Sentenza 13537/2011
Contratto per persona da nominare – Electio amici – Potere – Spettanza al solo soggetto che si è riservato tale facoltà
Il contratto per persona da nominare è destinato a produrre effetti tra le parti originarie non solo in caso di mancata dichiarazione di nomina, ma anche quando questa non venga validamente compiuta entro il termine convenuto, ovvero quando l'”electio amici” sia inefficace per difetto di adesione o per mancanza di pregressa valida procura da parte dell’eletto; peraltro, l’unico soggetto legittimato ad effettuare l’indicazione è colui il quale si sia riservato tale facoltà nel contratto stesso, mentre l’altro contraente, fino a quando non abbia notizia della dichiarazione di nomina e della relativa accettazione, non ha nessun rapporto con il soggetto nominato.
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 20-6-2011, n. 13537 (CED Cassazione 2011)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 15.2.99 (OMISSIS) spa conveniva in giudizio davanti al tribunale di Pordenone Pi. Fr. esponendo che il 18.11.1987 Ca. Ro. Lu., quale mandataria di Ro. Lu. Am., Gi. Pr. e Ca. An., aveva stipulato atto di compravendita impropriamente definito preliminare con D.Ag. En. cedendo alcune realità immobiliari in Rovereto in Piano, foglio (OMISSIS) mappali (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per L. 122.000.000 di cui 60.000.000 versate.
Il saldo andava corrisposto al rogito, subordinato all’espletamento della pratica di successione in morte di Luigi ed Angelo Ro., danti causa dei venditori.
D.Ag. acquistava per sè o persona da nominare. Successivamente con altra convenzione la Ca. Ro. aveva dato atto di aver riscosso il saldo da En. D.Ag. “rappresentante delle Gh. D.Ag. spa “e con la sua firma il D.Ag. intendeva designare Gh. D.Ag. spa contraente definitivo.
La convenzione era firmata anche dal geom. Pi. cui la venditrice demandava l’incarico d curare la pratica di successione e la sottoscrizione del rogito.
La Gh. D.Ag. era stata incorporata dalla Ge. Be., il Pi. si era rifiutato di presentarsi al rogito per cui chiedeva si dichiarassero autentiche le sottoscrizioni del contratto e della successiva convenzione.
Il Pi. non contestava la natura traslativa del preliminare ma deduceva di non aver potuto procedere alla sottoscrizione del rogito non essendo ancora terminata la procedura di successione. Interveniva in giudizio D.Ag. per far valere il suo diritto di proprietà su 2/3 degli immobili, aderendo in parte alle tesi del Pi. e negando di aver mai fatto alcuna dichiarazione di nomina di altro soggetto acquirente.
Concludeva eccependo la carenza di legittimazione attiva della Ge. Be., la decadenza della nomina del terzo, la prescrizione del diritto al trasferimento; nel merito, riconvenzionalmente, chiedeva a sua volta che si accertasse l’autenticità delle sottoscrizioni del contratto 18.11.1987.
Seguiva scambio di memorie tra l’attrice ed il D.Ag. a suffragio delle rispettive tesi.
Con sentenza 1438/2000 venivano accertate come autentiche le sottoscrizioni apposte alla scrittura 18.11.1987. Proposto appello dalla Ge. Be. si costituivano il Pi. ed il D.Ag. aderendo alla sentenza, confermata dalla Corte di appello di Trieste, con decisione 501/2004 che, richiamata la complessa vicenda (preliminare 18.11.1987, dichiarazione in data sconosciuta con la quale Ca. Ro. dichiarava di aver ricevuto da En. D.Ag. quale rappresentante della spa Gh. D.Ag. L. 61.400.000 quale saldo della vendita con incarico al Pi. di procedere alla sottoscrizione dell’atto notarile e sottoscrizioni anche del D.Ag. e del Pi., promessa di cessione di azioni del 23.11.1988 sottoscritta da parte dei soci della Gh. D.Ag. spa a favore della Ge. Be. per lire 5.750.000.000, con allegata planimetria con postilla “per i mappali 183,198, 197, 196 la proprietà dei 2/3 è in preliminare e di 1/3 è da acquisire”, atto di fusione 21.12.1989 con cui la Gh. D.Ag. spa veniva incorporata nella Ge. Be., sulla base delle situazioni patrimoniali al 30.6.1989, citazione del 7.9.1990 da parte dei soci della Gh. D.Ag. nei confronti della Ge. Be. per una controversia sulla interpretazione ed esecuzione dell’atto di cessione del pacchetto azionario, transazione del 2.4.1994 di detta controversia, successiva corrispondenza tra le parti), deduceva che giustamente il primo giudice aveva dichiarato invalida la clausola del preliminare di vendita con la quale l’acquirente dichiarava di acquistare per sè o persona da nominare alla stipula dell’atto pubblico.
Non era in dubbio la natura traslativa del contratto ma un termine pattizio diverso da quello legale di tre giorni è legittimo se certo o sicuramente determinato o determinabile, come da consolidata giurisprudenza richiamata.
Unico acquirente era e rimaneva D.Ag. En.. Nell’atto di cessione di azioni non vi era traccia di cessione di terreni da parte del proprietario En. D.Ag.; ne’ parte del contratto era la società D.Ag., presunta terza beneficiarla dell’acquisto ma i soci della D.Ag., che cedevano le azioni alla Ge. Be..
Nè dall’atto in questione ne’ dagli atti della società incorporata risultava che nel patrimonio della Gh. D.Ag. vi fossero i terreni in questione.
La posta di L. 91.400.000 in conto anticipo verso terzi non sembrava potersi riferire a tale affare stante la non corrispondenza degli importi.
La postilla nell’atto di cessione delle azioni era stata disconosciuta da En. D.Ag. e non vi era stata istanza di verificazione.
Ricorre (OMISSIS) con due motivi, illustrati da memoria, resistono Pi. e D.Ag. Giorgio, Onorato ed Elisabetta quali eredi di En. D.Ag..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo si denunziano violazione dell’art. 1402 c.c. e vizi di motivazione perché, correlando gli art. 1 (relativo alla possibilità per il contraente di designare il terzo “alla stipula dell’atto pubblico di trasferimento della proprietà”) e art. 3 ( tale atto “si dovrà tenere non appena terminate le procedure di successione di Ro. Lu. e An.”) del preliminare, il termine doveva ritenersi determinabile.
Col secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 1362 e 1367 c.c., artt. 214, 215, 216 c.p.c. e vizi di motivazione perché il
giudice di secondo grado avrebbe dovuto indagare se vi fosse una comune intenzione delle parti tenuto conto del comportamento complessivo.
Le censure non meritano accoglimento.
A prescindere dalla contestuale deduzione di vizi di violazione di legge e di motivazione in contrasto con la necessaria specificità dei motivi, il primo viola il principio di autosufficienza del ricorso riportando solo brevi incisi degli articoli invocati e non attacca la complessiva ratio decidendi della sentenza che si fonda sulla circostanza che D.Ag. En. era rimasto l’unico proprietario.
Anche a considerare la dichiarazione- priva di data – con la quale la Ca. dava atto di ricevere il residuo prezzo (della quale la Corte di appello sottolinea non vi è alcun motivo di discutere, al fine di cercarvi una dichiarazione del D.Ag. di nomina del terzo beneficiario), non essendo la stessa riportata (se non incidentalmente e parzialmente nella esposizione del fatto), non si comprende se il D.Ag. designava il terzo beneficiario e/o saldava il prezzo quale rappresentante del terzo; in ogni caso, il bene non era ancora entrato nel patrimonio di quest’ultimo. Conseguentemente la censura, come formulata, non è risolutiva non essendo stata accertata la designazione del terzo ne’ la relativa accettazione.
Questa Corte Suprema ha al riguardo statuito che il contratto per persona da nominare è destinato a produrre effetti tra le parti originarie non solo in caso di mancata dichiarazione di nomina ma anche quando questa non venga validamente compiuta entro il termine convenuto mentre l’inefficacia della contestuale “electio amici” ( per difetto di adesione o di pregressa valida procura dell’eletto) comporta, al pari della mancanza della nomina del terzo, il definitivo consolidarsi dell’iniziale posizione negoziale dello stipulante medesimo nella sua globale consistenza (Cass. 10.11.1998 n. 11296), fermo restando che unico legittimato ad effettuare l’electio amici è quello che, nel contratto per persona da nominare, tale facoltà si sia riservata, mentre l’altro contraente, fino a che non abbia notizia della dichiarazione di nomina e della relativa accettazione, nessun rapporto ha con questo (Cass. 14.6.1985 n. 3575). In senso conforme, sulla necessità di accettazione della persona nominata Cass. 6.11.1981 n. 5872. Quanto al secondo motivo è il caso di dedurre che alla cassazione della sentenza si può giungere solo quando la motivazione sia incompleta, incoerente ed illogica e non quando il giudice del merito abbia valutato i fatti in modo difforme dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (Cass. 14 febbraio 2003 n. 2222). In materia di ermeneutica contrattuale, poi, l’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. c.c., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti. Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359,19.1.04 n. 753). Nè può utilmente invocarsi la mancata considerazione del comportamento delle parti.
Ad ulteriore specificazione del posto principio generale d’ordinazione gerarchica delle regole ermeneutiche, il legislatore ha, inoltre, attribuito, nell’ambito della stessa prima categoria, assorbente rilevanza al criterio indicato nell’art. 1362 c.c., comma 1 – eventualmente integrato da quello posto dal successivo art. 1363 CC per il caso di concorrenza d’una pluralità di clausole nella determinazione del pattuito – onde, qualora il giudice del merito abbia ritenuto il senso letterale delle espressioni utilizzate dagli stipulanti, eventualmente confrontato con la ratio complessiva d’una pluralità di clausole, idoneo a rivelare con chiarezza ed univocità la comune volontà degli stessi, cosicché non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti – ciò che è stato fatto nella specie dalla corte territoriale, con considerazioni sintetiche ma esaustive – detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che si sia fatto ricorso al criterio sussidiario dell’art. 1362 c.c., comma 2, che attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla stipulazione (Cass. 4.8.00 n. 10250, 18.7.00 n. 9438, 19.5.00 n. 6482, 11.8.99 n. 8590, 23.11.98 n. 11878, 23.2.98 n. 1940, 26.6.97 n. 5715, 16.6.97 n. 5389); non senza considerare, altresì, come detto comportamento, ove trattisi d’interpretare, come nella specie, atti soggetti alla forma scritta ad substantiam, non possa, in ogni caso, evidenziare una formazione del consenso al di fuori dell’atto scritto medesimo (Cass. 20.6.00 n. 7416, 21.6.99 n. 6214, 20.6.95 n. 6201, 11.4.92 n. 4474). Nella specie, comunque, è significativo che la postilla in calce alla planimetria allegata all’atto di cessione delle azioni è stata disconosciuta e non vi è stata istanza di verificazione (pagina diciannove della sentenza), statuizione non censurata. In definitiva, il ricorso va interamente rigettato, con la conseguente condanna alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 3700,00 di cui 3500 per onorari, oltre accessori, per ciascuna delle due parti resistenti.
Così deciso in Roma, il 12 aprile 2011.
Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2011