finestra a piano terra presentava segni di tentato scasso, che la porta finestra sul terrazzo del primo piano non presentava segni di effrazione.
Nella sostanza, il comportamento processuale dei ricorrenti, allora appellanti, risultava orientato non già a contestare che il furto fosse avvenuto, ma a denunciare che esso fosse avvenuto con modalità che escludevano la loro corresponsabilità.
Tanto considerato, gli elementi in possesso di questa Corte inducono ad escludere che il Giudice d’Appello abbia omesso di pronunciarsi sul motivo di gravame, dovendosi ritenere che abbia tutt’al più implicitamente rigettato il motivo di appello nella parte in cui sarebbe stato asseritamente denunciato il difetto di prova che il furto si fosse verificato. Il fatto che la Corte territoriale si sia concentrata sulla prova delle modalità di perpetrazione del furto risulta incompatibile con l’accoglimento del motivo di appello basato sulla contestazione che il furto avesse avuto luogo, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto. Verificatasi tale ipotesi, le ricorrenti non avrebbero dovuto lamentare l’omessa pronuncia e quindi la violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì l’eventuale violazione di legge e/o difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione (Cass. 06/11/2020, n. 24953).
2) Con il secondo motivo le ricorrenti imputano alla sentenza gravata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in combinato disposto con gli artt. 2043 e 2712 c.c. e art. 215 c.p.c., comma 1, n. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere ritenuto provati i fatti posti a fondamento della domanda, pur essendo gli stessi del tutto sguarniti di prova e per aver ritenuto provate le modalità di perpetrazione del furto sulla base delle foto prodotte in atti, nonostante esse fossero state disconosciute nelle forme e nei termini di rito, con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5, e nonostante la prova contraria risultante dalle fotografie da loro prodotte e non contestate da parte avversa nei modi, forme e termini di rito.
Le argomentazioni delle ricorrenti non scalfiscono la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che il disconoscimento effettuato in data 18.10.2006 della produzione fotografica di parte avversa era stato generico e non un rituale disconoscimento nelle forme di rito al quale soltanto si applicano le norme del codice di procedura civile.
Le ricorrenti confermano quanto statuito dalla Corte territoriale; sostengono a p. 17 del ricorso, che le fotografie nn. 13-23, allegate al verbale dell’udienza del 18/10/2006 furono contestate immediatamente in maniera, “riservandosi di controdedurre nei termini di rito” ed aggiungono e che nell’udienza successiva, quella del 17.11.2006, cioè nella prima difesa utile, con la memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 5, sarebbe stata presa posizione specifica e dettagliata sulle fotografie, disconoscendole specificamente, ex art. 215 c.p.c., comma 1, n. 2. Di tale contestazione la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto, e lo stesso avrebbe fatto con le foto scattate sul luogo dell’asserito furto in data (OMISSIS), non contestate da controparte, da cui sarebbe stato possibile evincere che gli infissi della villa erano in modesto stato di conservazione, che la porta finestra sul terrazzo al primo piano non presentava segni di effrazione, che il cancello non era stato rimosso e che quindi il furto, seppure avvenuto, non lo era stato nelle modalità descritte.
Il motivo non può accogliersi.
Le ricorrenti non hanno dimostrato la conducenza della censura mossa alla sentenza impugnata, nel senso che il disconoscimento delle fotografie non inficia gli accertamenti fattuali su cui si basa la decisione impugnata.
Le ricorrenti, infatti, invocano infondatamente l’art. 215 c.p.c., il quale non trova applicazione nella fattispecie per cui è causa, giacchè il disconoscimento della produzione fotografica non avrebbe fatto perdere alla medesima ogni efficacia probatoria. L’eventuale disconoscimento, in atri termini, non avrebbe impedito al giudice di valutare liberamente l’efficacia probatoria delle fotografie, perchè il disconoscimento della fotografia non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall’art. 215 c.p.c., comma 2, in quanto mentre questo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l’utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. 17/02/2015, n. 3122).
Del resto, tanto il Tribunale quanto la Corte d’Appello hanno, sulla scorta dell’istruttoria espletata, ritenuto che il furto si era verificato “verosimilmente” tramite l’introduzione, agevolata ponteggi, al piano superiore, togliendo una catena apposta alla finestra del primo piano e che attraverso quest’ultima i ladri avevano calato i mobili che poi avevano caricato su un camion, approfittando della recinzione metallica che aveva sostituito, non importa se in tutto o in parte, l’originario cancello – visto che le ricorrenti ammettono che nel cantiere transitavano mezzi pesanti – a prescindere dalla titolarità del diritto di proprietà sul cancello e quindi dal diritto dei ricorrenti di rimuoverlo.
Le ricorrenti insistono, nel tentativo, già rivelatosi infruttuoso nei due giudizi di merito, di ottenere, attraverso la denuncia della violazione degli artt. 2712 e art. 215 c.p.c., comma 2, un nuovo accertamento fattuale, senza inficiare il ragionamento presuntivo di cui i giudici di merito si sono avvalsi per considerare dimostrata la dinamica del furto e, quindi, per ritenere che la rete metallica in luogo dell’originario cancello e la presenza di ponteggi, omettendo ogni altra cautela, in concorso con la negligenza delle proprietarie della villa, avessero agevolato la commissione del furto.
La violazione dell’art. 2697 c.c. può essere dedotta solo denunciando che la Corte d’Appello abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni. Viceversa, allorquando il motivo deducente la violazione del paradigma dell’art. 2697 c.c. non risulti argomentato in questi termini, ma solo con la postulazione (erronea) che la valutazione delle risultanze probatorie abbia condotto ad un esito non corretto, il motivo stesso è inammissibile come motivo in iure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (se si considera l’art. 2697 c.c. norma processuale) e ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (se si considera l’art. 2697 c.c. norma sostanziale, sulla base della vecchia idea dell’essere le norme sulle prove norma sostanziali) e, nel regime dell’art. 360, n. 5 oggi vigente, si risolve in un surrettizio tentativo di postulare il controllo della valutazione delle prove oggi vietato ai sensi di quella norma: (Cass., Sez. Un., 0570/2016, n. 16598).
La violazione dell’art. 2043 c.c. è stata indicata nell’epigrafe del motivo, ma non è stata coltivata.
3) Con il terzo motivo le ricorrenti denunciano l’omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, rappresentato dalle contestazioni e dai rilievi nei confronti delle fotografie prodotte da parta avversa.
Il motivo non può trovare accoglimento.
Anche a non considerare la preclusione processuale di cui all’art. 348 ter, u.c. in cui sono incorse le ricorrenti deducendo la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 in presenza di una doppia decisione conforme sulle stesse questioni di fatto, deve tenersi conto che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, esso non può essere utilizzato per lamentare l’omesso esame di elementi istruttori, qualora il fatto storico, rilevante in causa, da intendersi come un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, sia stato, come in questo caso, comunque preso in considerazione dal giudice. Per di più, le ricorrenti non hanno neppure fornito argomenti idonei a dimostrare che i fatti asseritamente omessi avrebbero portato, se esaminati, la Corte d’Appello ad adottare una decisione diversa – il fatto omesso deve essere decisivo, nel senso che il suo omesso esame deve essere causa della decisione che sarebbe stata, per contro, diversa, ove il fatto fosse stato esaminato – essendosi le stesse limitate a prospettare una spiegazione dei fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, pur in possibile o probabile corrispondenza alla realtà fattuale, poichè è necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile. (Cass. 23/12/2015, n. 25927).
4) Il ricorso è, dunque, inammissibile.
5) Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
6) Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico delle ricorrenti l’obbligo di pagare il doppio contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23/03/2022.