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Cassazione Civile 13528/2023 – Cessazione del rapporto di agenzia – Diritto dell’agente uscente di disporre del portafoglio clienti dell’agenzia – Esclusione 

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Ordinanza 13528/2023

Cessazione del rapporto di agenzia – Diritto dell’agente uscente di disporre del portafoglio clienti dell’agenzia – Esclusione

Alla cessazione del rapporto di agenzia, l’agente uscente non ha diritto di disporre del portafoglio clienti dell’agenzia, di cui è titolare l’impresa preponente, avendo egli solo diritto al trattamento previsto dalla contrattazione collettiva in relazione allo scioglimento del contratto, in parte commisurato all’incremento da lui apportato al portafoglio.

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 17-5-2023, n. 13528   (CED Cassazione 2023)

Art. 1748 cc (Provvigione dell’agente)

 

 

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 29.12.2017, il Tribunale di Pesaro, in parziale
accoglimento del ricorso proposto dall’attrice (OMISSIS) nei
confronti della (OMISSIS) s.p.a., condannava la banca resistente al
pagamento, in favore della ricorrente, della somma di € 14.586,63,
oltre accessori di legge e spese di lite.

2. Il primo giudice perveniva al suindicato importo oggetto di
condanna, perché riconosceva il diritto dell’istante a percepire €
17.000,00 a titolo di provvigioni ordinarie, calcolate secondo criteri
equitativi, nonché € 9.851,85 a titolo di indennità suppletiva di
clientela, detraendo però la somma di € 12.265,22, pari all’ammontare
dell’indennità di mancato preavviso spettante alla convenuta per le
dimissioni rassegnate dalla promotrice finanziaria/agente, in ritenuta
assenza di giusta causa (la somma suddetta, a titolo d’indennità di
mancato preavviso, a sua volta, già decurtata dell’importo di €
2.417,43, ritenuto dovuto alla promotrice finanziaria/agente per
provvigioni rimaste insolute).

3. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di
Ancona rigettava l’appello principale della (OMISSIS) avverso la sentenza
di primo grado ed accoglieva, invece, l’appello incidentale della (OMISSIS)
e, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava che la (OMISSIS) aveva
diritto a percepire dalla (OMISSIS) s.p.a. solo la somma di €
2.417,65 a titolo di provvigioni non corrisposte alla data di cessazione
del rapporto; dichiarava che (OMISSIS) s.p.a. aveva diritto a
percepire dalla (OMISSIS) l’indennità di mancato preavviso nella misura
di € 14.682,65; per l’effetto, condannava la (OMISSIS) al pagamento, in
favore della (OMISSIS) s.p.a., della somma di € 12.265,22, oltre
accessori di legge; condannava l’appellante principale al pagamento
delle spese del doppio grado di giudizio, come liquidate per ogni grado,
e poneva a suo carico il c.d. raddoppio del contributo unificato.

3. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale riteneva che gli
elementi acquisiti agli atti di causa conducevano ad escludere la giusta
causa posta a base delle dimissioni rassegnate nel settembre 2013
dalla promotrice finanziaria, perché non era solo il profilo
dell’intempestività delle dimissioni evidenziato dal primo giudice a
incidere sulla disciplina della fattispecie, ma era l’intera vicenda
contrattuale intercorsa tra le parti, ed esaminata nel suo complesso, a
condurre ad una valutazione di insussistenza del dedotto
inadempimento della preponente, nella gestione del portafoglio
(OMISSIS) s.p.a. In base a diffusa motivazione, concludeva, quindi,
che l’insussistenza della giusta causa di dimissioni della promotrice
costituiva ragione assorbente del diniego di spettanza alla stessa delle
indennità previste e disciplinate dall’art. 1751 c.c. e nel contempo titolo
di spettanza alla preponente non recedente dell’indennità di mancato
preavviso, e che, inoltre, l’indagine sulle pretese risarcitorie avanzate
dalla ricorrente, in relazione all’asserito contegno illecito della
convenuta, restava assorbita dalla declaratoria di insussistenza
dell’inadempimento notevole da parte della preponente e
dall’accertamento del difetto di giusta causa a base delle dimissioni
della promotrice.

4. Avverso tale sentenza (OMISSIS) proponeva ricorso per
cassazione, affidato a nove motivi.

5. Ha resistito la (OMISSIS) s.p.a. con controricorso e
successiva memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente, ai sensi dell’art. 360, comma
1, n. 3), c.p.c., denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’art.
113, primo comma, cpc e dell’art. 115, secondo comma, cpc in
relazione all’art. 31, secondo comma, del Decreto Legislativo n. 58 del
1998”. Censura la parte di motivazione dell’impugnata sentenza (tra
la facciata 5 e quella 7), che si chiude con l’affermazione che <la
“promessa” di (OMISSIS) s.p.a., di ricostituire al più presto nella
disponibilità dell’originaria ricorrente il portafoglio degli investitori nel
prodotto , onde includerlo nella raccolta utile ai fini del
calcolo delle provvigioni, poteva far sorgere in capo alla predetta
null’altro che la mera aspettativa di fatto di conseguire “per vie
traverse” un risultato non già tutelato dall’Ordinamento Giuridico, bensì
tendenzialmente scoraggiato attraverso la normativa innanzi
richiamata>. Per l’impugnante, tale capo della sentenza <confonde e
sovrappone le questioni relative al vincolo del “monomandato” di cui
all’art. 31 del d.lgs. 58/08 con la diversa questione della “titolarità del
portafoglio” dopo la cessazione del rapporto tra agente e preponente,
pacificamente ricorrente nel caso di specie>. E, sempre secondo la
ricorrente, a causa di tale errore, la Corte d’appello <ha espresso un
grave ed infondato giudizio di disvalore sul comportamento della
(OMISSIS) – in quanto avrebbe cercato di raggiungere addirittura … “per
vie traverse” un risultato non già tutelato dall’Ordinamento Giuridico”
– che ha inficiato l’intero procedimento, anche nella valutazione dei
mezzi istruttori richiesti>.

2. Con un secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma
1, n. 5) c.p.c., l’ “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che
è stato oggetto di discussione tra le parti”. Censura la parte di
motivazione in cui la Corte territoriale aveva ritenuto “invalicabile
l’ostacolo rappresentato dall’assoluta carenza in seno al ricorso di
primo grado, di sia pur minime allegazioni in ordine agli elementi
costitutivi del credito azionato (in specie, i singoli affari inerenti al
prodotto s.p.a. concluso grazie dall’intervento della
promotrice)”. Secondo la ricorrente, le prove dalla stessa esposte e non
esaminate offrivano la dimostrazione di “circostanze che avrebbero
dovuto essere oggetto di esame in quanto di tale portata da invalidare,
con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, il convincimento
del giudizio di merito, di modo che esso risulta privo di fondamento”.

3. Con un terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4),
c.p.c., denuncia la “violazione dell’art. 115 c.p.c.”. Ivi, in subordine
rispetto alla censura di cui al secondo motivo, la ricorrente addebita
alla Corte di appello di essere incorsa in un errore di percezione – dato
che l’identificazione dei contratti conclusi è un errore che cade sulla
ricognizione del contenuto oggettivo della prova, ovvero sul
demonstratum e non sul demonstrandum – che verte su una
circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti.

4. Con un quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3),
c.p.c. denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’art. 1749 e 2697
c.c.”. Richiamate le istanze istruttorie avanzate nel ricorso introduttivo
del giudizio, e specificato come fossero state motivate, la ricorrente
censura la parte di motivazione in cui la Corte territoriale ha scritto:
“D’altro canto, l’art. 1749 c.c., nel sancire al terzo comma che l’agente
ha diritto di esigere che gli siano fornite tutte le informazioni necessarie
per verificare l’importo delle provvigioni liquidate ed in particolare un
estratto dei libri contabili, evidentemente fa riferimento ad una facoltà
da esercitarsi in via stragiudiziale, ma non può certo essere
interpretato nel senso di consentire all’agente l’esperimento di azioni
giudiziali in via meramente esplorativa”. Ivi si duole anche del punto in
cui la Corte ha ritenuto che “non vi sono elementi per sostenere
l’inadempimento, per giunta di non scarsa importanza, della
preponente agli obblighi contrattualmente assunti (…) in assenza di
rendiconti o documenti che era onere di questa redigere e offrire in
prova”. Secondo la ricorrente tali affermazioni sarebbero errate,
segnatamente quella che l’art. 1749 c.c. “fa riferimento ad una facoltà
da esercitarsi in via stragiudiziale”.

5. Con un quinto motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3),
c.p.c., denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’art. 1748 c.c.”.
Si duole di altra parte della motivazione della sentenza gravata (alle
facciate 7-8 della stessa), assumendo che la Corte non avrebbe
“valutato i fatti e le istanze istruttorie sopra descritte conformemente
ai principi dell’art. 1748 c.c.”, e che “Nessuna norma del codice civile
condiziona, infatti, il diritto dell’agente alla provvigione al fatto che il
prodotto collocato sia espressamente indicato nella fonte regolatrice
del rapporto (l’art. 1742 c.c. infatti prevede la forma scritta solo per la
prova sul contratto di agenzia)”.

6. Con un sesto motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3),
c.p.c., denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 1749 e 1375
c.c., nonché degli artt. 1358, 1359 e 1356 c.c.”. Ivi censura il
medesimo capo di sentenza oggetto del quinto motivo, per aver la
Corte d’appello “ritenuto che l’omesso inserimento nell’allegato A del
prodotto fosse conforme a diritto e buona fede in
considerazione del contenuto dell’articolo 3.3. del contratto di agenzia
che consentiva alla preponente di modificare, eliminare o introdurre sia
il numero che le caratteristiche dei prodotti finanziari, senza preavviso
o motivazione”, senza considerare una serie di aspetti in sostenuta
violazione delle norme su indicate.

7. Con un settimo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5),
c.p.c., denuncia l’ “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio
che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Premettendosi che “la
presenza di precise istruzioni da parte di (OMISSIS) sul trasferimento del
prodotto spa” era “stata trattata ai punti 8.9 e 10 di
pag. 7 del ricorso ex art. 414 cpc e a pagg. 15 e 16 del ricorso in
appello”, si addebita in questo caso alla Corte distrettuale che la
relativa “questione è stata poi del tutto pretermessa in sede di
motivazione”.

8. Con un ottavo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4),
c.p.c. denuncia la “violazione dell’art. 112 c.p.c.”. Ivi, in subordine
rispetto al motivo immediatamente precedente, viene censurato il
medesimo punto della sentenza, assumendosi che l’esistenza di
specifiche istruzioni e il percepimento di commissioni da parte di
(OMISSIS) grazie all’attività della (OMISSIS) è stata dedotta anche come un
elemento costitutivo della domanda in relazione all’art. 1746 c.c. e
2043 e 2041 c.c. e che a riguardo sia stata completamente omessa una
decisione.

9. Con il nono motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c.,
denuncia l’ “omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di
discussione tra le parti”. Deduce la ricorrente di aver dedotto nel ricorso
introduttivo che: “A maggio del 2011 ancora non era possibile fornire
alla promotrice una adeguata rendicontazione in quanto alle polizze
trasferite era stato attribuito un codice promotore finanziario non
veritiero”, e che “ciò risultava anche dagli estratti conto recuperati dai
clienti che riportavano “(OMISSIS)” intermediario ma un “codice
promotore 41532”, mentre la (OMISSIS) aveva pacificamente il “codice
6188”.

10. Il primo motivo di ricorso è infondato.

11. Nella parte di motivazione attinta da tale censura la Corte
territoriale non ha certamente violato l’art. 113, primo comma, c.p.c.,
a termini del quale il giudice è tenuto a pronunciarsi secondo diritto;
né si è avvalsa della propria scienza privata oppure ha formato il
proprio convincimento in base ad elementi non acquisiti al processo, in
violazione dell’art. 115 c.p.c., come invece asserisce la ricorrente.

Al contrario, la Corte ha premesso che la domanda della ricorrente
era “diretta a conseguire i trattamenti provvigionali ed i bonus maturati
in costanza di rapporto con specifico riferimento al prodotto finanziario
denominato “ s.p.a.”, di cui è pacifica la provenienza
dal portafoglio di Banca Network Investimenti S.p.a., a seguito di
reclutamento di promotori, condotta da (OMISSIS) S.p.a. nel
2008, che vide, tra gli altri, (OMISSIS) transitare da una all’altra
Società di intermediazione finanziaria”.

Ha, poi, considerato pacifica la circostanza “che nel marzo 2008 il
rapporto tra le parti ebbe origine proprio in virtù della promessa della
Società convenuta di acquisire a sé il prodotto S.p.a.,
già appartenente a Banca Network S.p.a., presso cui all’epoca lavorava
la ricorrente, in modo da “trascinare” presso (OMISSIS) S.p.a. il
portafoglio dei clienti che avevano acquistato detto prodotto per il
tramite di Banca Network Investimenti S.p.a. Il successo di siffatta
operazione non avrebbe potuto prescindere dalla formale convenzione
tra la Società-prodotto S.p.a. e la Società di
Intermediazione (OMISSIS) s.p.a., avente ad oggetto l’offerta
alla prima, da parte della seconda di quei servizi di investimento che
fino ad allora erano stati forniti da Banca Network attraverso l’attività
di promozione della ricorrente”.

La Corte di merito, perciò, risulta essersi avvalsa di specifiche
risultanze del processo, corrispondenti peraltro a quanto prospettato
dalla stessa attrice nel ricorso introduttivo, secondo la quale la cennata
promessa riguardava la stipula di “apposita convenzione” tra (OMISSIS)
s.p.a. e s.p.a., che di fatto intervenne “solo nel
febbraio 2010” (cfr. facciate 1, 2 e 3 dell’impugnata sentenza), vale a
dire, poco meno di 2 anni dopo la conclusione del contratto di agenzia
inter partes in data 11.3.2008.

12. Incensurabilmente, perciò, la Corte territoriale ha tratto la
conclusione che, prima che intervenisse tale convenzione tra (OMISSIS)
ed , la “promessa” della prima, ossia, quella che
diventò la nuova società d’intermediazione finanziaria (in luogo della
Banca Network Investimenti) per i prodotti della seconda società
(appunto c.d. Società-prodotto) inducesse una mera aspettativa di
fatto della (OMISSIS), già promotrice finanziaria per conto della
precedente società d’intermediazione per quei prodotti, di riottenere il
relativo portafoglio, onde includerlo nella raccolta utile ai fini del calcolo
delle provvigioni ma nel suo rapporto di agenzia con (OMISSIS).

13. Né la stessa Corte ha violato l’art. 31, comma 2, d.lgs. n.
58/1998.

Nel giungere alla conclusione suddetta, infatti, la Corte territoriale
ha sì tratto argomento anche da tale previsione, che nel testo vigente
ratione temporis (vale a dire, dopo le modifiche ad opera dell’art. 6,
comma 2, d.lgs. n. 164/2007), recitava al secondo periodo: “L’attività
di promotore finanziario è svolta esclusivamente nell’interesse di un
solo soggetto”. Ma si è riferita nella stessa chiave anche all’art. 1751
c.c.

Rispetto, infatti, al promotore finanziario (poi divenuto consulente
finanziario) che svolgeva tale attività fuori sede in veste di agente,
come nel caso di specie (sarebbero state praticabili in alternativa le
forme del lavoro subordinato o del mandato: cfr. sempre il comma 2
dell’art. 31 d.lgs. n. 58/1998 al primo periodo, nel testo vigente
all’epoca), l’incarico allo stesso si configurava appunto quale c.d.
“monomandato”, come rilevato dalla Corte d’appello.

Quest’ultima, allora, ha condivisibilmente osservato “che il
portafoglio clienti gestito dal promotore finanziario presso la casa
madre non rappresenta, alla cessazione del mandato, una ricchezza
definitivamente acquisita al patrimonio del primo, di cui egli possa
disporre a proprio piacimento, poiché la collocazione presso il cliente di
un prodotto finanziario è fatta dal promotore, in costanza di mandato,
pur sempre nell’interesse e per conto della Società di Intermediazione,
così come i prodotti finanziari da introdurre nel mercato sono offerti
dalle cc. dd. “Società prodotto” in virtù di un accordo stipulato tra
queste ultime e la Società di Intermediazione, la quale si offre di
collocarlo, direttamente (in sede) o attraverso la propria rete di
promotori, dietro pagamento di commissioni, di cui una parte è
trattenuta dall’Intermediario ed una parte è versata alla rete dei
promotori sotto forma di provvigioni”.

Anche questa Corte, infatti, ha ritenuto che alla cessazione del
rapporto di agenzia, l’agente uscente non ha diritto di disporre del
portafoglio clienti dell’agenzia, di cui è titolare l’impresa preponente,
avendo egli solo diritto al trattamento previsto dalla contrattazione
collettiva in relazione allo scioglimento del contratto, in parte
commisurato all’incremento da lui apportato al portafoglio (così Cass.
civ., sez. lav., 24.1.2006, n. 1286).

13. Esaminando ancora le varie censure in rapporto all’ordine
motivazionale della Corte distrettuale, devono essere disattesi anche il
quinto ed il sesto motivo di ricorso.

14. La Corte di merito, infatti, ha ritenuto superfluo “qualsiasi
approfondimento istruttorio in ordine all’effettività ed ai precisi
contenuti dell’impegno di cui si discute” (ossia, della c.d. promessa di
cui s’è detto), “a dire della ricorrente assunto dai vertici aziendali della
Società convenuta, dal momento che, a mente dell’univoco tenore delle
clausole di cui agli artt. 3.3. e 3.4. del Contratto di Agenzia sottoscritto
dalle parti l’11 marzo 2008, il promotore avrebbe potuto promuovere
e collocare presso il pubblico, e per conto della Società, esclusivamente
i prodotti finanziari tassativamente indicati nell’Allegato A, la società
preponente sarebbe stata libera di decidere, nel corso del rapporto,
quali prodotti finanziari assegnare o togliere all’agente, ed altresì posto
che nell’Allegato A il prodotto S.p.a. non figura tra
quelli collocabili”.

La stessa Corte ha, poi, diffusamente motivato tale valutazione,
anche in relazione al contenuto letterale di parte dell’Allegato C al
contratto di agenzia (cfr. facciate 7-8 della sua sentenza).

La chiara ratio decidendi della Corte territoriale è in definitiva che
il portafoglio relativo al prodotto s.p.a. fosse rimasto
estraneo ai prodotti finanziari collocabili a cura della promotrice
finanziaria in veste di agente perché non contemplato nel contratto di
agenzia il cui oggetto era specificato in appositi allegati al relativo
testo.

E va da sé che il diritto dell’agente alle provvigioni ex art. 1748
c.c. può maturare solo in relazione a quanto già rientri nell’oggetto del
contratto.

15. Come si è visto, la Corte d’appello ha anche accertato che la
società preponente “sarebbe stata libera di decidere, nel corso del
rapporto, quali prodotti finanziari assegnare o togliere all’agente”.

La ricorrente assume che, in relazione alla convenzione tra Aviva
Previdenza s.p.a. e (OMISSIS) poi perfezionatasi il 10.2.2010, avrebbe
“eccepito che l’omesso inserimento del prodotto nell’Allegato A
costituiva grave violazione dei canoni di correttezza e buona fede,
applicabili pure a fronte dell’evenale esercizio di diritti potestativi
attribuiti alla preponente”.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel contratto di
agenzia, l’attribuzione al preponente del potere di modificare talune
clausole, e in particolare quella relativa al portafoglio clienti, può
trovare giustificazione nell’esigenza di meglio adeguare il rapporto alle
esigenze delle parti, così come tali esigenze possono mutare durante
il decorso del tempo, ma, perché non ne rimanga esclusa la forza
vincolante del contratto nei confronti di una delle parti contraenti, è
necessario che tale potere abbia dei limiti e in ogni caso sia esercitato
dal titolare con l’osservanza dei principi di correttezza e buona fede
(così Cass. civ., sez. lav., 2.7.2015, n. 13580; e in termini analoghi id.,
sez. II, 20.10.2021, n. 29164, in relazione a modifiche delle clausole
relative all’ambito territoriale ed alla misura delle provvigioni).

Non risulta, tuttavia, che l’attuale ricorrente per cassazione nei
gradi di merito avesse dedotto che tale omesso inserimento del
portafoglio in questione nell’Allegato A al contratto di agenzia sarebbe
stato nella specie contrario ai doveri di correttezza e buona fede; men
che meno risulta che ella avesse eccepito la nullità delle clausole
relative allo ius variandi a riguardo attribuito alla preponente, che
riconosce presenti nel contratto di agenzia agli artt. 3.3. e 3.4. (cfr.
pag. 36 del ricorso per cassazione), in quanto reputate integranti
condizione meramente potestativa, come attualmente sostenuto.

Secondo quanto riconosce, infatti, la stessa ricorrente (cfr. nota
19 a pag. 35 del ricorso) e ritenuto nell’impugnata sentenza (cfr. la
narrativa alla facciata 3), ella in sede d’appello si era limitata ad
evidenziare “l’errore del giudicante nel non rilevare che, dopo la stipula
della convenzione nel febbraio 2010, spettava a (OMISSIS) inserire i
prodotti S.p.a. nell’Allegato A”; così sembrando
profilare solo un obbligo della controparte a riguardo, obbligo escluso
dalla Corte territoriale appunto in base al potere di modificare o meno
le clausole in questione, attribuito alla preponente.
16. Pertanto, in particolare il sesto motivo di ricorso presenta
profili d’inammissibilità, ponendo ora in sede di legittimità questioni
giuridiche del tutto nuove in quanto non trattate nei gradi di merito.

17. Sempre seguendo il medesimo ordine di scrutinio dei motivi,
occorre esaminare il secondo ed il terzo motivo, che risultano
inammissibili.

Essi attingono anzitutto una ratio decidendi ulteriore e distinta,
presente nell’impugnata sentenza, che, come ivi esplicitato, attiene al
“piano fattuale”, sotto lo specifico aspetto del difetto di allegazione da
parte dell’attrice “dei singoli affari inerenti al prodotto
S.p.a., conclusi grazie all’intervento della promotrice”.

Si tratta, infatti, di una seconda ragione di rigetto dell’appello
principale della (OMISSIS) e, per contro, di accoglimento dell’appello
incidentale della (OMISSIS), essendosi visto che la stessa Corte aveva già
escluso che il c.d. prodotto rientrasse nell’oggetto del
mandato agenziale inter partes.

18. Ebbene, tale ratio decidendi aggiuntiva non è comunque
ammissibilmente aggredita dalla ricorrente in questa sede.

19. Giova ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno
insegnato che l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riformulato
dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n.
134, ammette la denuncia innanzi alla S.C. di un vizio attinente
all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui
esistenza provenga dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che
abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere
decisivo, con la necessaria conseguenza che è onere del ricorrente, ai
sensi degli artt. 366, comma 1, n. 6) e 369, comma 2, n. 4, cod. proc.
civ., indicare il fatto storico, il dato da cui esso risulti esistente, il come
ed il quando esso abbia formato oggetto di discussione tra le parti e la
sua decisività (così Cass. civ., sez. un., 30.7.2021, n. 21973).

20. Ebbene, quando la Corte territoriale ha ritenuto l’ “assoluta
carenza, in seno al ricorso di primo grado, di sia pur minime allegazioni
in ordine agli elementi costitutivi del credito azionato”, segnatamente
circa gli affari “conclusi grazie all’intervento della promotrice”, ha
chiaramente espresso un giudizio, neppure sulle prove offerte o
richieste dall’attrice, ma specificamente riferito al piano deduttivo, vale
a dire, circa i fatti sui quali si fondava tale domanda circa il prodotto

, come peraltro riconosce la stessa ricorrente (cfr.
pagg. 18-19 del suo ricorso).

Si è in presenza, perciò, di una precisa valutazione, che non può
essere censurata in questa sede con il mezzo di cui all’art. 360, comma
primo, n. 5), c.p.c., in quanto riguarda il contenuto e l’interpretazione
dell’atto introduttivo del giudizio.

E parimenti inammissibile è il terzo motivo che in relazione alla
stessa parte della sentenza prospetta un errore di percezione della
Corte d’appello, che sarebbe caduto sulla ricognizione del contenuto
oggettivo della prova, mentre la Corte d’appello aveva espresso un
giudizio sulla carente esposizione della causa petendi in fatto nel
ricorso introduttivo del giudizio con precipuo riferimento al credito
vantato per il ridetto prodotto .

21. Passando al quarto motivo di ricorso, in esso si trascura di
considerare che la Corte territoriale aveva anzitutto ritenuto
<inammissibile il sollecitato ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. di
tutta la documentazione in possesso della Società convenuta, relativa
al complesso “… delle operazioni e dei trasferimenti di prodotti Aviva
Previdenza S.p.a. poste in essere tra il 2008 e il 2014 …”>, richiamando
a riguardo l’orientamento espresso anche da Cass. n. 14968/2011, con
riferimento ad ordini di esibizione ex art. 210 c.p.c. volti a soddisfare
finalità meramente esplorative in relazione al rapporto di agenzia (cfr.
facciata 9 della sua sentenza).

Il passo motivazionale immediatamente successivo,
specificamente censurato dalla ricorrente, è comunque conforme alla
giurisprudenza di questa Corte.

Più in particolare, è stato deciso che, in materia di contratto di
agenzia, il diritto dell’agente di ricevere dal preponente le informazioni
previste dall’art. 1749 c.c. può sì essere fatto valere in giudizio in via
autonoma, a prescindere dall’azione giudiziale con cui si facciano valere
i diritti patrimoniali cui esso è strumentale, restando viceversa
assorbito dalle regole sull’istruzione probatoria quando tale azione sia
già iniziata (così Cass. civ., sez. lav., 10.8.2018, n. 20707), come nel
caso che ci occupa. Inoltre, pur in considerazione di quanto previsto
dall’art. 1749 c.c., si è ritenuto che istanze di esibizione in giudizio, da
parte dell’agente, non possano rivestire finalità meramente esplorative
(cfr. nella motivazione Cass. n. 20707/2018 ora cit., nonché id. n.
14968/2011 cit. dalla Corte territoriale).

Pertanto, incensurabilmente la Corte d’appello ha reputato
inammissibile l’istanza di esibizione dell’appellante che ha giudicato
appunto esplorativa, senza violare l’art. 1749 c.c. che, di per sé, non
imponeva l’accoglimento di tale istanza, da valutare secondo le regole
sull’istruzione probatoria.
22. Rispetto ai principi richiamati al precedente § 19 di questa
motivazione, risultano inammissibili il settimo ed il nono motivo di
ricorso.

In ordine, infatti, alla presenza di precise istruzioni che la
ricorrente assume di aver ricevuto da parte di (OMISSIS) sul trasferimento
del prodotto , non viene chiarito in qualche chiave tale
circostanza sarebbe decisiva per il giudizio, né come e quando sarebbe
stata oggetto di discussione tra le parti.

Ciò che si assume non considerato, poi, nel nono motivo di ricorso,
non rappresenta un fatto storico, principale o secondario, ma
costituisce piuttosto una questione, come del resto ammesso dalla
ricorrente nello sviluppo di tale ultima censura.

23. È infine inammissibile anche l’ottavo motivo.
Secondo questa Corte, infatti, il vizio di omessa pronuncia che
determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.,
ed è rilevante a fini di cui all’art. 360, n. 4 stesso codice, si configura
esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che
richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto (cfr. Cass., sez.
un., 18.12.2001, n. 15982).

Quello che la ricorrente, invece, assume non essere stato deciso
dalla Corte di merito integrava, secondo quanto dalla stessa dedotto,
solo uno degli elementi costitutivi della sua domanda.

24. La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata
al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo
giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al
versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari
a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento,
in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità,
che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 4.000,00 per compensi, oltre
rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e
C.P.A. come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis,
dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 20.4.2023.